Egitto, perché ora i militari vogliono un plebiscito?

Da Reset-Dialogues on Civilizations

“Non si combatte il terrorismo con la violenza e non si combatte la violenza con altra violenza.” Così risponde il venticinquenne Ahmed al capo delle Forze Armate Abdel Fattah al-Sissi che mercoledì ha invitato gli egiziani a scendere in strada per mostrare il sostegno all’intervento con il quale, il 3 luglio scorso,i militari hanno destituito il presidente islamista Mohammed Morsi.

“Perché scendere in piazza? Per confermarmi il mandato che già mi avete dato il 30 giugno (giorno dell’oceanica manifestazione anti-Morsi, ndr) e autorizzarmi a combattere la violenza il terrorismo che minacciano il Paese”, spiega Al-Sissi.

Anche se il nuovo governo ad interim nato su iniziativa militare continua a battersi per raggiungere un consenso nazionale, nella strade egiziane la polarizzazione è sempre più evidente. Dal giorno della deposizione di Morsi almeno cento persone hanno persa la vita negli scontri che vedono da una parte i sostenitor di vecchio presidente e dall’altra i suoi oppositori. A Mansoura, nel delta del Nilo, a morire è stato anche un cadetto militare, ucciso da una bomba posizionata nella caserma dei militari.

Anche se Sissi continua a dire che il suo intervento non è una dichiarazione di guerra civile, giovedì in tutto il Paese le forze dell’ordine si sono mobilitate per scongiurare il peggio. Stato di massima allerta è stato annunciato a Sohag, Port Said e lungo tutto il canale di Suez. A temere il peggio sono anche le televisioni private che hanno annunciato di sospendere la trasmissione di tutte le musalsalat in programma per la serata per coprire le manifestazioni di venerdì. Non è importante se queste soap opera fanno raggiungere il picco degli ascolti nelle serate, come queste, di Ramadan.

La contro mobilitazione islamista non si farà attendere. I militari annunciano l’ennesima lista di arresti nelle fila della Fratellanza e i leader della Confraternita incitano alla resistenza. “Meglio morire sul campo di battaglia che marcire nel carcere dove sono pronti a rinchiuderci i militari” dice un sostenitore di Morsi che ha appena ascoltato la fatwa, ordinamento religioso, lanciata da Yussef Al Qadarawi, il global mufti reso famoso dagli schermi di Al-Jazeera. Questo sheikh simpatizzante della Fratellanza Musulmana ha infatti ordinato a tutti i fedeli musulmani di non rispondere all’invito di Sissi e di fare resistenza. Già giovedì un gruppo di islamisti ha fatto sentire la sua voce, marciando verso l’università di Al-Azhar la massima autorità dell’Islam sunnita. “Voglio sapere che cosa farà il grande imam” dice in tono di sfida un manifestate. “Ha firmato la road map dei militari e ora scenderà in strada contro di noi?”

Tra i contrari al messaggio di Sissi ci sono anche i cugini salafiti, gli islamisti più radicali del partito Al-Nour che hanno sì appoggiato l’intervento militare, ma non l’ultimo appello del capo delle Forze Armate. Con loro anche il movimento del 6 aprile, uno dei principali gruppi giovanili che ha organizzato la rivoluzione del 2011 che inizia a temere che dietro questa mossa si nasconda il tentativo militare di tornare al potere. D’altronde nella nuova dichiarazione costituzionale dell’ 8 luglio non vi è nessun articolo che sottoponga l’operato del capo supremo delle forze armate alla supervisione del nuovo presidente ad interim, Adli Mansour. L’articolo 23 rende infatti immune l’esercito da ogni limite costituzionale: Invece di essere sotto il controllo civile, l’esercito controlla il potere civile. Per capire questo dettaglio, dietro il quale si cela una delle possibili spiegazioni dell’intervento militare del 3 luglio, bisogna menzionare un particolare della narrazione degli ultimi giorni di Mursi presidente che è emerso negli ultimi giorni e potrebbe fare luce su alcuni comportamenti dei militari.

Secondo alcune fonti da confermare, quando Sissi suggerì a Mursi di presentare le dimissioni, questo, che secondo la costituzione aveva potere di controllo sulle Forze Armate, avrebbe cercato di licenziare Sissi sostituendolo con il generale Agmed Wafsy, comandante di un’importante ala dell’esercito che ha la base nel Sinai.

Sopravvissuto a questo tentativo di destituzione, Sissi avrebbe preso coraggio, trasformandosi da una figura abbastanza anonima dello scenario politico egiziano in un vero e proprio leader, in grado di rimettere il nazionalismo al centro del clima politico egiziano. Nelle ultime settimane, Sissi è diventato l’eroe della component civile della società egiziana. Basta pensare a quanto accaduto nel luogo dove è sepolto Gamal Abdel Nasser, padre del nazionalismo egiziano e del panarabismo arabo, dove la foto del vecchio president egiziano è affiancata a quella di Sissi. Nell’arena virtuale circolano poi foto di un Sissi bambino che stringe la mano a Nasser. Anche se non vi è certezza sull’identità del bimbo immortalato, la foto è diventata virale.

Secondo la stampa egiziana, a motivare Sissi a uscire ancora di più allo scoperto, invitando gli egiziani a mostrare platealmente il loro sostegno alle sue mosse, sarebbero state due questioni. Con questa mossa, il capo delle forze armate vorrebbe mandare una sorta di ultimatum ai Fratellli Musulmani per costringerli a scendere a patti con il nuovo governo. Questo potrebbe anche dire che le Forze Armate hanno intenzione di essere più incisive per sciogliere il sit-in che gli islamsiti portano avanti da ormai tre settimane.
Al contempo però, mostrando il sostegno che ha alle spalle, Sissi vorrebbe mandare un messaggio alla comunità internazionale per convincerla che la volontà popolare preferisce la nuova transizione iniziata dai military che la democrazia esclusivamnete elettorale degli islamisti.
Non è un caso che il discorso di Sissi sia arrivato proprio poche ore dopo la decisione della Casa Bianca di sospendere l’invio di quattro velivoli F16 all’esercito egiziano.

Gli Stati Uniti continuano a fare gli equilibristi, evitando di descrivere quanto accaduto in Egitto come un golpe. Qualora lo facessero, i generosi sussidi che ogni anni inviano all’Egitto e che finiscono soprattutto nelle casse dell’esercito, dovrebbero essere bloccati.
Dopo aver perso la scommessa islamista, la Casa Bianca ci penserà però due volte prima di perdere un alleato da cui dipende l’equilibrio regionale.

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