I Fratelli Musulmani
al bivio della violenza

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Dopo due anni ormai dal golpe militare che estromise il Presidente Mursi, i Fratelli Musulmani si trovano di fronte ad un bivio della loro storia, come è già accaduto in passato, ma questa volta se non riusciranno a superare l’impasse in cui si trovano, rischiano l’annullamento politico o quantomeno una radicale trasformazione della Confraternita.

Non sarebbe certo la prima volta che la Fratellanza deve re-inventarsi. Infatti, una prima rifondazione dei Fratelli Musulmani avvenne dopo la morte del carismatico fondatore, Hasan Al Banna, nel 1947. In quella situazione i Fratelli rimasero senza Guida Generale – la massima carica in un’organizzazione piramidale – fino al 1951, quando venne eletto Hasan Al Hudeybi. Iniziò una nuova fase che culminò nell’impiccagione di Sayyd Qutb nel 1966, a seguito della la repressione nasseriana e con la nascita dei primi gruppi jihadisti.

La Fratellanza sembrò quasi sul punto di scomparire un’altra volta, travolta dalla radicalità del pensiero di Qutb, quando rinacque con l’apertura di Sadat e la sapiente organizzazione della nota Guida, sheykh Omar al Tilmisani, che ricostruì la Fratellanza facendo leva sulle nuove generazioni emergenti dalle università. E infine dopo l’uccisione di Sadat, quando una nuova ondata repressiva calò sui Fratelli, e la Confraternita riuscì a ritrovare un certo equilibrio solo con Mubarak a metà anni ’80, sulla base sull’impegno della Fratellanza di non occuparsi di politica e di dedicarsi al sociale, cosa che faceva comodo anche al Ra’is che con le sue politiche economiche neoliberali stava smantellando il welfare.

Successivamente la cosiddetta Primavera araba ha portato per un anno il gruppo al governo, con una classe dirigente conservatrice che aveva appena espulso la componente riformista: Mursi è divenuto Presidente, ma l’esperienza si è rivelata disastrosa, la Fratellanza si è alienata le simpatie della maggioranza degli egiziani e l’Egitto è tornato saldamente in mano militare. Ora Al Sissi governa con il pugno di ferro e i Fratelli versano in condizioni di estrema difficoltà.

La classe dirigente della Fratellanza aveva scommesso sulla breve durata del colpo di Stato e ha perciò mantenuto la linea dura del non riconoscimento della legittimità delle nuove autorità, rifiutando le proposte di compromesso e riconciliazione da parte del nuovo blocco di potere. Ha boicottato quindi il referendum sulla nuova Costituzione e le elezioni presidenziali, e non ha cambiato atteggiamento nemmeno quando il Presidente El Sissi ha acquisito, per realpolitik, una sua legittimità internazionale. Il gruppo dirigente, in galera o in esilio, ha scommesso sulle manifestazioni di strada e su un atteggiamento rivoluzionario che ha portato il gruppo allo scontro frontale con il regime.

Il problema forse maggiore che si trovano a fronteggiare i Fratelli Musulmani con la nuova durissima repressione è la perdita di autorità della vecchia leadership, per la stragrande maggioranza incarcerata ed isolata in rigidissime condizioni di prigionia, mentre la leadership in libertà all’estero sconta la mancanza di una personalità che goda di autorevolezza, il che ha fatto sì che la vero sopravvento fosse preso da una base che usa toni sempre più radicali, indisposta a scendere ad alcun compromesso dopo il sangue versato dai loro confratelli durante questi due anni di manifestazioni disperse a suon di proiettili e arresti.

La struttura stessa della Fratellanza è stata costretta a prendere atto delle mutate circostanze: sono avvenute delle elezioni interne nel Febbraio 2014, di cui per motivi di sicurezza non è stato reso pubblico l’esito, è stato formato un comitato per dirigere la crisi, ed è stato costituito un ufficio amministrativo per gestire gli affari dei Fratelli Musulmani all’estero sotto la presidenza di Ahmed Abdel-Rahman, un leader di mezza età, proveniente dalla base. Dai comunicati rilasciati successivamente si evince che, mentre il Murshid, la Guida Suprema, è rimasto il qutbista Badi’e – in prigione e con più condanne all’ergastolo e alla pena di morte – molte posizioni nella Maktab al Irshad, l’Ufficio di Presidenza, e nelle nuove strutture direttive sono oggi occupate da giovani, rappresentanti della nuova generazione di Raba’a, diventata una sorta di Kerbala sunnita nel nuovo immaginario islamista egiziano.

Il violentissimo sgombero di Piazza Raba’a al Adawiyya, costato quasi un migliaio di morti e innumerevoli feriti, è rimasto un punto di non ritorno. Se oggi i giovani dei Fratelli arrivano a mettere in discussione la leadership sui mezzi da usare contro uno “Stato oppressore”, teorizzando una lotta armata “light”, fatta di bombe e omicidi mirati, è proprio perché la retorica del “martirio di Raba’a” è divenuta predominante tra i giovani, che riscoprono il jihad contro l’ “oppressore ingiusto” – tipico della retorica jihadista – e non sognano più una rivoluzione laica e pacifica, ma islamica e armata.

La vecchia leadership si mostra esitante di fronte alle posizioni di questi giovani, un po’ per mancanza di mezzi, un po’ perché si trova contestata da una base che boccia la loro direzione sotto ogni punto di vista. Oggi inoltre, sotto la repressione, l’organizzazione non è più il vertice piramidale tradizionale, ma si è trasformata in una sorta di struttura a “rete”.

La nuova leadership è giovane, inesperta e radicalizzata, e ha intensificato enormemente i legami con i salafiti anti-sistema, tanto che la base ormai percepisce sempre meno queste distinzioni. Nei recenti comunicati e nella retorica delle tv private legate alla Fratellanza sorte soprattutto in Turchia, El Sissi viene chiamato taghut, oppressore da abbattere in senso islamico, e le accuse di apostasia sono continue, così come il richiamo al jihad, un tipo di discorso molto violento e piuttosto insolito per i Fratelli.

Questa svolta radicale è molto pericolosa per la Fratellanza e i più anziani ne sono perfettamente consapevoli, ricordando gli insegnamenti di Hasan al Banna che non escludeva la violenza come principio, ma metteva in guardia dal praticarla quando il rapporto di forze fosse sbilanciato, minacciando che ciò avrebbe potuto persino “condurre la Fratellanza all’estinzione”. Il conflitto tra le due anime continua, sebbene il tempo non sembri aiutare i propugnatori della via pacifica, dato l’inasprirsi continuo della repressione governativa.

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