Nel duello Erdogan-Putin,
la nuova fase è la guerra del gas

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Se il buon giorno si vede dal mattino, non si può certo dire che dal giorno del giuramento del nuovo governo turco se ne possano trarre dei buoni auspici.

Lo stesso 24 novembre, mentre giurava il quarto governo targato AKP, il Partito della Giustizia de dello Sviluppo, il cui leader e padre fondatore è il presidente Recep Tayyip Erdogan, un jet russo violava lo spazio aereo turco, ignorava i richiami giunti dalle torri di controllo, veniva attaccato dagli F16 di Ankara e, abbattuto costringeva i 2 piloti a paracadutarsi fuori dal velivolo. Atterrati in un’area di confine sotto il controllo dei turcomanni, i turcofoni siriani attualmente sotto pressione da parte della truppe lealiste del presidente siriano Bashar al Assad, uno dei due piloti veniva ucciso.

Qualcuno in Europa si è “divertito”a paragonare l’episodio all’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914. Se la Russia avesse reagito, la Turchia da membro Nato, avrebbe ricevuto immediato sostegno militare da tutti gli altri membri del Patto Atlantico e oggi staremmo a parlare della Terza Guerra Mondiale, andando davvero a confermare le molte Cassandre…

Tuttavia, oggi una guerra si può combattere anche sfruttando altri binari e la Russia con la Turchia sa di avere il coltello dalla parte del manico. In base ai dati forniti dal Ministero turco per l’Energia e dalla Botas, compagnia di Stato del settore della distribuzione energetica, dei 49,2 milioni di metri cubi di gas che la Turchia è stata costretta a importare lo scorso anno, ben 26,9, corrispondenti al 54% del totale, sono arrivati proprio dalla Russia.

Le forniture avvengono grazie al flusso passante per due diversi gasdotti, il West Line e il Blue Stream, mentre un terzo progetto che si propone di portare gas in Europa evitando il transito in l’Ucraina, chiamato Turkish Stream, è  stato negoziato tra i due Paesi in passato.

Rispetto a quest’ultimo, Alexey Miller, uomo a capo di Gazprom, aveva affermato già a seguito degli sconfinamenti dei jet avvenuti a settembre, che le vicende politiche non sono in grado di intaccare gli accordi già raggiunti. Ma la situazione è ora cambiata e il 3 Dicembre lo stesso Miller ha confermato che i negoziati sono a un punto morto.

Sempre secondo i dati forniti dalla Botas, la Turchia si rifornisce di gas anche da Iran (8.9 milioni m3) e Azerbaijian (6), mentre gas liquido (Lng) è importato da Algeria e Nigeria per un totale di 7,2 milioni di m3.

In pratica per la Turchia è necessario importare più della metà del gas necessario a soddisfare il proprio fabbisogno interno,e la metà dell’import complessivo arriva da Mosca. Per questo motivo il governo e la Botas starebbero vagliando freneticamente alternative per l’ import di Lng nel caso le relazioni con la Russia dovessero incrinarsi ulteriormente. Un piano di emergenza che comunque avrebbe lo svantaggio di presentare costi ingenti.

Una ulteriore alternativa riguarda la realizzazione del progetto Tanap, un gasdotto che, qualora divenisse operativo nel 2018, permetterebbe di aumentare di 6 milioni m3 le annuali importazioni di gas dal vicino Azerbaijian. Questo piano sarebbe implementato dal contemporaneo raddoppio m3 di gas dall’Iran, dal quale ci si  assicurerebbe così un flusso di 20 milioni all’anno. Non è un caso che nella prima settimana di Dicembre, il premier Ahmet Davutoglu è volato a Baku, proprio mentre il presidente Erdogan faceva ritorno da Doha. Per il primo un viaggio per consolidare i rapporti con Aliyev e dare una sterzata al progetto Tanap, per il secondo una visita che ha sancito una importante intesa per aumentare il volume di importazioni di petrolio da parte della Qatar Oil verso la Turchia.

Le ritorsioni riguardanti le forniture di energie sono rimaste sullo sfondo delle accuse incrociate volate tra Ankara e Mosca. In seguito agli attentati di Parigi e al terrore che attanaglia l’Europa, la peggiore accusa che si potesse muovere nei confronti di un leader mondiale è quella di spalleggiare e finanziare l’Isis. Accusa che per bocca del presidente russo Vladimir Putin, è giunta direttamente a colpire Erdogan e la sua famiglia.

Il presidente turco ha definito “immorali” le accuse ricevute da parte del suo omologo russo.

Erdogan, dal canto suo, che aveva già promesso di dimettersi nel caso il presidente russo fosse stato in grado di provare la propria affermazione, ha invitato Putin a fare lo stesso in caso contrario.

“Mettere in mezzo la mia famiglia è totalmente immorale,  neanche in Russia possono credere a una cosa del genere” .

Il presidente turco ha quindi ribaltato  le accuse: “La Turchia ha in mano le prove del coinvolgimento della Russia in traffici con l’Isis e siamo disposti a svelarle al mondo”.

“Un tale George Hasawi è stato uno dei primi a comprare petrolio dall’Isis per rivenderlo al regime di Bashar El Assad e non solo” ha svelato Erdogan, per poi aggiungere che nel traffico era coinvolto anche “un giocatore di scacchi russo, Kirsan Ilyumzhinov”.

Al di là dell’eventuale corredo di prove di cui ognuna delle parti dispone a supporto della propria accusa nei confronti dell’altro, si può già preannunciare che nessuno si dimetterà alla fine della contesa. Basta guardare all’ego dei personaggi in causa e all’attaccamento al potere da essi manifestato nel corso della propria ascesa. Una convergenza di vedute che in passato ha portato Putin a definire Erdogan “un leader coraggioso e audace” e che sembra divergere solo rispetto il futuro della Siria, dove Putin sostiene Bashar el Assad, scaricato da Erdogan già nel 2011.

Allo stesso tempo si può certamente affermare che dei traffici di petrolio che passano dal Califfato, e che per quest’ultimo costituiscono la principale fonte di finanziamento, ne abbiano beneficiato sia i russi  che i turchi, se non altro in quella prima fase, iniziata nel 2014, in cui la crescita esponenziale del fenomeno Isis era stata sottovalutata da tutti. Sempre riguardo lo scambio reciproco di accuse tra i due Paesi rispetto al rispettivo operato militare in Siria, è chiaro che nessuno ha la coscienza a posto. La Turchia ha utilizzato la scusa dell’Isis per bombardare i curdi, la Russia per colpire i gruppi di opposizione ad Assad. Il risultato è che il califfato è ancora vivo e la verità è che tenerlo in vita torna comodo a tutti.

Il 3 dicembre si è svolto a Belgrado incontro tra i ministri degli esteri turco e russo, Mevlut Cavusoglu e Sergej Lavrov. Durato 40 minuti, il faccia a faccia è terminato con un “nulla di fatto”.

L’intervento di Davutoglu e la reazione di Erdogan. Si apre una nuova fase?

Nella bagarre tra Erdogan e Putin, un botta e risposta che in 10 giorni sta prendendo forma di telenovela,  il premier turco Ahmet Davutoglu è voluto intervenire lanciando un segnale di distensione alla Russia.

Il primo ministro ha auspicato che tra i 2 Paesi “riprenda la partnership in campo economico, piuttosto che ci si faccia la guerra con l’embargo”.

“Da ritorsioni di tipo economico non trarrà vantaggio nessuno” ha detto il primo ministro turco a Baku. Dalla capitale azera, dove si trovava per discutere anche del gasdotto Tanap, alternativo al Turkish Stream, il premier ha ricordato che la Turchia non ha preso nessuna contromisura economica nei confronti di Mosca, nonostante le pressioni ricevute dalla comunità internazionale.

Il premier si è poi augurato che vi sia maggior coordinamento tra gli attori impegnati nella lotta al califfato, dal momento che la Russia operava in una zona in cui comandano gruppi, tra cui i turcomanni, che costituiscono il primo baluardo contro l’Isis.“Le proposte che abbiamo presentato a Mosca per risanare i rapporti sono sempre valide” ha concluso Davutoglu.

Escluso dagli incontri del G20 di Antalya, sempre più schiacciato dalla figura del presidente, il premier ha voluto intervenire nelle relazioni internazionali della Turchia, ambito nel quale da ministro degli esteri (2011-2014), aveva formulato la teoria degli “zero problemi con i vicini”. L’esatto contrario della direzione invece intrapresa dal proprio Paese nel corso degli ultimi mesi e della politica muscolare di Erdogan.

Lo stesso presidente della Repubblica il 4 Dicembre, ha compiuto un’uscita significativa proprio nei confronti del premier. Abbandonando momentaneamente le polemiche con Putin ha fatto presenti “i rischi che un Paese corre, qualora governato da una leadership a due teste”.

“Anche se in passato c’è stata armonia di vedute, non è detto che questa duri in eterno. Con il tempo tra premier e presidente possono sorgere problemi e frizioni che possono portare al caos. Ecco perché il governo deve avere come priorità assoluta la riforma della costituzione”.

Forse in Turchia si sta aprendo una nuova fase?

Nella foto di copertina: Tempi migliori… nel 2005 Erdogan e Putin inauguravano insieme Blue Stream il gasdotto che collega la Russia meridionale alla Turchia passando per il Mar Nero 

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