Disarmo, la ‘vittoria’ Onu e il peso dei grandi (e piccoli) astenuti

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Le Nazioni Unite hanno approvato per la prima volta un trattato che regola il commercio di armi a livello globale. L’Arms Trade Treaty è stato votato da 154 paesi, ma non ha avuto l’approvazione di Siria, Iran e Corea del Nord. Altre 23 nazioni si sono astenute, e fra queste la Russia e la Cina.

Il documento regola l’uso e le esportazioni delle armi “convenzionali”, ossia carri armati, aerei e navi da guerra, veicoli da combattimento, artiglieria, missili, razzi a lunga gittata e armi leggere; impone ai produttori di materiale bellico alcune regole comuni, e proibisce la violazione di embarghi internazionali e la vendita di armi a paesi che potrebbero utilizzarle contro i civili e per crimini contro l’umanità.

I principi dell’Arms Trade Treaty

La premessa del trattato è l’articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite, che promuove la creazione e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e che sottolinea la necessità di prevenire e combattere il commercio illegale di armi. Si riafferma il diritto sovrano di ogni stato di regolare e controllare il settore all’interno dei propri confini nazionali, ma allo stesso tempo si riconoscono i diritti umani come fondamenta per la sicurezza internazionale. Alla base dell’Arms Trade Treaty anche gli orientamenti del 1991 della Commissione Onu per il Disarmo sui trasferimenti delle armi, con il riconoscimento delle conseguenze sociali, economiche e umanitarie del commercio illegale e non regolamentato. Perché bisogna tenere presente che sono i civili, e in particolare donne e bambini, a subire le conseguenze più tragiche dei conflitti armati.

Il trattato conferma il diritto naturale degli Stati Membri ad individuare le proprie modalità di autodifesa e le operazioni di mantenimento della pace, riconosciuti dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite; stabilisce che la risoluzione delle controversie internazionali vada ricercata in mezzi pacifici e nella giustizia, come da articolo 2 della Carta Onu, e che venga rispettato il Diritto Internazionale Umanitario secondo le Convenzioni di Ginevra.

Il commercio mondiale delle armi

La storia del trattato è partita nel dicembre 2006, quando 156 governi hanno deciso di dare il via ai lavori preliminari. Nel 2009 l’Assemblea Generale dell’Onu ha fissato il quadro dei negoziati, ed una serie di riunioni preparatorie si sono svolte fra i 2010 e il 2012. Fino all’approvazione definitiva durante la 193esima assemblea, lo scorso 2 aprile, di un documento che andrà a regolamentare un giro d’affari stimato di circa 80 miliardi di dollari.

Il 74% del totale delle armi viene prodotto in soli sei paesi: Usa, Russia, Regno Unito, Cina, Germania e Francia. Lo scorso 18 marzo 120 paesi guidati dal Messico avevano elaborato una nota congiunta in cui esprimevano condivisione “sulla necessità ed urgenza di adottare un trattato sulle armi”. Fra questi anche Gran Bretagna e Germania, fra i principali produttori, ma non gli altri quattro colossi del mercato. Tutti gli occhi erano puntati soprattutto sugli Stati Uniti, produttore numero uno al mondo, ma con un’inversione di tendenza in corso fortemente voluta da Obama. “Saremo i primi a firmare”, aveva detto il Segretario di stato John Kerry, e così è stato, nonostante l’opposizione dell’influente lobby delle armi Nra, la National Rifle Association, che ha tentato fino all’ultimo di fare ostruzionismo, e ha accusato il Trattato di violare il Secondo Emendamento della Costituzione americana che sancisce il diritto dei cittadini statunitensi di possedere armi.

Gli astenuti

La Russia, secondo produttore mondiale e grande esportatore in Africa, ha invece scelto la via dell’astensione. Negli ultimi anni Mosca ha infatti rafforzato la cooperazione tecnico-militare con diversi paesi africani, che spesso includono formazione e rifornimento di armi. Fra i paesi partner spiccano l’Angola, il Burkina Faso, il Botzwana, l’Etiopia, il Ghana, la Namibia, il Mozambico, il Sudan, l’Uganda e il Sud Africa, oltre a Marocco, Libia e Algeria. Lo scorso anno la Russia ha superato i 14 miliardi di dollari con le vendite nel settore e secondo i dati raccolti dall’Istituto Stockholm International Peace Research, alla fine del 2011 le armi vendute dalla Russia all’Africa rappresentavano l’11% del totale delle vendite.

Anche l’India, primo paese importatore al mondo, ha deciso di astenersi, e ha accusato il Regno Unito di non aver fatto valere le sue osservazioni sul rischio terrorismo e sulla possibile compromissione della sicurezza dettate, secondo Nuova Delhi, dal Trattato. Ma fra gli astenuti ci sono anche Arabia Saudita, Bahrein e Qatar, alleati dell’Occidente che ha votato compatto.

I contrari

I contrari infine non rappresentano una sorpresa: la Siria, nel pieno di un conflitto interno e dalle conseguenze ben più ampie dei propri confini, l’Iran, suo alleato, e la Corea del Nord che proprio in questi giorni ha dato vita a nuove provocazioni e minacce nucleari.

Ma si può davvero considerare il Trattato, rimasto in gestazione per sette anni, come una vittoria dell’Onu e un passo avanti nel disarmo mondiale? La strada è ben più lunga. Intanto perché come dicono i dati dell’ultima Relazione Annuale dell’Unione Europea sul controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, dal 2010 al 2011 c’è stato un aumento del 18,3% nell’export dall’Europa, ma a crescere sono state soprattutto le vendite nelle zone più calde del mondo, Medio Oriente in particolare, per un totale di 37,5 miliardi di euro. Inoltre per l’entrata in vigore, gli stati firmatari dovranno ora ratificare l’Arms Trade Treaty entro i prossimi due anni. E i problemi non mancheranno, a partire dagli Usa che in Senato ritroveranno l’ostruzionismo della Nra, questa volta dall’interno.

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