Dalle discriminazioni ai diritti, il monito del Dossier immigrazione 2013

Da Reset-Dialogues on Civilizations

“Conoscere a fondo la realtà è il primo presupposto per elaborare giudizi fondati e per prendere decisioni pubbliche adeguate”. Così il Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge ha introdotto la nuova edizione del dossier statistico immigrazione, “Dalle discriminazioni ai diritti”, curato per la prima volta dal centro studi e ricerche Idos, in collaborazione con l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e presentato, a Roma, al Teatro Orione, e in contemporanea in tutte le regioni d’Italia. Conoscenza che si basa sui dati “per uscire dagli stereotipi e dall’emotività” e per smettere di considerare il fenomeno migratorio come un’emergenza visto che l’immigrazione in Italia, come ha evidenziato la Kyenge, ormai “è un fenomeno stabile”.

Questo almeno è quello che ci dicono i numeri raccolti nelle quasi cinquecento pagine del volume, e cioè che il 54% dei soggiornanti in Italia, non comunitari, sono di lungo periodo (autorizzati a una permanenza a tempo indeterminato), che i ricongiungimenti solo quest’anno sono stati più di 81 mila e che nelle nostre scuole materne ed elementari ci sono quasi 800mila bambini figli di stranieri. E ancora che sono 5 milioni e 186 mila i “regolari” e quasi 500mila (477.519) i titolari d’impresa, individuale o in società, nati fuori dai confini nazionali. La presenza degli stranieri sul suolo italiano incide sul livello di popolazione complessiva di circa il 6,8 % e questo è un dato che rispetto al 2011 è rimasto sostanzialmente invariato.

Cosa suggerisce tutto questo? Innanzitutto, conferisce una certa stabilità al fenomeno e sottolinea, come faceva intuire la Kyenge, che molti stranieri hanno eletto l’Italia come seconda patria: qui vivono, lavorano, pagano le tasse e la previdenza, qui crescono ed educano i propri figli e a conti fatti, fra quanto lo Stato italiano spende per loro e quanto incassa, fanno incassare al sistema paese circa un miliardo e 400mila euro. Un saldo in attivo, secondo il dossier, che annullerebbe l’obiezione secondo cui l’integrazione degli immigrati costa troppo. Ma ancor di più, ciò che ne emerge, è che la necessità di politiche di lungo periodo, volte all’integrazione, perché l’emigrazione è un fenomeno irreversibile, il naturale effetto delle tensione dell’essere umano a migliorare le proprie condizioni, a cui sarebbe inutile resistere. Secondo i dati delle Nazioni Unite aggiornate al 2013, i migranti nel mondo sono 232 milioni; quasi un miliardo se si includono le migrazioni interne. In tredici anni, ci racconta l’OIM, sono aumentati di 57 milioni (di cui 17 solo negli ultimi tre). A conferma della globalità del fenomeno, “tutti i Paesi del mondo risultano essere contemporaneamente Paesi di destinazione, origine e transito”. È questo il caso dell’Europa che, se è vero che accoglie circa il 33% dei migranti nel mondo, ne spedisce fuori un altro 25,3%: più di 4 milioni e 300mila dei quali sono italiani che hanno scelto la via della cosiddetta nuova emigrazione.

Al di là dei luoghi comuni e degli allarmismi, in Italia la metà dei migranti è costituita da comunitari (il 50,3%), per il resto si tratta di africani (22,2%), asiatici (19,6%) e solo in minima parte di persone provenienti dall’America (8%) e dall’Oceania (lo 0,1%). Il 53, 1% è composto da donne e molto influiscono in questo i lavori domestici e di cura, meglio noti come “badantato”; un fenomeno che però ha risvolti sociali molti forti nei loro Paesi di provenienza che si ritrovano svuotati di giovani madri che spesso lasciano lì i propri figli, a crescere con altri familiari.

Altro mito da sfatare è quello della massiccia presenza islamica: attualmente, gli stranieri che giungono qui sono per il 53,9% cristiani con una crescita considerevole di ortodossi, soprattutto dalla Romania, e per il 32,9% musulmani. Ci sono poi ebrei, buddhisti, testimoni di Geova e altre comunità minori.

Un capitolo a sé meritano, invece, i flussi di persone in fuga da scenari di guerra, di povertà o da persecuzioni politiche. Un flusso che si è intensificato e soprattutto si è reso più visibile sulle coste italiane a partire dal 2011, con la cosiddetta “Primavera Araba”. Nel 2012, poco più di 17mila hanno fatto richiesta di asilo in Italia (è questa l’unica possibilità che il diritto internazionale concede loro, visto che è qui che sono approdati o in molti casi recuperati in mare dopo pericolosi naufragi). Secondo i dati Eurostat, nello stesso anno, sono stati 335.380 i richiedenti protezione internazionale in Paesi Ue e l’UNHCR stima in oltre 1,3 milioni i rifugiati e i richiedenti asilo residenti oggi in Europa. Su questo Franco Pittau, che da oltre vent’anni monitora attraverso il dossier la situazione dell’immigrazione in Italia, ha voluto ridimensionare il fenomeno e le preoccupazioni ricordando come a fronte delle diecimila nuove richieste di asilo giunte in Italia nei primi sei mesi del 2013, “ogni giorno nel mondo ci sono 23 mila persone in fuga”. Più del doppio rispetto a dieci anni fa.

Se da un lato la crisi economica ha contribuito a una lieve flessione della migrazione in Europa (in questo caso si parla di migranti economici che si spostano per “scelta”), dall’altro lato, dunque, le crisi umanitarie hanno fatto segnare una crescita. In Italia sono sensibilmente diminuiti i flussi d’ingresso per motivi di lavoro – scesi dai 90.483 del 2011 ai 52.328 del 2012 – , in termini assoluti però l’occupazione per gli immigrati è salita del 31,4%, arrivando a incidere del 10% sul livello di occupazione complessiva. Per gli italiani, invece, le cose sono andate diversamente, con la perdita di un milione di posti di lavoro. In questo caso, però, pare ci si muova su due piani diversi perché gli immigrati sono impiegati in mansioni scarsamente qualificanti (e scarsamente retribuite), molto spesso stagionali, che non sono ambite dagli italiani. Secondo l’Istat si tratta di due milioni e 300mila occupati in particolare dell’agricoltura e del settore edilizio.

Questo non significa che la pessima congiuntura economica abbia risparmiato gli stranieri residenti in Italia. Come rileva il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tra il 2013 e il 2014 la domanda di lavoro sarà superiore all’attuale offerta. Previsioni che si intrecciano con il quadro occupazionale degli italiani e con il lavoro nero, lo sfruttamento paraschiavistico e i crescenti casi di discriminazione.

Secondo l’Unar, nonostante la crescita degli occupati, il tasso di disoccupazione degli stranieri è aumentato di due punti percentuali nell’ultimo anno (14,1%), superando di quattro punti quello degli italiani. Si tratta di una disoccupazione di lungo periodo in nuclei tendenzialmente monoreddito per cui non esiste quel sistema di welfare familiare che sta sostenendo, come ancora di salvataggio, molte famiglie italiane.

L’attuale crisi, conclude il dossier, “chiude il ciclo di un modello di immigrazione a basso costo” e mette all’ordine del giorno la questione della “riqualificazione del mercato del lavoro”, per italiani e stranieri. Anche perché le proiezioni ci parlano della perdita di 103 milioni di persone in età da lavoro nel 2050, in Europa, con un calo della popolazione di 50 milioni di unità. Questo significa che sarà il Vecchio Continente fra trentasette anni ad aver bisogno dei flussi migratori.

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Immagine di Veridiano3 (creative commons)

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