Dal Cairo ad Alessandria, per i copti egiziani una Pasqua in bilico

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Il Cairo – «Vorrei andare in Europa», inizia Mina, 22 anni. Passa ore nella bella chiesa copta di Santa Barbara, nell’antico quartiere cristiano di Mar Girgis, al Cairo. Questo giovane è originario del villaggio di al-Our, nel governatorato di Minya. Tredici dei 21 copti uccisi dai jihadisti dello Stato islamico (Is) nel mese di febbraio in Libia venivano da questo villaggio dell’Alto Egitto dove la minoranza cristiana è ben radicata. «Mio fratello ha raggiunto la Libia per guadagnare soldi e preparare il suo matrimonio», ci rivela Mina, che non ha più sue notizie. «Questa Pasqua, la viviamo nel lutto», aggiunge. Al di là del suo caso specifico, molti cristiani stanno per celebrare la festa con un sentimento di inquietudine: quattro anni dopo la fine del regime di Hosni Mubarak, il Paese vive sotto un nuovo pugno di ferro, quello del presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Le celebrazioni per la Pasqua: tra digiuno e festa

Al Cairo, come in tutte le città del Paese dove i cristiani sono circa dieci milioni, il 10% della popolazione, le chiese preparano le celebrazioni pasquali. Il giorno dell’Aid (la festa) si è tenuto, per i copti egiziani, il 12 aprile. Solo quel giorno, la domenica di Pasqua, è finito il digiuno di questi fedeli, iniziato ben 50 giorni prima. I copti in Egitto osservano lunghi periodi di digiuno durante l’anno.

Nonostante i preparativi della festa, alla cattedrale di San Marco al Cairo, nel quartiere di Abbasseya, l’atmosfera è tesa. Le macchine della polizia controllano gli ingressi dei passanti. Alcune donne, con la testa coperta da un foulard, aspettano di ricevere la benedizione del prete.

«Sosteniamo il presidente al-Sisi», assicura Mariam. I cristiani si sono sentiti minacciati durante la presidenza di Mohamed Morsi (2012-2013). Eppure i copti in Egitto sono stati tra i protagonisti delle manifestazioni del 2011: il giovane Mina Daniel, ucciso avanti al palazzo della televisione pubblica Maspero (ottobre 2011) è uno dei simboli del movimento. Ma dopo l’approvazione della Costituzione voluta dai Fratelli musulmani (dicembre 2012), decine di migliaia di giovani copti, inquieti, hanno preferito lasciare il Paese per riparare in Europa e negli Stati Uniti. Quando il presidente Morsi è stato deposto, il 3 luglio 2013, il papa copto Tawadros II e tutta la comunità cristiana, sollevata, hanno appoggiato i piani di al-Sisi di conquista del potere.

Il sostegno ad al-Sisi e l’ascesa di Naguib Sawiris

L’ex generale conta, tra i cristiani, sul sostegno di Naguib Sawiris, ricco imprenditore della società di telecomunicazioni Orascom. Nel corso della conferenza economica di Sharm el-Sheikh che si è svolta a metà marzo, Sawiris ha annunciato 500 miliardi di dollari di investimenti in Egitto e Tunisia. Questo magnate, che è a guida anche del partito degli egiziani liberi, ha tuttavia ammesso che al-Sisi non ha mostrato di sapersi rivolgere ai giovani.

I cristiani in Egitto sono state le prime vittime degli episodi di violenze a carattere confessionale che hanno attraversato il Paese dopo le rivolte del 2011. Da Embaba a Moqattam fino agli scontri di Minya, le violenze tra cristiani e musulmani sono state manipolate dal Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) per limitare le riforme democratiche. Nel governatorato di Minya, sono centinaia le condanne a morte tra gli affiliati dei Fratelli musulmani, accusati di avere attaccato delle chiese al momento della caduta di Morsi. Questo clima di violenza spiega in gran parte la posizione conservatrice dei copti, alle elezioni presidenziali del maggio 2014 quando hanno votato in massa per al-Sisi.

Nella chiesa cattolica di rito copto di Santa Caterina ad Alessandria, la città costiera che conta la più grande comunità cristiana d’Egitto, la messa della domenica delle Palme era piena di fedeli. «Aspettiamo che i turisti ritornino, ma c’è ancora un’atmosfera rivoluzionaria poco propizia al loro rientro», commenta un vecchio frate francescano. I cristiani qui vedono di cattivo occhio il ritorno di alcune figure del vecchio regime. Sono ancora sotto choc per la decisione dei giudici di due settimane fa di scarcerare Habib el-Adli, ex ministro dell’Interno, considerato come responsabile degli attentati che hanno insanguinato la cattedrale copta di San Pietro e Paolo, ad Alessandria, il 31 dicembre 2010.

Malgrado il malessere legato all’instabilità, molti si rifiutano di dare un’interpretazione settaria di quello che succede nel Paese. «Quando la polizia è sparita dalle strade durante la rivoluzione, abbiamo formato insieme ai musulmani dei comitati di auto-difesa», spiega Bishoy. Secondo lui, i giovani che partecipano ai corsi della scuola cristiana nei pressi della chiesa vivono quotidianamente con i loro amici musulmani nel rispetto e il sostegno reciproco.

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