I divieti dal bikini al burkini
Quando l’ideologia si fa diritto

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Una volta, non molto tempo fa, era un reato andare in spiaggia troppo poco vestiti. Oggi, almeno in Francia, è un reato andare in spiaggia troppo vestiti. Il bikini e il topless erano banditi in nome del buon costume che imponeva alle donne di non scoprire troppo il proprio corpo. Il burkini, nelle parole primo ministro Manuel Valls, non è compatibile con il nuovo buon costume dei francesi, costituito dai valori della Repubblica e dell’emancipazione femminile. Una donna troppo coperta non è sufficientemente laica e indipendente. C’è qualcosa che non convince in tutto ciò.  O accettiamo il presupposto che tutte le donne che indossano il burkini non siano capaci di un giudizio autonomo oppure questa proibizione è altrettanto stupida come era quella, anni fa, del bikini. Il burkini non pone problemi di sicurezza, non viola la morale – qualsiasi essa sia –, non offende le convinzioni di alcuna persona. Perché proibirlo? Perché, come hanno scritto alcuni sindaci francesi, è un abbigliamento che manifesta in maniera eccessivamente vistosa la propria fede religiosa? E allora vieteremo anche alle suore di andare in spiaggia, a meno che non indossino un bikini?

Ben più importante è la questione sollevata da Angela Merkel in riferimento al burka. Il timore che il velo integrale sia un ostacolo all’integrazione è fondato. Da solo, questo timore probabilmente non basta a fare scattare un divieto generalizzato: se così fosse dovremmo vietare anche molti altri tipi di abbigliamento. Ma in certe situazioni il velo integrale può essere un ostacolo alla comunicazione, che non è fatta soltanto di parole ma anche di espressioni del viso. Chi giocherebbe a poker con una persona di cui non fosse possibile vedere il volto? Vi sono rapporti – tra insegnante e studente per esempio – dove un aggrottare di ciglia, una smorfia, un sorriso valgono più di molte parole. Altre volte il burka pone problemi di sicurezza. A parte quelli legati al terrorismo, chi si sentirebbe tranquillo vedendo un donna con il burka alla guida di un’auto? In questi casi l’impoverimento della comunicazione o elementari ragioni di prudenza sono un motivo sufficiente per vietare il burka anche alle donne che lo indossano volontariamente.

Si dirà che in questo modo non si affronta il nocciolo della questione, che è la posizione della donna nell’islam. Ma anche a volersi addentrare su questo terreno, che è più accidentato di quanto sembri, non credo uno Stato liberale possa affrontare questo problema a colpi di divieti, anziché attraverso un percorso di educazione. Trovo controproducente ed anche un po’ deprimente la tendenza ad ideologizzare l’uso del diritto nei confronti dei musulmani e di altre minoranze religiose. Quando si ha a che fare con le norme è indispensabile una buona dose di sano pragmatismo. Ed essa porta a concludere che non vi sono ragioni per proibire il burkini, mentre vi possono essere fondati motivi per vietare il burka quando esso ostacola la comunicazione o crea problemi di sicurezza.

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