“Trattativa”, Napolitano dovrà testimoniare

Il Corriere della Sera: “Napolitano sarà sentito al Quirinale sulla presunta trattativa Stato-mafia”, con commento di Michele Ainis (“Un retrogusto amaro”).
Il titolo più grande: “L’archivio segreto del vescovo. Centomila foto e video di minori, il sospetto di una rete internazionale di pedofili. Le carte che accusano Wesolowski. Il Papa rimuove un alto prelato del Paraguay”.
A fondo pagina: “‘Colpiranno i metrò di Parigi e New York’. L’allarme del premier iracheno sull’Isis. Identificato l’assassino dei giornalisti decapitati”.
L’editoriale del quotidiano, firmato da Marco Demarco è dedicato alla condanna in primo grado per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris.

La Repubblica: “Stato-mafia, Napolitano deve testimoniare”, “I giudici al Colle. Il Presidente: non ho nulla da dire”, “Il monito al Csm: la giustizia è da riformare”, “Lavoro, la minoranza Pd: un accordo si può trovare”.
In evidenza, una grande foto del presidente iraniano Rohani ieri all’Assemblea generale Onu: “L’Fbi sa il nome del boia jihadista. Teheran: l’Is minaccia per la civiltà”.
A centro pagina: “La Germania all’attacco di Draghi: ‘Sbagliati gli interventi della Bce’”, “Schauble: no a soluzioni creative”.
In taglio basso,: “De Magistris: farò il sindaco in strada”, “La condanna prevede la sospensione. Lui: sentenza politica”.

La Stampa: “Raid sul petrolio dell’Isis”, “I caccia Usa bombardano le raffinerie che finanziano il Califfato. I timori di Bruxelles: inevitabile un attacco terroristico in Europa”.
A centro pagina, foto dell’assassino dei giornalisti decapitati in Siria sotto il titolo: “L’Fbi: sappiamo chi è il boia dei giornalisti”.
Sotto la testata, la “linea dura di Bergoglio”: “Coprì abusi su minori, via un altro vescovo”. E il “retroscena” di Andrea Tornielli: “La lotta del Papa contro la fronda”, “così Francesco combatte clericalismo e burocrazia”.
Sotto la testata anche la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”: “Napolitano dovrà deporre: i giudici saliranno al Colle”.
Nella colonna a destra un intervento di Enrico Moretti: “Ecco che cosa Renzi può imparare dalla Silicon Valley”. Moretti è un economista italiano che insegna all’università di Berkeley. L’anno scorso è stato convocato da Obama per discutere del suo ultimo saggio dedicato alla “nuova geografia del lavoro”.
Sulla riforma del lavoro, in taglio basso: “Il premier gela i dissidenti: ‘Non farò compromessi’”, “Fassina accusa: ‘per aiutare i precari si rischia l’aumento delle tasse’”.
E poi le “mosse della Bce”: “Draghi, euro ai minimi per spingere la ripresa”.

Il Sole 24 Ore: “Il dollaro schiaccia l’Euro ai livelli più bassi dal 2012”. “Valuta europea sotto 1,27. Schauble: Berlino contraria ad acquisti di Abs da parte della Bce”. “Draghi: pronti a misure non convenzionali anti-deflazione”.
Di spalla: “Napolitano sarà sentito al processo Stato-mafia. ‘Non ho problemi’. Il capo dello Stato: ‘La riforma della giustizia non è rinviabile'”.
A centro pagina: “Comuni, risparmi per 3 miliardi con i nuovi bilanci”. E poi: “Tagli alla ricerca per assumere insegnanti”. In prima anche l’intervento di Renzi all’Onu: “L’Isis minaccia per l’umanità”.

Il Fatto: “I giudici entrano al Quirinale. Napolitano deve rispondere”, “Processo Trattativa, i magistrati: sarà ascoltato come testimone sugli ‘indicibili accordi’ ai tempi di Mancino. In ‘trasferta’ sul Colle 20 persone. E Riina può chiedere di partecipare in videoconferenza. Il Presidente: ‘Subito riforma della giustizia’”.
In prima anche la polemiche innescate dall’editoriale del direttore del Corsera, sotto la voce “Governo e grembiulini”: “Massonerie, le logge più potenti sono quelle mascherate”, “ecco la mappa bipartisan di sette, lobby e faccendieri della politica. Nel regno di Renzusconi”.
In taglio basso: “De Magistris, fine corsa. Sospensione a un passo dopo la condanna”.
E l’inchiesta della Procura di Ivrea sulla “ex Olivetti”: “De Benedetti e Passera: accusa di omicidio colposo”.

Il Giornale: “De Benedetti accusato di omicidio”. “Chiusa l’inchiesta sulle morti all’Olivetti di Ivrea: l’Ingegnere indagato per omicidio colposo aggravato. Con lui l’ex ministro Passera e gli alti dirigenti dell’azienda”. E poi: “Schiaffo dei Pm: ‘Napolitano testimone della trattativa con i boss”. Il titolo di apertura è per Renzi, che “fa il duro e sfida sindacati e frondisti Pd. ‘Niente compromessi'”. Un commento di Marcello Zacché è dedicato al Corriere della Sera, “contro il premier”.
A centro pagina: “L’Isis distrugge la ‘chiesa verde’”, “simbolo cristiano in Irak”. “E il governo di Baghdad avverte: gli islamisti colpiranno Parigi e New York”.

Napolitano, giudici

Le pagine 2 e 3 de La Repubblica si occupano di giustizia, collegando la decisione della Corte d’Assise di Palermo di ascoltare il capo dello Stato nell’ambito del processo per la cosiddetta ‘trattativa Stato-mafia’ con le parole pronunciate da Napolitano ieri nel corso dell’incontro con i nuovi membri del Csm e con quelle che avrebbe pronunciato il presidente del Consiglio sulla necessità di una riforma della giustizia.
A pagina 2: “Stato-mafia, l’ok dei giudici, sarà ascoltato Napolitano, ‘Non ho nessuna difficoltà’”, “Il capo dello Stato deporrà in qualità di testimone. L’audizione si terrà al Quirinale. Data ancora non fissata”.
A pagina 3: “’Giustizia caotica, ora stop alle caste’. Il Quirinale chiede la riforma”. E si riferiscono alcuni passaggi dell’intervento pronunciato dal capo dello Stato, anche in riferimento al peso delle correnti nella magistratura e nel Csm: la magistratura non sia “una casta chiusa”, sono dannosi “gli estenuanti, impropri negoziati nella ricerca di compromessi e malsani bilanciamenti”. E quando si tratta di distribuire gli incarichi nelle varie Procure è necessario farlo sulla base di “accertate professionalità”. Napolitano ha sottolineato poi che il corretto e spedito funzionamento del sistema giudiziario “appaiono vitali al fine di dare le certezze e le garanzie di cui ha indispensabile bisogno lo sviluppo dell’attività economica e dell’occupazione”.
Il lungo “retroscena” di Liana Milella si riferisce alla supposta reazione del Quirinale alla ‘convocazione’ al processo Stato-mafia: “L’ira del Colle. E Renzi avverte le toghe: ‘Il Presidente è con me’”. Da New York, il presidente del Consiglio – secondo il quotidiano – “coglie al volo il pressing del Quirinale per la riforma della giustizia” e dice: “In gioco c’è l’autonomia e il primato della politica. E Napolitano è d’accordo con me’”. La coincidenza tra l’incontro del Presidente con il nuovo Csm e la decisione della Corte d’Assise di Palermo “è fatale”, “poteva essere un giorno di festa per la magistratura sul Colle”. Ma risuonano “le parole durissime di Napolitano sui magistrati, una ‘casta chiusa’, protagonisti di una giustizia ‘lenta e caotica’”. “Non è Renzi che parla, è Napolitano”, sottolinea la Milella aggiungendo che “le sue parole sembrano proprio quelle del presidente del Consiglio”.

Il Fatto: “Re Giorgio è stanco (e può andare via)”, “Non gli è piaciuto come i pm siciliani hanno interrogato i politici. Ha dubbi sulla tenuta del Nazareno e deve rispondere all’Europa”. Dove si sottolinea che la Corte di Palermo, nell’ordinanza, ha messo in evidenza questo passaggio: “La differenza la possono fare le domande, non tanto quello che il teste crede di sapere”. Le domande. Appunto. La sintesi ruvida ed estrema è stata questa tra chi circonda il presidente: ‘Vuopi vedere che Napolitano entra testimone ed esce indagato?’.”. Per il quotidiano il discorso tenuto in seguito al Csm è la “vendetta contro le toghe”. Poi si ricorda “la caccia grossa” per la successione a gennaio e si spiega “il ritrovato interventismo” del capo dello Stato su lavoro, articolo 18 e giustizia con le telefonate europee che chiedono “garanzie” sul premier: da un lato deve fargli da “baby sitter”, dall’altro si tratta di accelerare alcuni dossier decisivi per dire addio tra gennaio e febbraio.

Su La Stampa, in relazione alle parole del capo dello Stato (“non ho alcuna difficoltà” a deporre), il “retroscena”: “L’immediata disponibilità a deporre, un atto di riguardo alla magistratura”, “Solo Ciampi testimoniò dai pm. Scalfaro e Cossiga riuscirono ad evitarli”.

Michele Ainis sul Corriere evidenzia come nel nostro ordinamento la testimonianza del capo dello Stato è sempre “volontaria”, “spontanea”, “non obbligatoria”. E ricorda che in una lettera Napolitano “aveva già messo nero su bianco ciò che aveva da dire” ai giudici di Palermo. “Ma adesso i giudici vogliono ascoltarlo per acquisire quel ‘contenuto dichiarativo negativo’, magari con l’aiuto di un interprete. Come a dire che la sua testimonianza scritta ai loro occhi suona reticente, sicché vogliono sottoporla alla prova dell’orecchio”. Per questo “c’è il sospetto che la ricerca della verità sia ormai diventata un pretesto”, scrive Ainis, auspicando che nel nostro Paese “ciascuno torni a fare il suo mestiere, senza impadronirsi di quello altrui”.

Stefano Folli sul Sole 24 Ore scrive che è ovviamente una coincidenza, ma “fa pensare”, il fatto che nel giorno in cui Napolitano “richiama la magistratura, attraverso il nuovo Csm, all’esigenza di non frenare la riforma che la riguarda”, si venga a sapere che è chiamato a testimoniare nel processo di Palermo. La richiesta della magistratura “è del tutto lineare”, ma “viene inevitabilmente interpretata da molte parti” come “un ulteriore tentativo di minare il prestigio del Presidente della Repubblica, suggerendo il sospetto che al vertice dello Stato ci sono segreti e misteri da tutelare”. E in ogni caso “si capisce che la testimonianza” di Napolitano “non vale per quel poco che realmente egli potrà dire”, ma per “i riflessi della notizia rilanciata dai giornali”.

Quanto all’intervento di Napolitano, è stato pronunciato di fronte al nuovo plenum del Csm.

Il Corriere scrive che tra i togati presenti c’era anche Piergiorgio Morosini, giudice che ha condotto l’udienza preliminare sfociata nel dibattimento a Palermo sulla presunta trattativa. E proprio da Morosini “è arrivato un apprezzamento per le parole pronunciate da Napolitano”. Il discorso non era breve, e Napolitano “non è stato tenero con i magistrati e i loro rappresentanti eletti nell’organo di autogoverno”, elencando diversi casi: è stata fatta “‘una applicazione limitata (appena due volte) dei trasferimenti d’ufficio”, e sono spesso troppo lunghi i tempi per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, a causa di “impropri negoziati nella ricerca di compromessi e malsani bilanciamenti tra correnti”.
L’editoriale del Corriere, firmato da Marco Demarco, è dedicato alla condanna in primo grado (per le cosiddette intercettazioni a strascico) dell’attuale sindaco di Napoli De Magistris. Che “era un magistrato” che “credeva nella moralizzazione per via giudiziaria dei poteri” e “apparteneva al cosiddetto partito dei giudici”, ed ora “è stato condannato da altri giudici proprio perché ha fatto abuso dei propri poteri”. Ora “si appella alla giustizia con la G maiuscola”, “rinnega il formalismo processuale”, dice di essere innocente, ma “è l’esatto opposto di ciò che diceva quando era Pm”. Non c’entrano qui il garantismo e la considerazione di un eletto del popolo, perché “ora c’è una legge”, la stessa applicata per Berlusconi, che prevede per i condannati, anche in primo grado, l’abbandono degli uffici pubblici”. E chi, “come De Magistris, ha costruito la propria carriera politica contro l’indecenza di un Parlamento degli inquisiti” non può “accampare scuse”.

Papa

Sul Corriere della Sera si scrive che monsignor Josef Wesolowski aveva “un archivio segreto nascosto nel computer della Nunziatura di Santo Domingo”, con “oltre 100 mila file a sfondo sessuale, ai quali si aggiungono più di 45 mila immagini cancellate”. I file erano divisi per genere, “ci sono file in cui si vedono anche decine di bambine protagoniste di prestazioni erotiche, ma la predilezione era per i maschi.
Sullo stesso quotidiano Massimo Franco commenta “lo strappo deciso da Francesco”, che “potrebbe alimentare la resistenza di chi vede in lui una minaccia da arginare”. E “cresce il timore che la pedofilia stia diventando una delle armi con le quali si consumano le lotte interne”. Per esempio, sul caso Wesolowski, “c’è chi ritiene che sarebbe stato meglio” lasciarlo alla magistratura di Santo Domingo, “affinché lo processasse lì dove si presume abbia commesso i suoi reati”. Ci sarebbe stato “meno l’amore”, e “si sarebbe cancellato comunque il sospetto che il Vaticano voglia proteggere il monsignore”, con arresti domiciliari e poi “una condanna da scontare in qualche istituto religioso”. Come accadde per Paolo Gabriele, e per il processo che si celebrò, che “fece storcere il naso a molti in materia di trasparenza della giustizia della Santa Sede”.

Sul Sole è l’economista Luigi Zingales a commentare la “lezione di management del Papa”, che prima si è occupato dello Ior e ora della pedofilia. Perché se “per una condanna penale è necessaria la prova al di là di ogni ragionevole dubbio”, per una “punizione disciplinare”, per rimuovere o licenziare qualcuno, “gli standard di prova devono essere molto più bassi”, soprattutto nel caso di “posizioni apicali”. Zingales sottolinea come invece “paradossalmente” in Italia “non si può rimuovere un manager se non per giusta causa”, il che vuol dire attendere una sentenza penale”, e non è un caso che nel nostro Paese “scarseggino le grandi imprese”. Conclusione: “Avremmo tanto bisogno di un Papa Francesco anche da questa parte del Tevere”.

De Benedetti

Sul Giornale, Luca Fazzo parla della inchiesta sulle morti per amianto alla Olivetti di Ivra, inchiesta chiusa con la notizia che tra i 39 indagati, tutti i vertici dagli anni 60 agli nni 90, per una ventina di morti sospette, c’è anche De Benedetti. “I pm: l’azienda non evitò i rischi. Sono contestati 14 casi”. De Benedetti “dice di aspettare fiducioso l’udienza preliminare” e “si chiama fuori dicendo in sostanza che di amianto e sicurezza non era lui a occuparsi”. In una intervista qualche tempo fa disse che “la colpa di questi morti è dell’epoca di Adriano Olivetti, non di Adriano ma degli architetti che hanno lavorato per lui”. Nelle carte dell’accusa si scrive che i pericoli per gli stabilimenti, l’inalazione di fibra di amianto, era nota già nel 1981, ma fino al 1987 non fu presa alcuna precauzione.

Sul Corriere: “Amianto alla Olivetti, 39 indagati. ‘Lavoratori non tutelati dai rischi’. Ivrea, sotto accusa Passera e De Debenedetti. Che replica: ‘Totalmente estraneo'”.

Holder

Si dimette il liberal Holder. Obama perde un alleato”, titola La Stampa in riferimento alla decisione del ministro della Giustizia Eric Holder di lasciare l’incarico. Secondo il quotidiano “paga le accuse di razzismo alla polizia” in relazione agli scontri di Ferguson, nel Missouri, dopo l’uccisione di un ragazzo afroamericano di 18 anni. “Ironia della sorte -sottolinea il corrispondente Francesco Semprini – lui, primo ‘attorney general’ afroamericano e per di più democratico della fronda più liberal del partito, forse il collaboratore più stretto di Barack Obama, fortemente voluto al dicastero per dare un segnale forte di cambiamento”.

Su La Repubblica, Federico Rampini: “Le dimissioni del ministro Holder, ‘fedelissmo’ di Obama”, “Dai diritti dei migranti alla questione razziale, è stato l’uomo delle grandi battaglie etiche”. E’ stato “uno dei bersagli dei repubblicani. Ma si è fatto nemici anche a sinistra”, quando era in gioco la sicurezza nazionale, poiché ha perseguito con il massimo rigore i giornalisti che hanno pubblicato notizie ottenute da “gole profonde” all’interno dell’Amministrazione.

Isis

La Stampa dedica le prime quattro pagine alla lotta all’Isis. “L’Fbi identifica il boia di Foley e Sotloff. Colpite le raffinerie”. Raid Usa sui depositi di petrolio dello Stato islamico: nella notte tra mercoledì e giovedì i caccia Usa, insieme ai jet di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno preso di mira le installazioni mobili che l’Is utilizza per il contrabbando di petrolio in Siria. Sulla stessa pagina, un’analisi di Paolo Mastrolilli: “Quei barili venduti di contrabbando. Così il Califfo finanzia la sua jihad”, “Ogni giorno incassa 2 milioni di dollari con cui paga armi e miliziani”.

La Repubblica si occupa di questo tema con lo “scenario” firmato da Maurizio Ricci: “L’oro nero dei jihadisti, quaranta dollari al barile per pagare guerra e terrore”.
Grande attenzione viene dedicata poi all’intervento del presidente iraniano Rohani ieri all’Onu: “L’Iran all’occidente: sbagliate tutto”, titola La Repubblica.

E su La Stampa: “Rohani: ‘Questa guerra è colpa dell’Occidente’”, “Il presidente iraniano all’Onu: ‘In Medio Oriente strategia sbagliata. Avete favorito e finanziato i terroristi, ora chiedete scusa”. Parlando dell’Isis ha detto: “L’unico obiettivo di questi fanatici è la distruzione della civiltà e la diffusione dell’islamofobia, sono stupito che questo gruppo di assassini chiamino se stessi ‘islamici’”. Ma “è il colonialismo -ha spiegato- che ha causato assieme al razzismo quel sentimento anti-occidentale che oggi pervade molti”.

Il Fatto intervista il politologo ed islamologo Olivier Roy, che dice: “Saranno i moderati a sconfiggere gli ultra islamici” e la guerriglia è solo una minoranza: “Al Qaeda vuole un jihad globale per imporre la sharia nel mondo, mentre l’Is è interssato a stabilire un Califfato in Iraq e in Siria”.

La Repubblica intervista Daniel Pipes: “Ma con i raid Obama sta facendo il lavoro sporco al posto di Teheran”, “I leader iraniani si fregano le mani. Già con l’invasione del 2003 facemmo loro un grande piacere, smantellando in quattro settimane il regime di Saddam Hussein”, adesso “ci risiamo”, perché quando l’Is minaccia gli equilibri dell’area e attacca il governo amico dell’Iran di Bashar el-Assad “gli iraniani dovrebbero essere in prima fila, invece siamo noi a fare il lavoro sporco”. Perché pensa che sia uno sbaglio l’offensiva Usa contro l’Is? “Perché i jihadisti non rappresentano per noi un avera minaccia :sono solo 30-35 mila, sventolano mitra e bandiere sui camioncini, ma non sanno neanche adoperare le armi sofisticate americane che hanno trovato negli arsenali iracheni”. Obama “avrebbe dovuto limitarsi ai soli interventi umanitari a favore di cristiani e yazidi”.
Da La Repubblica segnaliamo anche l’articolo che Adriano Sofri dedica al video che una giovane siriana ha filmato di nascosto, a rischio della vita, a Raqqa, roccaforte dell’Is: qui la musica è vietata, ovunque si vedono uomini armati.
Sul Messaggero si parla della “psicosi” scattata ieri mattina a Milano, quando una signora ha sentito in tram una conversazione in tra due persone che parlavano di mettere una bomba in Comune. Il Comune – 200 dipedenti, e anche il sindaco – sono stati fatti uscire. Era un falso allarme.
Renzi verrà ascoltato martedì dal Copasir, aggiunge il quotidiano, audizione programmata da tempo ma ovviamente dedicata ai raid contro l’Isis in Siria ed Iraq.

Sul Sole, Roberto Bongiorni si sofferma sul “sistema economico del Califfato”, la cui voce più importante nel Pil è quella derivante dal contrabbando di petrolio, capace di generare da due a tre milioni di dollari al giorno. “Lo stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto, ha detto Matthew Levine, direttore del programma di intelligence e antiterrorismo al Washington Institute for Near East Policy. “Non sono integrati al sistema finanziario internazionale e per questo non sono vulnerabili”, dice. Oltre al petrolio: i riscatti, la tratta di esseri umani, l’estorsione nei territori controllati, e anche il contrabbando di antichità.

E poi

La Repubblica intervista Gianni Cuperlo, uno dei leader della minoranza dem: “Matteo non ci dica prendere o lasciare, a meno che non punti a cacciare il dissenso”, “Vogliamo innovare, noi non siamo i Flinstones. Si discuta la durata della prova, ma il reintegro è nella Costituzione”.

Alle “elezioni più pazze del mondo” Il Giornale dedica una pagina, ricordando che domenica si vota – elezioni di secondo grado, dove sono chiamati a votare solo sindaci e consiglieri uscenti – le province. Si voterà tra fine settembre e metà ottobre e le liste riservano anche qualche sorpresa, come – a Ferrara – una alleanza Pd-Fi-Lega-M5S.

Sul Corriere una inchiesta firmata da Paolo Valentino dedicata al partito ungherese Jobbik, “gli arrabbiati ungheresi”, “eredi di Attila” “contro gay e rom”. Alle ulrime elezioni il partito dell’ultradestra è stato scelto da un elettore su cinque”. Il Movimento sa usare social network e siti di informazione. Ma è una estrema destra troppo nazionalista per poter creare alleanze con altre formazioni estreme di altri Paesi.

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