Stato-mafia: la risposta di Napolitano

La Republica: “Stato-mafia, Napolitano non ci sta”.
In taglio basso :”Fiat condannata: ‘Assuma 145 operai Fiom”.

Il Fatto: “Napolitano invoca il bavaglio. E attacca ‘alcuni giornali’.
In taglio basso: “‘La Fiat discriminò la Fiom, ora riassuma 145 operai”.

Il Giornale: “Napolitano ha paura”.
E in taglio basso: “Alla Fiat comandano i giudici, non Marchionne”.

Corriere della Sera: “Berlino, le condizioni sugli aiuti”, “Il Fondo salvataggi aperto solo a chi accetta nuove e più severe regole di bilancio”.
A centro pagina: “Napolitano interviene: ‘Campagna di sospetti costruita sul nulla’”.

Il Sole 24 Ore: “Fmi: fondi Ue per salvare le banche”. “Monti: il ‘signor Rossi’ tedesco stia tranquillo, l’Italia non chiederà aiuti”.
Di spalla: “Trattativa Stato-mafia, l’ira di Napolitano: basta sospetti e insinuazioni”
In taglio basso: “Dismissioni per 319 miliardi”, “Sul ddl lavoro quattro fiducie, voto finale mercoledì 27”.

La Stampa punta su un’intervista al presidente del Consiglio: “Monti: il 29 è in gioco l’Europa”.
In taglio basso: “Stato-mafia, l’ira di Napolitano”.
Sotto la testata, i titoli sulla sentenza su Pomigliano: “‘La Fiat assuma gli operai Fiom'”.

L’Unità, sulla sentenza Fiat: “C’è un giudice a Pomigliano”.
E in taglio basso: “L’ira di Napolitano: basta insinuazioni”.

Napolitano

L’Unità spiega che “in modo netto Napolitano ha liquidato la campagna portata avanti, con particolare veemenza in questi giorni, sul fronte politico in particolare da Antonio Di Pietro e, quindi, dall’Idv, e su quello giornalistico dal Fatto quotidiano, capofila di altri organi di stampa”: lo ha fatto ieri dichiarando che “si sono riempite le pagine di alcuni quotidiani con le conversazioni telefoniche intercettate in ordine alle indagini giudiziarie in corso sugli anni delle più sanguinose stragi di mafia del ’92 e ’93, e se ne sono date interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta persino versioni manipolate”. Il capo dello Stato ha poi ribadito il suo impegno “ad operare, perché è mio dovere e prerogativa, affinché vada avanti nel modo più corretto e più efficace, anche attraverso i necessari coordinamenti, l’azione della magistratura”. “Insinuazioni costruite sul nulla”, titola il Corriere riassumendo le dichiarazioni di Napolitano, che così ha reagito alle indiscrezioni sull’esistenza di due sue telefonate con l’ex ministro dell’Interno, ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm Nicola Manicno sull apresunta trattativa Stato-mafia “per alleggerire il cracere duro ai boss”, nella quale Mancino è indagato per reticenza. Il quotidiano intervista Emanuele Macaluso, storico esponente Pci ed ex direttore de Il Riformista: “Penso che Nicola Mancino si sia lasciato andare un po’ al panico, ma che un uomo che ha avuto i suoi incarichi non possa chiamare il capo dello Stato mi sembra ridicolo”. Un uomo come Mancino non può parlare con il capo dello Stato “e dire: ci sono tre procure che non si mettono d’accordo”?. Macaluso interviene anche su L’Unità, dove risponde a Il Fatto, che lo aveva definito un “ventriloquo” del Quirinale, avendo alle spalle una lunga e consolidata amicizia con il capo dello Stato. Scrive Macaluso: “Il Fato quotidiano, che opera come agenzia della Procura di Palermo, o meglio di un pezzo della Procura, ieri ha rivelato che un intelligentissimo generale diceva al collega Mario Mori che io sono il ‘ventriloquo’ del Quirinale, scoprendo un inedito: che sono ‘grande amico’ di Giorgio Napolitano”. E poi: “una questione va sollevata: la procura di Palermo, anzi quel pezzo di Procura, distribuisce intercettazioni che non hanno attinenza al processo sulla ‘trattativa’. A che gioco gioca? Fornisce foglietti di propaganda alla sua agenzia per scopi estranei al processo? Sempre sulla questione intercettazioni, dal Fatto apprendiamo che sono state intercettate telefonate del Presidente della Repubblica. e si dice che sono state inserite nel brogliaccio e non trascritte perché irrilevanti. Ma intanto si fa circolare la notizia. Tuttavia, quelle intercettazioni non erano solo irrilevanti, ma illegali e parte di una manovra che serve a ‘mascariare’ anche il capo dello Stato”. Il quirinalista del Corriere Marzio Breda ricorda che le indiscrezioni de Il Fatto sull’esistenza di telefonate di Napolitano hanno come fonte Panorama.it e che sul Colle si è materializzata quella che Breda definisce “l’ombra di una manovra vasta e dagli esiti imprevedibili”: insomma, “si è avvertito il rumore del tritacarne mediatico e politico (Antonio Di PIetro è in prim alinea e non sembra voler arretrare) che nel nostro Paese si mette in moto a intermittenze più o meno legate alle stagioni di svolta. Molto spesso per condizionare, intimidire, delegittimare”. Breda cita l’opinione del senatore e costituzionalista Pd Stefano Ceccanti, secondo cui gli attacchi a Napolitano avrebbero in realtà come obiettivo il governo Monti. Ne scrive Marcello Sorgi su La Stampa:”questa specie di impeachment mancato, con le reazioni o le mancate reazioni che ha provocato, è un esempio illuminante di cosa sta per diventare, o è già diventata, la politica in tempi di antipolitica. Sul campo, infatti, a muovere l’assedio al Quirinale, sono Grillo e Di Pietro, indipendentemente e per ragioni diverse. Per Grillo, uscito vincitore dalle ultime elezioni amministrative”, è “la prima occasione per vendicarsi”, dopo una campagna elettorale in cui aveva preso di mira anche il Colle, ricevendo in cambio il monito dal Presidente a non comportarsi da demagogo. Quanto a Di PIetro, che con Napolitano ha sempre avuto “pubblci cattivi rapporti”, è una sorta di avvertimento lanciato, “via Colle, a Bersani e al Pd, che platealmente lo hanno appena scaricato. Sorgi stigmatizza tuttavia la “timidezza” con cui un Bersani o un Casini difendono il Presidente: timidezza che “tradisce il timore che le campagne dell’antipolitica abbiano ormai irrimediabilmente fatto breccia in un’opinione pubblica trattata ormai alla stregua di una tifoseria di calcio”.
Il Fatto, riprendendo i famoso “format” delle domande di D’Avanzo a Berlusconi, chiede ufficialmente al Presidente della Repubblica una dichiarazione ufficiale sulla conversazione intervenuta il 12 marzo scorso tra il consigliere giuridico del Quirinale D’Ambrosio e l’ex ministro Mancino. Sono otto domande, la sesta delle quali è: “Perché il Quirinale dovrebbe occuparsi del contrasto di posizione tra due testimonianze di due ex ministri (Mancino e Martelli ndr) in un procedimento penale”.
E Marco Travaglio in prima deride la “mobilitazione generale” a difesa del Quirinale: “Corazzieri, palafrenieri, ciambellani, aiutanti di campo, assistenti al Soglio, guardie svizzere, marchesi del Grillo, magistrati democratici, giuristi, costituzionalisti, fuochisti, macchinisti, ferrovieri, uomini di fatica, ma soprattutto frenatori e pompieri sono pregati di convergere al segnale convenuto in piazza del Quirinale, possibilmente muniti di bandierine tricolori”.
E il direttore del quotidiano, Padellaro, dice che “il totem sul Colle”, “inviolabile e irascibile”, “cui non si può rivolgere la più blanda osservazione perché equivale al delitto di lesa maestà”, “fa comodo a tutti”: e si riferisce al “governo Monti, che a Napolitano deve la propria esistenza in vita”, al “tremebondo Pd” e al Pdl “che subito si è accodato al monito sul bavaglio lanciato sul capo dello Stato per fatto personale”.
Secondo il costituzionalista Valerio Onida è “opportuna l’azione del Colle”. In un commento sul Sole 24 Ore Onida scrive che “tre diverse Procure, ovvero Palermo, Caltanissetta e Firenze, stanno indagando su fatti che in vario modo si collegano: è o non è importante che indagini di questo genere siano coordinate e non procedano invece in ordine sparso e magari contraddittorio tra di loro?”.
Un retroscena su La Repubblica scrive che al Quirinale è scattato l’allarme per una manovra oscura il cui obiettivo è il capo dello Stato. E il sospetto è che si punti a colpire anche il governo”. La Repubblica però sottolinea che indebolire il Colle e Monti converebbe “soprattutto al Pdl”: “Berlusconi non ha escluso con i colonnelli del suo partito il rischio di un definitivo redde rationem a luglio per andare al voto in autunno. Lo stesso Cavaliere non ha nascosto che il principale ostacolo alle urne è rappresentanto “guarda caso dal Quirinale”. Insomma, secondo La Repubblica, gli uomini del Presidente sono convinti che sia stato sparso “veleno” da diversi “centri di potere”.
Poi due pagine de La Repubblica dedicate a quello che viene definito “il caso Mancino”, con una analisi di Attilio Bolzoni: “Quando il Palazzo tremava per le bombe di cosa Nostra. Così partì la trattativa segreta”. Analisi affiancata da una intervista al Pm Nino Di Matteo, uno dei titolari del fascicolo, che difende l’indagine: “Non è una indagine basata sul nulla”. Poi precisa: “Negli atti depositati non c’è traccia di conversazioni del Capo dello Stato, e questo significa che non sono minimamente rilevanti”. Quindi verranno distrutte? “Noi applicheremo la legge in vigore. Quelle che dovranno essere distrutte con un procedimento davanti al Gip saranno distrutte Quelle riguardanti altri fatti da analizzare, saranno utilizzate in altri procedimenti”.

Europa, crisi  

Il presidente del Consiglio Monti ha rilasciato una intervista a sei grandi quotidiani europei, fra i quali La Stampa, ad una settimana dal Consiglio europeo e a poche ore dal vertice propedeutico di oggi a Roma, con la Cancelliera tedesca Merkel, il premier spagnolo Rajoy e il presidente francese Hollande. Monti spiega che Rajoy si è aggiunto in seguito. Ad un ipotetico signor Rossi tedesco (“Herr Muller”) Monti spiega che può rilassarsi: “Ti sei convinto, o ti avranno convinto, che tu stai mantenendo un eccessivo tenore di vita degli italiani. Guarda, non è così, perché non ci sono stati finanziamenti all’Italia, e non arrivo a chiederti di credere che i tedeschi stiano avendo vantaggio dal fatto che la Germania riesce a finanziarsi a tassi così bassi, anche come effetto speculare degli alti tassi degli altri”.
Monti sottolinea che Berlino ha tratto grandi vantaggi dall’integrazione.
Sul Sole 24 Ore, continua la pubblicazione di interventi nell’ambito del “manifesto per gli Stati Uniti d’Europa”. Oggi è la volta dell’ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerard Scroheder. Per Schoroeder è necessario “cambiare la politica economica e finanziaria dell’Europa”, “abbandonando la strada della austerità pura e semplice e imboccando quella della crescita”. L’ex cancelliere ricorda che la Germania vende più del 60 per cento del suo export all’interno della Unione Europea: “ecco perché la cosa migliore che possiamo fare è bilanciare le severe misure di austerità con programmi della crescita”. Sul fronte delle riforme delle istituzioni europee Schroeder ritiene che siano necessari: l’evoluzione della Commissione europea in un governo eletto dal Parlamento europeo. La trasformazione del consiglio in una camera Alta, con funzioni simili al Bundesrat tedesco. Un aumento dei poteri del Parlamento europeo, che in futuro dovrà essere eletto attraverso liste di partito paneuropee, “con tanto di candidati al ruolo di Presidente della Commissione”.

Il Corriere della Sera intervista il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle, che si mostra ottimista sul vertice di Roma previsto per oggi: io credo che l’Italia sia un Paese competitivo e di successo. E ciò vale anche per la Spagna. Questi Paesi hanno prodotti conosciuti nel mondo, ce la faranno mettendo in atto le riforme strutturali già avviate. Tanti dimenticano che anni fa la Germania veniva presentata dai giornali come ‘il malato d’Europa’. Tutto è poi cambiato velocemente. Le riforme poi attuate dai vari governi federali hanno migliorato la competitività della Germania e hanno ridotto in maniera significativa la disoccupazione”. Sul dissidio con Hollande su austerità, crescita ed eurobond, Westerwelle dice: “non dobbiamo sempre essere della stessa opinione, ma trovare una strada comune”. Per quanto riguarda gli eurobond, “la Germania non può dare garanzie per il debito di altri Paesi”.

E poi

Il Corriere della Sera riferisce di una intervista ad una radio francese dell’arcivescovo di Parigi, André Ving-Troix,  sul caso Vatileaks, la diffusione di documenti riservati del Vaticano. Nel corso dell’intervista i cardinale ha parlato della Curia, un’organizzazione che £ha diversi secoli” e “non è certamente adatta in ogni cosa al funzionamento della Chiesa”.  Del segretario Bertone, preso di mira dalla fuga dele carte, ha poi detto: “Ha 78 anni. Non c’è bisogno di rivelazioni segrete per sapere che la sua partenza dalla Segreteria di Stato è prevedibile”.
Sullo stesso quotidiano, la prefazione scritta dal teologo tedesco Hans Kung per la nuova edizione del suo libro “Salviamo la Chiesa”: le tre piaghe del Vaticano, ovvero l’apertura ai lefevriani, il caso Ior, le lotte interne alla Curia.
Su La Repubblica, con copyright New York Times, un articolo sulla presenza di un piccolo numero di agenti della Cia che starebbe operando in segreto nella Turchia meridionale per aiutare gli alleati a decidere a quali gruppi della opposizione siriana, dall’altro lato del confine, devo andare le armi destinate ad essere usate contro il governo di Damasco. Le armi in questione verrebbero fatte passare quasi sempre attraverso il confine turco, per mezzo di una rete di intermediari, “dai contorni poco chiari”, che include i Fratelli Musulmani siriani, e sono finanziate da Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Gli agenti della Cia si troverebbero nella Turchia meridionale anche per impedire che le armi finiscano nelle mani di gruppi affiliati ad Al Qaeda o ad altri gruppi terroristici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *