Siria, attacco imminente. L’Italia: sì solo se c’è l’Onu

La Repubblica: “Attacco in Siria, America pronta”, “’Il blitz domani, tre giorni di guerra’. L’Italia: senza l’Onu niente casi”.

Di spalla: “Svolta sull’Imu, per quest’anno la tassa non si paga”.

A centro pagina: “Il piano di Berlusconi per evitare l’interdizione”, “Pressing sul Colle per far commutare solo la pena accessoria”.

 

Corriere della Sera: “Tutto è pronto. L’attesa di Obama”, “Parigi con Washington e Londra. L’Italia: senza l’Onu nessun appoggio”.

A centro pagina: “Giorno decisivo per l’Imu. Il pressing di Letta per cancellare le due rate”.

 

La Stampa: “Siria, ecco i piani di attacco”, “Nel mirino degli Usa sei basi aeree. L’Italia: ‘Niente supporto senza l’Onu’”.

A centro pagina: “Il governo oggi cancella l’Imu”.

 

 

L’Unità: “Siria, a un passo dall’attacco. Fonti Usa parlando di intervento imminente. Londra e Parigi si schierano con Obama. No dell’Italia: ‘senza l’Onu basi escluse’”. A centro pagina: “Il Pd: niente aut-aut sull’Imu, serve equità”

 

Il Foglio: “L’attacco alla Siria sarà uno strike di punizione oppure ‘kill Assad’?”. E poi di spalla: “Il quasi accordo sull’Imu fa il solletico ai mercati, spaventati dalla Siria”.

 

Oggi è “il giorno del giudizio” per Libero: “Oggi via l’Imu. O via Letta. Consiglio dei ministri decisivo: vicino l’accordo sulla copertura economica, anche se i Democratici remano ancora contro. Per il Pdl ottenere l’abolizione della tassa è fondamentale, altrimenti è crisi. Venti dissidenti grillini già si offrono per un governo con il Pd”. A fondo pagina un articolo firmato da Maria Giovanna Maglie: “L’attacco alla Siria? Sbagliato e inutile”.

 

Il Fatto quotidiano: “Pateracchio salva Caimano, ora Violante spiazza il Pd”. “Ufficialmente i Democratici confermano il voto per la decadenza di B. da senatore, ma sotto traccia si lavora per agevolare il rinvio della Severino alla Consulta proposta dal ‘saggio’ al Colle. E Monti invoca la grazia”. A centro pagina: “Giovedì attacco alla Siria, ma Obama tace”.

 

Il Giornale: “Chi rischia è la sinistra. Il Pd si gioca la credibilità sulla casa e sulla decadenza del Cavaliere. O rispetta i patti o si arrende ai pm”. A centro pagina, con foto di Cameron, Hollande e Obama: “Occidente ipocrita: ammazzatevi pure, ma non col gas”

 

 

 

 

Siria

 

Obama, secondo quanto scrivono i corrispondenti a New York de La Stampa, è “pronto a colpire” la Siria già domani. L’attacco potrebbe durare due o tre giorni. Si tratterebbe di punire Assad per l’uso delle armi chimiche. Lo ha rivelato la rete Nbc, citando fonti anonime dell’Amministrazione. La Reuters ha poi aggiunto che durante un incontro avvenuto ad Istanbul, cui ha partecipato l’ex ambasciatore Usa a Damasco Ford, i leader della Syrian National Coalition si sono sentiti dire di prepararsi ai raid. Il Wall Street Journal ha chiesto di eliminare Assad, ma il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha risposto che Obama non ha ancora deciso, ma comunque l’intervento non avrebbe l’obiettivo del “cambio di regime”. Si parla quindi di una “attacco chirurgico” di pochi giorni, finalizzato a punire Assad per le armi chimiche e ad impedirgli di ripeterlo, indebolirlo al punto di spingerlo alla ricerca di una soluzione politica della crisi. Obama intanto pensa anche a convincere l’opinione pubblica: in questo quadro, fondamentale è la raccolta delle prove di intelligence sull’uso delle armi chimiche: per questo ha dato mandato al direttore dell’intelligence Clapper di rivelare le informazioni più importanti raccolte. Sul piano internazionale, l’Amministrazione ha incassato l’appoggio della Lega araba, che ieri con un comunicato, ha sollecitato i propri membri ad approvare “le risoluzioni contro gli autori di questo crimine”, per porre fine “alle violazioni e ai crimini di genocidio” che il regime siriano “ha commesso per oltre due anni”. Obama e il segretario di Stato usa Kerry hanno continuato a parlare con potenziali membri della ‘coalition of the willing”, come il leader canadese, quello australiano, il segretario della Nato Rasmussen. Se all’Onu i veti cinese e russo chiudono ogni spiraglio, la Casa Bianca spera di dare legittimità all’intervento attraverso l’appoggio delle organizzazioni regionali. Di fianco, sullo stesso quotidiano, si illustrano “i piani del Pentagono”, che sarebbe articolato in tre fasi: nella prima, grazie ai missili lanciati dalle navi e dagli aerei, si punterebbe a danneggiare le piste di atterraggio e le strutture fisse come i radar; con la seconda ondata di missili si completerebbe la distruzione delle strutture e singoli apparecchi; la terza fase, quella di ‘maintenance’, prevederebbe una sortita ogni 7 o 10 giorni. I militari vorrebbero includere tra gli obiettivi anche il Palazzo presidenziale di Damasco, il ministero della Difesa, le sedi dell’intelligence, la base Qasioun della Guardia repubblicana o le batterie di artiglieria. Meno probabile l’inclusione dei siti chimici, per timore di danni collaterali e per il rischio che gruppi jihadisti si impossessino delle armi.

La Repubblica scrive che è ormai esclusa l’opzione di creare una ‘no-fly zone’ perché preoccupa la potenza dell’aviazione siriana. Men che mai è ipotizzabile l’invio di truppe a terra. Per il quotidiano Obama mira soprattutto a punire Assad “per avvertire gli ayatollah”: “è l’Iran -scrive La Repubblica- ad avere convinto un riluttante presidente americano: lasciare impunito Assad sarebbe un errore strategico per il ‘messaggio’ implicito che questa inazione invierebbe a Teheran. Armi chimiche e bomba nucleare ricadono nella stessa categoria: distruzione di massa”.

Su La Stampa, il presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass, spiega che “l’attacco sarà significativo e visibile”: si tratterà di “punire Assad, dimostrando che quando si sfidano gli Usa c’è un prezzo da pagare”, ma “l’operazione avrà uno scopo più ampio”: “l’Iran vedrà che quando stabiliamo una linea rossa da non superare, non stiamo scherzando”.

Il politologo ed islamologo francese Olivier Roy, intervistato dal Corriere, illustra le fratture tra sciiti e sunniti e quelle createsi all’interno dello stesso mondo sunnita: “All’inizio esisteva un’opposizione comune politica all’Iran, considerato il nemico numero uno per la sua volontà di imporsi come grande potenza geostrategica e i suoi appelli alle piazze arabe a rivoltarsi contro i loro regimi, dal Bahrain all’Iraq. Ma la creazione di un asse comprendente sciiti e ‘cripto-sciiti’, come gli alauiti in Siria, ha trasformato l’opposizione tra arabi e persiani in una guerra tra fedi dell’Islam, con la nascita di un asse sunnita. Da geopolicia la guerra è diventata religiosa, e tutti gli sciiti ora sono sospettati dai sunniti, anche in Iraq e in Bahrain dove non sono particolarmente filoiraniani. Teheran resta l’arcinemico, ma il contesto è cambiato”. Perché all’asse sunnita si è unita la Turchia? “La Turchia prima si interessava solo all’Europa, ma l’arrivo al potere dell’Akp di Erdogan e il rifiuto dell’Europa ad accoglierla hanno portato Ankara a riposizionarsi sul Medio Oriente. Ha approfittato delle Primavere arabe per sostenere i Fratelli musulmani in vari Paesi sperando in un suo ruolo di leadership nella regione, per ora fallito con la caduta di Morsi. Ma la Turchia è ormai entrata in gioco a fianco degli altri poteri sunniti”. Sulle divisione nel fronte sunnita anti-Assad Roy spiega: “Se l’asse formato da Iran, Siria, Hezollah libanese è solido, quello opposto è estremamente fragile. Turchia e Qatar appoggiano la Fratellanza, combattuta invece dall’Arabia saudita che a sua volta sostiene i salafiti. I liberali non vogliono né Fratelli né salafiti. L’unico elemento in comune è l’opposizione ad Assad e al suo sponsor, l’Iran. Ma la rivalità per la leadership regionale è forte soprattutto tra Arabia e Turchia”. Ma per Roy “gli occidentali non hanno strategia, rispondono colpo su colpo, come è stato in Libia. Nemmeno i russi, contrari ad un intervento, hanno una visione precisa. Questo lascerà le decisioni ai poteri e alle forze locali, tra loro divise e con elementi jihadisti. Un fatto rischioso, come abbiamo visto in Libia. E con la Siria ii pericoli sono maggiori: possono restar coinvolti il Libano, la Giordania, l’Iraq. Teheran potrebbe reagire colpendo i punti deboli dell’asse sunnita, con attentati in quei Paesi e nel Golfo”.

La Repubblica focalizza l’attenzione anche sul punto di vista del governo italiano: il quotidiano sottolinea che il nostro Paese non concederà l’utilizzo delle basi militari se l’azione avverrà al di fuori dell’egida delle Nazioni Unite. A chiarire ulteriormente la posizione italiana -scrive il quotidiano- il capo della Farnesina Emma Bonino, di fronte alle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato ha precisato che “senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza non parteciperemo a operazioni militari”.

Su Il Giornale l’ex capo di Stato maggiore italiano Enzo Camporini, afferma che se la nostra posizione è quella di rifiutarci di partecipare all’attacco senza l’avallo Onu, “se ce lo chiedesse la Nato potremmo seguire l’esempio della Grecia che nei Balcani non partecipò o della Germania assente dal conflitto libico pur senza ostacolarlo”. Secondo Camporini l’eccessiva distanza dai teatri operativi renderebbe poco conveniente anche per gli Usa l’utilizzo delle basi aeree Nato in Italia: Sigonella, però, grazie alla presenza di un comando delle Forze speciali Usa, avrebbe un ruolo di primo piano per il dispiegamento delle unità incaricate di individuare eventuali bersagli. E il centro di comunicazioni di Niscemi svolgerebbe un ruolo primario nella decrittazione delle comunicazioni tra navi russe e comandi siriani. “Per gli americani è più comodo usare le basi turche di Incirlik, Diyarbakir e quella di Akinci non lontano da Ankara. Altri aerei potrebbero decollare dalle basi giordane”.

 

 

B. e governo

 

Il Corriere della Sera scrive che ieri si è tenuto un incontro tra i ‘moderati’ del Pd e del Pdl in vista del voto della giunta per le elezioni del Senato, dove Berlusconi rischia, in base alla legge Severino,

la decadenza immediata: il Pdl mira ad un rinvio degli atti alla Corte costituzionale e quindi “la battaglia giuridica sarà fondamentale per dare un po’ di tempo in più al governo”, come scrive il quotidiano. Dopo la proposta di Luciano Violante, che ha aperto alla possibilità di ricorre alla Consulta, i dubbi di costituzionalità sulla legge Severino si sono trasformati nei primi due pareri ‘pro veritate’ che arriveranno alla giunta delle elezioni del Senato a difesa di Berlusconi: uno firmato dai costituzionalisti Beniamino Caravita di Toritto, Giusepe De Vergottini e Nicolò Zanon, e l’altro dall’ex componente del Csm e ordinario di procedura penale Giorgio Spangher. E’ Il Giornale a pubblicare ampie sintesi del parere pro veritate dei giuristi citati (“Per i supergiuristi è incostituzionale cacciare il Cavaliere”).

Il Corriere intervista il costituzionalista Andrea Manzella, secondo cui l’intervento della Consulta è auspicabile: “Io non entro nel merito del caso singolo -dice- Quello che sostengo da tempo è che c’è un’anomalia da quando nel 1994 si è passati dal sistema proporzionale a quello maggioritario”, perché, ad esempio, “si è messo nelle mani della maggioranza di turno la decisione sui parlamentari che dovrebbe essere strettamente giuridica, come l’ineleggibilità, l’incompatibilità, e ora l’incandidabilità della legge Severino”. Ma può essere la giunta a sollevare un conflitto di questo genere alla Consulta? “La Giunta è -dice Manzella- anche se occasionalmente, il giudice istruttore: può formulare l’eventuale proposta. L’assemblea, se lo ritiene, la ratifica ma può solo votare sì o no. La Corte costituzionale deve prendere una decisione di tipo giuridico, non inquinata dalla politica”. Alle pagine seguenti, il Corriere scrive anche che il Quirinale avrebbe “apprezzato” l’intervento con cui Luciano Violante ha definito “legittimo” un possibile ricorso alla Consulta.

Secondo La Stampa il Pd sarebbe disposto a concedere tempo, ma non il rinvio alla Consulta: la giunta delle elezioni del Senato darà qualche settimana a Berlusconi per portare i suoi argomenti difensivi rispetto all’applicazione della legge Severino, ma i tempi per arrivare ad un voto non dovranno andare oltre la sentenza della Corte d’appello di Milano sull’interdizione dai pubblici uffici che si attende per ottobre. Su La Repubblica la situazione viene riassunta così: “Commutare l’interdizione, il piano-salvezza di Berlusconi cerca un varco al Quirinale”, “La Giunta dovrebbe frenare. Gelo di Napolitano e Pd”.

Su Il Fatto, Marco Travaglio se la prende con Umberto Ranieri, definito braccio destro e consigliere di Napolitano: “da giorni il governo rischia di cadere perché B. attende un ‘segnale’ da Napolitano. Già molti segnali gli sono giunti da presunti saggi, corazzieri, pompieri e scudi umani di scuola Quirinale (Capotosti, Onida, Violante, Vietti, Galli, ecc.): tu fai il bravo e tieni in piedi il nipote di Gianni Letta e il Pd rinvia il voto del Senato impugnando la legge Severino alla Consulta per guadagnare un paio d’anni: intanto fai una domanda di affidamento ai servizi sociali così eviti l’arresto, inizi a scontare la condanna per finta, così estingui la pena accessoria e Napolitano ti commuta quella detentiva in modica multa”. Traducendo “dal quirinalese” poi un intervento di Umberto Ranieri ieri su Il Foglio, Travaglio descrive così il piano: “B. dovrebbe farsi da parte, ma nell’attesa, che potrebbe durare decenni, il Pd si metta una mano sulla coscienza e una sul portafogli e lo salvi dalla decadenza e incandidabilità votando il rinvio della legge Severino alla Consulta”.

 

Imu

 

Oggi il Consiglio dei ministri affronterà la questione della modifica dell’Imu: secondo il Corriere da Palazzo Chigi sarebbe filtrato ottimismo sull’esito del negoziato che impegna da settimane Pd e Pdl. Il quotidiano scrive che si dovrebbe andare verso un annuncio di superamento della tassa, accompagnato da coperture per tutto il 2013, in sostanza azzerando l’Imu, per poi passare nel 2014 ad un altro tipo di imposizione, ricompresa nella nuova service tax.

La segretaria della Cgil Susanna Camusso, intervistata da La Stampa, sulla possibile abolizione dell’Imu dice: “Un conto è difendere le famiglie che hanno una sola prima casa e redditi bassi, un altro è cancellare la tassazione sulla casa. Quel che non deve succedere è che per risolvere il problema Imu si scopra poi che non ci sono i soldi per Cig (cassa integrazione) in deroga ed esodati. Questo proprio no”.

 

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