Quirinale: un nome condiviso

Il Corriere della Sera: “Una rosa di nomi per il Colle. Incontro Bersani Berlusconi, spiragli per una intesa. Il Pd prepara una lista per scegliere un presidente condiviso. Sfogo di Renzi contro il segretario”. A centro pagina: “Il verbale su Serravalle che chiama in causa anche Massimo D’Alema”. Si parla della società autostradale Milano-Serravalle e di presunte tangenti.

 

La Repubblica: “Bersani-Berlusconi, rosa per il Colle. ‘Si a un nome condiviso’. Grillo occupa le Camere: demolizione iniziata”. A centro pagina: “Famiglie, il potere d’acquisto crolla del 5 per cento.”.

 

Il Sole 24 Ore: “Da inizio anno chiuse 4218 imprese. Istat: crolla il potere di acquisto (-4,8 per cento). Bce: in Italia una famiglia su sei è povera”. Di spalla: “Bersani-Berlusconi, parte il dialogo per un presidente condiviso”.

 

Il Giornale: “Miracolo, si parlano. Dopo più di 40 giorni il segretario Pd si accorge che il centrodestra non è ‘impresentabile’ e fa l’unica cosa sensata: vede il Cavaliere. Si cerca l’intesa sul candidato per il Quirinale. Ma il ritorno alle urne è più vicino”.

 

L’Unità: “Larghe intese. Per il Colle. Un’ora di colloquio tra Bersani e Berlusconi: si lavora a un presidente condiviso da eleggere al primo voto”. “Il Pd, che ha già parlato con Monti, incontrerà anche M5S e Lega”. “Il leader Pd però ribadisce: mai un governo con il Pdl”.

 

Libero: “Solo una sveltina”. “Ieri l’atteso incontro tra i leader di Pd e Pdl su Quirinale e governo. Nessun risultato, ma il fatto che si parlino pare un miracolo. Colpa della spocchia della sinistra, che ci impedisce di essere un Paese normale”.

 

La Stampa: “Pd-Pdl, incontro senza intesa. Bersani vede Berlusconi: ‘Capo dello Stato condiviso, ma nessuna apertura sul governo. Il Cavaliere deluso”.

 

Il Fatto quotidiano si occupa dei parlamentari che hanno anche altri incarichi: “Parlamento, 177 furbetti seduti su due o tre poltrone”. A centro pagina: “Bersani & Berlusconi, l’inciucio non decolla”.

 

Berlusconi e Bersani

 

Si è tenuto in una sede istituzionale, la sala della Commissione trasporti della Camera, l’atteso faccia a faccia tra Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi. “Incontro affatto risolutivo, solo il primo”, spiega La Repubblica. Un altro, se non due, si terrà a ridosso del 18 aprile, data di inizio delle votazioni per il Quirinale. E nel mezzo, sabato, ci saranno le manifestazioni di piazza del Pdl a Bari e del Pd a Roma ed altre città. “Il Capo dello Stato” – ha scritto il segretario Pdl Alfano in una nota – deve rappresentare l’unità nazionale, e non può essere, e neanche apparire, ostile a una parte significativa del popolo italiano”. Scrive il Corriere che tra i dirigenti del Pd c’è chi ha letto in queste righe segnali di apertura anche sul governo, oltre alla disponibilità del Pdl a votare un nome di centrosinistra. Perché, come scrive La Repubblica, se in teoria è stato soltanto il Colle l’oggetto dell’incontro, il Cavaliere comunque ci ha provato: voleva allargare subito la trattativa al governo. Un governo con ministri del Pd, del Pdl e di Scelta civica, un esecutivo di larghe intese. Ma Bersani lo ha fermato subito. E’ stato innanzitutto un incontro sul metodo, quello della condivisione, che ruota intorno ad un cardine: sarà il centrosinistra ad offrire una rosa di personalità, con parità di genere, al Pdl e agli altri partiti. E “dentro quella rosa si sceglie, comunque, ‘insieme’”, spiega La Repubblica.

Su L’Unità: “Bersani-Cav: al Colle un nome condiviso”. E la cronaca del quotidiano racconta: “Berlusconi non fa nomi, ‘fate voi una proposta, purché siano nomi a noi non ostili’. Però aggiunge: ‘Se c’è l’intesa, il Capo dello Stato va eletto subito, al primo scrutinio’”. E’ un messaggio chiaro. “Bersani lo rassicura: ‘Non intendiamo fare scelte settarie, anche nella peggiore delle ipotesi, nel caso in cui non si riuscisse ad arrivare a quella larghissima condivisione a cui puntiamo. Ma dovete capire che dovrà trattarsi di un candidato votabile per i nostri 490 elettori’”.

Il Corriere della Sera scrive che Bersani spera ancora di mandare in porto il suo governo di minoranza: non ha rinunciato, tanto che penserebbe già ai possibili ministri, con una idea di governo snello in cui inserire alcuni “innesti esterni”, non direttamente riconducibili ad una precisa area politica e non provenienti dalla sinistra tradizionale. E per raggiungere questro traguardo intenderebbe rivolgersi a tutti: “Il nostro interlocutore non è solo il Pdl, c’è anche la Lega e i parlamentari del M5S, cui ricordiamo che la Costituzione non prevede vincolo di mandato”. Ma sono in pochi a credere che Bersani riuscirà in questo tentativo, anche tra gli elettori del Pd e tra i suoi parlamentari, in tanti, secondo il quotidiano, convinti della opportunità di andare al voto. E nello stesso Pd sarebbero in molti a pensare che non si possa andare alle primarie con Bersani.

 

Il Fatto: “B&B, mezzo patto per il voto subito”. Scrive il quotidiano che l’esito del colloquio è stato interlocutorio, se non fallimentare. Anche se, da fonti del Pdl organiche al Cavaliere, viene rilanciata l’ipotesi di un patto tra i due per elezioni anticipate nella finestra estiva, tra giugno e luglio. Il quotidiano fa sapere che i due leader sono rimasti da soli per oltre metà dell’incontro, e seocndo una voce anonima raccolta dal quotidiano, hanno concordato su elezioni anticipate dopo aver eletto il capo dello Stato.

 

Su Il Giornale Alessandro Sallusti sottolinea che nel corso dell’incontro, malgrado i dinieghi degli interessati, è ovvio si sia parlato non solo dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ma anche di governo e reciproche garanzie. “Le due cose vanno di pari passo, perché il Pdl reclama una scelta che bilanci l’innaturale occupazione delle poltrone istituzionali da parte della sinistra (Camera, Senato, Corte Costituzionale, Governo)” ma soprattutto perché Bersani, “politicamente in bilico, è alla disperata ricerca di rassicurazioni sul suo futuro personale, che possono arrivare solo dal nuovo inquilino del Quirinale”. Secondo Sallusti, “il massimo della concessione, in cambio di un capo dello Stato condiviso, potrebbe essere assecondare Bersani nel suo tentativo di salvarsi da Renzi. Cioè andare al voto quanto prima, in posizione di forza all’interno del Pd, per esempio come Presidente del Consiglio che ha ottenuto, con un governo monocolore di sinistra, la fiducia della Camera ma non del Senato. Se si verificasse una simile circostanza, il neopresidente della Repubblica non potrebbe far altro che sciogliere le Camere a maggio e indire così nuove elezioni, non dando così il tempo a Renzi di completare la conquista del partito, e diventare il prossimo sfidante del centrodestra”.

Intanto lo stesso Renzi ha ieri incassato quello che il Corriere definisce un brutto colpo: la sua esclusione dai grandi elettori designati dal Consiglio regionale toscano per scegliere il futuro presidente della Repubblica. Dopo dieci ore di discussione, il gruppo regionale Pd si è spaccato a metà: dieci hanno votato per Renzi, 12 si sono schierati a favore di Alberto Monaci, presidente della Assemblea. Monaci, ricorda il quotidiano, è l’esponente Pd sfiorato dallo scandalo Montepaschi di Siena. E per questo Renzi, infuriato, a tarda sera si lascia andare ad uno sfogo con il Corriere: “Monaci sappiamo tutti, qui in Toscana, chi è. Viene da ridere. Scelgono uno che ha fatto quello che ha fatto. Avessero scelto una persona autorevole, una donna… A Bersani e Franceschini dico che se vogliono ridurmi all’ordine, per comprarmi, niente da fare. Non ce la fanno. La verità è che non mi sopportano”, “bastava chiedessi a Udc e Idv. Però volevo essere eletto dal mio partito”.

Su La Stampa si dà conto della “guerriglia” tra le guarnigioni di Bersani e quelle di Renzi. Inizia di buon mattino Pierluigi Bersani, che dice “Renzi è una risorsa del centrosinistra”, ma “deve stare attento nei toni”. E di fronte ai sondaggi, che vedono un buon 36 per cento preferire Renzi leader, Bersani riconosce che il sindaco gode di una “grande popolarità” ma si dice preoccupato dal fatto che “poi questo non trovi una composizione nel centrosinistra”, alludendo al fatto che Renzi gode di simpatie nel centrodestra, ma non riuscirebbe a drenare tutti i voti a sinistra. Ancora Bersani su Renzi, senza nominarlo: “Chi dice che perdiamo tempo alimenta solo qualunquismo e demagogia”. La risposta di Renzi: ammette, è vero che “non ho vinto le primarie ed ha vinto Bersani. Il problemino è che poi Bersani non ha vinto le elezioni”.
L’Unità scrive che un ruolo di primo piano nella preparazione dell’incontro Bersani-Berlusconi va assegnato al leader della Lega Maroni, di cui il quotidiano riferisce una dichiarazione: “Mi aspetto che Bersani si decida a prendere coraggio, e a dire ‘il governo lo facciamo’, visto che ha vinto le elezioni, forse, Bersani ha il diritto e il dovere di fare una proposta entro la fine della settimana, e prima delle votazioni per il presidente della Repubblica”. Anche Bossi, secondo il quotidiano, ha aperto, con queste parole: “Se fossi in Berlusconi darei la possibilità di fare il governo a Bersani, tanto in pochi mesi va a schiantarsi”. Insomma, secondo il quotidiano, Maroni si è impegnato perché si aprano varchi nella trincea berlusconiana del governo Pd-Pdl o voto. Segnaliamo anche che L’Unità offre ai lettori una intervista allo stesso Umberto Bossi: torna a parlare delle contestazioni al raduno di Pontida (“erano tanti”) e dice che nella Lega “c’è un problema di democrazia interna”. Sul prossimo capo dello Stato: “Dobbiamo parlare con Bersani e Berlusconi e trovare un Presidente della Repubblica che possa andar bene a tutti. Non un leader di primo piano, ché quelli dividono. Uno che prenda applausi da tutti. O che almeno sia il meno peggio”. Uno come Franco Marini lo voterebbe. “Sì, lo voterei”. E per il governo come si fa? “Chi governa adesso si schianta. Per questo Berlusconi dovrebbe dare la fiducia a Bersani. Poi tra un anno andiamo a votare e vince il centrodestra”.

 

Quanto alle quotazioni per il prossimo inquilino del Colle, L’Unità scrive che il Ministro Severino è “in ascesa”, Libero scrive che salgono le quotazioni di Emma Bonino, il Corriere scrive che a Bersani piacerebbe una donna, e, tra i Democratici, oltre a Emma Bonino e Paola Severino, gira con forza il nome del Ministro Anna Maria Cancellieri. Un altro nome che spesso viene fatto in questi giorni è quello del Presidente del Censis De Rita, che peraltro il Corriere intervista in quanto attuale presidente della Fondazione Rete Imprese Italia sui temi della rappresentanza dei “piccoli” imprenditori. Anche su La Repubblica “e tra i candidati spunta De Rita”. Il quotidiano in un retroscena riferisce anche di quella che sarebbe la “tentazione di Beppe Grillo” per il Colle: “Dopo il quarto scrutinio possiamo anche votare per Prodi”. Sarebbe per il leader M5S preferibile a D’Alema o Amato.

Libero scrive anche che il Cavaliere, con l’incontro di ieri, ha “disinnescato” la mina Prodi, “non andrà al Colle”. Ritroviamo questa lettura anche su La Stampa: “Ma il Cavaliere incassa: Prodi non va al Quirinale”.

Su Il Fatto, in prima pagina, Marco Travaglio torna ad attaccare Emma Bonino. Accusata di “silenzio-assenso” nei confronti delle scelte politiche del centrodestra.

 

Grillo

 

Beppe Grillo ha concesso una intervista al quotidiano free press Metro. Nella lunga intervista esclusiva, firmata da Elisabeth Braw e pubblicata sul sito, Grillo risponde alla domanda “lei ha praticamente vinto le elezioni, ma non vuole governare. È sicuro che i suoi elettori capiranno perché?”: “Ai miei elettori quando andavo nelle piazze io dicevo di volerli mandare a casa tutti, questi qui. Noi non ci alleiamo con nessuno. Noi siamo il Movimento 5 Stelle, chi vota il movimento diventa il Movimento, diventa un cittadino attivo e protegge il territorio, la politica la fa con la spesa, può comprare una cosa o un’altra, può muoversi con un mezzo pubblico, in bicicletta o con la sua automobile, è una sua scelta, ma se fai quella scelta lì di votare il Movimento 5 stelle, allora devi rischiare qualcosa, anche nel tuo lavoro, metterti in gioco, una parte del tuo lavoro la dedichi agli altri, come faccio io. Io vado nelle piazze gratuitamente, prima lo facevo a pagamento”.

 

Possiamo dire che in Italia è in corso una rivoluzione come in Egitto, forse più grande di quella?

“Assolutamente sì, perché in Egitto forse rimpiangono Mubarak? Qua nessuno sta rimpiangendo Fini, Casini, nessuno rimpiangerà Bersani, nessuno rimpiangerà Berlusconi. Quindi non rimpiangeremo nulla perché metteremo delle persone perbene, normali, oneste e trasparenti a gestire il Paese. Quindi qualsiasi azienda che vuole investire non avrà più bisogno di andare fuori dall’Italia a produrre in Svizzera in Austria, o Slovenia”.

Sull’Euro: “Il fatto di essere o non essere nell’euro non è un fatto che posso decidere io. Io non l’ho mai detto. Io ho detto che il debito ci sta scaraventando in un buco nero: black wall…ehm black hall. Siamo in un buco nero senza speranza. No la speranza è crescere. No. Se noi non cresciamo dal punto di vista dell’economia tradizionale se non facciamo più automobili, più strade, più cemento, più supermercati  più posteggi, più grandi opere, più Tav, più ponti sullo Stretto se non facciamo quello siamo morti…ma quello non possiamo più farlo quindi siamo in un buco nero. Il Movimento a 5 stelle vuole un Piano B. Il piano B che propone il 5 stelle è cambiamo il sistema, cambiamo il sistema della crescita del Pil occupandoci delle cose reali dell’economia reale”.

Ilva

 

Ieri la Corte Costituzionale ha deciso sul conflitto sollevato dalla magistratura di Taranto sul decreto “salva Ilva” varato dal governo. La Consulta ha stabilito che il decreto è costituzionale: “La Consulta salva la legge sull’Ilva”, scrive il Corriere della Sera.

Su La Stampa si spiega che la Conslta ha bocciato i ricorsi presentati dal Gip Todisco e dal tribunale di Taranto: la più grande acciaieria d’Europa potrà continuare a produrre e vendere i coils, i laminati, i semiprodotti, risanando allo stesso tempo i suoi impianti, come stabilito dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale. Bisognerà attendere le motivazioni della Consulta, ma intanto con un comunicato la Corte ieri ha precisato che le conclusioni cui i giudici costituzionali sono giunti sono maturate “tra l’altro, in base alla considerazione che le norme censurate non violano i parametri costituzionali in quanto non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale”. Insomma, la Procura di Taranto potrà continuare le proprie indagini perché la legge, approvata dal Parlamento, non rappresenta un ostacolo all’accertamento delel resposabilità penali. E se l’Ilva inquina, vanno indivuati i colpevoli. Il commento del ministro dell’Ambiente Clini: “A questo punto dobbiamo tutti impegnarci a proseguire con rigore e rapidità il programma di risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto.

Il titolo di un corsivo in prima pagina sul Sole 24 Ore è “Buonsenso”: “Il buonsenso è la vera testimonianza costituzionale che ieri i giudici della Consulta hanno affidare alla scelta di rigettare la questione di legittimità sulla legge che consentiva di proseguire la produzione di acciaio all’Ilva di Taranto, e nel contempo di realizzare il piano di bonifica del sito”. E’ necessario “trasformare quell’impianto-città in un luogo simbolo dello sviluppo sostenibile”, scrive il quotidiano di Confindustria.

Su La Repubblica Adriano Sofri interviene sull’Ilva, ricordando che domenica a Taranto si vota un referendum cittadino sulla opportunità di chiudere o meno l’azienda.

 

Internazionale

 

Il corrispondente de La Stampa da New York scrive che il Presidente Obama ha disposto il ritorno dei soldati americani in Somalia. A 20 anni dalla fine della operazione Restore Hope (morirono 43 americani) tra il 1992 e il 1993, Washington non invierà reparti combattenti, ma istruttori militari. La missione sarà di addestrare le forze governative di Mogadiscio a mantenere la sicurezza, contrastando la crescente minaccia delle milizie islamiche Al Shabab, considerato uno dei gruppi più pericolosi, con stretti collegamenti con le cellule jihadiste della penisola arabica.

Il Corriere della Sera offre ai lettori una videoinchiesta che viene pubblicata sul sito del quotidiano sul fanatismo islamico dell’organizzazione Boko Haram in Nigeria, che colpisce i cristiani.

 

E poi

 

Ieri sono apparsi ad Istanbul per la prima volta insieme, per i 150 anni della Università del Bosforo, Umberto Eco e lo scrittore turco Orhan Pamuk. La Repubblica riproduce alle pagine R2 della cultura parte del loro dialogo, raccontato da Marco Ansaldo. Un dialogo sulla letteratura e i suoi miti, la cultura e i grandi romanzi.

Su La Stampa un intervento dell’antropologo Marc Augé, in occasione della Biennale della Democrazia che si apre oggi a Torino (“Il futuro? L’utopia delle piccole cose”, è il titolo che riassume l’intervento di Augé).

Dalla Biennale della Democrazia La Repubblica propone le anticipazioni di un testo di Gustavo Zagrebelsky (“Il mondo delle idee. Siamo davvero felici solo quando pensiamo”).

Su Il Sole 24 Ore Roberto Perotti risponde all’intervento con cui ieri Romano Prodi, accusava la Thatcher e il thatcherismo di aver posto le premesse per la crisi globale iniziata nel 2007: “Non fu lei la causa della crisi”. L’ex premier inglese ha aiutato la City di Londra a crescere (e oggi “è il più grande datore di lavoro e il più grande contribuente della Gran Bretagna”), ma non è responsabile dei recenti effetti negativi della deregulation finanziaria. E’ vero che la disuguaglianza aumentò sotto i suoi governi, ma durante il suo mandato salì il reddito disponibile di tutte le fasce della popolazione, anche del quintile più basso, che era invece sceso durante gli anni della recessione. (Un po’ come accade in Cina). E sullo storico scontro con i minatori, Perotti ricorda che “la Gran Bretagna veniva da un decennio in cui ogni inverno ci si chiedeva se le scorte di carbone sarebbero state sufficienti in caso di sciopero, e in cui i sindacati bloccavano gli ospedali e persino la sepoltura dei morti. Ci si dimentica anche che la maggioranza dei consigli locali aveva votato contro lo sciopero, che il capo del sindacato dei minatori Scargill si rifiutò di indire un referendum nazionale, e mandò ostinatamente i suoi uomini allo sbaraglio anche per motivi personali.

Su La Repubblica è lo scrittore Ian McEwan a ringraziare Margaret Thatcher, perché nella sua epoca il romanzo britannico godette di un periodo di rinascita vivace (“Forse il romanzo prospera nelle avversità, e il senso generale di sgomento suscitato dal nuovo mondo che lei ci mostrava portò molti scrittori a unirsi alle fila dell’opposizione”).

Alla pagina delle idee e delle opinioni del Corriere segnaliamo un intervento di George Soros: “Se la Germania è contro gli eurobond meglio che abbandoni l’Unione”. Sottolinea che le cause della crisi non possono essere comprese in pieno senza riconoscere il difetto fatale dell’euro: creando una banca centrale indipendente, i Paesi membri si sono indebitati in una valuta che non controllano. Quando la crisi greca ha sollevato lo spettro del default, i mercati hanno reagito relegando tutti i Paesi membri dell’eurozona altamente indebitati allo status di Paesi del terzo mondo iperindebitato. Sono stati trattati come se fossero gli unici responsabili delle loro sventure, ma il difetto strutturale dell’euro non fu corretto. La soluzione: gli eurobond, perché se i Paesi che si attengono al nuovo fiscal compact potessero convertire l’intero stock di titoli di Stato in eurobond, l’impatto positivo rasenterebbe il miracolo. Il pericolo di default svanirebbe, e così i premi sul rischio. I bilanci di banche e Paesi ne riceverebbero beneficio immediato: l’Italia, ad esempio, risparmierebbe il 4 per cento del Pil.

L’articolo integrale è anche su Reset

 

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