Quirinale. Il Pd sceglie Prodi.

Il Corriere della Sera: “No a Marini, sale la candidatura di Prodi. Bersani pronto a proporre oggi il nome del Professore. Il duello con D’Alema. Stallo nell’elezione per il Quirinale, l’accordo fatto dal leader dei democratici con Berlusconi bocciato dai franchi tiratori del suo gruppo”. A centro pagina: “Partito nel caso, si tratta nella notte. Renzi arriva a Roma. La base in rivolta, le sedi occupate. I democratici spaccati sul candidato al Colle. La rete del ‘rottamatore’”.

 

La Repubblica: “Marini salta, ora Bersani punta su Prodi. La proposta del leader al partito. C’è anche D’Alema. Renzi: cambiare tutto. Grilli tentati dal Professore. Due fumate nere per il Quirinale. Voti per Chiamparino. Berlusconi contestato a Udine. ‘Impossibile dialogare con questa sinistra, elezioni a giugno’”. A centro pagina: “Boston, ecco i volti dei due attentatori. LFBI diffonde le immagini dei sospettati: ‘Aiutateci a rintracciarli’”.

 

La Stampa: “Pd, primarie lampo per il Colle. Doppia fumata nera per Marini, il partito è spaccato. Bersani: ‘Ora fase nuova’. In campo Prodi e D’Alema: favorito il professore, appoggiato anche da Grillo”.

 

Il Fatto quotidiano: “Disastro Bersani, Marini affondato. Il ‘candidato condiviso’ con Berlusconi impallinato nella prima votazione e accantonato nella seconda. Il segretario costretto a fare retromarcia si decide a consultare deputati e senatori. Ma i veti incrociati bloccano tutto”. A centro pagina: “Insulti e tessere bruciate. La rabbia del popolo Pd”.

 

Libero: “Torna l’odore di Mortadella”

 

Il Giornale: “Esplode il Pd. Bersani addio, Renzi ora tenta il golpe. Sul Quirinale guerra fratricida: l’avvoltoio Prodi si alza in volo”. “Salta l’elezione di Marini a Presidente”.

 

Il Sole 24 Ore apre con una intervista a uno dei membri del board della Bce, Yves Mersch: “Bce apre sul credito alle Pmi. Dal sistema bancario sostegno al nuovo ‘veicolo’ per aiutare le aziende. Intervista a Mersch: sarà decisivo rilanciare le cartolarizzazioni per agevolare il ricorso al mercato dei capitali”. Di spalla: “Marini affossato in Aula. Il Pd va in frantumi. Per la quarta votazione sale l’ipotesi Prodi. In pista anche D’Alema. M5S insiste su Rodotà”.

 

Quirinale

 

Ieri sono andati a vuoto i primi due tentativi di eleggere il Presidente della Repubblica. Alla prima votazione il candidato di Pd, Pdl, Lega e Scelta Civica, Franco Marini, ha ottenuto 521 voti, ovvero 221 in meno del quorum necessario. Stefano Rodotà 240 (78 in più rispetto ai 161 del Movimento 5 Stelle che lo ha candidato); Sergio Chiamparino 41 voti, molti renziani; Romano Prodi 14, Emma Bonino 13, Massimo D’Alema 12. Alla seconda votazione, quella in cui il Pd aveva deciso di votare scheda bianca, Stefano Rodotà ha ottenuto 230 voti, Chiamparino 90, D’Alema 38, Marini 15, Alessandra Mussolini 15, Romano Prodi 13, Emma Bonino 10. Schede bianche: 418.

 

Si procederà quindi alla terza votazione e, probabilmente, alla quarta, dove il quorum è 504. La Repubblica racconta un Marini “amareggiato”, critico (“incazzato nero” secondo alcune voci) per come il Pd ha gestito la sua candidatura. Ma la sua reazione sarebbe stata questa: “Si scordino che io ritiri la candidatura. I voti per passare sabato li ho”.

Bersani ha deciso che la terza votazione verrà preceduta da una assemblea dei grandi elettori del partito, con una consultazione “stile primarie”, come scrive il Corriere della Sera, che potrebbe chiudersi con il duello tra Massimo D’Alema e Romano Prodi, anche se la rosa dovrebbe comprendere anche altri nomi, compreso un “mister X” pescato tra gli outsider di alto profilo.

Sul nome di D’Alema si coagulano i consensi di una parte del Pd e si registra la non belligeranza del Pdl, scrive ancora il quotidiano. Quanto a Prodi, che resta l’unico candidato che è riuscito a sconfiggere Berlusconi, potrebbe offrire una sponda a convergenze con M5S, avendo ricevuto voti nelle quirinarie di Beppe Grillo.

Ancora sul Corriere, Maria Teresa Meli scrive che Bersani proporrà un solo nome, e che sullo sfondo c’è la sfida con D’Alema: Bersani proverà a giocare la carta Prodi, anche per fronteggiare l’offensiva di Renzi, che vuole portare al Quirinale proprio Prodi. Raccontano che le quirinarie per la scelta del candidato siano venute in mente a D’Alema. Le avrebbe suggerite a Bersani, facendogli il seguente ragionamento: così ogni parlamentare potrà esprimersi, però poi quel voto vincola tutti a comportarsi di conseguenza anche in Aula. Ivan Scalfarotto l’aveva detto: “Tutta questa vicenda del Quirinale altro non è che un “congresso del Pd”. E con questa chiave di lettura, secondo la Meli, si capiscono tante cose all’apparenza inspiegabili: per esempio, era chiaro ai più che Marini sarebbe stato bocciato. Perché Bersani è andato avanti lo stesso? La risposta del sindaco di Firenze: “Ha pensato ‘meglio fare una figuraccia, che dare il partito, anzi la ditta, a Renzi’”. Renzi si è dato da fare, i suoi hanno votato per Chiamparino. E alla seconda votazione i voti dei renziani per Chiamparino si sono sommati a quelli di una parte di Scelta Civica.

Sul Sole 24 Ore Stefano Folli scrive che il Pd si è dilaniato su due scenari: collaborazione con il centrodestra per governare la legislatura o rottura di quella fragile cornice che abbiamo chiamato Seconda Repubblica per aprirsi ai fenomeni emersi nella società e fotografati dalle elezioni. Beppe Grillo -scrive Folli- “ha premuto sul Pd con la candidatura di un giurista eccellente” come Rodotà ed ha ottenuto il suo risultato: “il partito di Bersani si è aperto come una mela e in un paio di giorni Matteo Renzi è diventato l’uomo-chiave. Nel senso che nessuna soluzione istituzionale sarà possibile nelle prossime ore se il sindaco di Firenze non avrà dato il suo benestare”.

 

La Stampa illustra così la “strategia di Grillo”: “possibile virata su Prodi”. Ieri dal Friuli Venezia Giulia Grillo ha fatto sapere: “il Movimento porterà avanti il nome di Stefano Rodotà fino alla quarta votazione. Ma il quotidiano racconta che sarebbero già 30 i parlamentari grillini pronti a votare Prodi”. Il Fatto titola: “M5S: ‘Sì al governo se il Pd vota Rodotà’, l’offerta dei 5 Stelle ai democratici. A spingerli, la paura di Prodi. In 30 già per lui”.

Anche su Il Giornale: “Grillo lancia Rodotà ma pensa a Prodi”, “il leader non chiuda l’alleanza con il Pd e ripesca il Prof”.

 

Il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti sintetizza così la situazione: “Renzi, forte di un probabile consenso elettorale, vuole impedire che Berlusconi salvi Bersani con un accordo su Quirinale e governo, liberarsi dal segretario e andare a votare prima possibile”. Grillo, “alleato con Vendola, vuole impedire sia l’accordo Berlusconi-Bersani che l’ascesa di Renzi, spostando, con la candidatura di Rodotà, l’asse di comando sull’ala comunista della sinistra. E su tutto ciò vola sempre più basso l’avvoltoio Prodi che, come ha già fatto (ricordate L’Ulivo?), sta promettendo protezione a tutti. Ovviamente meno che al centrodestra”. Alle pagine interne Laura Cesaretti spiega che Bersani ieri aveva ipotizzato di sostituire Marini con Mattarella, per tenere un legame con gli ex PPI infuriati dal “tradimento” del loro candidato. Resterebbero anche le ipotesi Violante e Finocchiaro, ma i dalemiani lavorerebbero “ventre a terra” per il loro leader, mentre un altro largo fronte – dentro e fuori dal Parlamento, come testimonia l’insurrezione del partito emiliano contro il segretario e contro ogni dialogo con il Pdl, punta su Prodi. Su quest’ultimo potrebbe uscire allo scoperto anche Renzi, che ieri ha abilmente manovrato da Firenze, mettendo in pista la candidatura di Chiamparino, facendola crescere al secondo scrutinio fino a 90 voti, il doppio di quelli attribuibili a lui. Si tratta di due schemi di gioco totalmente diversi: il primo prevede un governo di larghe intese con il Pdl, il secondo un rapido ritorno alle urne dopo aver rimesso mano alla legge elettorale. Renzi ieri è sceso a Roma ad incontrare i suoi ed avrebbe annunciato che oggi farà il nome di Chiamparino su cui – secondo il quotidiano – si potrebbe aprire un fronte con il Pdl. In seconda battuta, farebbe il nome di Prodi o “una sorpresa”. Ma su D’Alema avrebbe posto un veto.

 

La Repubblica intervista Sergio Chiamparino: “Mi sembra di essere Alice nel Paese delle meraviglie”, dice il Presidente della Compagnia di San Paolo, principale azionista di Intesa. “Spero ce chi ha scritto il mio nome sappia ora trovarne uno diverso, quello giusto per salire al Colle”. I nomi: “Sia Amato che Prodi penso che siano due buoni nomi. A questo punto penso che abbia più possibilità Prodi”. Perché non Amato? “Ottima persona. Ma qui mi sembra che sia andato in crisi uno schema. Il no a Marini non mi pare il no a un personaggio. Mi sembra piuttosto il rifiuto di una alleanza che sorreggeva quel nome. Amato rappresenterebbe la conferma di quella alleanza”. L’asse Pd-Pdl è naufragato con il no a Marini? “A me pare così, ed è per questo che penso sia più utile percorrere la strada di Prodi. Ma queste sono mie considerazioni, io sono lontano, oggi faccio un altro mestiere”. Più avanti gli vien chiesto se non pensi di tornare alla politica: “Mai dire mai. Ci dovrei pensare. Non è una questione che mi si pone oggi”.

Chiamparino viene intervistato anche da La Stampa. Dice: “A questo punto non ho dubbi. Dico Romano Prodi, perché Amato mi pare bruciato”. Ma Prodi è l’incubo di Berlusconi, obietta il cronista. “La sensazione, da cittadino, è che ormai l’accordo con Pdl e Lega sia difficile da rimettere in piedi”. Sui voti dei renziani per lui dice: “Girava questa voce”, “però non so come sia nata”. Alla seconda votazione non c’erano però solo i renziani e Chiamparino dice “mi fa ancora più piacere che altri abbiano fatto il mio nome”. Ha sentito Renzi? “L’ho chiamato ma non ha risposto, e io non ho insistito”. Vi parlate spesso? “Più via messaggio che al telefono. Non è un mistero che alle primarie l’abbia votato”.

 

Internazionale

 

Su L’Unità due intere pagine dedicate alle “tragedie americane” di questi giorni. Una violenta esplosione in un impianto di fertilizzanti ha trasformato un minuscolo centro, West in Texas, in una zona di guerra. Almeno 160 feriti, cifre oscillanti sui morti (da 5 a 15), il sindaco racconta: “è stata come l’esplosione della bomba atomica”. La causa non è ancora chiara, ma le prime indagini hanno escluso il dolo”.
Grande spazio anche per il no del Senato Usa all’accordo bipartisan che aveva tentato di introdurre verifiche sui precedenti di chi acquista armi e limiti nell’acquisto di fucili d’assalto e caricatori multipli.

Già ieri i quotidiani raccontavano di come Obama avesse definito “una giornata vergognosa per Washington” quella della bocciatura del Senato. “Gli americani – ha detto Obama – cercano di immaginare come qualcosa sostenuto dal 90 per cento della popolazione non sia accaduto”. Spiega L’Unità che questa è per l’appunto la percentuale degli americani che vuole quei controlli, secondo i sondaggi. Sul New York Times, la deputata che fu ferita a Tucson, Gabrielle Giffords, accusa la National Rifle Association, che alle ultime elezioni ha versato 25 milioni di dollari di contributi e lobbying, e invita gli elettori ad esprimere il loro disappunto ai senatori.

L’intervento della Gifford è riprodotto oggi sulle pagine de La Repubblica sotto il titolo “L’infamia dei senatori, così si sono arresi ai signori delle armi”.

L’amministrazione Obama, secondo L’Unità, punterebbe proprio in una azione dal basso, per rilanciare la battaglia al Congresso. Oppure in una battaglia Stato per stato, come si è fatto per la legge sui diritti gay, allargando le isole ‘anti-gun’ un pezzo alla volta. Le prossime occasioni utili saranno le elezioni di mezzo termine nel 2014 e le elezioni del 2016. Il sindaco di New York Bloomberg, che guida la schiera dei sindaci contro le armi illegali, ha già promesso che userà il tema del controllo delle armi in campagna elettorale.

Intervistato da L’Unità, il presidente del Center for American Progress John Podesta, già capo di gabinetto di Clinton, dice che il condizionamento esercitato dalla NRA è stato pesantissimo. Più che di una pressione parlerei di ricatto. E’ una sfida diretta alla Casa Bianca e alle istanze riformatrici del Presidente Obama. E questo mentre nel Paese, non solo a Boston, si torna a respirare un clima di paura e di insicurezza, dopo l’attentato di Boston e le lettere avvelenate. Spetta alle agenzie investigative consegnare alla giustizia esecutori e mandanti di quello spregevole attentato. Ma non c’è dubbio che chi ha colpito a Boston mirava a riscrivere l’agenda delle priorità della Casa Bianca e della politica Usa, la sicurezza piuttosto che l’occupazione, lo sviluppo delle politiche sull’assistenza sanitaria e l’istruzione”. Aggiunge Podesta: “E’come se le forze più ostili alla presidenza Obama avessero deciso di entrare in azione”. E non si tratta di indicare un legame tra il voto al Senato e l’attentato di Boston: “Non ho mai amato la dietrologia”. ma non può non destare preoccupazione “l’humus culturale, il retroterra ideologico in cui sono cresciuti in questi anni, non a caso dall’ingresso di Obama alla Casa Bianca, dei gruppi di estrema destra: neonazisti, suprematisti, fondamentalisti cristiani. Per costoro, il nemico èla società multietnica, è qualsiasi politica inclusiva. Questi gruppi concepiscono come un diritto naturale vivere armati. E considerano tutti coloro che mettono in discussione questo ‘diritto’ come nemici da eliminare”.

La Stampa dà conto della veglia interrreligiosa che si è tenuta a Boston con il Presidente Obama per commemorare le vittime dell’attentato. “Non siamo una Nazione che si nasconde perché la nostra forza è nel credo di libertà e democrazia” ha detto Obama, aggiungendo: “Dio non ci ha dato lo spirito della paura, ma dell’amore, della forza, dell’autodisciplina”. Queste parole coincidevano in quelle ore con una svolta nelle indagini: sono state rese pubbliche le immagini dei sospetti dall’FBi. Identificati grazie alle videcamere di sicurezza nei pressi della zona delle esplosioni. Nelle immagini si vedono due uomini (uno sulla ventina, l’altro più vicino ai trenta) vestiti, come evidenzia La Repubblica, in maniera simile: pantaloni causal, felpe scure, zaini sulle spalle, cappellini da baseball. Camminano sulla linea del traguardo uno dietro l’altro. Uno posa la sacca per terra con dentro la bomba, a pochi minuti dall’attentato, e poi prosegue sulla sua strada. L’altro usa un cellulare.

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