Pubblico impiego, la Consulta riapre la contrattazione

Il Corriere della sera: “Statali, via il blocco dei contratti. La Consulta accoglie in parte i ricorsi dei sindacati. I possibili effetti sui conti pubblici”. “I giudici: stop illegittimo, ma il passato è salvo. Il governo: aumento in base al merito”.
Sulla Grecia: “L’Eurogruppo sospeso. Atene adesso ha paura”.
Di spalla: “Parigi ora è offesa. Quella lunga storia di bisticci & crisi con l’America”, di Sergio Romano.
A centro pagina: “Rimpatri dei migranti con otto voli al mese”. Si parla dei voli charter approntati dall’Europa per rimpatriare gli stranieri nei loro Paesi d’origine.
A fondo pagina: “Il tasto del pentimento che ferma le mail. Trenta secondi per ripensare le dimissioni o una dichiarazioni d’amore. Ora si può”. E’ una opzione messa a disposizione da Gmail che consente di annullare una mail inviata.

La Repubblica: “Statali, la Consulta sblocca i contratti e salva i conti”, “I giudici escludono il pagamento degli arretrati”, “Evitato buco di 35 miliardi nel bilancio dello Stato”, “Migranti, il governo prepara il piano dei rimpatri”.
In prima una grande foto del sindaco di Roma Ignazio Marino, intervistato dal quotidiano: “Marino: non mi cacciate neanche con i cannoni”.
Sul Pd, un’intervista a Stefano Fassina: “Fassina: ‘Addio Pd dei banchieri, vado con Civati’”.
A centro pagina, le richieste dei pm di Napoli al processo per la “compravendita” di senatori durante il governo Prodi: “’Berlusconi comprò i senatori, condannatelo a cinque anni’”.
Sulla crisi del debito greco: “Tsipras accusa: ‘Ci boicottano’. Grecia in bilico”.
A fondo pagina: “Tra Hollande e Obama scoppia la guerra delle spie”.
E il richiamo all’intervento di Wole Soyinka, pagine “R2/La cultura”: “Quei bianchi ancora convinti dell’inferiorità di noi africani”.
Sulla colonna a destra: “Una vita trans, il bambino diventato Antonia”, di Carlo Verdelli.

La Stampa: “La Consulta sblocca gli stipendi agli statali”, “La pronuncia non vale per il passato. Scongiurato un buco da 35 miliardi per il governo”, “Scuola, Renzi avanti in Senato. Ma perde altri pezzi: Fassina se ne va”.
A centro pagina, foto di Andrea Bocelli, che ha cantato il “Nessun dorma” alla presentazione della nuova “Giulia”: “Ecco la ‘Giulia’, gioiello del made in Italy”, “Svelata dal presidente Fca Elkann e dall’ad Marchionne: è la nostra Turandot”.
E Teodoro Chiarelli illustra “Il valore strategico del rilancio dell’Alfa”.
A sinistra, in apertura, un commento di Gianni Riotta sul caso Francia-usa: “Spionaggio, i dossier a senso unico”.

Il Messaggero: “Statali, sbloccati i contratti”, “Sentenza della Consulta: illegittimi gli stipendi congelati, ma non per il passato”, “L’effetto retroattivo ha evitato una voragine nei conti pubblici da 35 miliardi”.
A centro pagina: “Scuola, il giorno della fiducia, strappi a sinistra al senato”, “Oggi il voto, ira delle opposizioni. Fassina formalizza l’addio al Pd”.
Sull’emergenza migranti: “Palazzo Chigi: il rimpatrio non è tabù. Pressing per interventi senza l’Onu”.
In prima anche la foto del Colosseo, con un’immagine delle Olimpiadi del 1960 proiettata sull’anfiteatro: “Olimpiadi a Roma, il bis del ’60 appeso al voto del Campidoglio”.

Il Giornale: “Il governo si sveglia: rimpatriare gli immigrati e sparare agli scafisti”.
Il titolo più grande è per una intervista a Matteo Salvini: “’Ecco il vero patto tra me e Berlusconi’. Il leader della Lega: ‘C’è l’accordo su Europa, immigrazione, tasse e lavoro’”. “Scuola: il giallo dell’emendamento sulla teoria del gender”.
La fotonotizia è per Giovanni Falcone e per sua moglie: “Falcone ‘eroe’ la moglie no. Così una tomba divide le vittime. Sgarbo a Palermo. Il giudice nel Pantheon resta senza compagna”.
A centro pagina: “Suicida l’imprenditore simbolo del Veneto. Patron di una ditta leader nelle macchine agricole. Egidio Maschio si è sparato nel suo ufficio. L’azienda era stritolata dai debiti”.
A fondo pagina: “La ‘Giulia’ riaccende il cuore sportivo di Alfa”.

Il Sole 24 ore: “La partita finale di Atene. I nodi: pensioni e tasse”. “Maratona notturna a Bruxelles. Tsipras accusa: i creditori non vogliono l’intesa”. “I mercati sbandano poi recuperano (Piazza Affari -0,5 per cento)”.
E poi: “Perché l’FMI insiste sulla linea dura”.
Di spalla: “Marchionne: con ‘Giulia’ nuovo corso per Alfa. Produzione solo in Italia. Il ruolo dello stabilimento di Cassino. La Cig a Mirafiori finirà entro il 2018”.
A centro pagina: “Contratti pubblici, blocco illegittimo. Ma la decisione della Consulta non avrà effetti retroattivi. Evitato buco di 35 miliardi nei conti pubblici. Il Governo dovrà riaprire la fase negoziale”.

Statali

Il Messaggero, pagina 2: “’Stipendi statali, blocco illegittimo’. Ma la Consulta salva il passato”, “se l’effetto fosse stato retroattivo si sarebbe aperta una voragine nei conti dello Stato da 35 miliardi di euro”, “Stavolta i giudici hanno trovato un compromesso”, è stato raggiunto un “verdetto unanime in camera di consiglio”. Scrive Silvia Barocci dando conto del verdetto della Corte che la proroga del blocco della contrattazione collettiva per il pubblico impiego è illegittima perché lede la libertà sindacale. O meglio, lo sarà dal giorno in cui la sentenza della Consulta verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Ora bisognerà attendere le motivazioni. Ma due sarebbero le indicazioni: la bocciatura è avvenuta per la “compressione del diritto fondamentale di libertà sindacale” (art. 39 della Costituzione) e non tanto per la violazione del diritto a una retribuzione adeguata (art. 36). La seconda indicazione è che si tratterebbe di una illegittimità “sopravvenuta” e non originaria, senza effetti retroattivi, per sanare la quale è sufficiente la riapertura delle procedura negoziale che potrà avvenire nei limiti delle risorse disponibili che il legislatore, nella sua discrezionalità, deciderà di destinare.
A pagina 3, soffermandosi sugli “effetti” della sentenza: “Servono 6 miliardi, subito via alla contrattazione”, “Il tesoro prova a contenere gli esborsi”, “Per il 2016 previsti fondi per 1,6 miliardi”, “Probabile avvio delle negoziazioni con i sindacati con la legge di Stabilità”. E sulla stessa pagina si scrive che “in 6 anni i dipendenti hanno perso in media 5 mila euro”: “i sindacati puntano a rinnovi superiori all’inflazione”, “il contratto 2008 chiuso con aumenti di 70-90 euro al mese”. E alle pagine seguenti, con attenzione alla riforma della Pubblica Amministrazione che porta la firma del ministro Madia, il “retroscena” di Marco Conti: “Renzi: prima la riforma, poi parleremo di soldi”, “Il premier tira un sospiro di sollievo per la decisione della Consulta”, “Pronte risorse aggiuntive per attuare il ddl Madia che rivoluziona la Pa”, “Niente aumenti a pioggia ma legati a merito e produttività, fannulloni licenziabili”.

La Repubblica, pagina 2: “La Consulta: il blocco degli stipendi è illegittimo ma non per il passato”, “I giudici costituzionali trovano l’accordo anche se l’ex premier Amato avrebbe voluto la piena infondatezza” per l’intero periodo – come scrive Liana Milella – “seguita però da un monito al governo ad adottare una linea di massima prudenza nel ricorso a blocchi delle retribuzioni”. Amato e Niccolà Zanon avrebbero sponsorizzato questa linea, contrapponendosi ad un altro gruppo di giudici che sarebbe stato più propenso a stringere il periodo di stretta sui contratti al solo triennio 2011-2013, lasciando fuori il 2014. E qui si sarebbe posto il problema dell’equilibrio di bilancio posto dall’articolo 81 della Costituzione.
Sulla stessa pagina, l’analisi di Roberto Petrini: “salvi i conti pubblici, serviranno 7 miliardi. Il governo punta a scaglionare la spesa”. E il quotidiano intervista Marco Carlomagno, leader del sindacato Pfl che ha avviato il ricorso: “Dei nostri sacrifici si dovrà tenere conto”, “Le cifre fornite dallo Stato sono state gonfiate. Il costo dei rimborsi si aggirava sui 6 miliardi”.

La Stampa, pagina 5: “La Corte costituzionale sblocca gli stipendi dei dipendenti statali”. Si legge che tutte le sigle sindacali, da Cgil, Cisl e Uil alle organizzazioni del pubblico impiego sollecitano una ripresa immediata del confronto per fare ripartire la macchina dei rinnovi a favore degli oltre 3 milioni e 300 mila dipendenti della P.A. La questione del congelamento degli aumenti era stata sollevata davanti al tribunale di Roma dalla Flp-Cse e davanti a quello di Ravenna da un gruppo di lavoratori. Ai vari giudizi si erano poi associati anche Gilda, Confedir, Fialp e Confsal. Sulla stessa pagina, l’analisi di Alessandro Barbera: “Palazzo Chigi deve sedersi al tavolo. Mano libera sull’entità degli aumenti”, “Nei documenti del governo la previsione di spesa: 1,6 miliardi nel 2016”.

Sul Sole si stima “il totale perso” dagli statali: “In 5 anni mancati aumenti pari al 9,6 per cento dello stipendio”. In media il totale vale “il 43 per cento di un anno di retribuzione”.

Sul Corriere commenta positivamente la sentenza l’ex giudice Sabino Cassese. Cassese scrive che si tratta di una “decisione equilibrata” perché “fa cessare una intrusione legislativa nell’area contrattuale senza tuttavia necessariamente sconvolgere gli equilibri di finanza pubblica”. Ha “riaperto la strada alla negoziazione tra le parti”, insomma. Nello stesso tempo la Corte ha mostrato di essere consapevole “dei limiti degli effetti distributivi delle proprie sentenze”. “Se obbliga il parlamento a perequare le pensioni toglie risorse che potrebbero andare ai giovani”, scrive ad esempio.
Visto che le Corti hanno “l’ultima parola” ma “non possono prendere esse stesse l’iniziativa e debbono rispondere solo alla domanda che è stato loro posta dai giudici rimettenti”, e visto che “solo i governi e i Parlamenti” hanno davvero l’ultima parola, perché “possono attuare una vera giustizia distributiva, bilanciando, compensando, equilibrando”, è bene che “le Corti costituzionali si frenino quando la loro azione si svolge in quel campo minato che è la finanza pubblica”.

Sul Sole Guido Gentili si chiede “quanto vale, e cosa comporta in primo luogo per il Governo, una sentenza di illegittimità costituzionale ‘sopravvenuta’, che vale per il futuro e non ha effetti retroattivi?”. Gentili spiega che la politica dei blocchi dei contratti pubblici varata in tempi di austeritity “non poteva durare comunque all’infinito”. E ricorda anche che stavolta la Corte “si è mossa tenendo d’occhio vincoli e compatibilità finanziarie previsti ‘sotto’ il nuovo articolo 81 della Costituzione riformulato nel 2012”, quello del pareggio di bilancio . Oggi il governo “troverà sindacati agguerriti” che proveranno a recuperare i soldi persi in passato, ma “le risorse sono più che scarse”.

Il Corriere intervista Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, che definisce “una buona notizia” quella giunta dalla Consulta “non per il gverno ma per i conti pubblici e quindi il Paese”. Dice: “Leggeremo la sentenza e, se prevede una sorta di obbligo a contrattare, ci metteremo attorno al tavolo”. Dice che “bisogna chiedersi se è ancora utile dare poco a tutti o se è meglio fare un patto per individuare i servizi prioritari e investire su questi”. Quanto costerà attuare la sentenza? “Non ci sono automatismi né statistiche su come di solito vanno le trattative”. “È troppo presto per dare numeri seri. Chi lo fa tira a indovinare”. Di sicuro per trovare le risorse “non ci saranno nuove tasse”.

Grecia

La Stampa: “Grecia, niente intesa. I creditori riscrivono il piano di Tsipras”, “Altra notte di negoziati per scongiurare la bancarotta. Resta la distanza su Iva, pensioni e tasse sulle imprese”.

Il Messaggero: “Stallo sulla Grecia, Tsipras attacca”, “Fumata nera all’eurogruppo, il premier greco accusa i creditori internazionali: ‘Non vogliono l’accordo’. Il Fondo monetario internazionale chiede più risparmi sulle pensioni e l’abolizione di tutte le esenzioni oggi in vigore sull’Iva”. Il conflitto riguarda i numeri e i provvedimenti messi sul tavolo da Tsipras per realizzare l’1% di avanzo primario quest’anno e il 2% il prossimo. Scrive David Carretta da Bruxelles che le misure proposte dal premier greco, ovvero 93% di tasse e contributi sociali aggiuntivi e solo 7% di tagli alla spesa, avrebbero un effetto recessivo molto più forte delle riforme richieste dai creditori internazionali, con un impatto sulla sostenibilità del debito. L’Fmi ha presentato una controproposta incentrata soprattutto sui risparmi del sistema previdenziale: l’età pensionabile dovrebbe arrivare a 67 anni entro il 2022 e il governo dovrebbe introdurre ‘forti disincentivi’ sui pensionamenti anticipati. Sull’Iva, i creditori sono pronti a fare una concessione sul mantenimento di 3 aliquote, lasciando i medicinali al 6% e l’elettricità al 13%, per portare gran parte dei prodotti al 235. Ma chiedono di abolire le esenzioni, comprese quelle per le isole. Sul fronte delle tasse, il Fmi ha smontato la proposta Tsipras, eliminando il prelievo straordinario del 12% per le imprese che realizzano profitti sopra i 500 mila euro.
Sulla stessa pagina: “Atene, pressing Ue per una maggioranza diversa in Parlamento”.

Sul Sole: “Stop dei creditori: misure recessive. L’ira di Tsipras: a nessuno è mai successo prima di vedere bocciate le proposte di interventi compensativi”. Scrive il quotidiano che a dividere i due fronti contrapposti sono “due filosofie economiche”. I creditori chiedono di eliminare i ridurre i proposti aumenti di tasse sulle imprese, raddoppiare i tagli alla difesa e aumentare l’Iva al 23 per cento su alcuni beni, ridurre i benefici pensionistici piuttosto che aumentare i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro. Chiedono anche di ridurre di un punto – dal 29 al 28 per cento – l’aliquota per le società e di abolire il prelievo speciale del 12 per cento proposto da Tsipras per le aziende con utili superiori ai 500 mila euro. Il Fondo monetario teme l’effetto recessivo di una tassazione troppo alta. E chiede di anticipare la riforma delle pensioni.
“Muro contro muro su tasse e pensioni” è un altro titolo sul quotidiano di Confindustria.

Su La Stampa, il reportage da Atene di Niccolò Zancan: “Atene stremata dall’incertezza adesso teme la fuga dei turisti”, “Nelle vie dello shopping crollano gli affari: ‘E’ come in guerra’. La rabbia dei commercianti: ‘Bisogna trovare l’accordo, subito’”.

Sul Corriere Federico Fubini, pure inviato ad Atene, racconta il Paese “a pochi giorni dal collasso finanziario”. Si parla di una farmacia di 30 metri quadri in centro che “contiene tutte le contraddizioni di un Paese che rischia di avvelenarsi da solo e con la collaborazione dei suoi creditori”. La farmacia da sei mesi non riceve dallo Stato il rimborso sulle prescrizioni di medicinali gratuiti o scontati. Deve avere 50 mila euro. La titolare non ha chiuso il suo conto in banca perché le serve per pagare i fornitori ma ha avuto la tentazione di farlo. Fubini scrive che alcuni beni molto venduti e non coperti dallo Stato – latte in polvere, vitamina C, vitamina B, acido linoleico – costano almeno il doppio che in altri Paesi europei o negli Usa. “I suoi prezzi sono distorti o viziati dagli oligopoli degli importatori e dalle mancate aperture del mercato in Grecia”, scrive Fubini. Nel governo c’è un ministro non vedente che “fa moltissimo per i più deboli” ma “né lui né Tsipras né i loro creditori parlano mai di liberalizzazioni o lotta agli oligopoli. E’ più sicuro aumentare tutte le tasse una volta raggiunto l’orlo del baratro”.

Alessandro Merli sul Sole ricorda che sia Fmi che Bce sono “in una posizione scomodissima” rispetto alla crisi greca, costretti a “pompare liquidità nelle banche greche per evitare di staccare la spina ad Atene, di fatto trasformandosi nel finanziatore della continua fuga dai depositi”. Il Fmi dovrebbe riavere da Atene 1,6 miliardi a giugno e 23 miliardi entro il 2030. La Grecia è il suo principale debitore. Il Fondo, ricorda Merli, ha “applicato ad Atene una condizionalità eccezionalmente favorevole, considerate le dimensioni dei prestiti, che sono andate bel al di là dei tetti abituali fissati dall’istituzione guidata da Christine Lagarde”. Il coinvolgimento stesso del Fondo nella crisi greca – ricorda Merli – è “controverso”, nel senso che nel 2010 il presidente della Bce riteneva dovesse essere tenuto fuori, perché la sua partecipazione in qualche modo certificava che l’Eurozona “non sapeva cavarsela da sola”. Fu soprattutto la Germania ad insistere perché il Fmi fosse “tirato dentro”, forte del fatto che gli europei non volevano impegnare i soldi necessari per il primo bailout greco. E fu per volontà di Strauss Khan, allora direttore del FMI, che partecipò. Da allora il Fondo è rimasto “invischiato in una vicenda nella quale ha recitato sempre una parte subalterna, accettando anche soluzioni che andavano contro alla propria esperienza di decine di casi di Paesi debitori, e mettendoci del suo con l’avallo a una serie di previsioni sbagliate sugli effetti dell’austerità imposta ad Atene sulla crescita e quindi sul debito”. Merli ricorda che a fine 2016 scade il mandato dell’attuale direttore Lagarde, e che “i Paesi emergenti, che hanno contestato fin dall’inizio nel consiglio del Fondo i prestiti alla Grecia e le loro condizioni, restano una spina nel fianco del vertice dell’istituzione e sono pronti a dare battaglia sui termini del possibile accordo che si discute in queste ore” e sul “possibile coinvolgimento dell’Fmi in un terzo pacchetto di aiuti ad Atene. Non certo un incentivo per la signora Lagarde a tenere una linea morbida nella stretta finale su Atene”.

Sul Corriere viene intervistato l’europarlamentare PPE spagonolo Pablo Zalba Bidegain, economista. “Pagare noi i privilegi dei greci? Assurdo”. “Perché la Grecia abbia la solidarietà europea occorre che l’età di pensionamento dei suoi cittadini sia in linea con quella degli altri Stati”. Bidegain dice di essere comunque “ottimista” perché il governo greco “ha cominciato a capire che stare nel club dell’euro ha i suoi vantaggi ma anche le sue norme e le sue condizioni”. “Nuncas tarde se la dicha es buena”, ovvero “meglio tardi che mai”.

Migranti

Sul Corriere si legge che il governo italiano avrebbe come obiettivo quello di stipulare nuovi accordi con procedure più veloci per rimpatriare gli stranieri nei Paesi d’origine, purché sia con questi Paesi ci sia un accordo. Fiorenza Sarzanini scrive sono stati quest’anno “24 i viaggi organizzati dalla polizia per riportare in patria tunisini, egiziani e nigeriani arrivati in Italia negli ultimi mesi. In media uno a settimana, ognuno con 50 persone. Altri saranno predisposti nelle prossime ore, ma il governo vuole incrementare le partenze, proprio per alleggerire la pressione che deriva dalla presenza degli ‘irregolari’. Oltre alle intese già in vigore si è dunque deciso di proporre nuovi patti. Accordi di polizia che non hanno necessità di una trattativa diplomatica troppo lunga e possono chiudersi nel giro di un paio di mesi, come del resto è già accaduto la scorsa settimana con il Gambia. Lettere di invito sono state spedite ai vertici delle forze dell’ordine di Costa d’Avorio, Senegal e Ghana, da cui partono migliaia di persone. Secondo i dati aggiornati al 22 giugno, quest’anno ne sono giunte oltre 4mila soltanto dai primi due Paesi”.

Sul Sole: “Renzi: il rimpatrio non è un tabù”. “Il premier in Parlamento alla vigilia del Consiglio europe a Bruxelles. Asse con Mattarella: bene il cambio rispetto a Dublino”. Nell’articolo si legge che l’Italia per Bruxelles “dovrà dimostrare di fare sul serio ripetto alle fotosegnalazioni e dovrà ospitare in Sicilia senza invocare ‘commissariamenti’ la creazione dei primi ‘hot spot’ con personale europeo per lo screening degli arrivi e gli eventuali rimpatri”. Si cita una lettera agli Stati membri della Ue del commissario all’immigrazione, Avramopoulos secondo il quale ‘il sistema Ue di rimpatrio dei migranti irregolari non è sufficientemente veloce ed efficace e bisogna quindi immaginare anche la detenzione per coloro che si sottraggono all’identificazione”. Un principio, quello della detenzione fino a 18 mesi, di scui si dovrebeb discutere al consiglio europeo.

Lega, centrodestra

Il Giornale intervista Matteo Salvini. Alla domanda se dopo la cena con Berlusconi sia rinato “il centrodestra unito” risponde “piano. Ho qui i giornali e ne sto leggendo di stupidaggini”. “Dicono che abbiamo parlato di legge elettorale, candidature, collegi da spartirci tra Nord e Sud: niente di tutto questo”. Ma “sono uscito molto soddisfatto perché sui temi concreti che interessano gli italiani ora con Berlusconi c’è grande sintonia”. L’accordo è su “come affrontare Europa, immigrazione, tasse, lavoro”, “via l’Imu agricola e quella sulle case”. Inoltre Berlusconi “è d’accordo con noi nel ridiscutere i trattati: Schengen, Maastricht, Dublino”. Sulla flat tax “Berlusconi dice di fissarla al 20 per cento, noi al 15”. Sul contenitore unico dei moderati: “La Lega non si scioglierà mai”. Berlusconi gli ha chiesto di fare il sindaco di Milano? “Mannò, dobbiamo trovare i candidati a Milano, Torino, Bologna e credo anche a Roma”.
Sulla stessa pagina: “Il Cavaliere sogna una ‘Lega Italia’. E oggi vola a Mosca dall’amico Putin”. “Il leader azzurro già lavora all’asse per vincere insieme nelle grandi città, al voto nel 2016. ‘Ma restiamo nel PPE’”. Si legge che “va seguito il modello Venezia” per le elezioni comunali, in particolare a Milano e – se si voterà – a Roma.

Sul Sole: “Sull’euro Berlusconi si avvicina alla Lega”. “L’incontro di Arcore è servito soprattuto a gettare le basi di una piattaforma comune”.

Da segnalare sul Corriere una intervista a Giuseppe Valditara, ordinario di Istituzioni di Diritto romano all’Università di Torino, ex parlamentare di An poi in Forza Italia. Il leader della Lega lo ha coinvolto come coordinatore di un gruppo di studiosi per scrivere il programma della Lega. “’Fini e Monti, che delusione. Ora offro le mie idee a Salvini’”. Elenca i punti su cui Berlusconi e Salvini sono d’accordo. Dice che Salvini srebbe “un eccellente sindaco” di Milano e “finalmente farebbe piazza pulita in questa città ridotta a essere un baraccone”.
Ancora sul Corriere un commento di Michele Salvati si sofferma sul “centrodestra dei moderati che può far bene alla sinistra” e parla delle ultime elezioni amministrative a Venezia che “hanno confermato che il centrodestra esiste e che, quando si unisce e presenta un candidato moderato e attraente, ha buone probabilità di vittoria, specie se lo schieramento avverso ne presenta uno percepito come estremo”. “Il Nazareno è morto, Berlusconi e Forza Italia non si stancano di ripetere. Ma sarebbe un arretramento per la democrazia italiana se non si formasse un altro polo politico forte che – sotto una diversa veste ideologica – collaborasse con il centrosinistra nel convincere gli italiani che le vie d’uscita promesse da demagoghi e illusionisti sono illusorie”. Se la Lega non “modificherà l’estremismo che attualmente la caratterizza” insomma “mi sembra improbabile che possa formarsi un polo di centrodestra competitivo con il Pd”.

Berlusconi-De Gregorio

La Stampa, pagina 9: “Senatori in vendita. Chiesti 5 anni per Berlusconi”, “L’accusa: ‘Voleva sovvertire l’ordine democratico’. La difesa: Prove inconsistenti. Sentenza l’8 luglio”.

Il Messaggero: “’Senatori, condannare Berlusconi a 5 anni’”, “Processo per la presunta compravendita a Palazzo Madama, la Procura chiede pure la condanna a 4 anni e 4 mesi per Lavitola”, “Il cavaliere: atti coperti da insindacabilità, intervenga la giunta. E accusa i magistrati: caso di giustizia politica”, “Contestata la corruzione per far cadere nel 2008 il governo Prodi comprando De Gregorio”.

E La Repubblica intervista lo stesso Sergio de Gregorio, che ha patteggiato la pena (eletto in Senato con Di Pietro, passò poi al centrodestra): “Mi ha pagato, e forse non sono il solo”, “Risentimenti per Berlusconi non ne ho, ho solo scelto di raccontare la verità”.

Fassina, Pd

La Repubblica dedica due intere pagine all’addio al Pd di Stefano Fassina, che peraltro viene intervistato. Pagina 6: “Fassina scuote i dem e lancia un altro partito. Scuola, nuove proteste”, “Bersani: ‘L’uscita di Stefano non merita spallucce’. Guerini: ‘Scelta velleitaria’. Primo voto al Senato”. E nell’intervista Fassina dice: “Il Pd ormai è pieno di banchieri, la vera sinistra oggi è Papa Francesco”. E’ “l’impianto culturale del Partito democratico” a non funzionare, secondo Fassina. Renzi, nelle sue parole, è “l’interprete fedele ed estremo del Pd che fu costruito al Lingotto. Bersani purtroppo è stata solo una parentesi. Il Pd ha nel suo statuto una cultura plebiscitaria che poi si riflette nelle sue azioni. Persino sulla scuola abbiamo assunto l’ispirazione dell’uomo solo al comando, il preside, che disciplina gli insegnanti sfaticati”. Dice ancora Fassina del governo e della vicenda Cassa Depositi e Prestiti, che ha visto l’avvicendamento di Franco Bassanini con Claudio Costamagna : “Nel momento in cui Cassa Depositi e prestiti deve espandere il suo intervento sull’economia reale, il governo nomina un professionista di prima qualità, ma che è espressione della finanza internazionale. C’è un’enorme contraddizione e vedo uno spostamento dell’asse verso interessi forti, quelli del big business industriale e finanziario. Costamagna non è l’unico. Si mettono grandi banchieri d’affari ovunque”. Tipo? “Ce n’è uno stuolo a Palazzo Chigi, tutti consiglieri del premier”. E sul Papa: “L’esortazione Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudatio Sii contengono una critica radicale al capitalismo che la sinistra non è in grado di esprimere da almeno tre decenni”. E’, insomma, la politica della Merkel “e prima di lei di Schroeder, tanto celebrato a sinistra”.
Filippo Ceccarelli, alle stesse pagine, racconta poi il personaggio Fassina dando conto del suo comizio di addio in un quartiere di periferia a Roma (Capannelle), davanti a un tavolo montato per la strada, con auto che passano indifferenti: “L’addio in periferia, il gesto antirenziano dell’ex comunista”, “Basta vedere il video per capire che il deputato era ormai incompatibile con il segretario”.

La Stampa, pagina 2: “Fassina lascia il Pd: a luglio parte un lavoro con Civati e Cofferati”, “Bersani: inutile fare spallucce, il partito è più povero”. I no di Fassina, ricorda il quotidiano, vanno dal Jobs Act all’Italicum che, nelle sue parole, “indebolisce le garanzie democratiche”: se ne va in polemica con la decisione del governo di porre la fiducia sulla riforma della scuola ma, per l’appunto, chiarendo che questo “è solo l’ultimo episodio di una vicenda che non abbiamo condiviso”. E alla “crisi interna” al Pd è dedicata l’analisi di Federico Geremicca: “Dall’ascesa di Matteo all’incubo di un partito dove non ci si parla più”, “Oggi molti restano dentro, ma in attesa rassegnata. Forse è meglio riconoscere che bisogna dirsi addio”.

Sul Giornale: “Continua la fuga dal Pd di Renzi. Dopo Fassina presto altri adii. Con l’ex viceminitro lascia anche la deputata Gregori. Guerini: spero che nessuno lo segua. Mineo e Tocci pronti ad andarsene”. Al “personaggio” Fassina è dedicato anche un ritratto: “Il bocconiano rosso che litiga con tutti. Nella sua collezione di nemici Letta, Veltron, i giovani Turchi e il premier. Nel 2011 sbeffeggiò Ichino: con lui sta il due per cento del partito”.

Legge elettorale, riforme

Sul Corriere viene intervistato il professor Roberto D’Alimonte: “Un baby Nazareno sul premio di coalizione. ‘Il leader di FI potrebbe garantire i voti sulla riforma costituzionale e ottenere un nuovo Italicum’”. Dice che non è vero che lui è “il padre della riforma” elettorale in discussione, che ha “contribuito, su richiesta di Renzi, da tecnico, a disegnare l’Italicum”, e che “il punto chiave per me è il secondo turno” tra le due formazioni più votate. Oggi spiega che la legge elettorale senza la riforma costituzionale “non serve a nulla”, e che se Renzi non avesse i numeri per far passare la riforma costituzionale ha bisogno di un “patto del Nazareno-baby”, in cui “Berlusconi offre i voti per la riforma costituzionale in cambio del premio di coalizione” che Renzi potrebbe reinserire nella legge elettorale. “Berlusconi si rende conto che un listone unico con la Lega è di difficile realizzazione”, e “la sinistra Pd potrebbe creare un partito alleato di Renzi”.

Nsa, Francia

La Repubblica: “Nsagate, l’ira di Parigi. Obama chiama l’Eliseo, ‘Smetteremo di spiarvi’”, “Lunga telefonata del presidente Usa con Hollande, ‘Queste pratiche degli 007 sono figlie del passato’”, “Lo scandalo dei capi di Stato intercettati dai Servizi americani. Il ministro Valls: ‘Una violazione gravissima’. Convocata l’ambasciatrice Hartley”. E scrive Anais Ginori da Parigi che il tempismo delle rivelazioni di Wikileaks non è casuale: ieri è stata varata in Francia la riforma dell’intelligence.

La Stampa: “Obama a Hollande: non spiamo più”, “il presidente Usa rassicura Parigi dopo le rivelazioni di Wikileaks: pratiche del passato. Fra i documenti una frase del leader francese su Markel, ‘ossessionata dalla stabilità’”. E l’analisi di Gianni Riotta, sui “dossier a senso unico”: “Gli alleati da sempre si controllano. Ma gli schiaffi li prende l’America”, “I dossier delle ‘talpe’ a senso unico: nulla su Russia e Cina che usano hacker e trucchi sul Web per fare disinformazione”.

Il Giornale: “Francia, presidenti spiati. Ma è il segreto di Pulcinella. Tutti sapevano di essere sotto controllo. E anche Merkel che grida allo scandalo ha aiutato Obama a intercettare i francesi e i leader europei tramite gli 007 tedeschi”.

E poi

Sul Sole 24 ore un articolo sulla “tensione sul commercio” tra Usa e Cina, in vista del summit tra i due Paesi che si terrà il prossimo 29 giugno. “Pechino rivendica lo status automatico di ‘economia di mercato’ che farebbe decadere i dazi”. “L’accettazione causerebbe l’abolzione dei dazi che proteggono dall’invasione di merci prodotte sottocosto e in dumping”, scrive il quotidiano. “Made in Italy a rischio per la possibile eliminazione delle barriere anti-dumping”. Nella stessa pagina un intervento di Antonio Tajani: “Prima Pechino compia passi avanti nella reciprocità”.

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