Pd, i dilemmi delle minoranze

Il Corriere della Sera: “La minoranza Pd fa muro sull’Italicum. Renzi: avanti, non giochiamo a Monopoli”.
Il titolo più grande: “Scontro politico sui migranti. La Lega al governo: stop all’accoglienza. I superstiti: i morti sono quattrocento”. “Il ministro Gentiloni: Bruxelles fa troppo poco. Spari dei libici durante i soccorsi italiani”.
La fotonotizia: “Monica e le altre rapite un anno fa”. Si parla delle studentesse rapite in Nigeria da Boko Haram.
In evidenza un articolo di Ricardo Franco Levi: “Basta illusioni, la Turchia deve restare fuori dalla Ue”. “Gli errori che ha commesso”.
E poi i dati del Fondo Monetario Internazionale: “Stime sull’Italia, Fondo monetario più ottimista”.
A fondo pagina: “Woodcock perde l’inchiesta sulle coop. Il Tribunale di Napoli conferma le accuse. Ma trasferisce gli atti all’Antimafia di Bologna”.
E poi: “Vittoria in Europa per Contrada”, sulla sentenza della Corte europea sulla condanna dell’ex agente dei servizi; E “Diaz, frasi choc di un poliziotto” sul blitz durante il G8 di Genova e le parole di un agente su Faceook.

La Repubblica: “Italicum, la trincea dei ribelli pd. Renzi: basta giochi”, “Linea dura del segretario: si decide, non è un Monopoli”, “L’Fmi alza le stime sul Pil italiano, ma solo Cipro va peggio”, “Pensioni, Palazzo Chigi frena Boeri: mancano i soldi”.
In evidenza una foto di arresti al G8 di Genova nel 2001: “Confessione shock dell’agente: ‘Rifarei mille volte la Diaz’”.
Il “caso”: “Mediaset, pena estinta per Berlusconi, Fi: ora la Severino deve essere cambiata”.
A centro pagina: “Immigrati, ‘400 morti in mare’. La Lega: stop all’accoglienza”.
A fondo pagina, “l’inchiesta”: “Il conto dell’Expo, progetti tagliati e spese gonfiate di 180 milioni”.
E “la polemica”, ancora sulle parole del Papa sul genocidio armeno: “Erdogan avverte papa Francesco: ‘Sugli armeni non ripeta l’errore’”.
Sulla colonna a destra, un intervento di Gustavo Zagrebelsky: “La brutta figura di noi giuristi sullo scandalo dei vitalizi”, “Nessuna ragione di diritto perché siano conservati ai parlamentari condannati”.

La Stampa: “Immigrati, Regioni in rivolta: ‘Non ne accogliamo più’”, “E sul Canale di Sicilia i libici sparano alle navi italiane”.
A sinistra: “Italicum, il Pd è spaccato. Renzi avverte: non è Monopoli”, “Il governo rischia”.
Sulle riforme prospettate dal governo, due capitoli. Il primo è per quella sulla riforma della Pubblica Amministrazione: “Polizia-Carabinieri, sfida sui Forestali”, “Con l’accorpamento, chi avrà il controllo del territorio?”. E il secondo riguarda la Rai, “La ‘rivoluzione’ della tv pubblica”: “Niente canone e pubblicità senza limiti, ecco la nuova Rai”, “Le novità contenute nel ddl del governo che attende l’ok del ministero dell’Economia”.
A centro pagina, foto dell’isola di Budelli: “Così l’Italia ha perso il paradiso di Budelli”, “Per colpa della burocrazia, il Consiglio di Stato ha affidato l’isola a un magnate neozelandese”.
Nella colonna a destra: “Exor offre 6,4 miliardi per il colosso delle assicurazioni”. “Un altro passo verso il mondo globalizzato” è il titolo dell’analisi dedicata al caso da Francesco Manacorda.
In prima anche il richiamo per la “conciliazione fallita” sul caso Google: “Google rischia una multa di sei miliardi dall’Europa”.

Il Fatto: “Infrastrutture, ministero pignorato per 1,2 miliardi”, “Il costruttore Edoardo Longarini ha diritto a un maxirisarcimento e mette al riparo il suo ‘tesoretto’ nei conti correnti del dicastero. La decisione finale ora spetta alla Cassazione. Il governo: ‘A rischio le opere strategiche e 40 mila posti di lavoro”.
A centro pagina, “Il Pd double face”: “Nuove figuracce di Renzi & gufi”, “Genova, passerella elettorale del premier: molte forze dell’ordine, niente cittadini. La Moretti promette di firmare la mozione M5S per tagliare lo stipendio di governatore, poi fa marcia indietro. Bersani e la minoranza Pd si auto-escludono dalla Commissione per non votare contro l’Italicum”. E, un altro caso, relativo al sindaco di San Lazzaro Isabella Conti: “La sindaca Conti, vera rottamatrice”, “Nel suo Comune, San Lazzaro (Bologna), blocca una mega-speculazione: piovono minacce e lei va dai Carabinieri. Poi, diversamente dal Pd e da altri amministratori, restituisce i 2mila euro di fondi elettorali alla coop Cpl: ‘Sono renziana, ma credo nella questione morale’”. E a questa vicenda è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Forza Isabella”.
A fondo pagina, “le torture del G8”: “Polizia contro polizia: ’10, 100, 1000 Diaz’, ‘No, una vergogna’”, “Un agente: ‘Rifarei tutto’; un altro: ‘Il film dice la verità, l’ho fatto vedere ai miei allievi’”.
In prima l’incipit di un intervento firmato da Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia sulla sentenza con cui la Corte europea dei diritti umani ha bocciato l’Italia per la condanna dell’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada: “Contrada, la Ue e i fatti gravissimi”.

Il Giornale: “Berlusconi libero, Renzi no”. “Estinta la pena e cancellata l’interdizione dai pubblici uffici. Ora la palla passa all’Europa. Il premier invece è prigioniero della sinistra che lo tiene sotto scacco sulla legge elettorale”. E poi: “Gli scafisti sparano agli italiani e si riprendono un barcone”.
Di spalla: “Adesso Erdogan minaccia il Papa. E l’Italia ha paura di dire ‘genocidio'”. Con una intervista a Pier Ferdinando Casini: “Ue responsabile della deriva islamica della Turchia”.
La fotonotizia è per la coda con rissa ieri al Tribunale di Napoli: “Tribunali, dalla tragedia alla farsa”.
A centro pagina: “Contrada condannato per nulla. E ora si riapre il caso Dell’Utri”.

Il Sole 24 ore dedica l’apertura al 730 precompilato, che da oggi dovrebbe essere disponibile sul sito della Agenzia delle entrate.
In evidenza. “Ocse, il cuneo fiscale torna a salire in Italia”. “Scontro sul ‘tesoretto’ da 1,6 miliardi”.
Di spalla: “Mediaset, pena estinta per Berlusconi. Via l’interdizione dai pubblici uffici ma resta ineleggibile fino al 2019”.
A centro pagina: “Exor lancia l’Opa su PartnerRe”. “La holdign degli Agnelli offre 6,4 miliardi di dollari in contati per il 100 per cento del riassicuratore Usa”. “Fondi per l’operazione anche dalla vendita di Cushman&Wakefield

Italicum

La Repubblica, alle pagine 2 e 3: “Italicum, resa dei conti nel Pd. 80 della minoranza dicono no. Renzi: questo non è il Monopoli”, “Oggi l’assemblea dei deputati con il leader decide la linea in aula. I dissidenti insistono: meno capolista nominati e troveremo l’intesa”. E il “retroscena” firmato da Goffredo De Marchis: “Il premier e le ombre della scissione: ‘Ma io vado avanti’”. Sulla carta, scrive De Marchis, la minoranza conta su 110 deputati: è un numero che non apre una ferita nel Pd ma mette in pericolo la stessa approvazione della legge, visto anche l’alto numero di voti segreti quasi certi: “ma è un numero molto ballerino. Già ieri durante la riunione di Area riformista”, la componente che fa capo a Roberto Speranza (capogruppo Pd alla Camera), “tanti hanno fatto capire che la strategia non è quella del muro contro muro”. E si riferiscono le parole di Dario Ginefra: “Segniamo un punto politico in dissenso al gruppo. Ma poi al momento del voto vero ci atteniamo alle decisioni della maggioranza”. Alla pagina seguente, Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, dice: “C’è sempre chi alza l’asticella, se costretti porremo la fiducia”.

La Stampa, pagina 4: “Italicum, Pd alla resa dei conti. Renzi: non è il Monopoli”, “Oggi riunione dei gruppi: i bersaniani votano contro. Il premier: non si cambia”. Scrive Carlo Bertini che questa sera Renzi potrebbe confermare la chiusura a modifiche della legge elettorale, ma aprire a cambiamenti sulla riforma costituzionale: non sulla composizione del Senato, ma sulle competenze e sul titolo V. I bersaniani potrebbero astenersi, anziché votare contro. “Questa volta la disciplina di partito non vale”, dichiara Alfredo D’Attorre, esponente della minoranza, intervistato: “Se non ci saranno novità, oggi alla riunione dei gruppi tutta la minoranza credo voterà contro la relazione di Renzi”. E poi cosa farete in Aula? “Immagino che l’ala più dialogante farà un supplemento di riflessione, io sono convinto che dobbiamo essere coerenti con l’impegno preso”, ma “non può esserci disciplina di partito” su una materia di rango costituzionale. Arriverete fino a votare contro l’Italicum? “Fino a votare i nostri emendamenti migliorativi e, se sono bocciati, a votare contro”.

Il Fatto: “Sinistra Pd sull’Aventino: ‘Che fai, mi cacci?’”, “Stasera Renzi chiede il voto sulla legge elettorale al gruppo dem: i bersaniani voteranno no, ma chiedono la sostituzione in commissione”. Wanda Marra, che ne scrive, spiega che ieri, nella riunione della corrente di Area Riformista, Roberto Speranza ha annunciato il ‘no’ all’assemblea di oggi, facendo però intendere il prossimo passaggio: “Se la situazione è questa, sarebbe opportuno che in Commissione i membri della minoranza si facessero sostituire”.

Su La Repubblica, nella sua rubrica “Il Punto”, Stefano Folli invita il premier-segretario ad esercitare “capacità di ascolto” nei confronti della minoranza Dem, in un commento dal titolo “Una trappola per il premier nella battaglia delle Ardenne”, poiché nello scontro “è in gioco l’onore dei combattenti più che le sorti della guerra”: per quanto Renzi possa “disprezzare la cosiddetta ‘ditta’ bersaniana, scrive Folli, essa rappresenta un segmento importante della storia recente della sinistra. Mortificare la minoranza, umiliarla, è cosa ben diversa dal renderla marginale un passo alla volta, attraverso le politiche concrete e le idee modernizzanti. Al di là del merito della riforma elettorale, suscettibile di critiche spesso più che giustificate, Renzi, rischia di ritrovarsi via via più solo, prigioniero di se stesso e sempre più bisognoso di un rapporto diretto con la massa degli elettori. È la radice del populismo, sia pure in formato tecnologico e multimediale”.

Secondo il Corriere “l’unità del Pd è appesa a un filo di ragnatela” in vista dell’assemblea di questa sera, quando “si saprà se il partito miracolosamente regge o se la spaccatura è destinata a consolidarsi, con conseguenze imprevedibili”. “La determinazione del segretario sta lacerando la minoranza, divisa tra duri e dialoganti. Anche per questo Speranza, stretto com’è tra il ruolo di capogruppo e quello di leader di corrente, cercherà una mediazione fino all’ultimo”. Oggi Speranza incontra Renzi e gli “offrirà un accordo: mandare giù il rospo dell’Italicum, in cambio di un’apertura sulla riforma del Senato”.
Sullo stesso quotidiano viene intervistato il “bersaniano” Davide Zoggia. Dice: “Al segretario chiediamo rispetto ma non rompiamo”, ma “il segretario non deve calpestarci come se fossimo una banda di masnadieri mascherati”. “Scissione per andare dove? Nessuno di noi la vuole. Non poniamo aut aut, però chiediamo più dignità. Anche i renziani dovrebbero abbassare un po’ le difese”. Sarebbe “un atto gravissimo” se Renzi ponesse la fiducia, “sono convinto che per rispetto del Parlamento non sarà messa”, e se ci sarà “si metterebbe a repentaglio il provvedimento”.
Infine, ancora sul quotidiano di via Solferino, Maria Teresa Meli scrive che “Matteo Renzi non vuole fare forzature con la sua minoranza interna, né inasprire i toni della polemica, ma ciò non significa che non sia più determinato che mai, anche perché considera già vinta questa partita”. Oggi chiederà al gruppo di votare su due punti: niente modifiche all’Italicum e niente emendamenti presentati dai parlamentari Pd. Meli scrive anche che “gli scrutini segreti rischiano di essere tanti. E segreto sarà, con tutta probabilità, anche il voto finale. Quindi il rischio di possibili imboscate trasversali è sempre dietro l’angolo”. Il ricorso alla fiducia “in realtà appare assai improbabile, anche se i renziani difendono questo strumento e non accettano le critiche di chi dice che utilizzarlo per l’Italicum sarebbe una forzatura inaudita”. Ma quello di Renzi è un “‘prendere o lasciare’, posto in maniera urbana ma molto netta”.

Centrodestra

Su La Stampa: “’Fine pena’: Berlusconi torna libero”, “Scontata la condanna Mediaset: restituito il passaporto, potrà spostarsi liberamente. Ieri è tornato a Cesano Boscone per una visita. Resta l’incandidabilità della Severino”. E il “retroscena” di Amedeo La Mattina: “Ma per le Regionali il timore di un flop è forte, ‘Spazio a nuovi innesti’”, “Il leader di Fi vuole trasformare le liste per le amministrative in un vivaio per il partito del futuro. Oggi il nome per la Toscana”.

Il Fatto: “Il Berlusconi dimezzato, libero ma senza voti”, “Estinta la pena per la frode fiscale, il Caimano può tornare a fare campagna elettorale. Ma le regionali sono un caos”, “Incandidabile fino al 2019, il capo di Fi spera nel ricorso a Strasburgo. Nel frattempo, apparizioni al minimo”.

Su La Repubblica: “Berlusconi è tornato libero, scontata la pena per Mediaset. Forza Italia: cambiare la Severino”, “Cadono tutti i vincoli, restituito anche il passaporto, ma l’ex premier non potrà candidarsi fino al 2019”. E sul ricorso all’Europa “l’ex Cavaliere punta sul sì in autunno: ‘Tornerò innocente’”, “La Corte di Strasburgo è chiamata a stabilire se l’incandidabilità è una sanzione penale o no”. Il quotidiano riferisce che però in gennaio i magistrati della Corte di Strasburgo hanno negato la trattazione d’urgenza del caso.

“Berlusconi libero, Renzi no” è il titolo dell’editoriale di Alessandro Sallusti su Il Giornale. Dove si legge che “è un bel giorno ma c’è poco da festeggiare”, perché “il danno personale e politico è stato enorme”. Ora “serve un Berlusconi libero di disfarsi” di “tutti coloro che hanno trasformato Forza Italia in un ring per interessi personali, di chi stava svendendo un patrimonio non suo a Matteo Renzi”, e “non importa se alla fine di questa operazione rimarranno in pochi o se pagherà dazio nei sondaggi”.

Sul Corriere intervista a Enrico Musso, ex Pdl che corre in Liguria con una lista civica. Dice che Toti con la Liguria “non c’entra niente”. Toti lo accusa di essere “il socio occulto” di Raffaella Paita. Lui risponde che “la Liguria è stata sacrificata sull’altare del Veneto”, facendo fuori un “politico del territorio” come Edoardo Rixi per “imporre uno che non c’entra niente”.
Sulla stessa pagina una intervista a Giorgia Meloni sulla Puglia: “Adriana si sta facendo usare. Il leader di FI non vuole più vincere”. Dice che il candidato per FdI rimane Schittulli, “lo abbiamo proposto per primi e tutto il centrodestra era d’accordo”. Nelle altre regioni: nelle Marche “per noi è impossibile allinearci su Gian Mario Spacca, del Pd” che il Pd non ha ricandidato e che oggi è sostenuto da Forza Italia “facendo una capriola incredibile”. In Campania con Caldoro, in Liguria “siamo perplessi” sulle modalità con cui è stato scelto Toti ma “vedremo, la nostra linea è decidere in base alla possibilità di battere la sinistra”, in Toscana “abbiamo proposto un candidato di rottura contro il renzismo dilagante” che si chiama Giovanni Donzelli.

Sul Sole, Lina Palmerini si chiede se Salvini “ci perde o ci guadagna” dall’alleanza con Berlusconi, e scrive che in Liguria “aver rinunciato al candidato leghista per appoggiare il fedelissimo di Berlusconi è stato un prezzo eccessivo da pagare visto come il partito sta implodendo sui territori oltre che a Roma”. L’alleanza insomma “potrebbe perfino danneggiare la Lega del nuovo corso di Salvini”. Oggi “è difficile immaginare un comizio a due, una photo opportunity tra il vecchio e il nuovo leader”, perché “il patto con Berlusconi è diventato per la Lega più un intralcio che un valore aggiunto. E il Cavaliere si è rivelato più un disgregatore che un federatore come invece è sempre stato in passato”.
Sul Giornale Adalberto Signore scrive che intanto Renzi, “facendosi forte di un’opposizione divisa e litigiosa ai limiti dell’inconsistenza “, punta “a confermare il 5-2 dal quale si parte (vincendo in Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Puglia e lasciando al centrodestra Campania e Veneto). Ma non è escluso che possa fare il colpaccio, portare a casa un 6-1 e blindare il governo almeno fino al 2016”.

Immigrati

Il Corriere racconta della “sparatoria in mare nella notte”, quando un gruppo di libici ha “attaccato una nave italiana della missione europea Frontex ” e “si è portato via il barcone dopo il trasferimento dei migranti” su un rimorchiatore italiano. “È il secondo episodio che si verifica in poche settimane. Gli aggressori erano a bordo di un mezzo della guardia costiera libica, si presume che se ne fossero impossessati come del resto avviene ormai da tempo”.

Su Il Giornale: “Gli scafisti sparano (di nuovo) alla nostra nave di soccorso”. “Assaltato da trafficanti rimorchiatore italiano. Lasciano i profughi, si prendono il barcone. Salvini: occuperemo gli hotel destinati agli immigrati. I superstiti: altri 400 morti in mare”. Nell’articolo si legge che gli spari non erano diretti alla Guardia costiera italiana ma a una nave islandese Tyr, che operava nell’ambito della operazione Frontex, che era stata chiamata ad assistere il rimorchiatore italiano. Quanto alla polemica politica, dopo l’appello del Viminale alle Regioni per prepararsi all’arrivo di immigrati, il leader della Lega rivolge un “appello” a “governatori, sindaci, assessori e consiglieri della Lega” per “dire no, con ogni mezzo, ad ogni nuovo arrivo”.

Per tornare al Corriere: “Salvini e i profughi: occupiamo gli hotel”. “‘Come Lega siamo pronti a occupare ogni albergo, ostello, scuola o caserma destinate ai presunti profughi'”. Si legge che “i suoi lo seguono”, che Luca Zaia ha detto che in Veneto “i posti disponibili sono zero” e che occorre dire “basta a una operazione di sostanziale fiancheggiamento dei trafficanti di uomini”, mentre Roberto Cota ha detto: “i nostri amministratori locali si opporranno con forza”.

Contrada

Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha stabilito che Bruno Contrada, ex capo della mobile a Palermo, non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché all’epoca dei fatti – dal 1979 al 1988 – il reato “non era sufficientemente chiaro”, Il Giornale intervista Contrada che dice di aspettare ancora di “essere assolto in nome del popolo italiano. Voglio una sentenza della giustizia del mio Paese, dove sono nato, vissuto e morirò. Se la sentenza può valere per questo, per la revisione del processo in Cassazione ben venga. Fermo restando che nessuno può restituire 23 anni di vita a un essere umano, la mia vita è distrutta”. Contrada ricorda di esser stato “31 mesi e 7 giorni in regime di carcere preventivo, limitando le mie possibilità di difesa e determinando nell’opinione pubblica la convinzione che, se ero stato incarcerato, qualcosa dovevo avere pur fatto. Tanti imputati di concorso esterno aspettano liberi il processo. Io invece dovevo stare dentro, unico detenuto (nel carcere militare di Palermo, ndr ) come Rudolf Hess a Spandau, a oltre 60 anni senza nemmeno un water decente perché in cella c’era il bagno alla turca. E non mi sono mai lamentato, e non ho mai chiesto niente, non mi facevo nemmeno portare cibo da casa. Perché non sono state prese in considerazione le testimonianze di 142 uomini delle istituzioni? Cinque capi della Polizia, direttori del Sisde, prefetti, questori, generali della Guardia di Finanza. E poi i tanti miei colleghi che sono venuti a testimoniare per me, quelli che lavoravano con me giorno e notte. Erano testimoni della verità dei fatti e li hanno disprezzati”.
La Stampa: “La Corte europea ‘assolve’ Contrada. L’ex 007: voglio giustizia anche in Italia”. Cosa scrivono i giudici di Strasburgo: Contrada “non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non era sufficientemente chiaro”.
La Repubblica scrive che quello che fu il primo grande processo antimafia dopo le stragi di Falcone e Borsellino, ovvero quello a Bruno Contrada, ex capo della squadra mobile di Palermo diventato negli anni Novanta il numero tre del servizio segreto civile, è ora “un processo sotto accusa”. I giudici di Strasburgo ritengono che il reato non fosse sufficientemente chiaro e prevedibile negli anni in cui Contrada avrebbe commesso i fatti che gli sono stati contestati: ovvero, la stagione delle complicità tra i vertici di Cosa nostra e uomini delle istituzioni, 1979-1988. Contrada ha finito di scontare nel 2012 una condanna a dieci anni, ribadita in tutti i gradi di giudizio, tranne una volta, scrive Silvio Palazzolo. Ma adesso la Corte europea rileva la violazione dell’articolo 7 della convenzione dei diritti dell’uomo, secondo cui non può esserci condanna senza che il reato sia chiaramente identificato. E l’Italia è stata condannata a pagare a Contrada dieci milioni di risarcimento per danni morali. Una condanna arrivata all’unanimità da parte dei sette giudici della Corte, tra cui l’italiano Guido Raimondi. “Così -spiega Palazzolo- il reato di concorso esterno (in associazione mafiosa, ndr.) non previsto dal codice penale ma frutto di un’elaborazione giurisprudenziale, è finito sotto accusa”. Lo stesso Palazzolo intervista Bruno Contrada, che dice: “Stavo per prendere Provenzano e fui fermato. Ora voglio la revisione”, “Tutti i miei guai sono iniziati nel 1992, quando ricevetti l’incarico dal direttore del Sisde di riorganizzare il servizio segreto civile per contrastare il pericolo dell’eversione mafiosa. A qualcuno non faceva piacere, nonostante il governo avesse dato indicazioni precise in tal senso”. A chi si riferisce? “LA Direzione investigativa antimafia non gradiva assolutamente. All’epoca, era diretta dal generale Tavormina, il suo vice operativo era Gianni De Gennaro, che aveva un ruolo inferiore al mio. Ci muovevamo su strade parallele”.
Il quotidiano riferisce anche cosa pensa in merito Antonio Ingroia che, come pubblico ministero alla DDA di Palermo, contestò il reato di concorso esterno in associazione mafiosa: “Per la giustizia italiana resta colpevole”.
Antonio Ingroia e Gian Carlo Caselli firmano su Il Fatto un intervento sul tema: “Fatti confermati, ed erano gravissimi”, “Strasburgo non contesta la ricostruzione dei magistrati italiani, ma semplifica la complessità delle questioni di Cosa nostra”.

Turchia

Due pagine de La Repubblica ancora per il caso genocidio armeno suscitato dalle parole di Papa Francesco. Se ne occupa Marco Ansaldo: “Erdogan contro Francesco: ‘Condanno il Papa, non ripeta più l’errore’”, “Dopo le parole del pontefice sul genocidio armeno. Oggi l’Europarlamento chiederà agli Stati di riconoscerlo”. E il governo italiano, intanto, ribadisce con il ministro Gentiloni che “nessun altro Paese ha tenuto più di noi le porte aperte ad Ankara per l’ingresso in Europa”, ma secondo il quotdiano ha deciso di “disertare” le celebrazioni in Armenia per il centenario del genocidio. Ci saranno i presidenti delle Commissioni esteri di Camera e Senato. Il cardinale Kasper, intervistato da La Repubblica, parla di “clima teso per i cristiani”, ma sottolinea che “non regge il paragone con il dopo Ratisbona”.

Sul Corriere: “Il Vaticano sceglie di far ‘decantare’ lo scontro”. “Oltretevere si fa notare la disponibilità di Ankara a una commissione congiunta”. Si citano le parole di Erdogan, che oltre ad invitare il Papa a “non ripetere i suoi errori”, ha detto che il suo Paese è pronto ad aprire gli archivi e a “creare una commissione congiunta di storici” con gli armeni. Si cita una ricerca di cui ha parlato Civiltà cattolica lo scorso mese, firmata da Padre Giovanni Sale e basata sulle ricerche di documenti del gesuita Georges-Henry Ruyssen: è appena uscito il quarto volume de “La questione armena”, con documenti dell’Archivio segreto, l’Archivio della Congregazione delle Chiese Orientali e l’Archivio della Segreteria di Stato.

Sul Giornale un commento di Paolo Guzzanti: “Adesso Erdogan minaccia il Papa. E l’Italia ha paura di dire ‘genocidio'”. Dice che “abbiamo assistito a un chiacchiericcio afono e sostanzialmente codardo, modello Alberto Sordi, che manda in bestia sia i turchi, che non vedono la Farnesina sconfessare la Santa Sede, e al tempo stesso fa infuriare tutti coloro che esigono la difesa della verità come premessa non rinunciabile cui appendere poi gli sviluppi politici e commerciali”.

Sul Corriere, Ricardo Franco Levi scrive: “Occorre chiarezza con questo Paese che crede di avere le carte in regola per entrare nell’Unione, ma di fatto non è così”. “Soprattutto, è una potenza regionale che non riesce a contenere le proprie ambizioni in un quadro di interessi condivisi”. Franco Levi ricorda che il dibattito sull’ingresso di Ankara nella Ue ha lasciato presto il posto al dibattito sui “conti” e i “dubbi”. Sui conti l’Ue ha presto capito che la Turchia, in base al suo reddito e alla sua popolazione, “avrebbe ricevuto più aiuti regionali e avuto più seggi al Parlamento europeo”. Sui dubbi, si ricordano quelli di chi “non la voleva nell’Europa dalle radici cristiane”. Invece “è ora di riconoscere e di dire apertamente che la Turchia non può entrare nell’Unione europea e che le ragioni di questa impossibilità sono interamente e profondamente laiche e politiche”.

Su Il Giornale, viene intervistato Pier Ferdinando Casini: “‘La deriva islamica? Colpa della Ue'”. “Il presidente della commissione esteri del Senato: l’incoerenza di Bruxelles ha frustrato la Turchia”. Casini dice di ricordare “il primo Erdogan, che bussava alle porte dell’Europa”, e “solo quando le ha trovate chiuse ha pensato di giocarsi la carta della leadership nel mondo islamico, anche scommettendo sui Fratelli musulmani e sponsorizzando la svolta egiziana di Morsi, finita come sappiamo”. Dice anche che Papa Francesco ha solo ripetuto quel che già Giovanni Paolo II aveva detto nel 2001, e che “la reazione della Turchia è ingiustificabile e sproporzionata”. Dice anche che si riconosce nelle dichiarazioni del ministro Gentiloni, e che l’Italia deve continuare a tenere “aperte le porte alla Turchia, in coerenza con la politica di Prodi e Berlusconi”. L’Europa deve “aiutare la Turchia ad uscire dal disagio attuale”.

Tesoretto

Su Il Sole 24 Ore Alberto Orioli scrive che “c’è Renzi e Renzi”, quello che al salone del mobile “annuncia, e fa bene, la conferma e l’estensione della dote (produttiva) destinata al settore dell’arredo” e quello che “ammicca, e fa male, al ‘tesoretto’ scoperto nelle celebri pieghe del bilancio”. Orioli chiama questo secondo “il bonus-deficit”, che “ha solo un effetto-annuncio e rischia di moltiplicare la lista di quanti, in un Paese prostrato da una crisi mai conosciuta prima d’ora, ritengono – e sono legittimamente moltissimi – di vantare un credito, di meritare un’attenzione, di avere diritto a un risarcimento, a una prebenda, a un lenitivo economico, a una sussistenza, a un assegno, una mancia, una qualunque”. E ricorda i dati Ocse, secondo i quali siamo sesti “per peso di oneri fiscali e contributivi su un salario medio per chi non abbia carichi familiari e diventiamo quarti se esistono figli a carico”.. Il rischio è che la “politica” stia “organizzando uno scaricabarile sulla responsabilità fiscale tra centro e periferia”, con l’aumento delle addizionali locali. “E sperare che il cittadino-elettore non lo capisca è illusorio. Anzi, è offensivo”.

E poi

“Pulmino, burritos e umiltà, Hillary si tuffa nell’America”, è il titolo del reportage di Paolo Mastrolilli su La Stampa: “L’ex first lady riparte dall’Iowa e cambia stile e tattica rispetto al 2008. Arriva in auto, si mescola alla gente e attacca: basta privilegi ai ricchi”. Nel 2008 si era presentata con l’elicottero e “la terra di John Wayne l’aveva rifiutata”, poiché le concessero un umiliante terzo posto nei caucus, dietro Barack Obama e John Edwards. “Qualcosa non funziona – ha detto Hillary – quando l’amministratore delegato di un’azienda guadagna 300 volte lo stipendio di un dipendente, il manager di un hedge fund paga meno tasse di una famiglia della classe media, e gli studenti escono dall’università con debiti che li soffocano”, “Mi sono candidata con quattro obiettivi: costruire l’economia del futuro, rafforzare le famiglie, correggere il sistema politico disfunzionale e proteggere il Paese dalle minacce esterne che vediamo e che ancora non conosciamo”.

Su La Repubblica, pagina 20: “Sentenza in Egitto: ‘No ai gay stranieri, è giusto cacciarli dal nostro Paese’”, “I giudici bocciano il ricorso di un libico contro la polizia: ‘Corrompono la morale’. Retate e arresti di omosessuali al Cairo”.

Il Sole pubblica l’intervista concessa ieri mattina a Radio 24 dal ministro Gentiloni. Si parla di Libia, di immigrazione e della partecipazione italiana alle missioni Onu.

Da segnalare sul Sole un intervento di George Soros dedicato alla Ucraina: “Unione rafforzata solo se saprà aiutare Kiev ma senza conflitto armato”. Soros scrive che in Ucraina si assiste ad un “progresso incalzante” delle “riforme interne”, “un programma di riforme radicali” che “sta diventando evidente anche agli occhi del popolo ucraino e delle autorità europee”. Riforme che contrastano con il “peggioramento della politica estera”, e l’Ucraina resta “sull’orlo del baratro” in mancanza di una estensione dell’aiuto bilaterale da parte della Ue.

Da segnalare sul Corriere una intervista a Giuliano Pisapia, che non fa nomi per il suo successore, che “dovranno essere le primarie” a scegliere il candidato, ma dice di “averne in mente diversi”. Dice che non crede che il centrodestra possa candidare un leghista (Salvini), e che esclude una candidatura di Berlusconi, “con il partito a pezzi e le aziende da salvare”. Sull’Expo racconta la “leggenda metropolitana” che si è diffusa in questi giorni: “È arrivata pure a me la mail con la storia dell’arabo che perde il portafoglio e come ricompensa avverte la donna che glielo riporta: ‘Non prenda la linea rossa della metro il primo maggio…’. Non ci ho dormito la notte”. Poi ha scoperto che durante le Olimpiadi di Londra era circolata una identica mail.

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