Milano, Roma, Reggio Calabria: inchieste e arresti

Il Sole 24 Ore: “Stretta su detrazioni e oneri deducibili. Per gli insegnanti 24 ore a settimana anziché 18, stop di un anno alla contrattazione per il pubblico impiego”.

Il Corriere della Sera: “Meno Irpef, Iva più pesante. I conti (difficili) per le famiglie”. A centro pagina, ma con un titolo più grande: “Assessore in cella, Formigoni in bilico. Ultimatum della Lega. Il Governatore ai suoi: nuova giunta o voto. L’accusa a Zambetti: ‘Pagò 4 mila voti alla ndrangheta. I lumbard consegnano le dimissioni al partito”.

La Repubblica: “La ‘ndrangheta al Pirellone”, “manette a un assessore di Formigoni. Ultimatum della Lega”. In taglio basso, sulla polemica Marchionne – Renzi: “’Città piccola e povera’. Firenze contro Marchionne”.

La Stampa: “Lombardia, manette in Regione”, “arrestato assessore Pdl: ‘comprò voti dalla ‘ndrangheta’. Lega: ultimatum a Formigoni”.

Libero: “Qui va giù la Lombardia”. Assessore regionale arrestato per aver comprato i voti della ‘Ndrangheta. La giunta Formigoni a un passo dal baratro. E a Roma spunta il Fiorito dell’Idv. Per far pulizia bisogna azzerare tutto”.

Il Giornale: “Qui viene giù tutto”. Un editoriale firmato da Mario Cervi (“Lasciare o no? La verità su Formigoni e la Lombardia”) è dedicato ai “guai giudiziari” del Presidente della Regione che “impongono un ‘mea culpa’”.

Il Fatto quotidiano, in riferimento alle inchieste su Milano, Roma e Reggio Calabria: “La grande retata”.

Pubblico: “Rottamatore di Firenze. Marchionne: ‘Renzi è il sindaco di una piccola, povera città’. Risposta: ‘Si deve sciacquare la bocca’. Secondo voi quante macchine venderà da oggi all’ombra del David?”.

L’Unità: “Voti mafiosi, basta Formigoni”. A centro pagina: “C’è un altro Batman nel Lazio. Ma è dell’Idv”. E in taglio basso: “Marchionne, la fabbrica dell’insulto”, “offese a Firenze: Renzi governa una povera e piccola città. Duro scontro tra il sindaco e D’Alema”.

Il Foglio apre con il Pdl che “senza capo né coda traffica a vuoto sulla legge elettorale”.

 

Indagini

 

Spiega il Corriere della Sera che l’Assessore regionale lombardo Domenico Zambetti è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver comprato un pacchetto di 4mila preferenze, decisivo per la sua elezione con 11.217 voti nelle Regionali 2010, pagando 200 mila euro a due colletti bianchi della ‘ndrangheta: un esponente della cosca Morabito-Bruzzaniti di Africo (Giuseppe D’Agostino, condannato per traffico di droga) e un referente del clan Mancuso di Limbadi. La Pm Boccassini dice: “Devastante che la democrazia sia inquinata”. Il Presidente della Regione Formigoni minimizza: “L’accusa è grave ma riguarda Zambetti. O è un abbaglio dei magistrati o ci ha tradito”. Zambetti è il quinto assessore arrestato tra le varie giunte di Formigoni, ed è il tredicesimo consigliere regionale arrestato su 80 (poi sono diventati 14, ndr).

Le accuse del Gip nei confronti di Zambetti: “Scambio elettorale e politico mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione aggravata”. Di fianco si dà conto delle intercettazioni tra i due colletti bianchi della cosca, delle loro pressioni su Zambetti, che piange, mentre gli ndranghetisti insistono per avere lavori sull’Expo e su di lui contano. Ha resistito, invece, all’offerta di un pacchetto di voti in vendita il capolista della lista civica della Lega Nord Marco Tizzoni. Per quel che riguarda Zambetti, si sarebbe trattato di 4 mila voti per le Regionali, in cambio del pagamento di una rata da 30 mila euro.

Si riferiscono poi le parole del segretario della Lega Lombarda Matteo Salvini: “La Lega è nata per combattere mafia, camorra e ndrangheta, e il ministro Maroni ha avuto grandi risultati. Un conto è discutere di sanità e Daccò, un altro è sentire puzza di ‘ndrangheta in Lombardia”. In serata Formigoni avrebbe chiamato il segretario Pdl Alfano e Berlusconi, che avrebbero ribadito la linea: se cade la Regione Lombardia, cadono anche le due guidate dal Carroccio (Piemonte e Veneto).

Secondo Il Fatto la Lega ha alzato la voce ma – come già tre mesi fa – non ha affondato il colpo, offrendo a Roberto Formigoni una alternativa alle dimissioni: l’azzeramento della Giunta ed “eventualmente un nuovo presidente”, come ha detto lo stesso Matteo Salvini. Tutti i consiglieri del Carroccio hanno consegnato le dimissioni. Il timore di contraccolpi in Veneto e in Piemonte, dove la Lega governa con il sostegno indispensabile del Pdl, sarebbe stato scongiurato da garanzie arrivate direttamente da Arcore: “Le responsabilità penali sono sempre personali”. Certo, il numero degli indagati cresce, e bisogna verificare se ci sono le condizioni per poter continuare, ha detto la ex coordinatrice regionale Maria Stella Gelmini.

Anche La Repubblica riferisce ampiamente sulle intercettazioni che coinvolgono alcuni “presunti ndranghetisti arrestati”: fra questi, Eugenio Costantino, di cui si riferiscono le parole a un affiliato: “Ti faccio un esempio: se mò Zambetti ci dà un lavoro, o noi gli diciamo: ‘Mimmo, guarda che ce lo devi far fare, adesso sai che c’è Expo, lui ci può aiutare, e li guadagnamo tutti noi… Lui me l’ha detto chiaro… Lui farà di tutto per farcelo avere… Più di così… Anche perché noi le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono, ha detto… Se voi trovate un lavoro, segnalatelo, io cerco di farvelo dare”. Il voto di scambio riguarderebbe anche l’ex presidente Pdl del Consiglio comunale di Milano Vincenzo Giudice, indagato per i voti dei clan fatti confluire in favore della candidatura in Comune della figlia Sara.

Sullo stesso quotidiano la difesa dell’interessata, che lasciò il Pdl in polemica con la candidatura di Nicole Minetti. Secondo la Giudice, si tratta di una trappola montata dal Pdl.

 

Il Fatto titola: “I Fiorito del Lazio. Cade anche l’Idv”. E’ stato indagato il capogruppo alla Regione Vincenzo Maruccio. L’indagine sarebbe partita anche questa volta da una segnalazione dell’Uif, l’intelligence finanziaria di Bankitalia, come per l’ex tesoriere Margherita Lusi e l’ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio Fiorito. Maruccio è indagato per peculato. E’ cresciuto nello studio legale dell’avvocato di Antonio Di Pietro, Sergio Scicchitano. E’ accusato di aver trasferito 500 mila euro dai conti del gruppo consiliare ai suoi, tra l’aprile 2011 e il giugno 2012. Nello stesso periodo avrebbe prelevato altri 200 mila euro. Maruccio si difende: “Non ho nulla da nascondere, le risorse del gruppo sono state utilizzate da me solo per attività politica”. Ad insospettire prima l’Uif e poi la Finanza sono decine di movimentazioni bancarie a suo favore, assegni e bonifiic trasferiti su almeno dieci conti correnti, non giustificati a parte la dizione generica “rimborso” o “bonifico”.

In un videomessaggio il leader Idv Di Pietro ha invitato Maruccio alle dimissioni, che sono state preannunciate.

Su La Stampa, un articolo di Mattia Feltri descrive “il talento di Tonino nello scegliere le persone sbagliate. Ma a tradirlo questa volta è il suo uomo ombra”, poiché presso lo studio dell’avvocato Scicchitano Di Pietro ha il suo domicilio professionale. E si ripercorre la lista di coloro che sono entrati in rotta di collisione con Idv: da Elio Veltri a Giulietto Chiesa, da Domenico Scilipoti ad Antonio Razzi, fino a Sergio De Gregoria.

 

La Stampa ha inviato a Messina Giovanni Cerruti, per seguire la traversata di Beppe Grillo dello stretto a nuoto: le ultime due bracciate a farfalla, e davanti si trova il suo candidato presidente Giancarlo Cancellieri, insieme a tanti altri che hanno accompagnato con un coro gli ultimi 100 metri. Grillo si era tuffato dalla costa di Reggio, città senza consiglio per infiltrazioni mafiose: “Lascio una fogna di là, ne ritrovo una di qua”. E poi aggiunge: “Il mio è il terzo sbarco in Sicilia in 150 anni. Il primo fu di Garibaldi che portò i Savoia, il secondo degli americani che portarono la mafia, il terzo sono io che porto il movimento Cinque Stelle. Ma né Garibaldi, né Bixio né Lucky Luciano sono arrivati a nuoto”.

E poi: “Li manderemo via con uno sputo digitale”, “la Sicilia è in credito perché lo Stato le deve un miliardo di euro, l’informazione passa dalla rete”.

 

Politica

 

R2 Diario di Repubblica si occupa di “nomenklatura”: le primarie del Pd riaprono la discussione sulla resistenza al ricambio delle classi dirigenti. Vi si trova, tra l’altro, una intervista al sociologo francese Alain Touraine, dedicata al caso di Ségolène Royal, che vinse contro l’apparato del partito socialista, ma fu battuta da Sarkozy: “Il Ps non l’ha capita e ha voluto eliminarla. Rappresentava, se vuole, il popolino e le classi medie, mentre i leader erano piuttosto dei notabili, degli alti funzionari”. L’anno scorso, invece, ha vinto un uomo dell’apparato, Hollande, contro il segretario del Partito Martine Aubry. “E’ stato un voto soprattutto per l’Europa – dice Touraine. Dopo la bocciatura della Costituzione europea, nel 2005, questo era il problema principale. La Aubry era sostenuta dal leader del no alla Carta Ue Fabius, ed è apparsa incline ad un possibile accordo con la sinistra radicale ed antieuropeista”. Secondo Touraine la questione sta nel fatto che è necessario comprendere che “solo le istituzioni comunitarie possono aiutare i singoli Paesi a superare la crisi”. Per quel che riguarda l’Italia, Touraine vede un estremo indebolimento del Pd: “Capisco la voglia di giovanilismo del sindaco di Firenze, ma non è una politica”. “Grazie a Monti e Draghi sono state prese misure coraggiose. Occorre mantenere una politica europea di cui l’Italia è al contempo l’autore e il beneficiario principale”.

 

Secondo Il Foglio il Cavaliere prepara lo “spacchettamento” del suo vecchio partito e la costruzione di più liste da aggregare in una nuova coalizione. Se Casini non ci sta, costruirà da solo il nuovo rassemblement dei moderati. Ha deciso che gli ex An si devono separare costruendo un loro partito alleato (secondo il quotidiano gli interessati, da Matteoli a Gasparri, passando per Alemanno) per ora resistono, “ma il Cavaliere sa essere persuasivo”. Secondo il Foglio Berlusconi si attrezza per le elezioni di aprile 2013, a legge elettorale invariata, con il Porcellum. Ha ormai deciso di tenere da conto Monti, perché sa che “ogni ipotesi di egemonia berlusconiana sulla vita dell’Italia politica e istituzionale è tramontata”.

 

Il senatore del Pdl e fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri compare in una intervista a Il Fatto, dove annuncia di esser pronto a creare un’altra Forza Italia, con Berlusconi: “Il nuovo partito sarà basato sui Circoli del buon governo”, fondati dallo stesso Dell’Utri, che spiega anche come Berlusconi aspetti i risultati siciliani per decidere se candidarsi. Perché secondo Dell’Utri alle elezioni in Sicilia non vincerà nessuno: “Ci sarà un tale frazionamento che, alla fine, il Presidente designato sarà costretto a cercare maggioranze che non avrebbe mai voluto”.

 

L’Unità riferisce delle risposte del leader Udc Pierferdinando Casini: “Non basta il passo indietro del Cavaliere, deve fare autocritica (dall’euroscetticismo alle promesse eccessive sulle tasse)”. Secondo il quotidiano Berlusconi è stato abile a prendere in mano la bandiera del Monti bis, ed è questo l’elemento più insidioso per Casini, Fini e Montezemolo. E’ all’agenda Monti che i leader terzopolisti e il patron Ferrari vogliono inchiodare il Cavaliere. Nel frattempo lo stesso Montezemolo è stato indicato dal Comitato governance di Unicredit come prossimo vicepresidente della banca: e secondo L’Unità la sua presenza sullo scenario post-berlusconiano è sempre più ingombrante: “Non è un mistero che il Cavaliere pensi a lui come nuovo federatore dei moderati”.

 

Su Il Giornale si descrive un Cavaliere perplesso, poiché il timing delle inchieste in corso sembra favorire un Monti bis. Poi si parla degli scontri tra i colonnelli, e si dice che sarebbero allo studio i dettagli economici della separazione degli ex An.

 

La Repubblica riferisce di due scontri verificatisi ieri che hanno interessato il sindaco di Firenze Matteo Renzi: dapprima con D’Alema, poi con Marchionne. Quest’ultimo ha insultato Firenze, poi ha fatto retromarcia. A D’Alema, che ieri, intervistato da La Stampa, diceva “Renzi ha sbagliato e se continuerà si farà del male” (dichiarazioni poi smentite dall’esponente Pd), Renzi ha rimproverato un tono “allusivo ed intimidatorio”. D’Alema diceva che Renzi “anziché in camper”, a Sulmona ci era arrivato in jet. “Ci sono arrivato in jet privato e sono salito in camper solo alle porte della città, è vero. Ma il jet me lo sono pagato da solo”. Tutti i particolari su La Stampa, che ieri aveva intervistato D’Alema.

Una querelle ha poi opposto Renzi all’ad Fiat Marchionne: “Non sono io ad aver cambiato idea su Marchionne, ma lui ad aver tradito e preso in giro operai e politici”, ha detto Renzi. In risposta Marchionne definisce il sindaco di Firenze “la brutta copia di Obama, che pensa di essere Obama”, “sindaco di una piccola, povera città”. Il sindaco rottamatore, scrive La Repubblica, si indigna e incassa la solidarietà di Bersani e Vendola: a Marchionne vorrei dire che è liberissimo di pensare che io non sia capace, ma prima di parlare di Firenze si sciacqui la bocca”. Infine, Marchionne precisa il giudizio negativo su Renzi, ma dice: “I miei presunti commenti (Marchionne parlava a Bruxelles in una tavola rotonda a porte chiuse, ndr) non devono essere interpretati come un giudizio sul valore di Firenze”.

Europa ha in prima la prefazione firmata dallo stesso Renzi al libro (più esattamente un ebook) del giornalista Guido Moltedo, biografia europea di Barack Obama, dal titolo “America adesso. Da rockstar a presidente: la seconda sfida di Obama”. Secondo Renzi la politica di Obama cresce dal basso ed è “connessa” con l’America di oggi.

 

Su Il Foglio si dà conto delle divisioni a sinistra tra il “governista” Nichi Vendola e “l’aventiniano” Bertinotti: su quest’ultimo fronte sarebbero una parte della base di Sel, i militanti in bilico tra Rifondazione e Sel, i movimentisti che il 30 settembre si sono riuniti a Roma per parlare della direzione da prendere, il settimanale di sinistra libertaria Gli Altri che settimane fa criticava la svolta di Vendola al grido di “Nichi non farlo”.

 

E poi

 

Cinquant’anni fa il Concilio Vaticano II. Su La Stampa si scrive che alcuni documenti hanno svelato la sottovalutazione dell’evento da parte degli Usa. Per il Dipartimento di Stato era un “meeting pittoresco”. Se ne occupa su La Repubblica anche Marco Ansaldo: “La memoria perduta del Concilio”, “i documenti smarriti dell’Archivio cinquant’anni dopo il Vaticano II”, che è stato l’evento religioso più importante del 900, ma l’inventario sarà pubblicato completo.

 

Su Il Fatto una analisi di Marco Politi: “Cinquanta anni fa il Concilio del Papa coraggioso”. Dove si legge che il Vaticano II fu un rito “poco comunitario” ma capace di aprire per la Chiesa una fase di confronto. Tra la folla assisteva emozionato un giovane Ratzinger.

 

Su Il Foglio Paolo Rodari scrive che Papa Ratzinger invita a stare alla lettera, sui documenti del Concilio II: “Dobbiamo liberali da quell’ammasso di pubblicazioni che invece di farli conoscere li hanno nascosti”, ha detto Ratzinger. Il Vaticano II è stato un avvenimento unico nella vita della Chiesa. Altri Concili lo hanno preceduto, ma erano stati convocati per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo (Nicea nel 325 contrastò l’eresia ariana, Calcedonia nel 451 affermò l’unica persona di Cristo in due nature, e via dicendo). Ma per quel che riguarda il Concilio Vaticano II, dice Ratzinger: “Quando venne convocato non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né questioni di dottrina da chiarire”. C’era invece la necessitò di delineare “in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’era moderna, tra il cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso ma per presentare a questo nostro mondo che tende ad allontanarsi da Dio l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza”.

 

Su La Stampa il vaticanista Andrea Tornielli: “Quando Ratzinger voleva abolire il latino”. Si scrive che il futuro Pontefice all’inizio del Concilio era su posizioni progressiste da cui poi si distaccò a “oggi rilegge criticamente alcuni documenti dell’epoca”, secondo Tornielli). Era insofferente agli schemi della Curia, e convinto assertore di una riforma liturgica: riteneva necessario “forzare il muro del latino” ed ampliare la selezione dei testi biblici.

Il quotidiano analizza anche le risposte del Dipartimento di Sato Usa nei giorni che precedettero l’inaugurazione: la sensazione è che gli Usa dei cattolici Kennedy non ritenessero fondamentale la partecipazione di una delegazione alla cerimonia. Fanfani con il vicepresidente Johnson perorò la causa della partecipazione, ma il muro del rifiuto non venne scalfito, come si legge da alcuni stralci del carteggio. E ancora su La Stampa, intervista allo storico e teologo gesuita John W. O’Malley: “La riconciliazione è uno dei grandi temi che ripercorrono il Concilio”, “la Chiesa si è allontanata dal ‘imperialismo culturale dell’Occidente’ che toccava persino i missionari cattolici. Ancora più rilevante è stata la riconciliazione con gli ebrei e i musulmani, come espresso nel documento Nostra Aetate. Questo implicava lasciare alle spalle una tradizione di denigrazione delle altre fedi, una tradizione che aveva contribuito all’orrore della Shoah”.

 

Sulle pagine R2 de La Repubblica Nadia Urbinati recensisce il nuovo saggio di Chiara Saraceno, dal titolo “Coppie e famiglie, non è questione di natura”. Ovvero: quando la famiglia non è più così naturale si pone una nuova questione di diritti che andrebbero allargati a nuove forme non tradizionali.

 

Su Pubblico si riferisce di come una donna abbia deciso di ricandidarsi alla guida di Libertà e Giustizia, il braccio politico dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani. 49 anni, un passato sui libri di farmacia, ex capo del comitato delle donne al partito al Cairo, segretario della sezione femminile. Si chiama Sabbah Al Saqqari.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *