L’Italia è per Obama “on the right track”. Letta nello Studio Ovale, a Roma governo in tensione.

Il Corriere della Sera: “Processo Stato-mafia, Napolitano testimone”. “Sì della Corte: il Colle: valuteremo”. “Il ministro della giustizia Cancellieri: inusuale”. Il titolo più grande è dedicato alla situazione politica: “Monti e il Pd agitano il governo. Il senatore lascia Scelta Civica. Fassina pronto a dimettersi. La legge di Stabilità provoca nuove tensioni in una maggioranza già scossa dal caso Berlusconi”. A centro pagina l’incontro alla Casa Bianca tra Letta ed Obama: “Obama promuove l’Italia. Letta: adesso avanti così”.

 

La Stampa: “Obama vota la fiducia a Letta. ‘L’Italia è sulla strada giusta. Il premier a pranzo alla Casa Bianca: subito un piano di privatizzazioni”. “Il Presidente Usa guarda al nostro semestre di guida della Ue: lavoriamo insieme per la crescita”.

 

La Repubblica: “Obama: Italia nella direzione giusta”. “Letta a pranzo alla Casa Bianca”, “il viaggio del premier in America mentre scoppiano le polemiche sulla manovra. Fassina vorrebbe lasciare il governo. Nel Pdl resta il caos”. “Scelta Civica, Monti si dimette”.

 

Il Sole 24 Ore: “Dal 2015 mix di imposte per 10 miliardi. Nella manovra più tasse (aliquote e accise) e meno sgravi per le coperture 2015-2017: la stangata si eviterà se ci saranno tagli di spesa”. “Cinque milioni di prime case finora esenti dall’Imu rischiano di pagare la nuova Tarsi”. Di spalla: “Trattativa Stato-mafia: ‘Sentire Napolitano’. Il Colle: valuteremo”.

 

Il Giornale: “Decade Monti. Il prof fatto fuori. Prima vittima dei pasticci del governo: l’ex premier lascia Scelta civica. Doveva cambiare l’Italia, è stato sobriamente messo all’angolo dai suoi”. Il titolo di apertura, con commento del direttore Sallusti, è per la possibile testimonianza di Napolitano al processo Stato-mafia: “I giudici umiliano Napolitano e risfidano Berlusconi”. “Procure scatenate”.

 

Il Fatto quotidiano: “Ora Napolitano deve dire tutta la verità”, “sarà testimone a Palermo”. Il titolo più grande: “Monti molla Scelta vvicica, il Pd spara sulla manovra”.

 

L’Unità: “La battaglia sulla manovra”

 

Libero: “Manovra da cambiare. Regalo alle banche. Mentre il cuneo fiscale darà ai dipendenti la miseria di 14 euro al mese, gli istituti festeggiano per il maxisconto fiscale che porterà loro utili miliardari: più 7 per cento nel 2014, più 11 nel 2015”.

 

Pd, governo, Renzi, Monti

 

Matteo Renzi viene intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. La prima domanda è sulla legge di Stabilità, e Renzi spiega che il compito di commentarla spetta al segretario del Pd, “chi pensa che da qui alle primarie io faccia il controcanto al Pd, o peggio al governo, si sbaglia”. Poi aggiunge che occorre una “rivoluzione capillare che non passa per la legge di Stabilità, ma dalla riconsiderazione del sistema italiano”, perché “quello di cui ha bisogno l’Italia non è cambiare tutto ma cambiare tutti. Ognuno nella sua testa deve cambiare un pezzettino. Anche l’establishment economico e finanziario, che ha colpe forse non più gravi di quelle dei politici, ma ha fatto perdere

tempo e occasioni all’Italia”. Sul tetto del 3 per cento dice che è “anacronistico”, “l’Europa deve cambiare: non per l’Italia, per se stessa”.

Per Renzi occorre “semplificare la burocrazia, il fisco, la giustizia, le norme sul lavoro. Perché non possiamo avere le stesse norme sul lavoro della Germania?”. “Tutto ciò che viene dalla dismissione del patrimonio pubblico va a ridurre il debito. Tutto ciò che viene dal recupero dell’evasione va a ridurre la pressione fiscale. Lo Stato non può intervenire con la logica degli ultimi anni, e ogni riferimento alla Telecom dei capitani coraggiosi e all’Alitalia è puramente voluto. Non possiamo continuare con un modello dirigista, con lo Stato che decide, e la Cassa depositi e prestiti che fa da tappabuchi”. Ma di fronte alla crisi un intervento pubblico non è inevitabile? “Ma il sistema capitalistico italiano ha responsabilità atroci. Inutile lamentarsi non solo della politica; anche le banche hanno le loro colpe da emendare. Ogni euro investito in operazioni di sistema e perduto è un euro tolto alle aziende, alle famiglie, agli artigiani consegnati all’usura che alimenta la criminalità”.

Sui rapporti con il governo Letta e le accuse di mirare a logorarlo: “La cronaca di questi sei mesi ha smentito chi mi accusava di cospirare”, “io non attacco il governo. Parlo di quel che serve all’Italia nei prossimi anni”. Sul Pd e il rinnovamento: “Non credo a un Pd che butta fuori la gente: sono per includere, non per escludere. Perché respingere quelli della vecchia guardia che non ce l’hanno con te? E poi ho un rapporto di stima con Gianni Cuperlo”, “se vinco alle primarie subito dopo lavorerò per allargare”.

Il Corriere della Sera si occupa della decisione di Mario Monti di lasciare la guida della formazione con cui aveva deciso di “salire” in politica, ovvero Scelta civica. Il 31 luglio scorso era stato fermato sulla porta dal compagno di partito e parlamentare Alberto Bombassei e convinto a ritirare le dimissioni, dopo uno scontro con un altro membro della formazione, Andrea Olivero. Ma ieri ha annunciato di aver lasciato la presidenza di Scelta civica e di essere passato al gruppo misto. Con un lungo comunicato ha spiegato di essersi sentito sconfessato dagli 11 senatori “più uno” (il ministro della difesa Mauro) che ieri hanno firmato una dichiarazione di sostegno al governo sulla legge di stabilità. “Non posso non intendere questa dichiarazione come una mozione di sfiducia nei miei confronti”. La decisione di Monti arriva al termine di una serie di scontri nel partito, da tempo diviso su molte questioni: la possibilità di un dialogo con i moderati del Pdl, l’approdo europeo (PPE versus Alleanza dei LibDem), il sostegno al governo. Le diverse componenti, ovvero i montiani, i centristi dell’Udc, Italia Futura, i cattolici di Sant’Egidio, non sono riusciti ad amalgamarsi. A far traboccare il vaso è stato, secondo il Corriere, l’incontro di Mario Mauro, eletto di Scelta Civica, con Silvio Berlusconi. A lui è dedicato un passaggio dell’intervento di Monti: “In questi giorni il senatore Mauro è venuto preconizzando, da un lato una linea di appoggio incondizionato al governo, posizione legittima – e naturale in chi fa parte di un governo – ma che non è la linea di Scelta civica. Dall’altro il superamento di Scelta civica in un soggetto politico dai contorni indefiniti. Ma, a quanto è dato capire, aperto anche a forze caratterizzate da valori, visioni e prassi di governo inconciliabili con i valori, la visione, lo stile di governo per i quali Scelta civica è nata. Per quel che riguarda la legge di Stabilità, Monti ha spiegato che essa appare timida per quanto riguarda “la riduzione delle tasse e insoddisfacente per quanto riguarda l’orientamento alla crescita”. Difende Monti il senatore Della Vedova: “La sua decisione è stata quella di provocare unochoc per evitare una deriva negativa che rischiava di trasformare un partito riformatore in un partito centrista che guarda a destra”. Nel retroscena si spiega che c’è stato uno scontro tra lealisti e governativi, come nel Pdl, anche in Scelta civica. Poi si descrivono i sospetti di Monti su Casini, sei mesi di accuse e veleni.

Su La Stampa: “dietro l’addio c’è anche il riavvicinamento di Mauro a Berlusconi”. Si spiega che il Professore è stato “messo all’angolo” dall’asse tra ex Dc e alfaniani: Monti da almeno un mese scrutava con sospetto le mosse del ministro della Difesa di origine “ciellina” Mario Mauro. Ma già in estate aveva capito che dentro il suo partito l’area cattolico-moderata raccolta intorno a casini puntava a “mettersi in proprio”. Nelle ultime settimane si sono intensificati i rapporti tra gli “alfaniani” e l’area Casini-Mauro. “Il tramonto di SuperMario che doveva salvare il Paese” è il titolo del ritratto che Filippo Ceccarelli dedica al personaggio su La Repubblica: “Mario Monti o della dissipazione. Crudele è il destino dei salvatori della patria, chiamati a domare con successo lo spread e finiti vittime delle beghe para-condominiali di Scelta civica”.

 

Napolitano

 

Su La Repubblica si parla delle “riserve” al Quirinale, in un articolo intitolato “Irritazione sul Colle: Consulta aggirata”. La decisione della Corte d’Assise di Palermo di ammettere tra i testi del processo per la presunta trattativa Stato-mafia il Presidente della Repubblica è stata accolta ieri al Quirinale con prudenza: “Aspettiamo di conoscere l’ordinanza integralmente per valutarla nel massimo rispetto istituzionale”. Ma la riserva deriva dal fatto che la Corte avanza la richiesta senza “tenere in debita considerazione” – scrive La Repubblica – la sentenza della Consulta che in nome della riservatezza assoluta sull’operato del Presidente della Repubblica ordinò la distruzione dei nastri che contenevano le sue conversazioni. Napolitano non verrà chiamato a testimoniare su quelle conversazioni, scrive il quotidiano. “Viene chiamato a deporre su quel che gli avrebbe raccontato D’Ambrosio, i suoi timori, le preoccupazioni, i sospetti su una possibile trattativa tra Stato e mafia”. Ma le conversazioni tra il Capo dello Stato e il suo consigliere giuridico sono separabili da quelle dell’uomo “privato” Napolitano?, si chiede il quotidiano.

In prima pagina sul Corriere della Sera Massimo Franco sottolinea il rischio che “il capo dello Stato appaia oggetto di un ulteriore strattone da parte di alcuni settori del potere giudiziario immersi da tempo in conflitti interni”. E riferendosi all’aggettivo ‘inusuale’ utilizzato ieri dalla ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri in relazione alla richiesta di testimonianza, Franco evidenzia come sia sintomatica dell’imbarazzo per una decisione che “accoglie e insieme schiva le decisioni della Corte costituzionale”, che ordinò la distruzione delle intercettazioni tra il Quirinale e l’ex ministro Mancino. La risposta del Colle, “ineccepibile e insieme gelida” lascia trasparire l’eventualità di un nuovo conflitto tra i vertici dello Stato. Del resto, “il fatto che perfino il presidente del Senato Pietro Grasso, sia stato chiamato a deporre a Palermo, non rende l’iniziativa meno singolare, anzi, Grasso è stato a lungo ai vertici della Procura del capoluogo siciliano e poi capo dell’Antimafia a livello nazionale”. A pagina 3, un “dietro le quinte” firmato dal quirinalista del Corriere: “Le ‘riserve’ del Quirinale. Resta la via del ricorso. L’ipotesi di rivolgersi di nuovo alla Consulta”. L’unico precedente, ricorda Breda, è quello di Cossiga nel 1990: fu sentito sul caso Gladio, ma prima che iniziasse il processo.

L’Unità sottolinea che saranno ascoltate le massime cariche dello Stato e che la Corte D’Assise di Palermo ha deciso di ammettere tutti i 175 testimoni chiesti dalla pubblica accusa, dal capo dello Stato al presidente del Senato Grasso, fino al procuratore generale Gianfranco Ciani, continuando con una lunga sfilza di politici. Il Fatto scrive che saranno ascoltati anche Donato Marra in quanto ex segretario del Quirinale, Vitaliano Esposito (ex Procuratore generale della Cassazione), Pasquale Ciccolo (che era procuratore aggiunto in Cassazione). Il quotidiano illustra così le ragioni che hanno portato alla convocazione di Napolitano: perché Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, aveva il timore di “essere considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”? E, in un articolo nella pagina di fianco: “Cosa sapeva D’Ambrosio degli ‘indicibili accordi’”? Il Foglio spiega che, secondo l’articolo 205 del codice di procedura penale sarà la Corte d’Assise a spostarsi al Quirinale, ma il Colle potrebbe rinunciare a questa prerogativa e recarsi a Palermo come un qualsiasi testimone. Quanto a D’Ambrosio, il quotidiano evidenzia quel che scrisse nella sua ultima lettera: “d’ora in avanti ogni più innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità”.

 

Berlusconi

 

Da Il Giornale: “Ruby, i pm di Milano pronti a ‘riprocessare’ Berlusconi”. La Procura sarebbe già “al lavoro sul terzo procedimento del filone e attende soltanto le motivazioni dei primi due. Si comincia prima di Natale”. Di cosa verrebbe accusato questa volta il Cavaliere? Di subornazione di testimoni, secondo il quotidiano (pena fino a quattro anni di carcere), oppure di corruzione in atti giudiziari (fino a otto), nell’ambito dell’inchiesta sulle manovre difensive che avrebbe messo in campo per cercare di farsi assolvere nel processo Ruby, comprando testimoni con soldi o promesse e spingendoli al silenzio o alle menzogne: “quasi tutti i testimoni che in aula lo hanno scagionato, secondo il tribunale, hanno detto il falso: non solo Ruby, non solo le ragazze di via Olgettina, ma anche giornalisti come Carlo Rossella, poliziotte come Giorgia Iafrate, e poi parlamentari, agenti segreti, domestici”. Le indagini, ha fatto sapere la Procura, partiranno ufficialmente non appena, tra le fine di novembre e l’inizio di dicembre, i giudici del processo Ruby 1 e Ruby 2 depositeranno le motivazioni delle loro sentenze.

 

Il Fatto scrive che entro Natale in 33 saranno accusati di falsa testimonianza: la Procura milanese sarà obbligata ad iscrivere nel registro degli indagati, insieme a Berlusconi, i suoi avvocati parlamentari Niccolò Ghedini e Pietro Longo, il viceministro Bruno Archi, l’eurodeputata Licia Ronzulli, il cantante Mariano Apicella.

 

Anche sul Sole 24 Ore: “Nuova inchiesta su Berlusconi per le testimoni sul caso Ruby”. Il quotidiano ricorda anche che domani i giudici della terza sezione della Corte d’Appello dovranno decidere della durata della interdizione dai pubblici uffici di Berlusconi.

 

Manovra

 

L’Unità intervista la segretaria Cgil Susanna Camusso: “Letta ci ascolti, cambiamo la legge”. Si dice delusa dal governo e sottolinea: “c’è ancora un’impronta liberista dannosa, affrontiamo le disuguaglianze e puntiamo su industria e innovazione”

Il Sole 24 Ore spiega che la Commissione europea farà entro metà novembre una analisi approfondita della legge di Stabilità. Per la prima volta l’esecutivo comunitario è chiamato ad una valutazione ex-ante del bilancio del prossimo anno. Al di là del nodo delle coperture, quello che appare più problematico, Bruxelles dovrà soppesare crisi economica e fragilità politica. L’Italia ha trasmesso finora, al giorno della scadenza del 15 ottobre, solo una parte della documentazione attesa dalle autorità comunitarie. Secondo il quotidiano, l’esecutivo Ue potrebbe esser stato rassicurato dall’impegno del Paese a rispettare gli obiettivi di bilancio del 3 per cento e del 2,5 per cento del Pil rispettivamente nel 2013 e nel 2014: i dati sono infatti in linea con le previsioni dell’esecutivo comunitario della primavera scorsa. La commissione potrebbe anche essere soddisfatta dall’obiettivo del governo di ridurre le tasse sul lavoro e il cuneo fiscale, su cui più di una volta a Bruxelles avevano messo l’accento, affinché si spostasse l’onere fiscale dal lavoro e dal capitale ai consumi e ai beni immobili. Bisognerà anche capire come i servizi del commissario agli affari economici Rehn considereranno il rinvio delle misure di dettaglio per le coperture dal 2015 al 2017 che ancora ieri a Roma stavano mettendo a punto. E poi i tagli alla spesa e la vendita di immobili. E’ necessario evitare che ci siano misure una tantum, visto che la commissione insiste per operazioni che siano strutturali, anche in vista di un impegno a ridurre il debito pubblico di un ventesimo all’anno.

Intanto ieri c’è stata fibrillazione all’interno del governo per via della minaccia di dimissioni del viceministro dell’economia Stefano Fassina, Pd. Il Fatto titola: “Letta va negli Stati Uniti. Il Pd spara sulla manovra”, “il viceministro Fassina pronto a dimettersi. Epifani gli dà ragione. Il partito si prepara a modifiche sostanziali alla legge di bilancio”. Ha spiegato ieri il segretario Epifani in merito al preannuncio di dimissioni: “Non credo che sia a causa di questa legge di stabilità. Fassina lamenta la mancanza di collegialità. Credo abbia ragione”. Per quel che riguarda l’iniziativa dei deputati Pd per cambiare la legge di stabilità, il quotidiano scrive che gli obiettivi immediati sono almeno 2: aumentare le risorse per la riduzione del cuneo fiscale e allegerire il peso sugli statali. Ma si vuole evitare anche che la nuova tassa sulla casa, la Tasi, pesi sui redditi più bassi. Di qui l’ipotesi di una franchigia come era nel caso dell’Imu voluta da Monti.

Per quel che riguarda le coperture, si confida su due poste finora non esplicitate: il primo è l’accordo con la Svizzera, per far emergere i fondi detenuti nelle banche elvetiche da cittadini residenti in Italia; l’altra copertura cui pensa il Pd è l’aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie dal 20 al 22 per cento. “Un pd che si dispone a questa ‘battaglia’ – scrive Il Fatto – non è solo un partito che sente aria di elezioni, come sospettano nel Pdl, ma anche un partito che deve gestire le primarie dell8 dicembre, e in cui nessuno vuole concedere vantaggi competitivi a Renzi. Come dimostra l’altra dichiarazione di Epifani, contrario a ‘indulti e amnistie continue’”.
Su La Repubblica: “Nuova ipotesi sullo sconto Irpef, bonus fino a 200 euro l’anno ma limitato ai redditi più bassi”.

 

Priebke

 

Il Corriere della Sera descrive “l’ultimo schiaffo di Priebke” parlando del videotestamento diffuso ieri dall’avvocato del capitano nazista, Paolo Giachini. E’ Giachini ad interrogarlo con una voce fuori campo. Spiegava Priebke, parlando delle Fosse Ardeatine: “L’esecuzione fu terribile, ma era impossibile dire di no, perché chi non avesse sparato sui prigionieri sarebbe stato fucilato”. Parla anche dell’attentato di via Rasella: “Il Gap, i comunisti italiani, fecero un attentato contro gli uomini della polizia tedesca. Erano uomini dell’Alto Adige, dunque italiani. Sapevano perciò che dopo l’attentato viene la rappresaglia”. Priebke ricorda infatti che il feldmaresciallo Kesserling li aveva avvertiti di questa conseguenza: “Ma loro fecero ciò di proposito perché pensavano che la rappresaglia poteva provocare una rivoluzione della popolazione”.

 

Su La Repubblica Thomas Schmid, direttore del quotidiano tedesco Die Welt, denuncia “il silenzio colpevole della Germania”. “C’è un uomo che non trova la sua tomba. Un uomo la cui salma non è gradita. Si chiama Erik Priebke, pochi in Germania conoscono il suo nome, che invece in Italia risuona come simbolo”. Schmid ricorda che Henningdorf, la città natale di Priebke, gli ha negato sepoltura con motivazioni “vili, non nel contenuto ma nel linguaggio burocratico”: “norme sui cimiteri che non consentono sepolture ai non residenti”. Posizione meschina, purtroppo simile a quella del governo federale. Una sepoltura di Priebke a Roma sarebbe stata “oscena”, e la Germania avrebbe dovuto liberare velocemente e di sua iniziativa l’Italia dal dilemma, offrendosi di accogliere la salma: “Priebke fu un assassino tedesco. La Germania, che per quattro giorni ha ignorato la sua morte, è il luogo giusto per accogliere la salma di Priebke in una tomba anonima”.

 

Internazionale

 

Su La Stampa, in prima un’analisi firmata da Roberto Toscano: “L’Iran si apre, ma l’America vorrà capire”.

Dal Corriere segnaliamo un’analisi di Jean-Marie Colombani, già direttore di Le Monde: “Sinistra arcaica, destra screditata, dietro il successo di Marine Le Pen”.

Su La Repubblica il corrispondente da Berlino spiega che in Germania “sarà ancora ‘Grosse Koalition’”. C’è accordo tra il centrodestra e i socialdemocratici della Spd. Ad annunciare il raggiungimento di un accordo è stato il presidente Spd Sigmar Gabriel, che ha voluto sottolineare come si sia trattato di una scelta unanime nel partito. Ma la risposta definitiva verrà da un congresso lampo straordinario della Spd previsto per domenica. Dovrà avallare la scelta. E circolano dubbi e timori: la Spd, pur di assicurare la governabilità, si rassegna a rischiare di “merkelizzarsi”, ovvero di cedere temporaneamente al no della Merkel agli eurobond e di sottomersi ad una Cancelliera abilissima, capace di far propria ogni idea di politica sociale o di centrosinistra pur di consolidare il proprio potere. Il negoziato sul programma di governo potrebbe durare anche fino a dicembre o inizio gennaio. I socialdemocratici hanno chiesto insistentemente l’introduzione del salario minimo.

Se ne occupa anche Il Sole 24 Ore, spiegando che oltre al nodo del salario minimo, resta da sciogliere quello sulle tasse ai redditi più alti.

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