L’imprevisto trionfo di Bibi

Il Corriere della Sera: “Il caso Lupi agita il governo”. “Vertice notturno, Renzi spinge per le dimissioni”. “Il ministro: non ho fatto nulla”. “Mozione di sfiducia di Sel e M5S”. “Scontro tra il premier e l’associazione magistrati”.
In alto il quotidiano dà conto dei risultati degli exit poll in Israele, che davano alla pari il Likud e l’Unione Sionista. L’esito finale è stato molto diverso dagli exit poll e dai sondaggi: Benjamin Netanyahu ha vinto: il suo partito, il Likud, ha ottenuto 30 seggi nella nuova Knesset israeliana, mentre l’Unione sionista del laburista Isaac Herzog si ferma a 24 seggi. Con lo spoglio delle schede ultimato nella notte la Lista araba Unita è emersa dal voto di ieri come terzo partito, con 14 seggi. Il commento di Antonio Ferrari sul quotidiano milanese è titolato “la rimonta di Bibi il duro”.
A centro pagina: “Sì alla banca cinese: l’Europa sfida gli Usa”. “Dopo Londra aderiscono Parigi, Berlino e Roma”.
A fondo pagina il quotidiano si occupa dell’arresto del presidente di Federacciai in Belgio: “Il manager arrestato dal giudice scrittore. In cella Gozzi, l’industriale dell’acciaio. Intrigo internazionale tra mazzette e principesse”. Il giudice scrittore è Michael Claise, “fustigatore di crimini finanziari e romanziere di successo”, scrive il Corriere.
In alto: “Russia e Ucraina. La protesta della pilota nelle prigioni di Putin”.

Su La Repubblica una grande foto dei sostenitori di Bibi Netanyahu esultanti. Il titolo è fermo alla serata di ieri: “Israele vota, è testa a testa. Netanyahu: ho vinto io”. La notizia confermata è però che il partito arabo è terza forza.
Sulla inchiesta grandi appalti e il tema corruzione, in apertura a sinistra: “Il governo scarica Lupi, ma lui: resto”, “Corruzione, duello premier-Anm”, “Arrestato il presidente Federacciai”.
In prima il richiamo all’intervista con coyright di Le Monde all’oppositore russo e blogger anti-corruzione Alexej Navalny, che dice: “L’omicidio Nemtsov autorizzato da Putin contro l’opposizione”.
A fondo pagina, una ricerca basata sui dati Istat (“Rapporto sulla popolazione. L’Italia nella crisi economica”, edito da Il Mulino): “L’emigrazione rovesciata. Gli italiani del Nord con la valigia”. I dati Istat 2008-2013 certificano la partenza di 30 mila persone l’anno dal Nord, mentre si è praticamente fermato il flusso dal Sud.

La Stampa, con foto della festa al quartier generale del Likud dei supporter di Netanyahu dopo i primi risultati: “Rimonta di Netanyahu. Testa a testa in Israele”.
In apertura a sinistra: “Pressione su Lupi: ‘Pensa di lasciare’. Ma il ministro nega”, “Nelle carte della Procura di Firenze le telefonate per fare incontrare Incalza e il figlio neolaureato”.
In prima l’intervista ad Antonio Di Pietro, che fu ministro delle Infrastrutture e dice, in riferimento ad Ercole Incalza: “Solo io lo cacciai”, “L’ex pm: da destra e sinistra difesero il superdirigente”.
Poi le notizie dal Belgio: “Tangenti, manette al re dell’acciaio”, “’Gozi pagò bustarelle per gli appalti in Congo’”.

Il Sole 24 Ore: “Fed in manovra sui tassi. Lo spread risale a quota 98”. “Allarme Fmi: Paesi emergenti molto esposti a stretta Usa”. E poi: “Bene il collocamento di Btp a 15 anni. Domani vertice Ue, Tsipras chiede che sia sulla Grecia”.
Di spalla: “Lupi assediato. ‘Non lascio’. Mozione di sfiducia M5S-Sel”. “Renzi favorevole a un passo indietro ma non vuole conflitti”. “Sabelli (Anm): carezze ai corrotti e schiaffi ai giudici. Il premier replica: frase falsa e ingiusta che fa male”.
“Le colpe di Lupi e i doveri della politica” è il titolo dell’editoriale, firmato da Guido Gentili.
In alto anche il quotidiano di Confindustria parla di “testa a testa” tra Netanyhau e i laburisti, con i dati degli exit poll.

Il Fatto: “Renzi si tiene Lupi e attacca i giudici”, “Non caccia il ministro-scandalo ma spera che se ne vada tacendo sulle colpe del governo. Anm: ‘Ceffoni a noi e carezze ai corrotti’. Il premier: ‘tristi falsità’. Grandi opere congelate”.
A centro pagina: “Il Csm scopre le minacce per trasferire Di Matteo”, “Dopo due anni di condanne a morte e avvertimenti”, “Dopo avergli sbarrato le porte della Superprocura, l’organo di autogoverno apre in tutta fretta una procedura per sloggiarlo dalla Sicilia per ‘motivi di sicurezza’: così potrebbe andare ovunque, ma non alla Dna. Lui però rifiuta: ‘Valutatemi secondo le regole’”.
A fondo pagina, con foto del presidente della Repubblica, “l’eremita del Colle”: “Vita da Mattarella: vescovi e calcio in tv”, “È tornato a usare l’appartamento che fu di Scalfaro e Ciampi e ha ridotto al minimo le uscite dal Quirinale per non pesare sulla scorta”.

Il Giornale: “Lupi resiste a Renzi. Maggioranza nei guai”. “Il premier vuole le dimissioni, Alfano perde le parole e non difende il suo uomo. Ma il ministro non molla: ‘Una manovra contro di me, chiarirò tutto'”.
Sul voto in Israele, ancora con i dati degli exit poll: “Israele, sorpresa alle urne. Non vince nessuno”.

Israele

È il sito del Sole a offrire una corrispondenza di Ugo Tramballi che racconta “la vittoria, anzi il trionfo” di Benjamin Netanyahu. I numeri – 30 seggi al Likud, 24 all’Unione sionista – sono netti. “Nel frazionamento dei partiti del sistema israeliano sarà matematicamente complicato formare una coalizione per il premier che conquista il suo quarto mandato, terzo consecutivo: nessuno in Israele era arrivato a tanto. Il fronte dei partiti di centro-destra e quello di centro-sinistra, più o meno si equivalgono. Ma l’evidenza della vittoria personale di Bibi Netanyahu gli faciliterà il compito”.
Tramballi spiega che “l’altro vincitore di queste elezioni anticipate, un evento storico, è la lista comune dei quattro storici partiti arabi, che conquista 14 seggi e diventa la terza forza nel parlamento israeliano. Nella scelta fra i temi economici di un Paese normale e quelli della sicurezza, Israele ha optato per l’eccezionalità della mobilitazione permanente. Il modello dello stato tribale ebraico prende il sopravvento su quello della società aperta”.
“Dando per scontato che i partiti di destra e i religiosi parteciperanno a un governo guidato da Netanyahu, l’ago della bilancia diventa Kulanu, la nuova forza politica di centro creata da Moshe Khalon. Personalità emergente del Likud, Khalon era stato emarginato da Netanyahu. I rapporti fra i due sono difficili ma i segnali di tregua dei giorni scorsi fanno pensare a un riavvicinamento: difficilmente Khalon rinuncerà al posto di ministro delle Finanze che Bibi gli aveva già offerto durante la campagna elettorale”.
“È prevedibile che il nuovo esecutivo di destra – molto più di destra nazional-religiosa di quanto già non fosse quello uscente – non avrà intenzione di riprendere il negoziato di pace con i palestinesi; userà ogni mezzo per far fallire quello americano sul nucleare iraniano”.
Tramballi scrive anche che “subito dopo l’annuncio del trionfo di Netanyahu, il movimento islamico di Gaza ha esortato Abu Mazen, l’autorità di Ramallah, Fatah, l’Olp e tutti i palestinesi della Cisgiordania ad abbandonare la linea della trattativa e a unirsi ad Hamas nella lotta armata contro Israele. Fino a una liberazione della Palestina che non avverrà mai”.

Sul sito del Corriere il commento di Antonio Ferrari, che scrive che ora “è sicuro” che abbia vinto Netanyhau, ed è “altrettanto sicuro” che Israele non abbia vinto, “perché in sostanza è cambiato poco o niente”. “Il risultato delle elezioni di martedì dimostra che il premier sa sempre parlare alla pancia della sua gente. Anche se la pancia non è mai il consigliere più saggio”.
Il Corriere intervista lo scrittore Etgar Keret. Dice tra l’altro che “la società israeliana è fratturata in tantissime tribù”. Spiega che i suoi genitori hanno sempre votato per il Likud, “da sopravvissuti dell’Olocausto non si sentivano accolti dall’aristocrazia laburista, da chi era nato qui senza conoscere le persecuzioni. Il Likud rappresentava la sicurezza, la sinistra era troppo pacifista”. Lui non ama Netanyhau: “Voglio un primo ministro che nella sua cassetta degli attrezzi non abbia solo il martello”.

Sul Sole Alberto Negri si sofferma sulla “lacerazione del mondo arabo e la Palestina che non c’è”, spiegando che da tempo “l’unico che fa proselitismo” sul destino dei palestinesi è ormai il capo dell’Isi Al Baghdadi, e ora il problema è come fermare il potere di attrazione del jihadismo tra i palestinesi.

Sul Corriere Massimo Gaggi si occupa degli Usa: “Per Obama lo scenario si complica. Ma i ‘pontieri’ sono già al lavoro”. Alla Casa Bianca – si legge – “la bottiglia di champagne torna in frigo”. “Bibi in posizione ancora centrale sarà un grosso ostacolo per l’azione della Casa Bianca”.

Su La Repubblica, con copyright New York Times, un lungo commento di Paul Krugman, che racconta: “Una volta il Paese era una società egualitaria. Oggi sperimenta una drammatica disparità di reddito. Per questo il premier ha cercato di spostare l’attenzione dai problemi interni alle minacce esterne”, “La Terra promessa è oggi caratterizzata da un grande disagio ed estrema povertà in basso e da ricchezza e corruzione in alto”.
Il reportage di Bernardo Valli da Israele occupa l’intera pagina 6: “La prima volta degli arabi in massa alle urne: ‘Basta con le divisioni, ora la nostra voce pesa’”. La lista araba unita si è confermata terzo partito, nel frattempo, e Bernardo Valli descrive la fila con gli elettori del sobborgo di Aby Gosh: “E’ la prova che siamo in grado di alzarci e dire la nostra. Fallite le strategie per spaccarci”.

Su La Stampa un’intervista a Yuval Harari, storico dell’Università di Gerusalemme: “Un Paese stretto fra i bisogno di aprirsi e la paura per vicini sempre più ostili”, “Siamo alla guida della nuova rivoluzione hi-tech ma non ci fidiamo più dell’Occidente, ci ha delusi su Siria e Iran”. Alla pagina seguente, segnaliamo una corrispondenza da New York di Paolo Mastrolilli: “Washington tifa in segreto per la sinistra. Ma ora teme di dover ripartire con Bibi”.
E un “retroscena” di Maurizio Molinari sottolinea come i destini del governo siamo nelle mani del presidente Reuven Rivlin, “falco della destra”: “Sarà il presidente, nemico del primo ministro, ad affidare l’incarico: ‘Solo un esecutivo di unità nazionale può salvare la democrazia’”.

Su Il Fatto la corrispondenza di Roberta Zunini da Nazareth: “Gli arabo-israeliani: ‘Bibi, ti cacciamo’”, “Donne velate ai seggi con il sogno di essere ago della bilancia: ‘Non chiamateci estremisti islamici, pure noi paghiamo le tasse e pensiamo a un esecutivo che risolva i nostri problemi economici’”.

Su La Stampa un’analisi di Roberto Toscano sottolinea come l’“Unione sionista” di Herzog e Livni non sia “un’alleanza pacifista” e sarebbe insensato descrivere i due protagonisti come poco sensibili alle esigenze di sicurezza o pronti a fare concessioni pericolose ai palestinesi: “Si tratta di due centristi che solo la corsa di Netanyahu verso una destra estrema, e la sua alleanza con oltranzisti come Lieberman e Bennett, potrebbe fare ritenere, a confronto, come ‘di sinistra’”.

Lupi

Su La Repubblica il “retroscena” di Francesco Bei e Tommaso Ciriaco: “’Dimettiti entro oggi’, il premier vuole la resa ma il ministro resiste. Spunta l’ipotesi Cantone”. Dove si legge che Renzi avrebbe deciso e comunicato direttamente al ministro Lupi, in un ultimo, drammatico, faccia a faccia notturno a Palazzo Chigi: “Non puoi rimanere al tuo posto, ti devi dimettere. Mi aspetto una risposta entro domani mattina”. Con Lupi, secondo il retroscena, Renzi “ha alternato minacce a blandizie pur di arrivare al risultato”: “Maurizio -gli avrebbe detto- sei finito in mezzo a una cosa enorme. Io sono garantista, ma devi valutare bene la tua posizione anche per difendere meglio te stesso e la tua famiglia”. In una telefonata con Angelino Alfano, leader del partito di cui Lupi è esponente, ovvero il Ncd, il premier avrebbe provato a tirare la coperta da un altro lato con queste parole: “Il problema è anche vostro, siete voi che lo dovete risolvere prima che ci pensi io. E lo dovete fare in fretta”. Perché questa mattina il premier si recherà alla Camera e al Senato per parlare del Consiglio europeo che inizia domani e la seduta rischia di trasformarsi in una corrida fin troppo facile per Sel e M5S che hanno già depositato una mozione di sfiducia nei confronti di Lupi. Il ministro, però, resiste (“Io non mi dimetto ma non per un problema personale. Se lo facessi sarebbe come se dichiarassi di essere colpevole di qualcosa”, avrebbe detto Lupi, che -ricorda il quotidiano- tuttora non è indagato. E alla pagina seguente, un’intervista a Stefano Fassina, esponente della minoranza Dem: “Situazione insostenibile, la Idem e la Cancellieri dovettero farsi da parte”, “Il premier intervenga, non si arrivi alle mozioni di sfiducia”.

Su La Stampa: “La minoranza Pd avvisa Renzi: ‘Con la Cancellieri fu inflessibile’”, “Gotor: fu lui a chiederne le dimissioni, non si possono usare due pesi e due misure. Il timore per un voto in Aula su Lupi che metterebbe in imbarazzo il partito”.

Alle pagine 14 e 15 de La Repubblica si occupa dell’inchiesta Carlo Bonini, che ha questo incipit: “Maurizio Lupi ha mentito”. Lo ha fatto se si confronta l’intervista concessa ieri al quotidiano, in cui negava di aver chiesto un lavoro per il figlio all’ingegner Stefano Perotti (che, secondo l’accusa, è stato imposto da Ercole Incalza come direttore dei lavori ai general contractor delle Grandi Opere). Ma due intercettazioni telefoniche “che il ministro non conosce ma che fanno parte dell’inchiesta”, scrive Bonini, lo smentiscono: è il gennaio del 2014 e il figlio di Lupi si è appena laureato, Stefano Perotti lo ha già festeggiato con un Rolex da 10.350 euro. Il ministro alza il telefono e, inconsapevole dei Ros all’ascolto, chiama Ercole Incalza: “deve venire a trovarti mio figlio”, gli dice. Incalza riceve il giovane Luca Lupi e poi chiama Stefano Perotti: “C’è da incontrare il figlio di Maurizio”.
Un altro articolo de La Repubblica, firmato da Sebastiano Messina, ricorda che fu lo stesso Lupi a firmare un codice etico che vietava ai dipendenti del ministero di ricevere doni o benefici: “la regola che dovrebbe spingerlo a dimettersi subito – scrive Messina – l’ha scritta lui stesso il 9 maggio dell’anno scorso. È il codice Lupi, un decreto che fissa cosa è vietato a tutti i dipendenti del suo ministero” (a pagina 12, il documento: “Il ministro ai dipendenti: ‘Non si accettano regali oltre 150 euro di valore”).

La Stampa, pagina 4: “Grandi Opere, le telefonate di Lupi per trovare un lavoro al figlio”, “Il ministro chiese a Incalza di incontrare il neolaureato: poco dopo il primo incarico. Il caso di Stefano Perotti segnalato per la direzione dei lavori al porto di Olbia”, di Guido Ruotolo. E alla pagina seguente: “Renzi vuole le dimissioni ma punta a evitare scontri”, di Fabio Martini. Il “retroscena” sul ministro Lupi è firmato da Amedeo La Mattina: “Il giorno più lungo in trincea: ‘Non ho motivi per lasciare’”, “Il capo delle Infrastrutture: Matteo non mi chiede di andarmene. Oggi è atteso a Milano Rho per il Made Expo e alla Camera (dove è chiamato a rispondere per il Question Time).

Tanto La Stampa che La Repubblica intervistano Antonio Di Pietro, che è stato ministro delle Infrastrutture. La Stampa: “Incalza? Miss Universo degli affari. Arrivato al ministero lo feci fuori ma destra e sinistra lo difesero”, “Di Pietro attacca: il suo ruolo lo conobbi durante Mani Pulite. Spedii materiale al tribunale di Roma, non ne seppi più nulla…”.

Su La Repubblica: “Un mondo di complicità, ricatti, omissioni, politica e aziende si coprono a vicenda”, “Il suo nome mi era noto già dai tempi di Mani Pulite, è potente perché lega gli interessi delle Coop rosse e di Cl”.

Su Il Fatto: “Mille ragioni per dimettersi”, “Il ministro Maurizio Lupi non è indagato ma l’inchiesta ha rivelato che non ha alcun controllo o competenza sulle grandi opere e ha affidato miliardi senza vigilare” (pagina 2). In prima pagina in un editoriale Marco Travaglio ironizza sul fatto che , al telefono -evidentemente intercettato- Lupi si facesse spiegare cosa dire (per un’intervista al Corriere nel dicembre 2013, per esempio) sulle opere pubbliche da Ercole Incalza.
A pagina 3: “Renzi per ora non lo scarica, spera che se ne vada da solo”, “La mozione di sfiducia dell’opposizione pronta in Parlamento. Il premier sta zitto per non rompere con Ncd. E ne approfitta per attaccare i giudici”, di Wanda Marra. E a pagina 5: “Incalza, la casa per la figlia e la lettera all’ex Cav”, “Nel pc del boiardo la missiva a Berlusconi per Balducci, sull’appartamento uno sconto di 800 mila euro”.

Il Corriere offre un “retroscena”: “Il consiglio di Renzi: fossi in te lascerei. Alfano dice no: è un uomo perbene”. “Renzi vuole la testa di Lupi ma vorrebbe sembrasse ‘un gesto spontaneo'”. Secondo il quotidiano ieri sera Alfano ha “messo la mano sul fuoco” per Lupi per annunciare che “‘non si dimetterà'”. In un incontro a tre che ci sarebbe stato a notte fonda Lupi non ha mutato posizione.

Su Il Giornale si legge del “pressing silenzioso di Renzi per l’addio rapido del ministro”. “Il premier tace ma incontra Lupi, che fin dall’inizio non voleva nel governo”. Sul quotidiano si sottolinea che il premier “non ha alcun potere di revoca dei ministri”, ma Renzi già ai tempi della formazione del governo aveva la “volontà di sottrarre il pesantissimo dossier dei Lavori Pubblici dalle avide mani del Ncd (‘e di Comunione e Liberazione’, dicevano all’epoca i supporter renziani). All’epoca fu Alfano a metterla giù dura”, mentre oggi pare che sia propri Alfano “il più scatenato” a spingere per le dimissioni di Lupi.

Secondo Guido Gentili sul Sole 24 Ore “Renzi e il suo Governo non possono permettersi ombre di sorta su questo terreno così sensibile”, e “l’ipotesi di un passo indietro del ministro è una possibilità logica che risponde ad un criterio di opportunità e responsabilità politica”. Gentili aggiunge che è “un dato di fatto” che la “burocrazia ministeriale sia una roccaforte del potere all’interno della quale alcuni ‘mandarini’ pubblici edificano pietra su pietra carriere inossidabili e intrecci pericolosi”, e che la “fonte la corruzione” sta nelle troppe leggi: “il mese scorso, l’Ocse ha suggerito all’Italia di «garantire una legislazione chiara e non ambigua”.

Il Corriere intervista Nunzia de Girolamo, che si dimise da ministro dell’Agricoltura per colloqui finiti sui giornali a proposito di posti e appalti in una Asl di Benevento: “Io come Lupi non ero indagata, e chi mi intercettò abusivamente oggi è rinviato a giudizio. Sì, mi dimisi. Nella solitudine più totale. Anche i miei genitori lo seppero da Sky”. Ma secondo lei Lupi deve restare, perché “come me non ha contro la magistratura ma il solito fango mediatico”. Renzi chiese le sue dimisioni: “Sì, noto la netta differenza. E spero che continui così”.

Secondo Il Giornale “il nodo dimissioni peserà nelle gerarchie dell’Ncd”. Si legge che tra Alfano e Lupi “non corre buon sangue ormai da un po’”. Si ricorda che da tempo molti amici hanno consigliato a Lupi di occuparsi “anima e corpo” del partito, in cui una parte (rappresentata da Lorenzin e Quagliariello) vorrebbe mantenere un asse con il Pd e un’altra – con Lupi – che vorrebbe ricostruire il centrodestra con Forza Italia. Se Lupi scegliesse di lasciare si porrebbe la questione del doppio incarico di Alfano, ministro e segretario Ncd, secondo Il Giornale.

Landini-Cgil

Sul Corriere una intervista a Susanna Camusso: “La scelta di Landini indebolisce i lavoratori. Il sindacato fa i contratti. La politica è un’altra cosa”. “Insieme il 28, ma Maurizio non snaturi l’iniziativa”.
Spiega che il problema non è il nome della Coalizione sociale creata da Landini, “si può chiamarla movimento, associazione, si può chiamare pure birillo”, il problema è “se si basa su un programma politico generale e si va oltre la rappresentanza del mondo del lavoro”, perché così diventa “oggettivamente una formazione di ordine politico. E questo – come sa bene Maurizio – non fa bene al sindacato e neanche ai lavoratori”.

Su Il Giornale: “È scoppiata la faida nella Cgil. Camusso e Landini agli stracci”. “La segretaria pone un diktat al leader Fiom: ‘Dica cosa vuole fare’. Lui: ‘Nessun partito'”.

Forza Italia-Lega

Su Il Giornale si legge che “Berlusconi pensa al jolly Bergamini per sbloccare lo stallo sulle trattative con la Lega. In un vertice ristretto a palazzo Grazioli si sarebbe valutata l’ipotesi di lanciare la responsabile comunicazione di Forza Italia nonché fidatissima Deborah Bergamini come candidata governatrice della Toscana”. Bergamini è donna, giovane, nota, “grandissima lavoratrice” per Berlusconi, e dunque “potrà andare bene anche a Matteo”, una candidatura unitaria per evitare rotture con la Lega, che non può rinunciare al veto su Alfano ma potrebbe discutere delle candidature in Liguria e Toscana. Secondo il quotidiano Salvini “non transige” sul suo candidato in Liguria, Edoardo Rixi, perché “nei sondaggi è dietro a Raffaella Paita di un soffio”. Sul suo candidato toscano, il milanese Borghi Aquilini, la Lega potrebbe essere più morbida – scrive Il Giornale.

E poi

Sul Corriere si parla di Nadia Savchenko, la pilota ucraina catturata nove mesi fa a Luhansk e portata a Mosca, nel manicomio di Matrosskaya, a processo per crimini di guerra, accusata di aver fornito le coordinate per uccidere due giornalisti russi, e in sciopero della fame da 81 giorni. Ha perso 25 chili. “La scelta di Nadia, Top gun in cella: ‘Meglio morta che schiava di Putin'”.

Su Il Giornale: “La Francia dice sì all’eutanasia, larga maggioranza”. Si parla del voto dell’assemblea Nazionale alla legge che prevede la “sedazione profonda e continua per i pazienti in fase terminale”. Il testo rende vincolanti le “direttive” indicate dal paziente per rifiutare l’accanimento terapeutico.
Anche sul Corriere si dà conto della notizia, e si spiega che i Verdi – favorevoli all’eutanasia – si sono astenuti.

Sul Corriere una intervista a Paolo De Castro, europarlamentare del Pd e responsabile per la trattativa – nell’ambito dell’accordo TTip, il trattato sul commercio transatlatico tra Europa e Usa – sull’agricoltura. I punti cruciali del dibattito sono tre: mercati e dazi doganali, regole sanitarie, indicazione geografica dei prodotti. L’accordo TTip premierebbe più l’Europa degli Usa, “lo dicono le cifre” spiega De Castro, che chiarisce anche che non ci sarà alcuna modifica delle regole europee sulla sicurezza del cibo. “Se non cambia niente come spiega le proteste?”. “Mi pare stia tornando un certo anti-americanismo preconcetto”. Ricorda che oggi le regole sanitarie Usa bloccano molti salumi italiani. E che l’Europa oggi “importa quasi tutta la carne di pollo dal sud est asiatico: è la scelta più giusta?”.

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