Lavoro: riformare, trattare

Le aperture

Ieri il presidente Napolitano ha scritto una lettera indirizzata al presidente del Consiglio e ai presidenti di Camera e Senato sui contenuti del decreto Milleproroghe, approvato ieri.

La Stampa: “Emendamenti, lo stop delo Colle”, “‘Basta con le correzioni fuori tema’. Disagio nel Pd. Approvato il milleproroghe. Monti: liberalizzazioni, non arretriamo. Lavoro, nuovi ammortizzatori dal 2017”.
In taglio basso: “Rimpatri in Libia, Italia condannata”.

La Repubblica: “Emendamenti, lo stop del Colle”. “Scontro sulle liberalizzazioni. Buco nel bilancio, ipotesi di un anticipo Irap”.
A centro pagina: “Manager di Stato, ecco i super-stipendi”. “Al primo posto il capo della polizia con 620mila euro. Ai presidenti delle Authority 475mila”.

Il Corriere della Sera intervista l’a.d. Fiat Sergio Marchionne: “Marchionne, la Fiat e l’Italia: vi racconto tutto”.
A centro pagina: “Nuovo fisco e piano sul lavoro”, “Gli ammortizzatori cambiano dal 2017, gelo delle parti sociali. Lite sulle liberalizzazioni”, “Napolitano ai partiti: no agli emendamenti fuori tema”.
Ancora attenzione in prima per gli stipendi del manager di Stato: 57 alti funzionari guadagnano più del primo presidente della Cassazione, parametro contenuto nel decreto ‘salva-Italia”. Il più pagato è il capo della Polizia Manganelli.

Il Sole 24 Ore ha in apertura le parole del presidente Bce: “Draghi: cruciale riformare il lavoro”. “Il Presidente Bce: non c’è alternativa al rigore, il modello sociale europeo è superato. Le liberalizzazioni sono una priorità”. “Tensioni in Parlamento su farmacie e agenti Rc auto. Monti: il governo non arretra”.
E poi: “Il richiamo di Napolitano: solo modifiche attinenti ai decreti”.
In taglio basso, attenzione per il decreto tributario che verrà varato questa mattina dal Consiglio dei ministri: “Liti con il fisco, si paga fino al 2 aprile. Per i bolli sui capitali scudati termini al 16 maggio”.

Il Giornale, sui “redditi dei burocrati”: “Lo sceriffo delle tasse guadagna più di Obama”. Ci si riferisce ad Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate: “Per Befera 600mila euro l’anno. I nostri manager sono i più pagati dell’Ocse”.
A centro pagina foto di Celentano: “E Celentano ora vede la Madonna”.
E la lettera del capo dello Stato a deputati e senatori: “Napolitano ordina: obbedite a Monti”, “E Draghi avverte: fare subito la riforma del mercato del lavoro”.
Sulla condanna respingimenti all’Italia: “Clandestini, la Ue ci multa. E sui marò ci abbandona”.

Libero: “I sindacati truffano l’Inps”, “Usati pure i morti”, “Denunciati i Caf: attraverso dichiarazioni dei redditi farlocche avrebbero sottratto almeno due milioni di euro all’ente. carte truccate in tre regioni del Sud. E spunta un parlamentare Api (ex Idv)”.
Caricatura di Celentano a centro pagina: “Celenatno tira altre bombe sul Vaticano”.

Lavoro, welfare.

Un’ampia intervista all’amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne occupa per intero le pagine 2 e 3 del Corriere della Sera. A tutto campo, dall’azienda agli Usa e Obama, da Monti alla Fiom e a Confidustria. Il titolo che riassume il colloqui con Massimo Mucchetti: “‘Le fabbriche italiane saranno salve solo se esporteranno in America. Ma senza costi competitivi dovremo ritirarci da 2 stabilimenti su 5′”. Della situazione italiana dice: “Non siamo in condizioni floride. E però il nuovo governo, in pochissimo tempo, ha dato al mondo l’idea di un Paese che sta svoltando”. Dice che Monti negli Usa ha avuto “un’accoglienza straordinaria”. Se negli Usa le chiedessero se ora valga la pena investire in Italia? “Conviene investire mano a mano che le riforme del governo Monti vanno avanti”. Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede l’obbligo di reintegra sul posto di lavoro? “Ce l’ha solo l’Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli altri Paesi. Diversamente, le imprese estere non capiscono e non vengono qui a investire”. E la Fiat che fa? “La Fiat sta investendo”. Parla di Pomigliano, dice che “è ripartita”, reagisce all’accusa che non vi siano iscritti alla Fiom tra i neoassunti spiegando che in realtà i lavoratori iscritti a quel sindacato “non ne vogliono più sapere”.

Se si arriva alle pagine dell’economia, ancora di Fiat si parla e ancora di Fiom: la Corte d’appello di Potenza ha proprio ieri accolto il ricorso dei tre operai delegati Fiom licenziati nel 2010 a seguito del blocco di un carrello robotizzato durante una manifestazione nello stabilimento di Melfi, che aveva impedito a chi non scioperava di recarsi al lavoro. La sentenza stabilisce per i tre dipendenti il reintegro ed è “immediatamente esecutivo”. Fiat ricorrerà in Cassazione.
Anche su La Repubblica: “Fiat Melfi, reintegrati i tre operai, accolto il ricorso della Fiom. Il Lingotto va in Cassazione e non vuole reinserirli in fabbrica”. Spiega il quotidiano che il blocco del carrello non era stato considerato dai giudici del lavoro un atto di sabotaggio e, quindi, si era ordinato il reintegro dei tre: l’azienda, perà, non vuole che tornino in fabbrica, vengono invitati a stare nella saletta sindacale per svolegere la loro attività di delegati. Nei mesi successivi una nuova sentenza del tribunale di Melfi dà ragione alla Fiat e gli operai vengono radiati dall’organico. Poi la sentenza di ieri, in appello. Ma difficilmente -sottolinea il quotidiano- la Fiat li farà tornare al lavoro: potrebbe reintegrarli nell’organico, pagare gli arretrati, ma lasciarli a casa stipendiati. Sono un po’ il simbolo, dice Repubblica, delle vicende che ruotano intorno alla discussione sull’articolo 18.

Ieri il presidente Bce Draghi ha concesso una lunga intervista al Wall Street Journal, di cui La Stampa riassume così il contenuto: “Draghi: modello sociale Ue superato”, “urgono riforme nei Paesi con alta disoccupazione giovanile”. “A una domanda sulle priorità” – scrive La Stampa – Draghi “risponde che ci vuole innanzitutto una ‘riforma del mercato dei servizi’ e in secondo luogo ‘la riforma del mercato del lavoro’ che deve prendere differenti forme a seconda dei Paesi'”. Draghi sottolinea cioè che bisogna modificare le regole in quei Paesi che soffrono di un dualismo nel mercato del lavoro, “dove c’è gente giovane che vede i suoi contratti da tre-sei o nove mesi reiterati per anni”; che è “estremamente rigido con la parte della polazione già protetta che ha salari che aumentano non in base alla produttività ma all’anzianità”. Si tratta di mercati “iniqui perché caricano tutto il peso della flessibilità sulla parte giovane della popolazione”.

Altro punto su cui si è soffermato Draghi, di cui pure Il Sole 24 Ore riferisce, è l’ineludibilità del risanamento dei conti pubblici: non vi è a questo nessuna alternativa e deve essere accompagnata da liberalizzazione e riforme del mercato del lavoro. Una marcia indietro sul rigore del bilancio farebbe aumentare lo spread e i costi di finanziamento: in futuro, il ripristino della fiducia “riattiverà la crescita”, ma questa non è una cosa che accadrà immediatamente, ecco perché le riforme strutturali sono così importanti. La contrazione nel breve periodo potrà essere seguita da una crescita sostenibile nel lungo termine solo se queste riforme saranno attuate”. Ma come va perseguita la via dell’austerity? Alzare le tasse e tagliare gli investimenti, dice Draghi, è “in un certo senso la via semplice, ma non quella giusta. Deprime la crescita potenziale”. Il buon consolidamento è quello in cui i tassi sono più bassi e la spesa pubblica, più contenuta, è focalizzata su infrastrutture e investimenti.

Ieri intanto si è tenuto il quarto incontro tra le parti sociali sulla riforma del lavoro: La Repubblica spiega che l’unica novità riguarda i tempi dell’entrata in vigore della riforma, che non sarà più il 2013 bensì, gradualmente, il 2017. Ma senza un incremento delle risorse per i nuovi ammortizzatori sociali resta il giudizio negativo, soprattutto dei sindacati: “E’ impossibile fare una riforma che punti ad allargare la platea dei lavoratori interessati, lasciando il compito di finanziarla ai soli contributi sociali”.
Il Corriere della Sera scrive che il governo punta sul modello danese entro il 2017 e riassume così il pensiero del ministro Fornero: “Ammortizzatori per tutti, ma pagati da aziende e lavoratori”. Il problema è la coperura finanziaria che, secondo il ministro, dovrebbe esser trovata facendo contribuire tutte le imprese, anche quelle sotto i cinquanta dipendenti, lavoratori comprese. Si tratterebbe di estendere in maniera strutturale i sussidi di disoccupazione a tutti i lavoratori dipendenti del settore privato, senza che lo Stato metta un euro, perché le risorse pubbliche sono a zero.

Una intera pagina del Sole 24 Ore è dedicata all’argomento. Si spiega che i sindacati temono che il risultato sia un minor tasso di sostituzione rispetto allo stipendi (pensioni più basse) e gli imprenditori paventano un aumento insostenibile dei contributi da versare all’Inps. Servirebbero risorse pubbliche aggiuntive, è stata la richiesta collettiva. Ma il ministro ha ripetuto che al momento resta escluso un ricorso alla fiscalità generale: se ci sarà un sistema di ammortizzatori sociali universali meno generoso, esso sarà però più rigoroso e controllato. E l’indennità di disoccupazione sarà condizionata alla partecipazione del beneficiario a percorsi di formazione e ricollocamento.

Respingimenti

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia, pronunciandosi sul caso di 200 persone di nazionalità somala ed eritrea  che, nel 2009 vennero intercettate a Lampedusa e respinte verso la Libia. La Corte ha accolto il ricorso di 24 tra questi migranti.

Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa, scrive che i ricorrenti avevano sostenuto che l’Italia li aveva esposti al rischio di trattamenti inumani da parte delle autorità libiche e di quelle del Paese di origine e che l’Italia aveva eseguito una espulsione collettiva, proibita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le stesse modalità del respingimento avevano impedito ai ricorrenti di ottenere il controllo giudiziario della loro posizione. La Corte europea ha affermato che le autorità italiane avevano consegnato i ricorrenti a quelle libiche, nella piena consapevolezza del trattamento che rischiavano. La Corte europea ha anche ritenuto che l’Italia abbia commesso una violazione del divieto di espulsione collettiva, senza esame della situazione individuale, senza identificazione e accertamento dei motivi che inducono la persona alla fuga dal suo Paese.

Mauro Palma, ex presidente del Comitato per la prevenzione contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, in un’intervista a Il Manifesto, spiega la sentenza della Corte europea diritti umani. L’Italia “ha violato tre articoli della Convenzione: quello sulla tortura e il trattamento degradante dei migranti, quello sul principio di non rimpatrio in Paesi a rischio -dove non ci sono garanzie rispetto al fatto che i migranti potrebbero essere rispediti nei loro Paesi d’origine- e l’articolo che vieta i respingimenti collettivi. Ricordo che il governo Berlusconi disse che il respingimento era regolare perché la Libia era un Paese democratico, un’affermazione che riletta adesso fa davvero impressione”.

Internazionale

Il Presidente Obama ha scritto una lettera formale di scuse al suo omologo afghano Karzai, dopo le proteste scatenate dal fatto che lunedì, nella prigione di Bagram, alcuni ufficiali Usa avevano bruciato delle copie del Corano. Nei libri sarebbero stati trovati messaggi in codice che i detenuti si scambiavano. I testi sono quindi stati dati alle fiamme in un deposito per l’immondizia, ricorda il Corriere della Sera. Ieri un soldato afghano ha impugnato il fucile ed ha ucciso, a sangue freddo, due militari americani. “Voglio esprimere il mio profondo rincrescimento per l’incidente avvenuto – ha detto Obama in riferimento ai Corani bruciati, parlando di errore involontario”, assicurando che saranno adottati “tutti i passi appropriati per evitare che possa ripetersi”, a cominciare dal “far rispondere dei loro atti coloro che ne sono stati responsabili”. Il bilancio dei morti nel corso delle proteste è intanto salito a 16.
Su La Stampa si riferisce della conferenza internazionale a Londra sul futuro della Somalia: “è ora di bombardare le postazioni dei terroristi di al Shabab”, ha detto il primo ministro somalo Abiweli Mohamed Ali. Nei campi di addestramento somali ci sarebbero almeno duecento cittadini stranieri pronti al martirio contro gli infedeli. Il oro obiettivo è anche quello di scatenare il caos sulle Olimpiadi. Su terreno ci sono già 17 mila soldati delle forze internazionali, la road map condivisa prevede elezioni, nuova Costituzione per un Paese unito. Ma se il primo ministro britannico Cameron è convinto che si debba intervenire subito, gli Usa, ieri presenti con la Segretaria di Stato Clinton, sembrano frenare, considerando un intervento una opzione inadeguata alla situazione sul campo.
Il ministro degli esteri britannico William Hague illustra, con un intervento che viene riprodotto dal Corriere, il piano per la Somalia: promette nuovi fondi, ovvero 64 milioni di dollari in aiuti umanitari dagli Usa e 100 milioni di euro dalla Ue per il consolidamento istituzionale. Prevede altresì impegno contro la pirateria e il terrorismo.
La Stampa continua ad occuparsi della campagna elettorale per le presidenziali in Russia: ieri in piazza è sceso persino il candidato Vladimir Putin, ha invitato a non tradire la Patria. Ad applaudirlo c’erano circa 130 mila persone a Mosca, ma molti confessavano di esser stati costretti ad andare.

E poi

La Repubblica intervista Bill Gates, che ieri ha avuto un incontro di un’ora con Mario Monti (che da Commissario fece condannare la Microsoft nel 2004 per abuso di posizione dominante): “Dobbiamo investire sull’agricoltura, solo così battiamo povertà e malattie”, “è inaccettabile che l’Africa sia costretta a importare prodotti della terra quando potrebbe invece esportarli”. Gates smentisce di esser disponibile per un incarico alla presidenza della Banca Mondiale.

In prima sul Sole 24 Ore una lettera firmata dai tre ministri Lorenzo Ornaghi, Corrado Passera e Francesco Profumo dal titolo: “Cultura, necessario tornare a investire”: “gli investimenti nell’intero sistema educativo, inteso in tutte le sue componenti di sapere umanistico, di sapere scientifico e di sapere professionale, sono i pilastri per la nascita e lo sviluppo dello spirito di cittadinanza, della cultura dei diritti e dei doveri, del valore riconosciuto delle regole, della valorizzazione del merito”. Per i tre ministri è necessaria “una profonda inversione di rotta rispetto alle politiche degli ultimi decenni” che hanno portato scuola, università e beni culturali alla crisi e al collasso.

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