L’alleanza contro l’Isis

Il Corriere della sera: “Putin-Hollande, colpiremo insieme”. “I fronti: raid comuni sulla Siria. Il Cremlino: coalizione anche a guida Usa. Merkel invia uomini, navi e aerei”. “E Parigi annuncia all’Europa che non rispetterà la Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

In alto una inchiesta sull’Islam in Italia: “Un milione e mezzo di musulmani: chi sono”.

L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco: “Le timidezze dei magistrati” sul terrorismo internazionale.

A fondo pagina: “Niente più gossip nelle intercettazioni. La Procura di Roma gioca d’anticipo sul governo: spariscono i dialoghi irrilevanti”.

E poi: “Caso Shalabayeva: accuse ai poliziotti.Otto indagati: sequestro”.

La Repubblica: “Putin: alleanza anti-Is a guida Usa. Italia, controlli su chat e playstation”, “Merkel manda in Siria i Tornado. Il presidente russo attacca Erdogan. Renzi: più intelligence”.

A centro pagina: “Shalabayeva, 8 indagati. I pm: fu un sequestro”, “Accusati capo dello Sco e un questore”.

A fondo pagina: “Pd, l’ultimo assedio a Pisapia”.

Sull’economia italiana: “Debito e lavoro, l’Ue contro l’Italia. Intervista a Trichet: ‘Bene le riforme’”, e “Roma nel mirino: ‘Troppi squilibri’”.

In prima anche “la polemica” sulla parole del ministro del Lavoro: “La provocazione del ministro Poletti: ‘Laurea con lode inutile a 28 anni’”. Gli studenti: ‘Lui senza titoli’”.

Sulla colonna a destra, la storia della “copertina” R2: “Il campionato dei tremila scienziati italiani”, “Biomedici e fisici, ecco la classifica delle star della ricerca”.

La Stampa: “Hollande e Putin: patto contro l’Is”, “Anche la Germania interverrà in Siria con i Tornado per ricognizioni e una nave da guerra”, “Renzi: ‘Serve una coalizione, ma noi non faremo interventi diretti. La prossima emergenza in Libia, siamo pronti’”.

Stefano Stefanini, consigliere diplomatico del presidente emerito Napolitano ed ex ambasciatore alla Nato, dà “le pagelle ai Grandi”: “Parigi promossa, Washnigton no nella battaglia contro il Califfato”.

A centro pagina, foto dell’entusiasta folla in Kenya per la messa all’aperto del Papa: “Francesco in Africa: salvate il pianeta”, “Il Pontefice: spero che la prossima conferenza sul clima porti a un ‘accordo trasformatore’”.

Sulla colonna a destra: “Le Ferrovie e quei nodi sui binari”, di Francesco Manacorda e “Mazzoncini il nuovo ad”, “Azzerato il cda, lunedì assemblea per le nomine”.

In prima anche l’intervista a Lars Feld, consigliere economico della cancelliera tedesca Angela Merkel: “Bce, ora basta”, “La politica monetaria è già troppo espansiva. Il caso Volkswagen? Non metterà a rischio l’economia tedesca, siamo rilassati”.

Il Fatto: “Dicevano ‘basta intercettazioni’. Ora intercettano le Playstation”, “L’annuncio di Orlando: ‘Contro il terrorismo’”. E la foto che correda il titolo è quella del presidente del Consiglio insieme al presidente del Pd Matteo Orfini, impegnati in una partita sulla Playstation.

Più in basso: “Adesso tutti contro l’Isis (ma l’Italia e Renzi no)”.

A centro pagina: “’Shalabayeva e figlia sequestrate’. Indagato Cortese, capo dello Sco”, “I pm di Perugia. L’ex dirigente della Mobile romana sotto accusa con altri sette”.

Poi un ‘intervista ad Antonio Ingroia, che dice: “’Non tutti i giudici sono come Caselli e Di Matteo’”.

Su Vatileaks 2: “Sospetti ed effrazioni: le strane visite in casa di monsignor Balda”.

Il Giornale: “La Germania va in guerra. La Merkel manda i rinforzi in Siria, Cameron promette bombe. Manca solo l’Italia”. “Berlino, arrestati in due moschee: preparavano attentati”.

A centro pagina. “Dalla Rai alle Fs, Renzi pigliatutto”. “Le mani del premier sul Paese”. “In viale Mazzini un commissario politico, azzerato il cda delle Ferrovie”.

Il Sole 24 ore: “Fs, cambio al vertice. Si dimette il consiglio”. “Il nuovo ad Mazzoncini arriverà in tempi brevi”. “Il governo accelera la successione in vista della cessione del 40 per cento”.

Di spalla: “Merkel invia i Tornado in Siria. Putin e Hollande alleati anti-Isis”. “Blitz nelle moschee a Berlino: due arresti”. “Renzi: ampliare la coalizione contro i terroristi”. “L’Europa studia la revisione delle sanzioni a Mosca”. Sotto si legge: “Ue-Russia, l’interscambio vale 283 miliardi. Il nuovo scenario cambia le prospettive commerciali con Mosca. Per l’Italia business da 36,4 miliardi”.

L’editoriale, di Alberto Quadrio Curzio: “La ripresa, il terrorismo e le sanzioni alla Russia”.

A centro pagina una intervista al presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem: “Da Roma troppe richieste di flessibilità”. “Bene le riforme strutturali dell’Italia ma il debito è ancora troppo elevato”. “Le deroghe devono restare un’eccezione”.

A fondo pagina: “Intrigo internazionale. Caso Shalabayeva, indagati capo dello Sco e un questore per sequestro di persona”.

Putin-Hollande-Merkel (e Italia)

Sul Sole 24 ore si dà conto della nascita di una “grande alleanza tra Francia e Russia” con il vertice tra i presidenti Hollande e Putin. I due hanno raggiunto un accordo su tre punti essenziali, si legge sul quotidiano di Confindustria: “ci sarà un aumento di scambi di informazioni militari sulle operazioni tra gli stati maggiori delle forze armate dei due Paesi; bombardamenti contro Daesh verranno intensificati e coordinati per aumentare la loro efficacia” con l’obiettivo di colpire i trasporti di petrolio; i gruppi che in Siria combattono lo Stato Islamico e in generale il terrorismo non verranno più colpiti”. Tra i due Paesi restano divergenze sul futuro della Siria e su Assad.

Su La Stampa, pagina 2: “Intesa Hollande-Putin contro lo Stato islamico. Berlino invia i Tornado”, “Voli di ricognizione sulla Siria e una fregata nel Mediterraneo. Il capo del Cremlino: cooperiamo con l’alleanza a guida Usa”.

La Repubblica, pagina 2, con foto di Renzi e Hollande di spalle dopo l’incontro all’Eliseo. Renzi ha una mano sulla spalla del presidente francese. Il titolo: “Is, Putin pronto a collaborare con gli usa. E la Merkel manda i Tornado”, “Il presidente francese Hollande vede prima il premier italiano e poi vola a Mosca. Renzi: ‘La jihad si batte anche con la cultura’”, “per il nostro presidente del Consiglio necessario un appoggio che nono sia solo militare”, “Ma il punto che divide ancora la Russia e l’Occidente resta il futuro di Bashar el Assad”.

E il “retroscena” di Andrea Taquini da Berlino: “’Non possiamo lasciare i francesi da soli’. Ecco perché adesso Angela va alla guerra”, “Berlino mette a disposizione sei aerei in grado di fornire ai jet francesi dati più precisi sui bersagli”, “I tedeschi mettono a disposizione anche una fregata per scortare la ‘Charles de Gaulle’ e un satellite spia”.

Su La Stampa, pagina 2: “L’Italia i toglie dalla prima linea e guarda ‘all’emergenza Libia’”, “Renzi all’Eliseo: ‘Rischia di essere la prossima crisi’”.

A pagina 3 de La Stampa “le pagelle” ai Grandi “ai tempi dell’Isis”, di Stefano Stefanini, consigliere diplomatico dell’ex presidente Napolitano ed ex ambasciatore alla Nato: che dà un 9 ad Hollande (si è rivolto alla Nazione, ha messo rapidamente la Francia al centro di una forte risposta internazionale), un 5 a Obama (slancio iniziale di solidarietà, ma scarsa voglia di prendere la guida della risposta internazionale, riaffiorano timori di distacco transatlantico), un 6 a Cameron (chiara la volontà di essere al fianco della Francia), un 7 alla Merkel (non solo ha rafforzato la mano di Hollnade per l’incontro con Putin, ma con l’offerta di truppe pper il Mali ha fatto un salto di impegno militare), un 5 a Renzi (ha detto tutte le cose giuste ma ieri mattina l’Eliseo avrebbe preferito qualche fatto in più), un 6 a Putin (in questa crisi la lucidità e la determinazione del presidente russo non sono state oscurate dalla retorica slavo-nazionalista, Putin sa quello che vuole sulla crisi siriana, uno dei pochi ad avere le idee chiare), un 4 a Erdogan (ottimo tattico, pessimo stratega, vuol togliere di mezzo Assad, teme il crearsi di un Kurdistan, chiudeva un occhio sui traffici di Isis che l’ha ricambiato con un attentato ad Ankara), un 4 alla Nato (mentre alcuni dei suoi principali azionisti preparano la guerra, pensa ad altro), un 5 a Mogherini, Tusk e Juncker (l’Ue sperimenta per la prima volta l’articolo 47.2 del trattato di Lisbona, meglio di niente ma non è questa l’Europa che chiedono i cittadini, i populisti scaldano i muscoli), un 10 a Parigi e ai parigini (non si sono fatti prendere dal panico, non hanno dato la caccia al musulmano), un 4 alle reazioni islamiche (non si è sentito un rigetto corale), un 3 al Belgio (dieci giorni di blindatura della capitale d’Europa sono un’emergenza in attesa di spiegazione).

In prima su La Stampa un editoriale di Roberto Toscano dal titolo “La politica parli prima delle armi”. “Il sedicente Stato islamico -si legge- era stato inizialmente sottovalutato un po’ da tutti, compreso il presidente Obama, che aveva indicato nel suo semplice contenimento l’obiettivo della comunità internazionale”. Invece è diventato rapidamente un fattore “non solo di caos e violenza a livello regionale. Ma anche di destabilizzazione globale”. Visto sotto un semplice profilo militare, “il fenomeno appare assolutamente incomprensibile”, sia come “consistenza numerica che come disponibilità di armamenti avanzati” e una sconfitta di Daesh non dovrebbe costituire un problema per una coalizione di più di sessanta Paesi, tra cui alcuni fra i più avanzati militarmente, a partire dagli Usa. Sterile è, secondo Toscano, il dibattito “sulla presunta alternativa fra risposta politica e militare. I disastri iracheno e libico dovrebbero aver dimostrato che quando non c’è chiarezza né sull’analisi della situazione né sugli obiettivi politico-strategici che si perseguono al di là della sconfitta militare dell’avversario, il ‘dopo’ rischia di essere più minaccioso per i nostri interessi, a partire dalla sicurezza. Mai come ora, in altri termini, dovrebbe essere il momento della politica e della diplomazia. Non come alternativa all’uso della forza militare, ma come indispensabile premessa capace di definire obiettivi principali, alleanze non di facciata, compromessi”. Sulla Siria è “tragico” che ci siano voluti anni di distruzione e morte per capire quel che doveva essere evidente già dal 2012: né Assad né i ribelli potevano prevalere sul campo di battaglia e l’unica soluzione era quella di tipo politico-diplomatico. La Turchia di Erdogan si era illusa di poter diventare il nuovo leader regionale di un “islam conservatore ma modernizzatore”, ma si è poi spostata, soprattutto dopo la caduta dei Fratelli musulmani, “su posizioni di appoggio indiscriminato al jihadismo e si fatto allo stesso Daesh”. Russia e Iran cominciano ad essere riconosciuti come partner insostituibili e già questo è per loro un importante obiettivo (dopo l’Ucraina Putin ha visto “a rischio la propria ambizione di essere riconosciuto come partner/avversario soprattutto degli Stati Uniti”. Oggi, “rievocando l’epopea, molto cara ai russi, di quella che essi chiamano la Grande Guerra Patriottica, si presenta come possibile alleato contro un ‘nemico assoluto’ come lo Stato islamico”. Ma non sarà facile che questo azzardo funzioni, come dimostra l’incidente con la Turchia: dimostra cioè “quanto sia problematico schierarsi nello stesso tempo dalla parte dei Paesi Nato ed esasperare le tensioni nei confronti di uno dei suoi membri”.

Su La Repubblica, una lunga analisi di Andrea Bonanni: “La tela di Hollande tra Mosca e Berlino”. “Da Obama a Putin, dalla Merkel a Cameron, tutti dicono sì a Hollande che, in nome della sua Parigi insanguinata, invoca una ‘grande coalizione’ contro Daesh. Il presidente francese -scrive Bonanni- incassa anche in grosso successo con l’assenso russo a combattere a fianco di ‘un’alleanza a guida Usa’. Un passo che modifica il quadro degli equilibri mondiali. L’unico che gli ha sparato contro, in modo neppure tanto metaforico, è Erdogan. Il missile con cui ha fatto abbattere un jet russo è stato un estremo tentativo di boicottare la nascita di un’alleanza mondiale che avvi a soluzione la crisi siriana. Una prospettiva in cui Ankara ha molto da perdere, a cominciare dalla inevitabile creazione di una nazione curda e semi indipendente ai suoi confini. Ma se Erdogan può tenere in ostaggio l’Europa usando l’arma dei rifugiati, il suo tentativo di tenere in ostaggio il mondo giocando sulle divisioni che riguardano la sorte del dittatore siriano Assad è probabilmente destinato a fallire. Con l’offensiva terroristica lanciata contro l’Occidente, con i morti di Parigi e l’aereo russo esploso sul Sinai, il sedicente Califfato è riuscito a coalizzare contro di sé l’intero Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: impresa mai così compiutamente realizzata in sessant’anni di crisi e di sforzi diplomatici”.

Su La Stampa: “Barba, kalashnikov e inni jihadisti. Quelle milizie tirche uguali a Isis”, “Si fanno chiamare i ‘Leoni di Allah’ e terrorizzano le comunità curde nel Sud del Paese. ‘E’ Ankara che li manda per ostacolare gli aiuti al Pkk’. Il governo nega coinvolgimenti”. Di Maurizio Molinari.

Su Il Giornale: “La Germania va in guerra. Ora manchiamo solo noi”. Secondo il quotidiano Renzi “chiede a Hollande un ruolo da gregario” e “prende lezioni pure sulla Libia”. Si legge che “tutto quel che faremo” sarà inviare “qualche centinaio di uomini in più” sul confine tra Siria e Libano, un “confine marginale rispetto alla guerra all’Isis”. Si legge anche che “a parole” Renzi sostiene che l’Italia ritiene di dover dare priorità a quel che sta accadendo in Libia sottolineando il rischio che possa diventare la “prossima emergenza” ma “anche sui destini di una ex colonia” il “più risoluto” è il presidente francese che spiega come serve a quel Paese un governo di unità nazionale per “mettere in sicurezza” l’intero territorio ed “impedie all’Isis di installarsi e rafforzarsi”. “Una lezioncina surreale visto che ad impartirla c’è il presidente della nazione responsabile, con l’intervento del 2011 del caos libico”, e “ancor più surreale” se si pensa che gli Usa consideravano l’Italia l’unico Paese in grado di “intervenire sugli arcani libici”, scrive il quotidiano.

Sul Corriere Paolo Valentino, che firma un commento, scrive che “la sorpresa viene dalla Germania” con “il più importante impegno militare” del cancellierato Merkel: “650 soldati tedeschi in Mali, 150 in Libano, Tornado per la ricognizione e aerei cisterna in Siria, protezione navale alla Charles de Gaulle, assistenza con i satelliti”. Un risultato significativo per Hollande, che si aggiunge a quello di aver fatto la spola tra Casa Bianca e Cremlino. “È lui a far cadere una parte delle riserve americane sul ruolo della Russia in Siria. Al termine del loro incontro, Obama dice che la cooperazione di Mosca nella lotta al Califfato è di ‘enorme aiuto’. E anche se Usa e Francia restano in dissenso col Cremlino sul futuro di Assad, la parola ‘coordinazione’ è entrata a pieno titolo anche nel vocabolario dell’Amministrazione, pronta a intensificare i raid aerei contro i jihadisti”. Quanto al ruolo dell’Italia, “fonti bene informate spiegano che, nei giorni scorsi, a livello di gruppi di lavoro, la Francia aveva segnalato l’eventuale desiderio di ricevere qualche aiuto italiano su Sahel, Mali e Iraq. Le discussioni sono ancora in corso, ma ieri il premier non ne ha fatto menzione. La domanda è se l’atteggiamento misurato di Renzi su una eventuale intensificazione dell’impegno militare italiano, sicuramente in piena sintonia con il mood , il sentimento della nostra opinione pubblica, sia stato all’altezza delle attese francesi”. Valentino cita quanto detto da Valls nei giorni scorsi, intervistato anche dal Corriere a proposito delle attese francesi: “’Si rende conto se le dicessi di no?’, ha detto con una dose di ambiguità il capo di Matignon. E questo avveniva prima dell’incontro di Renzi con Hollande. L’impressione è che qualche riserva esista. Fonti francesi lo ammettono indirettamente, spiegando che la questione di ulteriori contributi italiani alla coalizione anti Isis rimane aperta, ma che ‘bisogna decidere presto, anche per consentirci una piena valutazione delle forze a disposizione’. Renzi potrebbe a ragione ricordare che “nessun Paese europeo è impegnato militarmente nella lotta al terrorismo più dell’Italia, che ha quasi 6 mila soldati nelle varie missioni internazionali, cioè più del doppio della Germania” ma la fase aperta dalla strage di Parigi “segna uno scarto per tutti gli europei nella guerra alla barbarie jihadista. E sarebbe meglio tenerne conto”.

Sul Sole Vittorio Emanuele Parsi (“Per Hollande i primi frutti di una strategia di successo”) scrive che con la sua scelta la cancelliera tedesca ha voluto “segnare una discontinuità” tra il prima e il dopo 13 novembre. “Esattamente quanto non ha fatto il governo italiano” che si è limitato a ribadire impegni già presi. “I francesi non dimenticheranno”, scrive Parsi, che definisce anche “tanto vera quanto generica” l’affermazione di Renzi secondo cui la battaglia contro Daesh si vince sul piano culturale, perché “’costruire un museo per ogni nuova caserma’ difficilmente porterà Al Baghdadi alla resa”.

Jihadisti in Europa

Su La Stampa, a pagina 7, le domande di Francesca Paci e le risposte di esperti su questioni legate al fondamentalismo: “’Violenti, emarginati e in cerca di rivalsa’. Ecco chi sono i terroristi nati in Europa”, “Tre esperti di radicalizzazione e fondamentalismo tracciano l’identikit degli jihadisti che hanno colpito Parigi e sfidano l’Occidente usando l’Islam come arma anti-sistema”. Rispondono Olier Roy (orientalista, docente universitario e politologo francese): “Sono l’omologo dei giovani dei movimenti radicali diffusi in Europa sin dagli anni 60, la ‘lumpenintellighenzia’ che diversamente dai gruppi marxisti tradizionali non aveva radicamento popolare”, “la jihad è il surrogato della rivoluzione”, “l’Islam jihadista ha reclutato sulle ceneri del marxismo post 1989, oggi assistiamo all’islamizzazione del radicalismo”; Jason Burke (giornalista inglese, esperto di fondamentalismo): “parlano il linguaggio della subcultura del gangsterismo, spesso il rap, più che eroi tipo Che Guevara hanno Eminem. Rappressentano una forma diversa di comportamento antisociale”); Raphael Liogier (sociologo delle religioni francese): “Tutti hanno un passato di fallimenti, molti avevano provato ad entrare nell’esercito. Anche chi proviene dalla classe media non si era realizzato”, “vogliono una vendetta sociale. Ma oggi non ci sono più i punk, skinhead né estrema sinistra: di anti-sociale è rimasto solo l’Islam”.

Su La Repubblica un’intervista a Jean Daniel, fondatore del Nouvel Observateur, di Fabio Gambaro. Dice che “la mistica della purezza è la vera arma dei terroristi” e che “la jihad di oggi è figlia della radicalizzazione dell’Islam che ha prodotto frustrazioni. La promessa dell’aldilà fa sì che questi ragazzi siano pronti a morire per questo”, “La Francia intervenendo in Libia, Mali e Siria pensava di combattere a distanza. Ma la guerra è in casa”.

Sulla stessa pagina un’analisi di Marc Wietzmann con copyright Le Monde: “Se gli attentatori diventano una forma di narrazione”, “il terrore punta sulla rappresentazione. E nel raccontare le stragi i media rischiano di prestarsi a questo gioco”.

Alle pagine 12 e 13 di Repubblica un lungo commento di Bernardo Valli: “Bandiera e Marsigliese, quei simboli contesi che oggi uniscono la Francia impaurita”, “Per la commemorazione delle vittime del terrore, il presidente Hollande ha chiesto di esibire il tricolore. Un’iniziativa per rinsaldare un Paese in lutto che ora vuole blindare le sue frontiere. Ma anche per togliere all’estrema destra il monopolio del patriottismo”.

Su La Stampa, intervista di Marco Zatterin al premier olandese Mark Rutte (i Paesi Bassi dal primo gennaio assumeranno la presidenza semestrale dell’Ue) , che dice: “I foreign fighters? Meglio morti in Siria che vivi qui”, purtroppo “non si può dire che non colpiranno più”, anche perché “questi jihadisti che tornano sono più micidiali dei precedenti: hanno imparato tecniche terribili, sono una minaccia concreta”. Sui rifugiati: “dobbiamo fare tre cose e la prima è fermare il flusso dei migranti che arrivano, perché non possiamo accoglierli a questo ritmo e l’intesa con la Turchia è in questo senso cruciale”. Il secondo è “scardinare il modello di business dei trafficanti” e il terzo è proteggere il confine tra Grecia e Truchia, “dove gli hot spot non sono stati ancora costruiti”. Domenica c’è il vertice Ue con la Turchia, ci si può fidare? “E anche il loro interesse. Desiderano sveltire il processo di adesione e la liberalizzazione dei visti. Vogliono 3 miliardi”

L’indagine

Su La Repubblica, il punto sull’inchiesta, firmato da Carlo Bonini, Marco Mensurati e Fabio Tonacci, da Bruxelles: “Il commando di Parigi in una lista di sospetti. Ma il Belgio la ignorò”, “Un elenco di 85 nomi fu inviato a giugno al borgomastro di Molenbeek. C’erano anche quelli di Salah, Abaaoud e Abrini”. E a corredo dell’articolo c’è un grande riquadro sulla “galassia del terrore”, con i protagonisti o supposti tali, ricostruita anche ricordando chi fossero gli autori della strage di Tolosa nel 2102 o quella di Villejuif.

Su La Repubblica, con copyright “Vice” l’intervista ai musicisti degli “Eagles of Death Metal”, il gruppo che suonava al Bataclan la sera della strage: “’Spari, sangue, follia, abbiamo visto l’inferno ma vogliamo tornare a suonare al Bataclan”, “Il nostro rock sarà un inno alla vita”.

Sul Corriere Marco Imarisio torna ad occuparsi di Salah Abdeslam, “’Petit voyou’, piccolo delinquente. Salah Abdeslam viene ricordato così dai suoi concittadini. Orfano di padre manesco dalla prima adolescenza, a 21 anni viene arrestato per aver rubato dal registratore di cassa di un garage calandosi dal tetto. Il cattivo della famiglia, considerato un ragazzo e poi un uomo difficile, era Brahim, il secondo fratello maggiore, che si è fatto saltare per aria in Boulevard Voltaire”. La notte della strage “Abdeslam vaga nella metro di Parigi per quasi un’ora con indosso una cintura esplosiva. Alle 22.30 il suo telefonino viene ‘agganciato’ a Montrouge, 5 chilometri di distanza dal luogo dove verrà poi ritrovato l’ordigno, gettato in un cassonetto. È completamente fuori rotta rispetto al XVIII arrondissement, il luogo dove avrebbe dovuto colpire. Alle 9 del mattino la polizia francese lo ferma in compagnia di Attou e Amri a Cambrai, quasi al confine belga. Gli controllano i documenti. Venti minuti di attesa. È noto alle forze dell’ordine come «36.2», soggetti schedati per reati comuni. Ma stanno cercando i «36.3», sospetti di terrorismo. Prego, può continuare. Salah Abdeslam viene segnalato ad Anderlecht, in Germania, in Spagna. Ovunque e in nessuno luogo. Oppure a Molenbeek”.

Immigrati in Italia

Sul Corriere una “inchiesta” sul milione e mezzo di musulmani italiani, il 98 per cento sunnita, “marocchini, egiziani, tunisini e bengalesi” “i combattenti tornati dalla Siria sono solo una decina” ma le “vite in sospeso” di quelli in qualche modo sedotti dalla jihad sono cinquecento, forse mille. Goffredo Buccini racconta la storia di a Merieme Rehally, vent’anni, che a luglio è scappata per andare a Istanbul e da lì probabilmente in Siria e quella degli altri dalla vita “in bilico tra Italia e origini arcaiche mai conosciute, in precario equilibrio tra una fede incontrata come una folgore e una radicalizzazione che può sconfinare nel jihadismo”. Uno dei problemi dell’Islam italiano è quello degli “imam fai da te”, “in un contesto nel quale chiunque può auto-proclamarsi imam e che, a fronte di quattro moschee ufficiali e due locali di culto ‘riadattati’ (Segrate, Roma, Ravenna, Colle Val d’Elsa, Catania, Lecce), lascia vivere centinaia di garage e scantinati che ne svolgono la funzione senza controllo. ‘Gli imam fai-da-te sono un flagello, ne abbiamo denunciati tanti. A Roma tra Centocelle e Magliana comincia a vedersi un po’ di salafismo, ma non attribuirmelo’, dice Mustafà Mansouri, già membro della Consulta islamica”.

Su Il Giornale: “Il 95 per cento dei jihadisti convinto ad arruolarsi da amici e coetanei”. Si cita la ricerca illustrata da Scott Atran, docente a Oxford ed esperto di terrorismo e religioni, illustrata davanti alla Commissione antiterrorismo del Consiglio di sicurezza Onu. Solo il 5 per cento degli aspiranti jihadisti viene reclutato nelle moschee, “percentuale non trascurabile ma che deve far riflettere i governi sulle azioni preventive” da mettere in campo. Nella ricerca sono stati intervistati militanti di Al Nusra e dell’Isis catturati in Europa.

Economia, terrorismo, parametri

Il Sole intervista Jeroen Dijsselbloem che dal primo gennaio oltre che presidente dell’eurogruppo sarà anche presidente di Ecofin, visto che il suo Paese assumerà la presidenza semestrale della Ue. L’intervista è con un gruppo di quotidiani europei. Primo tema: la sicurezza e lo sforamento dei parametri: “Negli ultimi anni, molti paesi hanno aumentato la spesa nella difesa, e malgrado ciò siamo riusciti a ridurre i deficit. In questo senso, mi sembra che l’approccio della Commissione europea sia saggio: un’analisi caso per caso ed ex post. In altre parole, se un paese non raggiunge gli obiettivi, la Commissione verificherà se i costi aggiuntivi per la sicurezza o per i rifugiati siano stati il fattore decisivo”. Agire caso per caso dice Dijsselbloem, che invece non sarebbe favorevole “all’idea di escludere categorie di spesa – per i rifugiati, per la sicurezza, per la difesa – dalle regole. L’analisi deve avvenire in via eccezionale, caso per caso, ex post”. Sull’Italia, preoccupante “l’elevato debito pubblico. L’Italia sta adottando molte riforme strutturali, ed è un bene. L’attuale governo è veramente ambizioso su questo fronte, ma al tempo stesso sta chiedendo molta flessibilità di bilancio”. “Flessibilità per investimenti, flessibilità per i rifugiati, flessibilità per le riforme, che si aggiungono l’una all’altra: credo che l’Italia sia l’unico paese che sta chiedendo tutte le forme possibili di flessibilità”. Infine, sulla immigrazione: “Sono molto preoccupato per il futuro di Schengen. Abbiamo in Europa un modello sociale molto forte. Per difenderlo dobbiamo proteggere le frontiere esterne. Se non lo faremo, subiremo l’arrivo di migliaia di persone alla ricerca degli stessi benefici di cui godiamo ora. Il rischio è di far esplodere il sistema. Stiamo affrontando una sfida enorme: possiamo mantenere lo stesso welfare dinanzi agli attuali flussi migratori? Dobbiamo quindi iniziare a parlare della protezione dei confini esterni. Se non è possibile a 28, se non è possibile a livello di Schengen, forse dobbiamo farlo a livello di mini-Schengen. Altrimenti i paesi reintrodurranno i confini. E questo non lo voglio”.

Sul Corriere una intervista a Pascal Lamy, ex commissario europeo, ex direttore della Wto, in Italia nei giorni scorsi per un convegno. Dice che per contrastare il terrorismo “Schengen e la libera circolazione non sono il problema a meno di immaginare il filo spinato alle frontiere interne” e Schengen “ha tutte le flessibilità”, compresa quella di consentire e ripristinare il controllo alle frontiere. “Oggi non abbiamo ancora impegnato i mezzi politici e le risorse per amministrare la frontiera esterna”. Dice che è frutto di una “narrativa tossica” il legame tra immigrazione e terrorismo. Sulla lotta al terrorismo cita l’esempio del trasporto aereo: “i dati dei passeggeri delle compagnie non sono accessibili alle polizie. Serve un compromesso: è una piccola invasione della mia libertà ma è un arbitraggio che sono disposto ad accettare” in nome della sicurezza di tutti. Parla anche della Turchia che – dice – oggi “non è sintonizzata sullo stesso software di dieci anni fa, quando era molto più compatibile con il sistema di valori europei”.

Sul Sole 24 ore l’editoriale, firmato da Alberto Quadrio Curzio, è dedicato alla situazione economica in Europa, dove la ripresa che sembrava partita nel 2015 rischia di essere compromessa “dal conflitto in tutta l’area mediorientale ampliata adesso a due Paesi (Russia e Turchia) molto importanti per le nostre esportazioni. Le stesse avevano già sofferto parecchio per le improvvisate sanzioni a Mosca dovute anche all’incapacità della Ue di svolgere un ruolo di mediazione che speriamo venga adesso attivato nel comune interesse politico ed economico europeo ed internazionale. A sua volta il terrorismo è approdato in Europa imponendo forti misure di sicurezza che tuttavia, almeno per ora, non rassicurano i cittadini, sconcertati anche dalla confusione europea sull’immigrazione. Infine il rallentamento nella crescita delle economie emergenti, alcune delle quali presentano gravi squilibri, inciderà sul commercio mondiale”. Insomma: nel quarto trimestre dell’anno si vedranno accentuati i cedimenti che già nel terzo trimestre si erano visti. Non bastano le “riforme strutturali per rendere più efficiente e integrata l’eurozona” ed è “frenante” il “rigore fiscale” e “l’ossessione (strabica, a seconda dei Paesi) della Commissione sugli aiuti di stato per l’incapacità di Bruxelles nel distinguere quelli che alterano davvero la concorrenza da quelli che la ripristinano superando i fallimenti del mercato”. Secondo Quadrio Curzio per accelerare subito gli investimenti “bisogna usare, modificandolo, il Fondo europeo Esm. Essendo questo fondo regolato da un trattato intergovernativo del 2012 tra il 19 Paesi della Eurozona che ne sono azionisti, la modifica dello stesso può essere fatta rapidamente. L’Esm ha un capitale sottoscritto di 704 miliardi di euro, una capacità di prestiti per 500 miliardi dei quali 136 già impegnati, le sue emissioni obbligazionarie (come quelle dell’Efsf) hanno avuto un grande successo sul mercato dal 2012 al punto che pochi giorni fa è stata fatta un’emissione con durata di 40 anni al un tasso di 1,85% ed si è deciso di arrivare ad emissioni fino a 45 anni. Tenere un Fondo così ben organizzato e già rodato solo per proseguire nel sostegno alla Grecia (perché quelli a Spagna e Cipro sono ormai stabilizzati) è davvero ridicolo, a meno che ‘si speri’ di soccorrere in futuro qualche altro Stato della Uem in difficoltà. Dire poi che lo statuto dell’Esm non si può modificare è altrettanto sbagliato in quanto si è vista la rapidità nel vararlo tra il 2011-12”.

Sullo stesso quotidiano si dà conto delle parole del presidente di Confindustria Squinzi: “La crisi non è definitivamente superata, ma bisogna dare importanza ai dati positivi”, scrive il quotidiano citando Squinzi ieri all’assemblea degli industriali di Napoli.

Papa

Su La Stampa: “Il Papa: ‘Basta al terrorismo che uccide i nome di Dio’”, “In Kenya dinanzi a 300mila persone: cerchiamo di servire un Dio di pace”. E alla pagina seguente: “E dall’Africa Francesco rilancia la sfida sul Pianeta da salvare”, “’Serve la nascita di una nuova cultura dell’ambiente’”.

La Repubblica: “’Mai usare il nome di Dio per giustificare la violenza’”, “Francesco a Nairobi: ‘Senza accordo sul clima si rischia la catastrofe, interessi privati non prevalgano sul bene comune. Serve dialogo tra leader religiosi’. Oggi in Uganda”. E l’inviato Marco Ansaldo racconta: “Così si protegge un Papa che rifiuta la vita blindata”, “Nel viaggio africano, tra guerre e allarmi, 12 ‘angeli custodi’ vigilano sul Pontefice che vuole ‘stare tra la gente’. Pronti a tutto”.

Shalabayeva

Su La Repubblica: “Il caso Shalabayeva inguaia un questore e il capo dello Sco”, “L’accusa a Improta e Cortese: ‘Sequestro di persona’. Chiusa l’indagine bis sull’espulsione: otto avvisi”, “Una svolta che riapre anche la partita delle complicità politiche”. Ne scrivono Carlo Bonini e Daniele Autieri.

Sul Corriere: “Indagati sette poliziotti. Con il capo dello Sco e il questore di Rimini ci sono anche cinque agenti, accusati di sequestro di persona e falso, di aver “siglato o dato corso ad accordi illeciti con i diplomatici del Kazakstan”.

Il Fatto: “Shalabayeva, ora l’accusa è sequestro”, “Nel maggio 2013. Fu prelevata dalla sua casa a Roma insieme alla figlia, espulsa e rispedita in Kazakistan”, Indagati il capo dello Svo Cortese e l’attuale questore di Rimini”. Di Alessandro Mantovani e Antonio Massari.

La Stampa: “’Shalabayeva fu rapita’. Il capo Sco e un questore indagati per sequestro”, “Nell’inchiesta della procura di Perugia coinvolti anche cinque poliziotti e un giudice di pace”. Ne scrive Ilario Lombardo.

Anche Il Sole scrive che sotto indagine sono in otto: con i poliziotti anche il giudice di pace Stefania Lavore, il cui fascicolo è arrivato dalla Procura di Perugia a Roma. Gli inquirenti romani lavoravano sul reato ipotizzato di falso, “nessuno si aspettava che il livello dell’accusa salisse così in alto”, scrive il quotidiano.

Politica italiana

Sul Corriere una intervista a Luciano Violante sul Pd e Renzi: “Stop al doppio ruolo premier-segretario. Pd da ricostruire, dirigerlo non basta più”. Violante si chiede perché il più grande partito italiano fatichi ad esprimere suoi candidati forti alle prossime elezioni amministrative a Roma, Milano, Napoli e risponde che sta “mostrando la corda” un modello di “partito prevalentemente elettorale” che si mobilita “spesso con successo” per il voto ma non costruisce “un rapporto costruttivo” con il territorio. Se in una prima fase era utile il segretario-premier perché serviva “tenere insieme partito e governo” adesso occorre costruire un “partito-comunità” e Renzi dovrebbe lasciare a qualcun altro il compito di fare il segretario.

Sul Corriere si dà conto di un “sondaggio che frena Sallusti”. Il famoso sondaggio commissionato ad Alessandra Ghisleri per le amministrative di Milano è stato realizzato e dice che un eventuale candidato Sallusti per il centrodestra a Milano “non andrebbe male” al primo turno ma sarebbe sbaragliato da Sala al ballottaggio. Ben un elettore azzurro su quattro sarebbe disposto a votare Sala. Tra i partiti, la Lega sarebbe al 22 per cento, Forza Italia al 14,8.

Il Giornale: “Puntiamo all’unità’. Berlusconi prende tempo sulla scelta dei sindaci”. “I sondaggi su Milano: con Sallusti Forza Italia al 15 per cento. Ma il leader azzurro studia ancora. Nuovo incontro con il resto della coalizione”.

In prima sul quotidiano di Sallusti si legge anche: “Ncd getta la maschera, alle primarie va col Pd”. “L’idea di una coalizione comune a Napoli manda nel caos il partito”. A Napoli Ncd punta su Raffaele Calabrò. E il Pd locale avrebbe annunciato la partecipazione alle primarie del candidato di Ncd. IL matrimonio tra i due partiti però poi è stato smentito da entrambi i partiti. “E’ solo l’inizio di un confronto”, ha detto la segretaria regionale del Pd Tartaglione.

Calabrò viene intervistato dal Mattino: “Io in pista solo se ci sono le condizioni”. “Noi ragioniamo con tutti, senza pregiudizi”.

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