Iran, lo storico accordo

La Repubblica: “Iran, la pace nucleare”, “Accordo con l’Occidente dopo dieci anni di trattative. Teheran cancella l’atomica”, “Via le sanzioni economiche. Rouhani: abbiamo vinto tutti. Mogherini: uniti contro l’Is”, “Israele attacca l’America: ‘Avete ceduto ai terroristi’. Obama: vigileremo sul patto”.
Sulla crisi greca: “Tsipras: resto al mio posto, ho evitato la catastrofe”.
A fondo pagina, l’inchiesta Mafia Capitale e le sue ripercussioni, con le dimissioni di Luigi Nieri: “Roma, si dimette il vicesindaco di Marino, ‘Ma sono pulito’”.

Il Corriere della sera: “Patto storico dell’America con l’Iran. Saranno tolte le sanzioni in cambio della rimozione dei siti nucleari. Israele: resa all’asse del male”. “Teheran: si apre il capitolo della fiducia. Washington: vigileremo, per dieci anni non potranno avere l’atomica”.
La foto grande mostra il Segretario di Stato Usa Kerry. In prima anche “il racconto di Federica Mogherini” in un colloquio con Paolo Valentino: “’Tutto in bilico per tre volte. Decisivo il ruolo della Ue’”.

A centro pagina: “Tsipras, appello per le riforme: non taglio stipendi e pensioni”. “Oggi il Parlamento vota il pacchetto delle misure”. “Varoufakis: è come un golpe”.
Sul “dramma greco” un commento di Sabino Cassese: “Governi e popoli. Le ragioni dell’Europa”.
A fondo pagina: “Milano va, ma la giunta scricchiola. Lascia il vicesindaco dopo uno scontro sul bilancio. Un segnale d’allarme per Renzi”. In prima anche la notizia delle dimissioni del vicesindaco di Roma e quella dell’inchiesta anticamorra in Campania, con la richiesta di arresto per un parlamentare di Forza Italia.

La Stampa: “Accordo con l’Iran, ‘Sì al nucleare ma non avrà la bomba’”, “I siti saranno sorvegliati dall’Onu per 15 anni”, “Storica firma a Vienna, chiuse le trattative e tolte le sanzioni”.
A centro pagina: “Grecia, oggi il piano in Parlamento”, “Syriza è divisa ma il premier avrà il sostegno di parte delle opposizioni”, “Tsipras in tv: ‘Accordo duro ma non lascerò il Paese nella catastrofe’. Slitta la stretta sulle pensioni”.
In prima anche la foto di Plutone, dopo che la sonda New Horizon ha fotografato il pianeta da 12.500 chilometri: “Ecco Plutone visto da vicino”.
In prima anche un intervento di Alberto Mingardi: “Amazon, la rivoluzione ha vent’anni”.

Il Fatto: “Tsipras a caccia di voti per accontentare l’Europa”, “Il premier: ‘Si sono vendicati, ma Varoufakis ha sbagliato’”.
E un’intervista al leader della Fiom Maurizio Landini, che dice: “Fossi lì farei uno sciopero anti-Merkel’”.
A centro pagina, in grande evidenza: “I Cosentino’s: a Roma vanno con Renzi, a Napoli in galera”, “Retata in Campania: richiesta di arresto per Sarro (FI)”.
E su Mafia Capitale: “Marino perde anche Nieri, il vicesindaco”.
Poi “le intercettazioni”: “De Vincenti, sottosegretario: ‘Serve un esposto contro i pm di Tirreno Power’”.
In prima anche “la svolta”: “Nucleare Iran, l’accordo è già storia. Ma Israele si ribella: ‘Una sciagura’”.

Il Giornale: “Il fisco spia anche il bancomat. Schiavi dello Stato. Partite Iva obbligate a giustificare ogni prelievo. Altrimenti rischiano pesanti multe”. E poi: “I numeri inchiodano Renzi: record del debito pubblico”.
A centro pagina: “Londra non ci sta: basta soldi ad Atene. Syriza in frantumi, Tsipras nei guai. ‘Varoufakis ha sbagliato, banche chiuse per un mese’”.
Di spalla l’accordo con l’Iran: “Firmato l’accordo sul nucleare iraniano. L’ira di Israele: mondo più pericoloso”. Con commento di Fiamma Nirenstein: “E adesso riconosciamo pure l’Isis?”.

Il Sole 24 ore: “Iran, accordo sul nucleare. Via le sanzioni economiche”. “Obama: vigileremo. Israele: ora il mondo è più pericoloso”. “Storica firma a Vienna. Limitazioni ai programmi di Teheran e ritorno alle vendite di petrolio”.
Di spalla, altrettanto in evidenza: “Riforme ‘salva Grecia’ al voto: sì in Parlamento o rischio Grexit. Fmi contro Berlino: prestiti inutili senza tagli al debito”. “Se il fondo perde la pazienza” è il titolo del commento di Alessandro Plateroti.
In alto una intervista al ministro della giustizia Andrea Orlando: “’Per i corrotti mai più prescrizione’”.

Avvenire: “Iran, patto nucleare. Dopo anni di trattative la rinuncia all’uranio e sì alle ispezioni. Soddisfazione ma restano incognite. Repubblicani Usa contro l’accordo”. “Storica intesa Occidente-Teheran sulla bomba. Via le sanzioni. No di Israele: pronti ad agire”.
A centro pagina: “Migranti, in Libia un’altra strage, 100 gli annegati”. Almeno cento morti sono stati raccolti ieri sulle spiagge di Tajoura, in Libia. La notizia è stata lanciata ieri dal Migrant Report, organo di informazione basato a Malta.
Accanto: “Tsipras perde il partito. ‘Ma rispetto il piano’. Nel Parlamento greco nuova maggioranza. Padoan: per l’Italia nessun costo”.

Iran, l’accordo

La Stampa, pagina 2: “Arriva l’accordo con l’Iran. Programma nucleare limitato per quindici anni”, “Non potrà fare la bomba atomica, via le sanzioni in pochi mesi. Obama: un successo della diplomazia. Rohani: abbiamo vinto tutti”. I negoziatori di Iran, Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania, scrive Francesco Semprini, sono riusciti a sciogliere gli ultimi nodi, in particolare sull’embargo delle armi e sulle ispezioni dell’Aiea nei siti militari iraniani. L’accordo di 159 pagine impedisce, per almeno 15 anni, a Teheran di produrre quantità di materiale sufficiente a dotarsi di una bomba atomica, e impone nuove misure per l’ispezione dei siti, con un tavolo arbitrale per quelli militari. In cambio l’Iran ottiene la rimozione di tutte e sanzioni, fermo restando l’embargo sulle armi per i prossimi 5 anni, e il divieto di trasferimento delle tecnologie balistiche per i prossimi 8. L’Iran tornerà in possesso di almeno 100 miliardi di dollari in asset congelati all’estero, vedrà rimosse alcune restrizioni sulle banche nazionali e la fine dell’embargo europeo sul greggio. L’Iran, membro dell’Opec, tornerà a esportare petrolio e questo si tradurrà in nuovi introiti per il Paese e in un abbassamento dei prezzi al barile.
Alla pagina seguente, una pagina di domande e risposte sull’accordo: “Che cos’è, come funziona, perché è storico”.

La Repubblica intervista Federica Mogherini, Alto Rappresentante della Politica estera Ue, che è stata uno dei protagonisti del negoziato. Dice che “Dalla Siria all’Iraq l’Iran può aiutare a cambiare le cose” e che “l’intesa contribuisce alla sicurezza e alla stabilità del Medio Oriente”.

Anche sul Corriere una intervista a Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. “Sono convinta che l’Unione Europea in particolare abbia un grande interesse in quello che succederà da adesso in poi. Siamo i più vicini all’Iran, geograficamente e storicamente, condividiamo millenarie radici culturali, siamo stai il loro primo partner commerciale. E condividiamo una regione, quella mediorientale, che è in fiamme”. L’accordo è “una vittoria globale su tre livelli”, quello della “non proliferazione nucleare”, ovvero “stabilità e sicurezza”, perché è un “investimento sulle giovani generazioni iraniane” e per la sua dimensione “regionale e internazionale”. Una delle critiche all’accordo è che si limita a “imbrigliare” l’Iran per 10 o 15 anni. “L’Iran con questo accordo si impegna a non cercare di ottenere mai un’arma nucleare”, ma “era impensabile lavorare sull’ipotesi di una durata eterna. La cosa importante è vedere cosa succede di qui alle diverse scadenze”.

Iran, i commenti

La Repubblica, pagina 2: “La svolta nucleare, ecco l’accordo tra Usa e Iran che può cambiare il mondo”, di Bernardo Valli. “La posta in gioco -scrive Valli- non è soltanto il nucleare: se l’accordo sarà applicato, l’Iran recupererà il ruolo di grande potenza della regione. Gli introiti del petrolio, ridotti dalle sanzioni, il rilancio dell’economia favorito dagli investimenti stranieri impazienti di riversarsi su un Paese di 80 milioni di persone ansiose di consumare, il riavvio dell’attività bancaria con l’Occidente, insieme al ritorno alla normalità in tanti altri settori accrescerà l’influenza della Repubblica islamica fondata da Komeini. Gli alleati tradizionali dell’America, quali l’Arabia saudita e Israele, non perdonano a Obama di avere favorito, anzi voluto, il ritorno in società a pieno titolo del loro avversario”.

Su La Stampa, in un’analisi dal titolo “Il pericolo non viene più da Teheran”, Roberto Toscano sottolinea che “se alla fine un accordo è stato raggiunto, è perché sia americani che europei sono arrivati alla conclusione che -al di là della storia, delle rivalità geopolitiche, della retorica rivoluzionaria- l’Iran è in realtà un Paese razionale, come ha detto Obama commentando l’accordo”. E il vero scontro sull’opportunità o meno di arrivare a questo accordo, “non è mai stato, nonostante le apparenze, davvero centrato sul numero di centrifughe o sulle scorte di uranio arricchito, ma sulla natura del regime iraniano, sul suo ruolo regionale, sulle sue ambizioni geopolitiche. E’ al riguardo rivelatore che negli ultimi giorni il negoziato abbia minacciato di arenarsi su un tema che non ha niente a che vedere con il nucleare, l’embargo alla vendita delle armi all’Iran -che l’accordo di Vienna mantiene comunque per i prossimi cinque anni- e che i nemici dell’intesa, invece di prospettare improbabili ‘primi colpi’ nucleari iraniani contro Israele, abbiano messo l’accento sul pericolo che la fine delle sanzioni possa mettere a disposizione del regime iraniano enormi risorse finanziarie aggiuntive da adibire a una politica eversiva ed espansiva a livello regionale”. Ma -sottolinea Toscano- è proprio dal contesto regionale che è dipesa la disponibilità al compromesso: “si fa molta fatica” oggi ad accogliere la tesi del premier israeliano sull’Iran come nemico principale e minaccia alla stabilità regionale se non mondiale nel momento in cui l’Is rivela non solo una “tremenda sostenibilità militare, ma anche ambizioni espansive dal punto di vista sia ideologico che territoriale”. Ambizioni “che il regime iraniano ha da tempo abbandonato”, per una realistica constatazione “dell’impossibilità di estendere a livello regionale il khomeinismo per un Paese irrimediabilmente minoritario, in quanto persiano e non arabo, sciita e non sunnita”.
Ancora su La Stampa, l’analisi di Maurizio Molinari da Gerusalemme: “Così l’accordo stravolge la Regione. Parte la controffensiva dei sauditi”, “Attacco agli sciiti in Yemen, mano tesa ad Ankara per far fuori Assad. Di fronte a un Iran più forte, Riad blinda gli alleati e pensa all’atomica”.
Alle pagine 6 e 7 de La Repubblica: “L’ira di Netanyahu: ‘State facendo un errore, Israele si difenderà’”, “Telefonata incandescente del premier alla Casa Bianca: ‘Ora il mondo è meno sicuro, Teheran si costruirà l’atomica’. Laburisti e centristi sulla stessa linea”.
E “lo scenario” di Federico Rampini: “Il presidente contro tutti, la svolta storica di Obama per domare il Medio Oriente”. Ci sono 60 giorni utili per incassare il voto cruciale del Congresso e su quel fronte -sottolinea Rampini- la destra americana già dissotterra l’ascia di guerra. Per tutti parla John Boehner, presidente della Camera, quindi leader istituzionale dei repubblicani: “Invece di rendere il mondo meno pericoloso questo accordo incoraggia l’Iran, il più grande sponsor mondiale del terrorismo, perché aiuta a stabilizzare e legittimare il suo regime”. E il presidente Obama preannuncia: “Metterò il veto se il Congresso vota contro l’intesa”.

Sul Corriere l’inviato a New York dà conto della dichiarazione di Obama: “Discutetene finché volete ma l’accordo con l’Iran non può essere bloccato”. Obama ha detto di esser pronto a usare il suo potere di veto per rovesciare eventuali decisioni del Congresso contrarie all’accordo con Teheran. Le Camere avranno sessanta giorni di tempo per esaminare il testo. Potranno anche bocciarlo “ma a Obama basterà il sostegno di un terzo dei senatori e di un terzo dei deputati per ribaltare le decisioni contrarie e spianare la strada alla attuazione del ‘deal’ con Teheran”, si legge.
Ancora sul Corriere una analisi di Massimo Teodori: “Obama, da Cuba all’Iran. I successi di fine mandato”.

“Ora manca solo che gli Usa cerchino di allearsi con l’Isis” è il titolo del commento di Fiamma Nirenstein, su Il Giornale.

Su La Stampa: “Netanyahu non si fida. ‘Teheran andrà avanti, il mondo è in pericolo’”, “Il premier di Israele: nono siamo vincolati all’intesa. Obama gli telefona ma non riesce a convincerlo”.

Vanna Vannuccini, su La Repubblica, racconta “la festa dei ragazzi” a Teheran.

Su Avvenire Camille Eid scrive che l’accordo di ieri potrà dare “nuova linfa alla retorica del complotto ‘safavide-crociato’ contro i sunniti tanto caro ai siti jihadisti”. Ma “non manca nemmeno chi vede dietro la fulminea espansione dell’Is in Siria e Iraq una diabolica regia degli ayatollah per premere su Washington”, come in un “editoriale pubblicato una ventina di giorni fa sul quotidiano pan-arabo Al Sharw al Awsat (finanziato dai sauditi, altri nemici giurati di Teheran) in cui l’autore definisce la presa di Mosul dell’estate scorsa ‘una sceneggiatura dello studio cinematografico Qassem Suleimaini’ in riferimento al comandante delle brigate speciali Al Qods dei pasdaran che oggi ‘assiste’ le truppe filo-governative irachene. ‘Le gravi minacce sanano così tanto bene i cuori che le divergenze sul nucleare sembrano cose futili’”, scriveva l’autore dell’articolo. Visto dagli Usa, secondo Eid, l’accordo dovrà agevolare la lotta contro l’Is, e aiutare a risolvere altre situazioni. Secondo il presidente del Parlamento libanese Berri ci sarà intanto una accelerazione della soluzione della crisi yemenita e anche di quella libanese, che da 14 mesi è incapace di raggiungere il quorum per eleggere il nuovo capo dello Stato.

Iran e petrolio

Sul Sole 24 ore: “L’onda lunga del petrolio iraniano. Con la revoca delle sanzioni torna sul mercato il terzo esportatore mondiale. A medie termine vi portrebbero essere 1,5 milioni di barili aggiuntivi. Il Paese ha ottanta milioni di abitanti e una classe media molto sviluppata”. Roberto Bongiorni, che firma l’articolo, scrive che “con ogni probabilità le sanzioni internazionali non saranno subito rimosse”, e che “per quelle americane si parla anche di 6-12 mesi. Sempreché l’Iran traduca in realtà gli impegni assunti nel negoziato. Scenario non scontato”. Inoltre si dovrà considerare che “ci vorrà del tempo per ripristinare le infrastrutture petrolifere inutilizzate e riammodernare quelle – e non sono poche – che versano in condizioni quasi fatiscenti”. In ogni caso quando una “potenza petrolifera” come l’Iran tonerà sul mercato, con i sui 1,3-1,5 milioni di barili al giorno, “è presumibile che vi sarà un effetto deprimente sulle quotazioni del petrolio”, visto anche l’ampio eccesso di offerta di questi mesi.

Sul Corriere: “Come cambiano i nuovi equilibri Opec. Il Paese può produrre 3,6 milioni di barili. I rapporti con l’Arabia Saudita”. Si legge che “paradossalmente, in uno scenario di prezzi bassi, Arabia Saudita e Iran potrebbe anche trovare una convergenza di interessi” per mettere nei guai i produttori di petrolio “con convenzionale”, ovvero lo shale degli Usa. Ma per poterlo fare l’Iran avrà bisogno delle compagnie occidentali e delle loro tecnologie.

Iran e Italia

Sul Corriere una intera pagina: “Italia-Iran. L’Eni progetta il ritorno, il ritiro delle sanzioni potrebbe valere 3 miliardi in più di export nei prossimi 4 anni”. Si dà conto di una lezione alla Iranian Business School, partnership tra Teheran e una università finlandese, raccontata dal Financial Times qualche giorno fa. Si legge anche che prima delle sanzioni economiche all’Iran, varate nel 2006, l’Italia era “uno dei più importanti partner economici e commerciali di Teheran” e che oggi il ministro Guidi spera di “poter presto riprendere un percorso di collaborazione bilaterale”.

Sul Sole 24 ore: “L’export italiano può fare il balzo. Sace: entro il 2018 da uno a quattro miliardi. Guidi: possiamo tornare il primo partner”. “La crescita tumultuosa è stata interrotta durante l’embargo ma con poche perdite. In questi anni concorrenti come Cina, India, Russia e Brasile hanno guadagnato terreno”. Nell’articolo si legge che alcune industrie non hanno mai interrotto i rapporti con il Paese: “Maschio (trattori): abbiamo sempre tenuto un ufficio vendite”. Il gruppo Maschio Gaspardo è stata la prima e unica azienda italiana a investire in Iran durante l’embargo, aprendo una filiale commerciale nel 2010. In prima fila per riprendere gli investimenti ci sono le imprese attive nel comparto oil e gas e la meccanica strumentale.

Sul Giornale: “Gli affari dell’Eni e lo zampino sull’Irak. Ecco i nuovi equilibri mediorientali”. “L’Italia pronta al grande ritorno: si apre un mercato da oltre 100 miliardi. Bagdad rischia di diventare un feudo iraniano”.

All’export commerciale Italia-Iran è dedicato un articolo di Francesco Spini su La Stampa: “L’export italiano punta a raddoppiare con macchinari, costruzioni e energia”, “Gli analisti: senza sanzioni si potrà passare da 1,15 a 2,5 miliardi entro il 2018”.
Anche su La Repubblica: “Acciaio, edilizia e moda, riparte l’export italiano, ‘Tre miliardi in più’”.

Grecia, Tsipras

Ieri il primo ministro greco, intervistato dalla tv di stato, ha detto che non è vero che il referendum è stato inutile. “L’accordo che abbiamo messo sul tavolo è molto meglio di quello che ci venne proposto lo scorso 25 giugno, perché i tempi lunghi che abbiamo ottenuto faranno finire la speculazione e ridurranno l’impatto recessivo delle misure che stiamo per adottare”. Il Corriere scrive che Tsipras “non è mai apparso a suo agio” durante l’intervista. “Ho firmato un testo nel quale non credo ma non fuggo dalle mie responsabilità. Non c’erano alternative. L’uscita dall’euro sarebbe stata un disastro per la Grecia. Non mi dimetterò comunque vada. Abbiamo ottenuto fondi per investimenti e la ristrutturazione del debito. E non possiamo negare che nel nostro sistema ci fosse un grande problema con le pensioni”.

Su La Stampa l’inviato ad Atene Alessandro Barbera racconta come ieri sera alle 22.00 la Grecia fosse ferma di fronte ai televisori:” il premier Alexis Tsipras è apparso sugli schermi tv del primo canale pubblico per l’intervista più difficile della sua carriera. Ha l’aria tirata e seria, niente cravatta. Dice: “Il modo in cui l’Europa ha reagito al nostro referendum non la onora. Ero convinto che dopo ci avrebbero dato un po’ più di tempo”, invece “si sono dimostrati un po’ vendicativi”.

Su La Repubblica il reportage da Atene di Ettore Livini: “Il D-Day di Tsipras davanti al Parlamento, ‘Ci hanno schiacciati ma la Grecia è salva’”, “Oggi il primo voto sulle riforme draconiane imposte dall’Europa ad Atene. Syriza si frantuma e il governo otterrà il sì all’accordo solo grazie al voto delle opposizioni. Dopo questo verdetto, il panorama politico del Paese cambierà per sempre. Il premier: ‘Non ho interesse ad andare ad elezioni anticipate, ma non guiderò un nuovo esecutivo con latri partiti’. ‘Con la dracma i poveri diventano più poveri e i ricchi più ricchi’”. Nel suo intervento in tv Tsipras ha detto, tra l’altro: “La Grecia aveva davanti due scelte: l’intesa o l’addio all’euro. Il compromesso non piace neanche a me, ma non fuggo davanti alle responsabilità. L’alternativa era il ritorno alla dracma, guarda caso quello che vuole Schaeuble. E io ho firmato”, “Le riforme che ho firmato sono dure, ma migliori dell’ultimatum del 25 luglio. Non taglieremo pensioni e stipendi, rinegozieremo il debito dal 2022 e riceviamo 82 miliardi nei prossimi tre anni. L’unico modo per salvare le banche e i depositi dei greci”. Sulla rivolta del suo partito, Syriza: “Farò di tutto per tenere il partito unito. Ma ognuno deciderà in coscienza se tenere in piedi il governo di sinistra o farlo cadere, come in Europa si augurano in tanti”. Sulle alternative all’euro: “Sono stato in America, Russia e Cina, ma nessuno mi ha detto torna alla dracma e ti aiuteremo”. L’ala radicale di Syriza, scrive Livini, è pronta a dare battaglia in Parlamento votando ‘no’ e Tsipras è intenzionato a chiedere le dimissioni di tutti i deputati che si metteranno di traverso. Il portabandiera dei “ribelli” sarà con ogni probabilità l’ex ministro delle Finanze Vaoufakis (su cui il premier ieri ha ironizzato: “bravo economista ma ha fatto anche molti errori”). E si schiererà contro anche “Piattaforma della sinistra”: il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis, leader della corrente, ha preannunciato: “Non diventeremo una colonia tedesca”. Il viceministro dell’economia Nadia Valavani ha annunciato le dimissioni, in polemica sul maxi-fondo per le privatizzazioni. A rischio per Tsipras è anche l’appoggio del partito nazionalista di Anel (13 deputati), visto che il loro leader, il ministro della Difesa Panos Kamennos, ieri è apparso “indecifrabile”, secondo Livini, che cita una sua dichiarazione: “A Bruxelles si è consumato un colpo di Stato”.

Su La Stampa, Alessandro Barbera scrive anche che “la Grecia è ancora stordita” perché il piano concordato con l’Europa è persino più duro di quello che Tsipras aveva inizialmente rigettato: fra le pieghe c’è una clausola che lo costringerà, tra l’altro, ad abbandonare il progetto di riassumere 9mila dipendenti pubblici (i quali hanno dichiarato lo sciopero generale e oggi scenderanno in piazza).

“Tsipras probabilmente realizzerà un rimpasto di governo”, scrive Vittorio Da Rold sul Sole 24 ore. Ha presentato in Parlamento il testo del pacchetto di riforme, che sarà composto di due soli articoli, e che sarà esaminato con la procedura di urgenza. Il provvedimento dovrebbe essere votato attorno alla mezzanotte di oggi. Non lo voteranno tra i 30 e i 40 parlamentari di Syriza. Il partito dei greci indipendenti di Kammenos dovrebbe invece restare fedele al governo. In soccorso di Tsipras arriveranno i voti di Nea Dimokratia, Pasok e Potami. Secondo un sondaggio il 51,6 per cento dei greci considera l’accordo con l’Ue positivo.
Un altro articolo si sofferma sul fondo per le privatizzazioni degli assett greci: “La missione impossibile del fondo per le privatizzazioni. Crescono i dubbi sula possibilità di incassare 50 miliardi”. “Il programma del 2010 aveva lo stesso target ma si arrivò solo a 3,5 miliardi. Il ministro dell’Economia: non abbiamo attivi per 50 miliardi”. Al massimo se ne potrebbero ricavare 18, si legge.

Su Tsipras, la Grecia e l’Europa una intervista a Laura Boldrini sul Corriere della sera: “Ha assunto decisioni lungimiranti che fanno di lui un leader di grande personalità. Le pagherà, forse anche rispetto alla tenuta del governo, ma l’analisi che lo vede umiliato è superficiale. E’ vero che i greci dovranno fare enormi sacrifici, però ottenere una simile linea di credito dall’Europa non è secondario”.

Su Avvenire una intervista a Yannis Kantellis, giornalista dell’emittente Skau. Dice che il suo Paese ha preso “con sollievo e perplessità” l’accordo. Dice che “Syriza si muove verso la rottura e vedremo quante perdite avrà il suo gruppo parlamentare”. “Le elezioni nei prossimi tre mesi non sono uno scenario molto probabile”.

Grecia, Ue, popoli e trattati

Ieri Tsipras ha anche annunciato che la riapertura delle banche è ancora lontana. Dipenderà dall’accordo che avverrà in un mese, ha detto nell’intervista. Da qui a metà agosto – come scrive Il Sole 24 ore – la Grecia ha bisogno di una somma tra i 7 e i 12 miliardi di euro. “Una parte dei soldi potrebbe giungere (anche se è legalmente difficile) dai profitti generati dai titolo greci acquistati dalla Bce, ma non basterebbe. Poiché l’Esm non può essere utilizzato in questo caso perché richiederebbe un memorandum, una delle possibilità è appoggiarsi al vecchio fondo noto con l’acronimo Efsm, il fondo dei 28 Paesi Ue.

A pagina 8, su La Stampa: “Londra: ‘Niente soldi alla Grecia’”, “Il cancelliere britannico Osborne, polemico con l’Ue: non partecipiamo al prestito ponte. Si lavora a un compromesso: se Atene non paga i 3,5 miliardi entro lunedì rischia il default”. Spiega il quotidiano che la soluzione ipotizzata dalla Commissione Ue per il prestito ponte (ricorrere al tesoretto della Bce integrandoli con il fondo di stabilità Efsm) è stata bocciata ieri da inglesi e cechi che, pur non essendo nell’euro, partecipano all’Efsm, in quanto strumento comunitario.

Sul Giornale: “La Gran Bretagna non ci sta. ‘Ad Atene mai i nostri soldi’. Il piano era quello di allargare a tutti i 28 Paesi europei il piano di aiuti alla Grecia. Ma Londra è chiara: ‘Non facciamo parte dell’euro, arrangiatevi’”. Osborne ha ricordato che esiste “un accordo del 2010 che esclude l’utlizzo delle risorse dell’Ue per salvare i Paesi euro in crisi”, e che “l’eurozona deve coprire da sola i suoi conti”.

Sul Corriere: “Bruxdelles pronta al prestito per Atene. Londra: ‘Noi non vogliamo pagare’. L’ala dura di Berlino: Grexit soluzione migliore. Il Fondo monetario: ridurre il debito”. Londra ha fatto sapere di non essere disponibile a contribuire, attraverso il fondo Efsm, al salvataggio della Grecia e anche altri ministri dell’Ecofin hanno manifestato problemi sul reperimento delle risorse.
Da segnalare sul Corriere un contributo di Sabino Cassese che scrive che “è sbagliato parlare di sovranità ferita e di democrazia umiliata, lamentare che l’accordo non è tra eguali, evocare i protettorati, sollecitare l’orgoglio nazionale”, perché quel che “volevano i padri fondatori dell’Europa” era proprio “questa duplice responsabilità”, “ritenevano che la legittimazione popolare non bastasse, che la democrazia andasse arricchita, come accade quando si entra in associazione con altri e si assumono regole comuni che tutti devono rispettare”. Insomma: “la staffetta popolo greco-governo greco-governi europei non è una ferita ma un arricchimento per la democrazia”.

Sul Sole un contributo di Stefano Micossi riflette sugli assetti istituzionali europei: “Solo l’Europarlamento può costruire l’Unione politica. Per andareoltre la governance economica serfve una mobilitazione di intellettuali, classe dirigente e Parlamenti nazionali”.

Grecia, Fmi

Sul Sole 24 ore, Alessandro Plateroti commenta la nuova presa di posizione del Fmi a proposito del debito greco: “Dieci giorni fa, a poche ore dal controverso referendum sulle riforme con cui Tsipras pensava di mettere all’angolo la Germania e i suoi alleati, il Fondo Monetario ruppe il fronte dei creditori di Atene diffondendo uno studio in cui dimostrava la necessità di un taglio sostanzioso al debito greco: poiché era proprio questa la tesi con cui la coppia Tsipras-Varoufakis aveva fatto saltare poche ore prima il negoziato con l’Europa, la cancelliera Angela Merkel considerò l’analisi del Fondo non solo come un affronto personale e alla Germania, ma anche come un gravissimo errore negoziale, diplomatico e politico”. E ieri, “a meno di 24 ore dal voto decisivo del Parlamento greco sul piano di riforme imposto dall’Europa, il Fondo Monetario ha colto infatti la prima occasione buona – e questa volta lo era davvero – per sbertucciare pubblicamente con un secondo ‘documento riservato’ la tesi tedesca sulla sostenibilità del debito greco a riforme attuate. Con la nuova analisi – resa forse ancor più forte dalla debacle di Tsipras nelle trattative del week end – l’Fmi non lascia spazio agli equivoci: la cura tedesca non funziona e la Grecia ha ragione da vendere nel pretendere un taglio del debito per sostenere le riforme”.

Giustizia

Intervistato dal Sole 24 ore il ministro della giustizia Orlando spiega perché non sarebbe giusto interrompere la prescrizione dopo una condanna di primo grado: “Chi vorrebbe interrompere la prescrizione dopo una condanna di primo grando non tiene conto ce fino all’appello, così come è organizzato oggi, passa molto tempo e lo Stato non ha il diritto di tenere l’imputato in sospeso all’infinito. Questo obiettivo si potrà porre quando avremo reso il processo penale più funzionale nel suo innsieme”. Più avanti dice che “la mediazione raggiunta” evita di “scaricare addosso all’imputato l’inefficienza del sistema. Per i reato di corruzione abbiamo costruito un sistema per cui è improbabile che scatti la prescrizione grazie al combinato disposto della sospensione per tre anni, degli aumenti di pena e del riconoscimento della specificità di alcuni reati. Se non si riesce a fare un processo in 18 o 22 anni…”. Orlando parla anche del rapporto tra giustizia e imprese, a partire dai casi di Ilva e di Fincantieri. “Monfacolone non è Taranto”, che è “il frutto della difficoltà di riportare una struttura industriale all’interno della normativa ambientale attuale” mentre a Monfacolne c’è stato “un intervento su un singolo segmento di attività industriale”. “La legge dice che” il magistrato “deve tenere conto di come impatta la sua decisione” sulle imprese ma “la domanda è: il magistrato ha tutti gli strumenti? Non sempre la risposta è sì”.

La Stampa: “Renzi apre alla sinistra Pd per evitare l’aiuto di Verdini”. Secondo Ugo Magri, che ne scrive, “punta a mantenere una maggioranza autonoma”. E Renzi dice anche che: ‘L’Italicum non cambia’”. Il presidente del Consiglio ha spiegato che “farà di tutto” sul fronte riforme per tenere unito il Pd: quindi, secondo Magri, “se le parole hanno un senso”, per la prima volta presterà orecchio a certe correzioni che ieri il bersaniano Miguel Gotor suggeriva per la riforma costituzionale del Senato.
Restiamo a La Stampa per dar conto delle dimissioni del vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, unico esponente di Sel nella giunta del sindaco Marino: a spingerlo alla decisione, la relazione dei commissari prefettizi, chiamati a valutare l’infiltrazione criminale nel Comune di Roma- Un intero paragrafo -scrive il quotidiano- sottolinea il rapporto tra Nieri e il ras delle cooperative sociali di Roma Salvatore Buzzi. Nieri non è mai stato indagato nell’inchiesta. Al telefono Buzzi sostiene che la nuovo sindaco Marino prenderà le misure proprio attraverso Nieri.

Il Fatto: “Mafia Capitale non finisce più. Roma, si dimette il vicesindaco”, “Marino per domare Pd e Sel potrebbe sostituire il vendoliano con Alfanso Sabella” (ex magistrato, ora Assessore alla legalità, ndr).
Su La Repubblica: “Anche il vicesindaco lascia la giunta. Marino traballa”, “Nieri citato nella relazione di Gabrielli su Mafia Capitale, strada in salita per il rimpasto in Campidoglio”.

Su Il Fatto, le pagine 2 e 3 sono dedicate all’inchiesta sulla “spartizione pilotata degli appalti dell’acqua in Campania” che, secondo il quotidiano, svela un grumo di intrecci tra camorra, politica e imprenditori edili e che vede coinvolti “pezzi da novanta” delle istituzioni pubbliche, tra cui il deputato Carlo Sarro (Fi) e l’ex senatore Tommaso Barbato (Udeur). Quest’ultimo è stato arrestato, mentre per Carlo Sarro il gip ha inoltrato alla Camera la richiesta di arresti domiciliari per turbativa d’asta. A pagina 3, quindi, attenzione per i due protagonisti dell’inchiesta. “Barbato, ex senatore idraulico. I Casalesi, gli sputi e De Luca”, “Accusato di concorso esterno in associazione camorristica, ha preso 4 ila preferenze nella coalizione col Pd”. E, su Carlo Sarro: “Prendeva tangenti e adesso firma per Renzi”, “deputato, nelle commissioni Antimafia e Giustizia, è uno dei verdiniani neo-nazareni”.

Su La Repubblica: “’Favori ai casalesi’. I pm: arrestate Sarro deputato di Forza Italia”, “le mani dei clan sugli appalti per la rete idrica. Fermato l’ex senatore Barbato, candidato per De Luca”.
E, intervistato dal quotidiano, lo stesso Sarro dichiara: “Mi dimetto ma non mi lascio trascinare nel fango”, “Mai trattato gare e contratti, mi difenderò fino all’ultimo”, “È vero, sono stato ai funerali del cognato del boss Zagaria, incensurato. Se faccio le condoglianze non è che prima mi metto a fare indagini”.

Anche sul Corriere un “colloquio” con Carlo Sarro, parlamentare di Forza Italia, sotto accusa e con una richiesta di arresto da parte del Tribunale di Napoli nell’ambito di una inchiesta sulle infiltrazioni della camorra casalese negli appalti per la realizzazione della rete idrica in provincia di Caserta. “Non ho mai gestito contratti. Controllavo solo le tariffe”.”Sono innocente. Faccio l’avocato da trent’anni, ho fatto il sindaco del mio paese per dieci e sono parlamentare da otto” e “mai, dico mai, pur lavorando in territori assai complicati, sono stato sfiorato da un millimetro di schifezza”. “Io come commissario liquidatore dell’Ente d’ambito Sarnese-Vesuviano non mi sono mai occupato di contratti, gare e cose così. Mai gestito direttamente né indirettamente alcun appalto”.

E poi

Da segnalare sul Corriere un intervento di Boris Nemtsov, ucciso nel febbraio scorso a Mosca: “‘Migliaia di militari russi in ferie stanno combattendo in Ucraina’. L’atto di accusa dell’oppositore ucciso. ‘Putin mente sulla guerra ibrida’”. Il testo si riferisce soprattutto alla situazione dell’estate 2014. “Né Putin né i suoi generali hanno avuto abbastanza coraggio da riconoscere l’aggressione militare contro l’Ucraina. Le vili menzogne e l’ipocrisia vengono spacciate per grande saggezza politica. La guerra sfrontata e vigliacca scatenata da Putin costerà cara al nostro Paese”.

Avvenire dà notizia di quella che definisce “la tragedia più grave dal 18 aprile”. “Cento morti sulle coste libiche. Ritrovati a Tajoura”. “Tra loro anche donne e bambini. Le salme portate nell’ospedale di Tripoli. Il bilancio potrebbe crescere ancora. Venti migranti torturati e uccisi nel deserto”.

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