In arrivo il decreto sui crediti Pa

 

Il Sole 24 Ore: “Debiti Pa: spunta l’addizionale Irpef. Nella bozza di decreto sui pagamenti l’aumento delle tasse locali già quest’anno. Il Governo apre a modifiche, oggi il testo in Consiglio”. “Grilli assicura: la toglieremo. Stretta su spese e investimenti futuri degli enti”. Di spalla: “Napolitano: i ‘saggi’ al lavoro per otto-dieci giorni. Pd: no al governissimo”.

 

Il Corriere della Sera: “Risparmi e Bot per le imprese. Oggi il decreto sui pagamenti alle aziende. L’ipotesi dell’addizionale Irpef, poi la smentita”. “Dai titoli di Stato ai tagli: il piano dei rimborsi”. In alto, sulla situazione politica: “Bersani esclude il governissimo ma apre all’intesa per il Quirinale”.

 

La Repubblica: “Voto anticipato per il Quirinale. Camere riunite dal 18 aprile. Il segretario Pd: mai governissimi. Prima riunione dei saggi. Napolitano chiede scusa alle donne. Governo, 5 Stelle divisi”. A centro pagina: “Irpef più cara subito per pagare le imprese”. “Sì al decreto. Può essere aumentata l’addizionale regionale”.

 

La Stampa: “Arretrati, così lo Stato pagherà. Per trovare i fondi, le Regioni potrebbero anticipare l’aumento dell’Irpef. Napolitano e i saggi: al lavoro 8-10 giorni. Bersani: Quirinale, ampia intesa”.

 

Il Fatto quotidiano: “Monti, ultimo regalo: i debiti alle imprese li paghiamo noi”. Sì delle Camere al rimborso di 40 miliardi ai fornitori della Pubblica amministrazione. Ma il decreto del Professore autorizza le Regioni ad aumentare fino al doppio l’aliquota Irpef del 2013. Per spendere, il prossimo esecutivo dovrà fare una manovra”.

 

Libero: “Lo stato paga i debiti ma solo alla casta. Nessun ritardo, già pronti gli assegni per i 500 parlamentari non rieletti: milioni esentasse”. Il quotidiano pubblica un riquadro con alcune delle “onorevoli buonuscite”, da Fini a D’alema, da Mroni a Scajola a Pisanu.

 

Il Giornale: “I saggi e Bersani pensano, gli imprenditori si uccidono. Il leader Pd tira a campare e chiude al voto. Il Pdl: niente dialogo con chi occupa le istituzioni”.

 

L’Unità: “Quirinale, l’offerta di Bersani. ‘Pronti a votare un presidente di garanzia per tutti ma il governo deve essere di cambiamento”. E poi: “Strane coppie. Marine Le Pen: ‘Mi piace Grillo, voglio incontrarlo’”. “Le forze euroscettiche devono incontrarsi”.

 

Crediti Pa

 

Scrive Il Sole 24 Ore: “Oggi il governo varerà il decreto legge di circa 40 miliardi (su un totale di 91) di debiti della Pa nei confronti delle imprese. Nella bozza che sarà presentata oggi al Consiglio dei ministri (in programma alle 10, ma slittato alle 19, per consentire un confronto sulle ultime modifiche prima del varo) spunta la possibilità per le Regioni che utilizzeranno l’anticipo di cassa di effettuare nel 2013 l’aumento dell’aliquota addizionale Irpef che avrebbe dovuto scattare nel 2015. Ma in serata è arrivata la frenata del ministro dell’Economia Vittorio Grilli e la norma è destinata ad uscire dal decreto”. Il piano, spiega il quotidiano, si presenta abbastanza complesso, e vincolato alla emanazione di decreti attuativi. Sulla copertura complessiva della misura, il governo punta alla emissione di titoli di Stato per un massimo di 25 miliardi per i prossimi due anni.

 

Napolitano

 

Ieri il capo dello Stato ha ricevuto i dieci saggi da lui nominati, si è scusato per non aver nominato neppure una donna ed ha fissato in “otto-dieci giorni” il “giusto limite temporale di una iniziativa che – come scrive il Corriere – ha messo in agitazione le forze politiche e però ha centrato l’obiettivo di tranquillizzare i mercati. Napolitano è tornato a definire la sua iniziativa “di portata assai limitata”, respingendo le “reazioni di sospetto” e le “interpretazioni sconcertanti”, chiarendo che le due commissioni di saggi non creano “nulla che possa interferire con l’attività del Parlamento”. I gruppi di lavoro, ha precisato ancora, non “indicheranno un tipo o un altra soluzione di governo”. Oggi pomeriggio si riunirà la commissione per le riforme istituzionali dei saggi (Violante, Quagliariello, Mauro e Onida) e domani quella economica (Pitruzzella, Rossi, Giovannini, Giorgetti, Bubbico e Moavero).

In un “dietro le quinte” si sottolinea come Napolitano abbia tentato di evitare la trappola della paralisi per il periodo che ci separa dal giorno in cui le Camere si riuniranno per eleggere il suo successore: si tratta di mettere a frutto le prossime due settimane scarse, in modo che i saggi allentino la spirale di incomunicabilità tra i partiti: oltre a compilare una agenda minima di riforme e provvedimenti condivisi che il Presidente metterebbe a disposizione del proprio successore. Ma il Corriere non esclude che lo stesso Napolitano possa aprire lui stesso un ulteriore, terzo giro di consultazioni.

 

Bersani

 

La questione è strettamente connessa alla posizione di Pier Luigi Bersani, che ieri ha tenuto una conferenza stampa ed ha parlato del suo “pre-incarico” spiegandolo così: “Io immagino che sia assorbito in questa nuova fase. Ma non vado al mare. Io ci sono, non intendo essere un ostacolo, ma ci sono”. E’ la prima volta – scrive il quotidiano – che Bersani allude ad un suo possibile passo indietro. Bersani ha ribadito la sua contrarietà ad un governissimo, ha sottolineato di aver dietro di sé tutto il partito. E se è vero che Napolitano non indicherà un altro premier, al segretario – scrive il Corriere – non resta che guardare oltre: “Mi pare che l’indicazione del presidente della Repubblica di otto-dieci giorni di lavoro della commissione dei saggi alluda al fatto che la ripartenza venga consegnata al nuovo presidente. Secondo il quotidiano Bersani è pronto, quando vi sarà un presidente della Repubblica nuovo e nel pieno delle sue funzioni, a riprovarci perché – come ha detto – non può ammettere che “si accantoni il piano del Pd senza alcun voto parlamentare”. Anche per La Repubblica Pierluigi Bersani ha accantonato solo temporaneamente la sua candidatura per Palazzo Chigi per tirarla fuori di nuovo dopo l’elezione del Capo dello Stato. La trattativa ora si sposta su un altro tavolo, quello della elezione del nuovo Presidente, per cui le procedure partiranno il 15 aprile: “Bersani inizia il rush intrecciando il Quirinale e il suo destino da premier”. Lo fa aprendo alle larghe intese, a un incontro con Silvio Berlusconi “nelle sedi istituzionali”. Il Pd avrà circa 490 grandi elettori sul quorum della maggioranza assoluta (505) che scatta dalla quarta votazione del Capo dello Stato: è sufficiente un patto con Monti per scegliere in solitudine, escludendo il Pdl. Potrebbe salire al Colle una personalità che avrebbe il potere di sciogliere le Camere o di mandare Bersani in Parlamento a cercarsi la fiducia anche senza numeri certi.

Sullo stesso quotidiano, Mara Carfagna ribadisce: “Le larghe intese vengono prima del nuovo capo dello Stato, ma il leader Pd non pensa all’interesse nazionale”.

 

Anche su Il Giornale: “Il leader Pd prova a resistere fino all’addio di Napolitano”, “Bersani approfitta dei saggi per congelare il dibattito interno e minaccia il Pdl con l’ipotesi di eleggere Prodi al Quirinale, che gli darebbe l’incarico”. Anche qui si sottolinea che dalla terza votazione per il capo dello Stato, se i nomi proposti dal Pd non piaceranno al centrodestra, Bersani potrà agevolmente eleggerselo da solo, con tutti gli “aiutini” che, nel segreto dell’urna, potranno arrivare. Anche Vittorio Feltri, sullo stesso quotidiano: “Il pallino di Pierluigi: un compagno sul Colle”.

 

IL Foglio racconta quello che definisce l’allarme rosso ad Arcore: una riunione di emergenza dal Cav contro quelle che vengono considerate “false aperture” di Bersani: Daniela Santanché dice: “Loro si eleggono il Presidente della Repubblica a scrutinio segreto, alla quarta votazione. Grillo mica lo vede cosa fanno i suoi ragazzi. E cosa ci vuole ad eleggere Prodi, o peggio Rodotà, o peggio ancora Zagrebelsky?”. La minaccia che penderebbe sul comitato dei saggi è quella di un ritiro degli esponenti appartenenti al centrodestra: si tratterebbe di “riprendersi Gaetano Quagliariello”, l’unico parlamentare del Pdl dei gruppi di lavoro, “se non si trova un accordo in 72 ore”.

 

Sul Corriere una intervista a Renato Schifani, ex presidente del Senato e oggi capogruppo Pdl a Palazzo Madama. “Spetta a noi fare una terna di nomi”, dice, riferendosi al Quirinale.

 

L’Unità: “Bersani apre sul Colle, ma no a governissimi”. Dove si legge che alla quarta votazione sarà sufficiente la maggioranza assoluta “e al centrosinistra basterà trovare una intesa o con i montiani o con i 5 Stelle per eleggere un capo dello Stato”. Il quotidiano dà conto anche della “partita interna al Pd”, con le accuse a Bersani di aver voluto inseguire i 5 Stelle. La nuova chiusura a qualunque ipotesi di governo con il Pdl anche con la formula tecnica (“non credo che un governo Monti senza Monti possa essere la risposta”, ha detto ieri Bersani), non piace all’area dei renziani, come scrive L’Unità. Il quotidiano riferisce le parole di Giorgio Tonini che, parlando dello sblocco dei pagamenti da parte della Pa, votato ieri all’unanimità in Parlamento, dice: “Dopo il voto unanime di oggi, è incomprensibile l’indisponibilità ad un governo di tutti, con un programma circoscritto all’economia e alle riforme”.

 

La Repubblica intervista il deputato renziano Matteo Richetti che, sulla possibilità che Bersani resti in campo, dice: “Dal momento che un governo no è riuscito a farlo, ipotizzare che si trovi ora una maggioranza sui un governo Bersani sembra difficile”. Secondo Richetti “realisticamente ciò su cui il Pd dovrebbe puntare è una intesa di scopo”, per varare “poche riforme” e “in tempi certi” tenendo presente il contributo dei saggi indicati dal Presidente Napolitano. Su questo terreno “sarebbe ovviamente più facile trovare intese parlamentari che le sostengano”. E precisa che in questo caso “non si può parlare di larghe intese e di governissimo, se c’è la condivisione di una agenda parlamentare che ha un tempo limitato e una forte valenza istituzionale”. Per quel che riguarda i rapporti con il M5S: “C’è un limite a tendere la mano a chi un giorno sì e l’altro pure definisce noi democratici i puttanieri della politica”.

 

M5S

 

Ieri, come racconta La Stampa, Beppe Grillo è tornato a dettare la linea, anche sulla possibile differenziazione che il capogruppo del Movimento 5 Stelle aveva fatto tra Bersani e Monti: “Il M5S non accorderà nessuna fiducia. Bersani non è meglio di Monti. E’ semplicemente uguale a Monti. Il Parlamento è sovrano da subito e con un tratto di penna può eliminare il Porcellum”. Il quotidiano scrive che ieri, nel corso della riunione dei parlamentari grillini sui temi del Presidente della Repubblica e su eventuali nuove alleanze di governo, sono emerse differenze e critiche al leader: in una votazione ci sarebbero stati 30 sì alla trattativa e 80 no.

Anche su Il Fatto: “Dissidenti e processi: il giorno nero del M5S”, “’Meglio il Pd di Monti’: Crimi sotto accusa, minaccia dimissioni. In assemblea vince la linea dura, nessuna apertura. Un gruppo chiede a Grillo di venire a Roma”. Si legge nell’articolo: “La riminese Giulia Sarti esce in lacrime e i dissidenti chiedono che Grillo venga a Roma presto, perché non si può lavorare dodici ore al giorno e poi essere smentiti da 4 righe su un blog”.

 

Internazionale

 

Il Corriere descrive come un “voto storico” quello che si è tenuto ieri al Palazzo di Vetro di New York: l’assemblea generale Onu ha approvato a grande maggioranza il primo trattato internazionale sul commercio di armi convenzionali. 154 i voti a favore, 3 i contrari (Siria, Corea del Nord e Iran) e 23 astenuti (fra cui Russia, Cina, Cuba, Venezuela e Bolivia). Oltre a disciplinare un mercato che vale 70 miliardi di dollari annui (il 30 per cento è in mano Usa) il trattato, il cui nome è “Arms trade treaty” stabilisce chiari standard per il trasferimento da Stato a Stato di ogni tipo di arma convenzionale (leggera e pesante) e proibisce l’esportazione nel caso queste possano essere usate in attacchi contro civili, in violazioni di un embargo, in azioni terroristiche, di crimine organizzato e di genocidio. Lo storico via libera di ieri, scrive ancora il Corriere, è stato possibile solo grazie al sì degli Usa, primo commerciante di armi al mondo: dopo l’elezione di Obama hanno letteralmente invertito la politica seguita su questo tema dalle due precedenti amministrazioni Bush. “Saremo i primi a firmarlo”, ha commentato a caldo il Segretario di Stato Usa Kerry. Questa posizione gli ha attirato l’ira della potente lobby delle armi, Nra, decisa a bloccare la ratifica della Convenzione da parte del Senato di Washington. L’organizzazione, vicina al Partito repubblicano, denuncia che il trattato viola il secondo emendamento della Costituzione, che sancisce il diritto dei cittadini di detenere e portare armi. A nulla sono servite le rassicurazioni dell’Onu stessa, secondo cui “il trattato non regolerà l’utilizzo domestico delle armi nei singoli Paesi, ma chiederà a tutti gli Stati di stabilire norme nazionali per controllarne il trasferimento all’estero”. Nemico di questo trattato sarà probabilmente la burocrazia Onu, perché il testo votato ieri dovrà essere ratificato da ogni singolo Paese a partire dal mese di giugno. E entrerà in vigore solo dopo la cinquantesima ratifica ovvero, secondo gli esperti, non prima di due anni.

Su La Stampa: “NordCorea, sfida agli Usa. Riapre il reattore proibito”. Ieri l’agenzia di stampa nordocoreana KCNA ha fatto sapere che sarebbe stato presto riattivato l’impianto nucleare di Yongbyon, incluso il reattore che ne fa parte, disattivato nel 2007 dopo una lunga trattativa con la comunità internazionale. In quell’anno, mentre bloccava le riforme economiche, il leader Kim Jong Il aveva accettato di spegnere il reattore come parte di un accordo sul disarmo che prevedeva aumentati aiuti alla Corea del Nord da parte dell’Onu e degli Usa. Poi non se ne fece nulla, però, dato che gli Usa non si fidavano delle assicurazioni coreane che quello era l’unico impianto utilizzato. Il quotidiano intervista Joseph Cirincione, presidente del Ploughshares, la più grande fondazione americana dedicata esclusivamente alla sicurezza nel settore nucleare.

Dice Cirincione: “La riapertura della centrale di Yongbyon è propaganda, perché è in condizioni così’ malandate che prima di tornare attiva avrebbe bisogno di mesi di lavoro. Il vero rischio per la sicurezza globale è un incidente globale convenzionale, che potrebbe scatenare la reazione di Seul, mentre le vere minacce che la Corea pone sul piano della proliferazione sono due: primo la condivisione della sua tecnologie con l’Iran; secondo, la spinta che sta dando ai gruppi conservatori del SudCorea e del Giappone, favorevoli a costruire le loro armi atomiche”.

 

E poi

 

Alle pagine della cultura del Corriere della Sera Paolo Mieli recensisce un libro di Massimo Guidetti che sta per esser dato alle stampe: “Costantino e il suo secolo. L’editto di Milano e le religioni”. Una lunga ricostruzione del sovrano che spalancò le porte al cristianesimo, che Voltaire descriveva come un uomo “brutalmente attento alle questioni di potere”, e che per Jacob Burckardt era un “uomo fondamentalmente non religioso”. Oggetto di critiche per la sua presunta “donazione” , cioè il conferimento alla Chiesa di potestà sull’Italia e sulle province occidentali dell’Impero. E per quel che riguarda l’editto di Milano (313) Guidetti ripropone la tesi dello storico tedesco Otto Seeck che già nell’ottocento sostenne non essersi trattato di una vera autorizzazione al culto, bensì una revoca di precedenti editti di persecuzione. Si trattò di un provvedimento indirizzato da un’area specifica dell’Impero, quella orientale, perché ad occidente le vessazioni erano già cessate da tempo. Durante l’età costantiniana si produsse poi la prima retorica antisemita. La recensione è molto ampia, rimandiamo quindi alle alle pagine della cultura: “Costantino non fu il padre dell’intolleranza religiosa. Favorì il cristianesimo ma non perseguitò i pagani”.

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