Il sultano senza maggioranza

Il Corriere della sera: “‘Fermezza di fronte alle pressioni russe’. Obama spinge per mantenere le sanzioni”. E poi: “Gentiloni: dialogo con Putin ma non cambiamo alleati”.
Il titolo più grande: “Migranti, la protesta del Nord. Maroni diffida i sindaci dall’accoglierli. Renzi: demagogia, misure Ue insufficienti”. “Serracchiani: ogni governatore faccia la sua parte, non prendo un profugo in più”.
La fotonotizia: “Erdogan non è più il ‘sultano’. Il partito del presidente perde la maggioranza”. L’immagina è quella dei leader del partito “filo-curdo” Hdp che festeggiano il buon risultato elettorale.
A fondo pagina: “Ruini, la mia proposta su Medjugorje. Il cardinale ha indagato per il Papa sul mistero. ‘La relazione sulle veggenti è articolata’”.

La Repubblica: “Migranti, la rivolta del Nord. Renzi: la Ue non fa abbastanza”, “Maroni, Toti e Zaia: basta accoglienza. Ira del governo. Mezzo milione pronto a partire dalla Libia”.
In grande evidenza nella colonna a destra, le elezioni in Turchia: “Schiaffo al Sultano. Erdogan frana, è svolta in Turchia”, “I curdi in Parlamento”.
A centro pagina: “Obama e Merkel al G7: stop a Putin. Grecia, ultimatum di Juncker a Tsipras”.

La Stampa: “Migranti, la sfida delle Regioni”, “Maroni ai sindaci:Se li accogliete vi taglio i fondi. Renzi: è soltanto demagogia”, “Anche Veneto e Liguria contro l’accoglienza. Sbarchi, il Viminale pensa a campi profughi. Il premier in Germania: Ue insufficiente”.
A centro pagina: “La Grecia oggi sul tavolo del G7. L’Ue a Tsipras: decida in 2 giorni”, “Summit in Baviera. Russia, restano le sanzioni: si studia l’approccio militare”.
E sulle elezioni legislative turche: “Turchia, Erdogan perde la maggioranza”, “Per la prima volta i curdi entrano in Parlamento”.

Il Giornale: “Nord, secessione da Renzi. Lombardia Liguria e Veneto dicono no al governo che vuole scaricargli altre migliaia di profughi. E Berlusconi sfida il premier: non è invincibile, così lo batteremo”.
A centro pagina: “Il Pd solo ora chiude 20 circoli sospetti. Il fium di soldi su Buzzi & Co lo paghiamo noi con il fiume di tasse che versiamo a Roma”.
Un altro richiamo: “Schiaffo curdo a Erdogan. Sultano senza maggioranza”.

Il Fatto: “S.P.Q.R.”, “Sono perduti questi romani”, “DA Buzzi a Odevaine, passando per Ozzimo e Pedetti: sono lontani i tempi della questione morale, di Berlinguer e dei primi cittadini romani come Argan e Pteroselli. Cosa resta del tempo migliore del Pci nel Pd di oggi e nei suoi dirigenti”.
E ancora sull’inchiesta “Mafia Capitale”: “Nel 2014 il ministero denuncia: affidamenti irregolari alle Coop”.
Poi “A sinistra”, con attenzione alla riunione di “Coalizione Sociale”: “Rodotà contro Renzi: ‘Indagati al governo, è garantismo peloso”.
Sulle elezioni turche: “In Turchia Erdogan perde la maggioranza. Curdi in Parlamento”.

Il Sole 24 ore: “Pensioni, cinque strade per le ‘uscite flessibili’. Nella legge di stabilità per il 2016 le soluzioni per consentire il ritiro anticipato”. “Le ipotesi sul tavolo tra ricalcoli, quote e penalizzazioni”.
A centro pagina il quotidiano economico offre una prima “analisi” del trend delle dichiarazioni dei redditi 2015 di dipendenti e pensionati: “Bonus lavori in aumento nel 730. Crescono anche le opzioni per la cedolare a canone agevolato”. Uno dei titoli è sugli “sconti più amati dagli italiani”. I dati sono quelli del Caf delle Acli, che ha già trasmesso al fisco 900 mila dichiarazioni.

Immigrati, Nord

La Stampa, pagina 2: “Maroni: ‘Niente soldi ai sindaci che accolgono migranti’”, “L’offensiva del presidente leghista trova l’appoggio di Zaia e Toti. Ma Alfano replica: ‘Fu lui a siglare l’accordo quando era ministro’”.
La Repubblica, alle pagine 2 e 3: “’Tagli ai sindaci che accolgono migranti’. Bufera su Maroni. Renzi: Ue insufficiente”, “Scontro tra i governatori del Nord. Chiamparino: ‘Solo strumentalizzazioni’ E Fassino attacca: minacce inaccettabili”.
Sulle stesse pagine, il “retroscena” di Alberto D’Argenio e Vladimiro Polchi: “Il Viminale all’ex ministro: ‘Fu lui a inventare le quote, ora i prefetti in campo contro le Regioni ribelli’”.
E il quotidiano mette a confronto le opinioni di Giorgio Gori, sindaco di centrosinistra di Bergamo, che dice: “Maroni non ricatti, Bergamo resterà una città accogliente”, con quella del neogovernatore del centrodestra della Liguria Giovanni Toti: “Sto con Bobo e Zaia, in Liguria non prendo neanche un profugo”.
Anche La Stampa intervista Giorgio Gori che, dell’iniziativa di Maroni dice: “E’ solo un ricatto. Quand’era al governo ne arrivarono migliaia”.
E il quotidiano interpella anche Flavio Tosi, sindaco di Verona: “Una ‘salvinata’ elettorale. Semplicemente non può. Ma l’Ue deve fare di più”.
E alla pagina seguente: “Renzi critica l’Ue: ‘Risposte insufficienti’”, “replica dura al governatore lombardo: ‘Stiamo facendo ciò che gli esecutivi passati non hanno fatto’. E per la Libia la diplomazia italiana vede il successo vicino: entro giugno il governo di unità nazionale”.
In un “retroscena”, poi, di Guido Ruotolo che traccia “la mappa dei migranti”, si legge che, essendoci “troppi sbarchi” potrebbero servire campi profughi: “da gennaio 53 mila arrivi, e la pressione non scende. L’allarme degli inglesi: mezzo milione pronto a partire”.
Su La Repubblica, in riferimento alle cifre fatte dal quotidiano britannico The Guardian: “’Libia, mezzo milione pronti a partire’”.
E su La Repubblica il corrispondente da Bruxelles Andrea Bonanni scrive in un’analisi di quella che considera “la pugnalata alle spalle” di Roberto Maroni nell’imminenza della riunione dei ministri dell’Interno dell’Ue prevista per il 15 e 16 giugno: dovranno discutere e votare una proposta della Commissione che potrebbe “alleggerire” l’Italia di 24 mila profughi da redistribuire tra gli altri Paesi europeo sulla base di un sistema di quote obbligatorie.
Sul Corriere della sera: “Maroni diffida i sindaci: basta immigrati. Cresce la tensione tra Regioni e governo”. “Il governatore leghista: fronte comune con Liguria e Veneto. Alfano: farò ciò che fece lui al mio posto”. Maroni ha annunciato di aver deciso di scrivere “a tutti i prefetti per diffidarli dal portare qui in Lombardia nuovi clandestini”, e di aver deciso di scrivere ai sindaci per “dirgli di rifiutarsi di prenderli”. “Ai sindaci che dovessero accoglierli ridurremo i trasferimenti regionali, come disincentivo”. Infine Maroni ha annunciato di avere in programma un incontro con Zaia e Toti. Contrario alle parole di Maroni il presidente del Piemonte Chiamparino. Alfano ha ricordato decisioni analoghe a quelle che dovrà prendere lui prese da Maroni da ministro dell’interno qualche anno fa. Critico anche il presidente dell’Anci Fassino: “Non è nei poteri di un presidente di Regione decidere quale politica di accoglienza dei profughi persegue il nostro Paese”.
Ancora sul Corriere Fiorenza Sarzanini descrive il “piano” del Viminale per il trasferimento di 5000 profughi e scrive che il riferimento di Alfano è “all’accordo siglato da Maroni con gli enti locali ‘per affrontare l’emergenza profughi attraverso uno sforzo comune affinché fino a 50 mila profughi siano equamente distribuiti nel territorio nazionale, in ciascuna Regione escluso l’Abruzzo (che aveva subito il terremoto, ndr )’. Non solo. L’intesa prevedeva che l’impegno del governo per ‘assicurare un criterio di equa e sostenibile attribuzione degli immigrati che risultassero clandestini, sentiti gli enti territoriali interessati’. I testi dei due patti siglati da Maroni, resi noti ieri dal Viminale, dimostrano dunque come l’unico modo per affrontare i momenti di massima criticità sia quello di una collaborazione piena in modo da evitare che alcune Regioni vadano in sofferenza, proprio come sta accadendo negli ultimi mesi in Sicilia, in Puglia, in Calabria e in parte in Campania e nel Lazio. E invece, secondo gli ultimi conti, in Lombardia sono stati negati almeno 2 mila posti, altri 1.500 in Veneto”. Secondo il quotidiano “già domani potrebbe cominciare il trasferimento in pullman delle persone appena arrivate”.
Sulla stessa pagina una intervista alla vicesegretaria del Pd e presidente del Friuli Venezia Giulia Deborah Serracchiani: “La Lombardia non pensi di dare a noi i profughi che non vuole”. Serracchiani ricorda che le Regioni “non hanno competenza diretta” sul tema immigrazione, e che la Lombardia oggi ospita il 40 per cento in meno degli immigrati che “le spettano”, mentre il Veneto il 50 per cento in meno. In Friuli Venezia Giulia oggi ci sono 2600 immigrati e 200 minori non accompagnati. La soglia decisa dal governo è di 1960. “Siamo una regione fortemente esposta” perché ci sono anche quelli che arrivano dai Balcani, “circa 30 al giorno”. Serracchiani sostiene il modello della accoglienza diffusa: oggi circa 40 comuni accolgono i profughi, “la preoccupazione maggiore dei sindaci è che non ci siano assembramenti di migranti”. Per questo è contraria alla soluzione delle caserme.
Su Il Mattino una intervista al capo del Dipartimento Immigrazione, prefetto Mario Morcone: “‘I governatori leghisti hanno torto. Meno profughi rispetto agli abitanti'”. Le parole di Maroni “sono collocate un poco più in là dell’azzardo”, “minano il senso unitario della comunità nazionale”, “sfregiano la solidarietà civile che non conosce confini geografici”. Morcone ricorda i numeri: la Sicilia accoglie il 22 per cento degli immigrati. Seguono il Lazio e la Campania. La Lombardia “è decisamente in debito di accoglienza”, come il Veneto e la Valle d’Aosta.
Su Il Giornale: “Sbarchi senza fine. Ma quali quote europee: in arrivo 500 mila profughi”. “L’allarme del britannico ‘Guardian’: un intero popolo in fila sulle coste libiche pronto a imbarcarsi e riversarsi in Italia”.
Su Il Giornale Alessandro Sallusti scrive che nelle parole di Renzi che ha parlato di “annunci da campagna elettorale” “c’è del vero ma non nel senso che intende il premier perché l’ultima tornata elettorale l’hanno stravinta, in Veneto e in Liguria, quei partiti che promettevano un giro di vite drastico all’accoglienza insostenibile” e “l’hanno persa” quei partiti “che sostenevano la tesi della solidarietà a prescindere”. “Non c’è nulla di razzista a dire basta a una politica permissiva” che “non fa che alimentare nuove ondate di immigrati”. Il direttore del Giornale cita ad esempio delle ragioni di questa posizione il fatto che Adriano Celentano, “icona della sinistra storica” ha detto che gli piace Salvini e il fatto che Roberto Vecchioni ha detto di apprezzare molto Giorgia Meloni.

Turchia

Su La Repubblica il reportage di Marco Anslado: “Erdogan tradito dalle urne, addio maggioranza assoluta. La sorpresa del partito curdo: ‘Ha vinto la democrazia’”, “Il partito del presidente finisce appena sopra il 40% e perde 71 deputati. In bilico la formazione del governo, probabile il voto anticipato. L’opposizione: ‘Finisce qui il dibattito sulla dittatura del leader'”.
E si racconta il “personaggio” Selhattin Demirtas, leader del partito curdo HDP: “Demirtas, ‘l’uomo nuovo’ di Ankara”, “Il giovane avvocato ha convogliato su di sé l’elettorato più avanzato”.
Ed è ancora Marco Ansaldo ad intervistare Egemen Bagis, che è stato ministro per l’Europa ed è considerato un fedelissimo del presidente Erdogan. Sottolinea che comunque l’Akp è “il partito predominante” e che Erdogan “è il decimo successo consecutivo alle urne”. Come vedete il clamoroso ingresso del partito curdo in Parlamento? “Come un dato molto interessante. Dimostra che l’opinione pubblica non è soddisfatta né dall’opposizione di destra né da quella di sinistra, cioè dai socialdemocratici e dai nazionalisti. Perciò la gente vuole un terzo partito di opposizione in Parlamento”. Sulle critiche alla “deriva autoritaria” di Erdogan dice, fra l’altro, che “creare le istituzioni necessarie a costruire una società pluralistica richiede tempo”. E sulla rivolta di Gezy Park che potrebbe tornare: “Così come non puoi portare indietro l’orologio, non puoi silenziare le masse che hanno imparato a mobilitarsi attraverso i social media”.
Il Corriere della sera scrive: “Turchia, un colpo alle ambizioni di Erdogan. Il partito del presidente perde la maggioranza. Erdogan non è più il ‘sultano'”. Il risultato di ieri è “no a una repubblica presidenziale”. Il leader del partito Hdp Selahattin Demirtas, copresidente con una donna, Filgen Yuksekda ha ottenuto quasi il 13 per cento dei voti. Alta l’affluenza alle urne: 86 per cento. Se vorrà governare l’Akp, con Davutoglu “o chiunque altro la rabbia di Erdogan voglia mettere al suo posto” dovrà cercare l’allenza del Mhp nazionalista (82 seggi) o – eventualità molto meno probabile – con i repubblicani del Chp, che hanno 133 seggi.
Su La Stampa la corrispondenza di Marta Ottaviani: “Erdogan resta senza maggioranza”, “Frenano gli islamici dell’Akp, più difficile cambiare la Costituzione. Il partito curdo in Parlamento”. E Ottaviani intervista l’ex direttore del quotidiano Hurriyet, Ertugrul Ozkok, che dice: “Sui giornali più censura ora che durante i golpe militari”, “Il presidente non ha più limiti”. A pagina 11 l’analisi di Maurizio Molinari, su Erdogan: “La sua leadership perde smalto anche sul fronte mediorientale”, “Alleati come Hamas e Al Nusra potrebbero cercare ‘protezione’ altrove”.
Da La Repubblica segnaliamo anche un’analisi di Adriano Sofri: “Il Sultano sconfitto nel suo referendum, una rivoluzione a colpi di voti”, “Il Saldino del nuovo millennio fermato sull’ultimo metro. E per il Paese è la svolta che porta per la prima volta il partito filo curdo Hdp in Parlamento raccogliendo l’eredità di Gezy Park”. Scrive, tra l’altro Sofri che il “provvidenziale ‘filocurdo’ Hdp -il ‘partito democratico dei popoli’- aveva tenuto il suo primo congresso solo nell’ottobre 2013. E’ un partito curdo e ‘filoturco’, oltre che aperto alle altre minoranze etniche e religiose e a quelle civili (‘gli omosessuali, gli atei, e gli armeni’, nella versione di Erdogan), e capace di parlare ai giovani raccogliendo l’eredità di Gezy Park. Ha due copresidenti -una femminista curda e un socialista turco- come nella tradizione europea di femministe e ambientalisti, e riserva il 10 per cento alle persone LGBT”.
Sul Corriere una intervista a Ilter Turan, professore di relazioni internazionali alla Bilgi University di Istanbul. “L’Europa è più vicina adesso. Ma l’ingresso nella Ue non è una urgenza e la Turchia, dopo aver superato un importante test di democrazia con queste elezioni, ha ancora molto cammino da fare sulla strada delle riforme”. Turan dice che in parte il risultato elettorale era previsto, che non si aspettava che il Chp perdesse voti, e che in parte questi voti sono andati all’Hdp di Demirtas. Turan sostiene anche che la Turchia probabilmente ridurrà il suo sostegno ai ribelli anti-Assad in Siria. Quanto alla situazione politica interna, i l’Akp farà un governo di minoranza o cercherà un governo di coalizione. “Non sembra che all’interno del partito di Erdogan ci sia tutta questa ansia di tornare alle urne”, anche perché se si vota subito i deputati “perdono tutti i loro vantaggi economici”. Secondo Turan determinante alle elezioni è stata l’economia: “Gli uomini d’affari si sono convinti che l’attuale politica non giova al commercio”.
Su Il Giornale: “Ciò che in Italia sarebbe un trionfo, per la Turchia è una disfatta. Il partito al governo non ha la maggioranza assoluta dei voti e, di conseguenza, o trova un alleato (i nazionalisti) o punta su un governo di minoranza in vista di nuove elezioni oppure va all’opposizione e lascia governare partiti che non han nulla in comune”. Sull’economia: “la Turchia è cresciuta, tanto, ma il Pil è ora fermo. E tutti coloro che si entusiasmavano per il miracolo economico di Ankara, ora non si entusiasmano più. Eppure i risultati non sono mancati. La Turchia è uno dei Paesi emergenti a livello mondiale, dall’agroindustria al tessile, dal turismo ai settori più avanzati. Senza dimenticare i trasporti”. Inoltre “le restrizioni sugli alcoolici non piacciono ad una borghesia che non vuole rinunciare ai sapori ed ai consumi ormai abituali. Così il partito di Erdogan conquista il voto dei lavoratori e viene tradito da chi ha maggiormente approfittato della crescita”.

Grecia

Su La Repubblica: “Ultimatum di Juncker: ‘Tsipras rispetti le regole e dia subito una risposta’”, “Il presidente Ue: c’è una deadline ma non la svelo. Varoufakis: non ci spaventa. Controproposte allo studio”, “Possibile intesa sull’Iva e sulle privatizzazioni per evitare i tagli alle pensioni e i rincari dell’energia”. E a pagina 13 un’intervista a Nouriel Roubini, economista della New York University, che dice: “Le chiavi dell’accordo nelle mani della Bce. Atene ha bisogno di almeno 30 miliardi”, “In Grecia ho incontrato politici, imprenditori e finanzieri, le difficoltà ci sono, ma per le strade si vede una straordinaria voglia di rinascita, non gettiamo il Paese in una crisi senza uscita”. Sugli aiuti: “C’è un modo per far rientrare l’economia ellenica nel quantitative easing vincendo le resistenze della Germania”. Sul ministro delle Finanze greco Varoufakis: “Ormai ha un ruolo marginale, non ha fatto veri errori ma lo hanno usato come ‘poliziotto cattivo’ per sfasciare gli equilibri”.
Su La Stampa: “Stretta dell’Europa: due giorni per la controproposta di Atene”, “Ultimatum di Juncker ma Merkel e Hollande telefonano a Tsipras. Presto un incontro con i creditori. Da Italia e Usa patto sulla crescita”.
Su La Repubblica, in un “retroscena” dedicato al G7 Federico Rampini scrive poi che il portavoce di Obama, Josh Earnest, parlando ieri sera al G7 in Germania, ha confermato che la Grecia è stata al centro del bilaterale Obama-Merkel e poi degli altri incontri che il presidente Usa ha avuto con gli altri leader europei. “’Il governo Tsipras deve fare le riforme strutturali’; e la Grecia deve poter ritrovare ‘un percorso di crescita di lungo periodo’”. Sono due i criteri su cui insiste l’America, spiega Rampini: è giusto chiedere alla Grecia una correzione di rotta rispetto agli sprechi del passato, evasione fiscale si massa, malgoverno e cattiva gestione pubblica; ma la cura deve includere una prospettiva credibile di ripresa dell’occupazione, altrimenti i costi sociali sarebbero insopportabili.

Russia, Usa

Sul Corriere: “Obama: uniti di fronte a Mosca. Al G7 in Germania il presidente americano chiede fermezza. Verso il rinnovo delle sanzioni economiche in scadenza a giugno”. Si legge che Obama “non vuole fonire armi” a Kiev, convinto che questo “innescherebbe una ‘escalation’ del conflitto”. “Non resta che cercare di incalzare sempre di più Mosca sul piano economico. Ma per far questo ci vuole la compattezza dell’Occidente”, anche chi “sperava che quella delle le sanzioni fosse solo una breve parentesi”.
Un articolo firmato da Massimo Gaggi è titolato: “Il fantasma del leader russo vero protagonista” del summit G7 di ieri.
Il ministro degli esteri Gentiloni, intervistato dal Corriere della sera, parla di Russia, Usa ed Europa. Dice di ritenere che “la Russia vada rassicurata su un punto e cioè che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è una prospettiva realistica. Ma che la Nato difenda i propri confini fa parte della sua natura. Dobbiamo prendere atto della dichiarazione del presidente Putin di non avere intenzioni aggressive. D’altra parte è singolare attribuirle alla Nato, semplicemente perché consolida i dispositivi dell’alleanza, che è per definizione difensiva. La ferita aperta dalla crisi ucraina va rimarginata, applicando gli accordi di Minsk, nell’interesse strategico dell’Europa e a mio avviso anche della Russia”. Sui rapporti Roma-Mosca dice che l’Italia è consapevole di avere un “rapporto privilegiato” con la Russi perché “non vuole chiudere il dialogo con Mosca. È una linea politica che ha una storia. È dagli Anni Sessanta che l’Italia accoppia fedeltà e lealtà con i suoi alleati a un rapporto speciale, intenso anche sul piano economico, con la Russia. Queste due cose insieme giustificano l’idea delle relazioni privilegiate. La cosa più interessante è che né loro, né noi lo intendiamo come rapporto che rompe con le nostre alleanze tradizionali”. Gentiloni chiarisce di non condividere “la ricostruzione che il presidente Putin fa della vicenda ucraina, come di un mix tra accerchiamento, complotto e golpe. Qualcosa sicuramente non ha funzionato nel rapporto con la Russia, quando si era alle soglie del Patto di Associazione tra Ue e Ucraina. Ma la crisi dipende completamente dalla reazione di Mosca, sia con l’annessione di fatto della Crimea, sia con il sostegno ai separatisti del Donbass”. Su futuro “tutto dipende da Minsk”. Oggi comunque è “inimaginabile” che Mosca torni nel G8.

Politica, Pd

Su La Repubblica, a pagina 19, “le mappe” di Ilvo Diamanti dedicate ai risultati delle elezioni regionali: “Effetto astensione nelle regioni rosse, così si è svuotato il serbatoio dem”, “Le elezioni della scorsa hanno mostrato nuovi segnali di distacco tra il Pd e la sua base elettorale nelle tradizionali roccaforti della sinistra. Va meglio dove la fuga dalle urne è meno marcata”.
Sul Corriere una intervista al parlamentare ed ex segretario Pd Epifani: “Matteo ci ascolti, serve unità per finire la legislatura”. Dice che “sulla scuola ci giochiamo il rapporto con parti fondamentali del Paese”, chiede al governo un “piano credibile” sul tema, invita a non fare “forzature” anche sula riforma costituzionale e sulla legge elettorale. Alle regionali “è suonato un campanello d’allarme” per il Pd che non va sottovalutato, dice.
Ancora sul quotidiano milanese: “Il leader Pd accusa i ‘ribelli’ ma vuole un patto fino al 2018”. “Oggi la Direzione: Renzi cerca il dialogo e frena sul nuovo statuto”. Ma stasera “Renzi certamente non manderà a dirle a quella parte del partito che a suo giudizio ‘ha fatto del male al governo’ e alla maggioranza e ‘alla nostra comunità soltanto per colpire il sottoscritto'”.
Ancora sul Corriere, sulla decisione sul capogruppo a Montecitorio: “Per il capogruppo avanza Rosato. Il capo accantona l’opzione Guerini”.
L’ex capogruppo Speranza viene intervistato da La Repubblica: “Matteo inverta la rotta. Priorità al partito unito, solo così si arriva al 2018”. Si dice “fiducioso” che nelle prossime ore si vedranno cambiamenti sul ddl sulla scuola perché il premier si è reso conto “che la frattura tra il Pd e un pezzo molto largo del nostro elettorato è stato un grave errore”.
Su Il Giornale: “Altro che fare pulizia. Il Pd scopre sette mesi dopo venti circoli sospetti”. “Terminate le indagini interne ma i primi arresti risalgono a dicembre. Falso un iscritto su cinque. Molte sezioni verso la chiusura”. La “fotografia” del gruppo “Mappa il Pd” coordinata da Fabrizio Barca verrà resa nota il prossimo 19 giugno, alla inaugurazione della festa romana del Pd, scrive il quotidiano.

Medjugorje

Sul Corriere si legge che il cardinal Camillo Ruini ha presieduto per quattro anni la commissione di indagine vaticana su Medjugorje istituita nel 2010 da Benedetto XVI. Il papa Francesco ha definito “un bel lavoro” quello fatto da Ruini, che ha consegnato la sua relazione a gennaio dell’anno scorso. Interpellato dal Corriere Ruini dice anche: “Io non so quale sarà il giudizio conclusivo. Noi abbiamo fatto solo un proposta articolata, dopodiché sarà la Congregazione per la Dottrina della Fede a prendere le decisioni che poi saranno presentate al Papa: l’ultima parola, com’è naturale, sarà quella del Santo Padre”. Il caso è quello dei presunti sei veggenti che il 24 giugno 1981 videro apparire per la prima volta la Madonna su una collina in un villaggio della Bosnia. “Che il cardinale Ruini parli di una ‘proposta articolata’ significa quantomeno che nella ‘proposta’ della commissione non esiste un ‘no’ secco. Tra il ‘consta’ e il ‘non consta’ di ‘soprannaturalità’, in Vaticano sembra farsi strada una soluzione prudente e ancora interlocutoria. Il Sismografo, un blog ‘interno’ al Vaticano, scrive tuttavia che la soprannaturalità ‘non ha superato la verifica ecclesiastica’, prevede un ‘verdetto negativo’ ma dice che Medjugorje rimarrebbe come ‘una realtà non riconosciuta ufficialmente'”. Uno dei problemi di Medjugorje, rispetto ad altri come Fatima o Lourdes, è che le apparizioni sono leggermente “esorbitanti”, si legge sul quotidiano: almeno tre dei veggenti sostengono di vedere la Madonna tutti i giorni, da quel 24 giugno 1981.

E poi

Su La Repubblica, attenzione a pagina 18 per l’assemblea della ‘Coalizione sociale’: “Landini: ‘Autunno in piazza per i diritti’”, “All’assemblea di Coalizione sociale, con oltre 300 associazioni, applausi per Rodotà che ha attaccato Renzi. Il leader della Fiom: ci siamo stancati di lavorare e non contare niente. ‘Facciamo paura, pronti a un altro Primo Maggio’”.
Su La Stampa, pagina 8: “Landini contro tutti i politici: ‘Difendiamo chi non ha diritti’”, “Il leader Fiom: il governo fa bene a temerci”.
Su Il Fatto, pagina 3: “Landini punta su un nuovo autunno caldo”, “La coalizione si presenta: ‘Renzi fa bene ad aver paura di noi’. Standing ovation per Stefano Rodotà”.
Sul Corriere si dà la notizia, diffusa ieri grazie “all’occhio attento di una giovane cronista dell’Huffington Post che, nonostante l’età, conosce anche i pezzi dell’antiquariato politico”, che alla convention di Landini c’erano Franco Piperno ed Oreste Scalzone. “Un duo un tempo assai affiatato (ma anche ora i rapporti sono ottimi). Anzi, per amor di precisione, all’epoca a cui ci si riferisce, Piperno e Scalzone componevano con Toni Negri un trio. Insieme fondarono Potere operaio. Insieme, come equilibristi non molto saldi sulle gambe si inerpicarono su quel filo che divideva le Brigate rosse dai movimenti di sinistra che non disdegnavano le spranghe, i roghi e le pistole. Poi c’è stata la galera, la fuga in Francia, ci sono stati i libri, le dichiarazioni e infine il semi-oblio”. “Chissà se Landini in cuor suo ha dato peso o no a quelle due presenze. Chissà se ha capito che per averla vinta sullo ‘storytelling’ renziano è meglio perdere qualche compagno di strada”, scrive Maria Teresa Meli.
Altro articolo sul quotidiano milanese: “Da Agnoletto a Parlato, poi Scalzone. Il ritorno al passato di Landini”. “Rodotà carica la platea di coalizione sociale. Il leader: paghiamo le tasse e vogliamo contare”.
Da segnalare Il Sole che oggi si occupa di simulare ipotesi sul tema delle pensioni: “Tornare alle quote con età e contributi? Consentire l’addio anticipato riducendo l’assegno? Estendere l’opzione donna, ricalcolando l’assegno solo in base al più penalizzante metodo contributivo? Governo, Parlamento e lo stesso Inps stanno vagliando in queste settimane numerose ipotesi di intervento per modalità e tempi di ritiro dal lavoro”.

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