Il rogo di Prato

La Repubblica: “’Renzi non tiri la corda o si vota’. Intervista al vicePresidente del Consiglio. ‘Patto per un governo di un anno’. Cuperlo: ‘Matteo rischia di dividere il Pd’”. “Alfano: nessuna paura delle urne. Letta evita lo scontro con il sindaco”.

Di spalla: “Kiev, la nuova rivoluzione. Assalto ai palazzo del potere”, “proteste pro-Ue”.

A centro pagina: “Rogo in una fabbrica-dormitorio a Prato, è strage”.

 

Il Giornale: “Renzi licenzia Alfano. Nella nuova maggioranza è già scoppiata la rissa. Il dikat del sindaco a Letta. Grillo riapre la battaglia dell’euro (tanto cara a Berlusconi). Di spalla: “La strage di Prato e l’illegalità tollerata per convenienza”.

 

La Stampa: “Rogo nella fabbrica-lager dei cinesi. A Prato tragedia del lavoro nero: sette morti e due feriti gravi. Vittime intrappolate nelle inferriate. Il ministro Giovanardi convoca gli ispettori delle aree a rischio”.

Imu, il governo prova a bloccare la mini-rata. Delrio si sindaci: il decreto cambierà”. A centro pagina: “Grillo, 40 mila in piazza: referendum sull’euro”. A Genova il terzo V-Day. Il presidente del Consiglio: le spinte estremistiche crescono in modo preoccupante”.

 

Il Corriere della Sera: “Corsa per evitare la beffa Imu”. “Il governo cerca 200 milioni, potrebbe salire l’acconto Iva”, “le pressioni dei partiti per cancellare la quota dovuta nei Comuni come Milano”. Sotto, la manifestazione di Grillo a Genova: “Folla per Grillo a Genova, accuse all’euro e al Quirinale”. In alto l’incendio alla fabbrica tessile di Prato: “Sette morti nella fabbrica che era anche la loro casa”. “Strage nella comunità cinese. Incendio allo stabilimento di Prato dove lavoravano e dormivano, con le inferriate alle finestre”. L’editoriale, firmato da Michele Ainis, è dedicato alla legge elettorale.

 

Il rogo di Prato

 

La ditta devastata dal fuoco a Prato, scrive La Stampa, si chiama “Teresa Moda” ed è una delle centinaia di aziende nate nella zona del Macrolotto sull’onda del boom economico degli immigrati cinesi in cerca di riscatto. Il capannone, di proprietà di un italiano, subito accorso sul posto, era stato dato in affitto a tre ditte che lavorano per le confezioni di moda. Il quotidiano intervista Andrea Segre, regista di “Io sono Li”, che dice: “Il punto non è di chi è l’azienda. Il punto è: qualcuno sa perché i cinesi si sono concentrati a Prato?”. E spiega: “perché a un certo punto l’industria tessile di Prato ha deciso di aumentare i profitti e ha delocalizzato le proprie aziende in Cina. Poi ha importato la manodopera. Ora molti ex dipendenti cinesi, grazie anche all’aumentato potere economico della Cina, si sono messi in proprio e riproducono le stesse condizioni di sfruttamento che hanno trovato. A nessuno dovrebbe essere permesso di sfruttare delle persone, che sia italiano o straniero”. La Repubblica racconta che i circa 100 controlli all’anno, che spesso portano alla chiusura delle attività, sono troppo pochi per avere costantemente il polso della situazione delle quasi 4mila attività cinesi presenti nella provincia pratese del settore dell’abbigliamento. La paga sarebbe di 1 euro all’ora. “Quel tappeto di bottoni nella Chinatown toscana senza legge né umanità” è il titolo del commento che Adriano Sofri, inviato a Prato, racconta su La Repubblica. Il sindaco della cittadina toscana rispondendo alla domanda su quanti siano i cinesi che vi lavorano, dice: “Ufficialmente 16mila, in realtà tra i 20mila e i quarantamila”. Ma, dice ancora il sindaco, “una volta il console si è lasciato sfuggire che secondo loro sono 50mila”. Commenta Sofri: “questa iperbolica incertezza coincide con una extraterritorialità crescente: è, come dice Enrico Rossi (il governatore della Toscana, ndr.), se il tessile di Prato, e tutta la città, capannoni, negozi e appartamenti, si fossero delocalizzati, segnando il passo, restando dov’erano, in una Cina domestica. Che lavora 15 o 16 ore al giorno se va bene, che viene pagata abbastanza da produrre un cappotto di marca a 19 euro”.

Sul Corriere della Sera, Dario Di Vico: “L’anomalia ignorata delle nuove tute blu”. Si sono chiusi gli occhi “mentre nasceva un distretto parallelo del tessile-abbigliamento”: il declino di Prato, però, sottolinea Di Vico, “non è avvenuto per esclusiva colpa dei cinesi (i nuovi arrivati si sono posizionati con il loro ‘pronto moda’ a valle delle manifatture locali) ma è nato comunque qualcosa di storto”. “Non possiamo tollerare zone franche, ma in parallelo dobbiamo essere capaci di costruire un dialogo che veda protagoniste le autorità dei due Paesi e passi, però, anche per la società civile. I sindacati italiani dovranno ricordarsi che esiste l’anomalia di Prato, che i lavoratori cinesi hanno gli stessi diritti dei nostri e che il Primo maggio dovrà essere anche un po’ giallo per essere vero”.

Giuseppe Marino sulla prima de Il Giornale scrive che la “possente macchina produttiva che pulsa a Pechino ma è ramificata in tutto il mondo” ha “due geni” che la rendono invisibile ai nostri occhi, (fingiamo di non vederla, cioè): il primo è “la capacità della comunità cinese di organizzarsi in un mondo autarchico e silenzioso”, con proprie regole e servizi interni” e l’altro è “la capacità di offrire merci e servizi a basso costo”. Poi una lunga digressione sulla “clonazione” delle merci operata dai cinesi: “chiudiamo gli occhi su morti e sfruttati, senza renderci conto che così finiscono fuori mercato tante aziende italiane cui quelle violazioni non sono concesse”.

Su La Stampa segnaliamo anche un dossier di due intere pagine sotto il titolo: “’Senza immigrati l’Italia non si regge in piedi’”. Si tratta di una indagine Community Media Research per La Stampa: “i migranti negli ultimi 20 anni si sono decuplicati, ma è grazie a loro se riusciamo a colmare la voragine demografica dovuta al fatto che no facciamo più figli. E’ una verità che si fa strada nella popolazione. L’indagine ‘Last’ mostra come, rispetto al 2007, gli italiani facciano valutazioni più razionali sul fenomeno dei flussi”. Insomma, “cambia la nostra percezione” e siamo “più aperti verso gli stranieri”: “per 3 italiani su 4 sono una risorsa economica e culturale. Ma resta chi ha paura”. Sono le fasce deboli e con basso livello di istruzione a mostrarsi più ostili verso gli immigrati.

 

Politica italiana

 

In una intervista a La Repubblica il vicepremier Alfano dice che Renzi “vuole prendersi la sedia di Letta” e cerca di far “fibrillare il governo”. Ma resta il fatto che “noi siamo determinanti”. E in ogni caso “non abbiamo paura di andare a votare anche prima. Decida lui (Renzi, ndr) se assumersi la responsabilità di far cadere il presidente del consiglio del suo partito”. Sulla battuta di Renzi, che aveva detto “Alfano ha 30 deputati, noi 300”, Alfano risponde: “A parte che dice numeri sbagliati, comunque no, non mi sono offeso. E’ un contrasto politico in cui gioca una partita abbastanza chiara”. Avendo le primarie, “vuole sparare grosso per richiamare l’attenzione, è un professionista puro della politica e ne adopera le tecniche. Ma farebbe bene a dire con chiarezza se dopo le primarie vuole la sedia di Letta”. Sul futuro, dopo aver detto che non teme le elezioni (“Abbiamo una squadra sul territorio che è pronta a ogni partita. I riscontri sono incoraggianti, oltre ogni più rosea aspettativa”), Alfano parla del centrodestra. Alla domanda se tema la “vendetta” di Berlusconi risponde: “Perché dovrei, siamo decisivi per il centrodestra”. E poi: “Il nostro campo è impresso nel nostro nome. E anche nel dibattito sulla legge elettorale chiederemo che le due metà campo siano distinte. O di qua o di là, io difendo il bipolarismo”. Per quale sistema elettorale si batterà? “Vogliamo restituire ai cittadini il diritto di scegliere. Collegi o preferenze. Il nostro obiettivo è superare il Porcellum. E non va bene qualsiasi sistema che non metta al sicuro il bipolarismo”. Sulla riforma della giustizia, Alfano dice che ci spera “se il Pd sarà leale. Avevano sempre la scusa di Berlusconi. Ora non hanno alibi su abuso della custodia cautelare, certezza della pena, equilibrio tra uso delle intercettazioni e tutela della privacy”. Manca la separazione delle carriere. “Temo che dovremo aspettare di vincere le elezioni”, risponde. Infine, sul futuro, Alfano ribadisce che pensa ad un patto di un anno. Poi, “tra un anno, rispetto tra un anno, ci separeremo e andremo al voto con l’ambizione di vincere le elezioni e dare vita ad un governo di centrodestra”. Il candidato premier potrebbe essere Berlusconi? “Non strattoniamo il presidente Berlusconi in un momento così delicato”.

SuIl Giornale un retroscena si sofferma sulle “mosse del Cavaliere”. “Berlusconi: ‘Avevo ragione io. Matteo ha in mano il governo’”. “Il leader di Forza Italia bacchetta chi lo accusa di attendismo: sapevo che Renzi avrebbe fatto saltare gli equilibri, Alfano resterà schiacciato”. Quanto al Nuovo Centrodestra, il pronostico del Cavaliere è che alle europee non supererà il 4 per cento.

Sul Corriere della Sera una intervista a Pierferdinando Casini: “Senza Berlusconi neanche l’esecutivo ha più alibi”. Rivolgendosi a Renzi, dice che “quella che può sembrargli una carta vincente rischia di essere la sua grande sconfitta. La storia europea è piena di politici che erano convinti di guadagnarsi la vittoria con le elezioni anticipate ma poi hanno perso”.

Su La Repubblica un’analisi di Ilvo Diamanti, a commento di “stime elettorali” elaborate da Demos e così riassunte: “Testa a testa tra Pd e centrodestra. Ncd vale il 5 per cento, M5S al 21”. Secondo Diamanti emerge un “equilibrio instabile fra tre grandi minoranze”, che interferiscono reciprocamente: il Pd sarebbe al 29,1 per cento, Forza Italia al 20,8 per cento, il Movimento 5 Stele al 21,4 per cento, Nuovo Centro-destra al 5,3 per cento, Seel al 4, Lega Nord al 4,1, Fratelli d’Italia al 2, Scelta civica al 3,2, Udc al 2,1 per cento. Il Pd avrebbe perso tre punti rispetto ad ottobre: la campagna per le primarie non ha prodotto l’entusiasmo del passato, Renzi, vincitore annunciato non recita ormai il ruolo dello sfidante, ma quello dello sfidato. E per il Pd “pesa” la mancata vittoria alle scorse elezioni.

Per quel che riguarda il M5S, il 60 per cento di coloro che lo hanno votato, riconfermerebbe la scelta.

E per restare a Grillo: ieri il leader M5S ha tenuto a Genova il terzo “Vaffa-Day”. I quotidiani riferiscono ampiamente del suo raduno: “E’ pronto l’impeachment per Napolitano”, ha detto Grillo e il Corriere della Sera dedica due intere pagine alla manifestazione (“Tutti i no in piazza, lo scontento si raduna”, “Dai comitati ‘anti’ ai singoli cittadini. E il leader ora vuole parlare alle imprese”). Su La Repubblica, due pagine: “Grillo show contro Napolitano: ‘Chiederemo l’impeachment’”, “In piazza il circo di Casaleggio e Beppe tra modello ecuadoregno e web in Costituzione”, “Parte la campagna elettorale antieuropea, la parola d’ordine è ‘oltre’”. Anche su La Stampa, due pagine: “Grillo alla carica dell’euro: ‘Serve un referendum’”.

Su Il Giornale: “Grillo contro l’euro. Il suo nuovo nemico adesso è Bruxelles”. Ma restando allo stesso quotidiano, voltando pagina, si trova il “dossier” firmato dal capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta: “Euro, storia di un imbroglio che adesso tutti ammettono”, “Dalle bugie su banche e spread fino alla bacchettata Usa inflitta alla Merkel, la verità è emersa: la moneta unica è finita ko per colpa della Germania e l’Italia è stata commissariata”.

 

 

 

Porcellum

 

Questa settimana la Corte Costituzionale si occuperà della legge elettorale. Dal Corriere della Sera: “Porcellum, tocca alla Consulta. Ipotesi rinvio per evitare il caos. Uno slittamento potrebbe favorire una nuova legge”. Oggi si voterà in Parlamento un ordine del giorno, promosso dal senatore Calderoli, per il ripristino del Mattarellum. Domani la Corte Costituzionale si riunisce per esaminare il ricorso che la Cassazione (“Non un giudice qualsiasi”, scrive il Corriere) ha mandato alla Corte, affinché venga dichiarato illegittimo il cosiddetto Porcellum, in particolare per il premio di maggioranza assegnato al vincitore senza prevedere soglie minime per la vittoria. Secondo il quotidiano “l’aria che tira” alla Consulta è quella di una bocciatura della legge, perché rischierebbero di “andare a casa” almeno i 200 deputati eletti in virtù del premio di maggioranza. Si era parlato di un decreto del governo per anticipare la decisione della Consulta, ma c’è il fatto che mai si è ricorsi ad un decreto in materia elettorale, e poi molto difficilmente Napolitano lo firmerebbe. Dunque “è necessario riporre fiducia nella possibilità pratica che ha la Corte di dilatare i tempi della sua decisione (ordinatori e non perentori), complice il periodo di ferie natalizie. Insomma, si sta facendo strada l’ipotesi di far slittare la camera di consiglio per il giudizio a metà gennaio, anche se la trattazione pubblica avverrà domani”, scrive il quotidiano.

Ancora sul Corriere Michele Ainis firma l’editoriale (“Il Porcellum alla sbarra”) scrive che dopo la decisione della Consulta comunque dovrà rimanere in piedi un sistema elettorale. Potrebbe essere il proporzionale puro, se la Corte cancellasse il premio di maggioranza, oppure il Mattarellum. “Dice: ma la Corte Costituzionale ne ha già negato la reviviscenza, bocciando un referendum che intendeva favorirla. Errore: altro è l’abrogazione di una legge (con legge o referendum), altro è l’annullamento (con sentenza). La prima vale per il futuro, la seconda retroagisce sul passato”. Infine, sul futuro dell’attuale Parlamento, non è vero che tutti i suoi atti diventerebbero illegittimi. “Meno ballista è l’idea che sarà impossibile convalidare l’elezione di qualche centinaio di parlamentari, dato che le Camere non vi hanno ancora provveduto. Per evitare lo sconquasso, la Consulta potrebbe cavarsela con una pronunzia di incostituzionalità ‘differita’, che scatterebbe insomma alle prossime elezioni”, scrive il costituzionalista.

Il Sole 24 Ore ricorda che non tutti sono certi della bocciatura della attuale legge elettorale da parte della Consulta. E dà conto del parere di Augusto Barbera. “Possono anche essere sollevati dubbi sulla stessa ammissibilità del quesito, tenuto conto che si tratta di un ricorso diretto e solo surrettiziamente incidentale, vale a dire che nell’ordinamento italiano si può investire la Consulta solo nel corso di un giudizio, che nel caso di specie però non c’è stato”.

 

Internazionale

 

Su tutti i quotidiani ampio spazio per le proteste in corso in Ucraina, dopo la decisione del presidente Yanukovich di fermare i negoziati per l’Accordi di Associazione con l’Ue.

La Repubblica: “Kiev, assalto ai palazzi del potere. 200 mila in piazza contro Yanukovich, ‘E’ la nuova rivoluzione arancione’”, “Scontri e arresti, teste di cuoio in azione: ‘Ma non ce ne andremo’”. Vogliono -spiega il quotidiano- che governo e presidente che hanno detto no all’Europa si dimettano in blocco. Il presidente è confinato nella sua dacia a 50 chilometri dalla capitale, le truppe speciali hanno circondato la palazzina temendo assalti: “lui convoca riunioni su riunioni, fa trapelare di voler dichiarare lo stato d’emergenza, ma poi preferisce far finta di niente e appare in tv per fare un discorso surreale in occasione dell’anniversario dell’indipendenza ucraina”.

Il Corriere della Sera: “Centomila in piazza per l’Ucraina europea. Un grido: rivoluzione”, “Occupato il municipio della capitale. Scontri tra manifestanti e polizia”. La Stampa: “Kiev, assalto al palazzo del presidente”. Dove si legge che la manifestazione convocata dalla leader dell’opposizione Tymoshenko, che dal carcere ha invitato a far diventare permanente la protesta fino al “rovesciamento pacifico del regime” ha raggiunto l’apice nel pomeriggio, quando un gruppo di giovani con i passamontagna ha cercato di prendere d’assalto la sede dell’amministrazione presidenziale a Kiev. Sulla stessa pagina un’analisi-retroscena: “Putin il prepotente ha fatto nascere l’orgoglio nazionale”. “L’Ucraina non è la Russia” è uno degli slogan più diffusi e un manifestante in tv dice “non saremo mai una Bielorussia”.

Le proteste proseguono anche in Thailandia e se ne occupa La Repubblica, che parla di “ultimatum” alla premier Shinawatra perché si dimetta entro 48 ore: cinque morti, assaltate le sedi delle televisioni.

Sul Corriere: “Referendum sulle nozze gay. La Croazia dice sì al divieto”. Con il 65 per cento,malgrado una bassa affluenza alle urne. E’ il primo Paese Ue a sottoporre la questione al voto. Il primo ministro Milanovic (alla guida di un esecutivo di centrosinistra), commenta: “Un’espressione di omofobia, un voto triste e insensato”. Il suo governo non ha mai proposto le nozze gay, ma si preparava ad estendere alle unioni civili i diritti delle coppie etero sposate.

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