Il ritorno di Bill. Per aiutare Hillary

Il Corriere della Sera: “Comuni alle urne solo di domenica. Lega e Fi in rivolta”, “Nella capitale riammessa la lista di Fassina”.

L’editoriale è firmato da Angelo Panebianco: “I militanti antipolitica”.

Di fianco, a proposito della legge in discussione sui partiti: “Lo strano no dei 5 Stelle al metodo democratico”, di Antonio Polito.

In grande evidenza una foto dall’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana: “Il Papa vuole la chiesa povera: liberatevi dai beni economici”. Ne scrivono Luigi Accattoli e Gian Guido Vecchi.

Sulla colonna a destra, il caso della Linea C della metro a Roma: “Il metrò di Roma (dai costi record) che rischia di non finire mai”. Di Sergio Rizzo.

Più in basso, “Libia e paradossi”, “Sì ai pompieri ma soltanto se non c’è incendio”. Di Claudio Magris.

A fondo pagina: “L’Opa in contanti di Bonomi su Rcs”, “Assieme a Della Valle, Mediobanca, Pirelli e Unipol: ‘Progetto per lo sviluppo del gruppo”.

Infine, a firma di Gian Antonio Stella: “Il centralismo referendario dell’Anpi”, “L’associazione dei partigiani e il voto sulla riforma”.

La Repubblica: “Dietrofront del governo: ‘Al voto solo domenica’”, “Roma, riammessa la lista Fassina.. Referendum, Renzi attacca il no”.

Su questa decisione del governo il commento di Stefano Folli: “La primavera del nervosismo”.

In prima anche il caso Rcs: “Opa anti Cairo, nuova battaglia su Corriere-Rcs”. Con un’analisi di Roberto Rho: “Se per una volta vince il mercato”.

Di fianco, intervista al presidente della Bindesbank Weidmann: “Weidmann a Padaon: non si cresce col debito”.

A centro pagina: “Il Papa ai vescovi: ‘Basta proprietà’. Un patrimonio da duemila miliardi”. A questo avvenimento è dedicato il commento di Enzo Bianchi: “L’altra Chiesa dei preti scalzi”.

A destra, grande foto del tempio di Dendera, in Egitto, senza più turisti: è lo stesso direttore Mario Calabresi a spiegare che da oggi la copertina di R2 sarà dedicata a un servizio fotografico “capace di fare la differenza”. Le foto saranno sempre accompagnate da un testo d’autore. Oggi a firmarlo è Bernardo Valli. Le foto sono di Luca Campignotto.

La Stampa: “Libia, dagli alleati armi e non truppe”, “La decisione presa a Vienna per sostenere il premier Serraj nella lotta contro l’Isis”, “Servono fucili d’assalto ed elicotteri. L’Italia addestrerà i reparti di Tripoli dopo la formazione dell’esercito regolare”.

“Cento anni dopo il Medio Oriente cambia geografia” è il titolo di un’analisi di Cesare Martinetti sull’anniversario dell’accordo di Sykes-Picot.

Più in basso, sul cinquantesimo anniversario della Rivoluzione culturale: “Mezzo secolo e la Cina scorda le Guardie Rosse”, di Maurizio Scarpari.

Sul TTIP un commento di Stefano Stefanini: “Le mosse di Putin per affondare l’accordo Usa-Ue”.

Di fianco, foto di Hillary Clinton. Alle spalle ha il marito Bill: “Hillary gioca la carta Bill”, “L’annuncio della Clinton per recuperare voti: ‘Rilancerà l’economia’”.

A fondo pagina: “Retromarcia, si vota solo domenica”, “Amministrative e referendum. Fassina riammesso a Roma. Bologna, comitato di costituzionalisti per il sì”.

“Troppo tardi per cambiare”, scrive Marcello Sorgi a commento della decisione del governo.

Il Fatto: “Corriere, i soliti noti con Renzi contro il piano di Bazoli e Cairo”, “Stampa&Potere. La controfferta filogovernativa in vista del referendum”, “Tronchetti, Della Valle, Nagel e Cimbri si oppongono al progetto del banchiere prodiano e del patron di La7 per un quotidiano indipendente e per il ‘No’ alla riforma, con De Bortoli presidente”.

In prima anche un’intervista all’economista Luigi Zingales su come i quotidiani hanno trattato la questione relativa al decreto sulle banche popolari e il Fondo Atlante: “‘I banchieri dettano e i giornali scrivono'”.

In basso, sulla decisione del governo di limitare ad un giorno le consultazioni amministrative e il referendum sulle riforme costituzionali: “Alfano, la figuraccia del lunedì. Verdini battezza il candidato Pd”, “Il ministro si smentisce: ‘Voto solo di domenica’”, “‘Polemiche strumentali sui costi’: ma anziché tirare dritto (se sono strumentali), fa retromarcia. A Cosenza Denis lancia Guccione (che loda l’Msi)”.

Sulla riforma costituzionale e il referendum l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Il Referenzum”.

Il Giornale: “Il Papa espropria i preti ricchi”, “Duro richiamo ai vescovi: ‘Rinunciate alle proprietà non necessarie e alle ambizioni’. Pesano gli scandali su attici e privilegi: è un ritorno alla Chiesa francescana”, “Austerity in Vaticano”.

A questo tema è dedicato il commento di Giordano Bruno Guerri: “Il lusso da tagliare e la forma da rispettare”.

In grande evidenza, foto del senatore Marcello dell’Utri: “L’ultima vergogna: l’esame medico che salva Dell’Utri spedito per posta”, “Per curarlo serve una risonanza. Partita solo ieri dal carcere di Parma”.

A centro pagina: “Libia e voto, Renzi in retromarcia”, “No alla missione a Tripoli e un solo giorno di consultazioni. Riammesse le liste di Fassina e FdI”, “Giù i consensi: governo nel panico”.

Poi un articolo di Francesco Cramer: “Forza Italia rimonta e aggancia la Lega”.

Ancora sulle elezioni amministrative: “Il ricatto elettorale di Sala e Giachetti” di Arturo Diaconale.

Sulla colonna a destra: “Guerra del ‘Corriere’. Bonomi e soci all’attacco di Cairo”, di Camilla Conti. E un commento di Marcello Zacché su questo caso: “L’arrocco dei salotti per salvare lo status quo”, “Tanti padroni, nessun padrone”.

A fondo pagina: “Tra Hillary e Trump la sfida si decide sulla sedia elettrica”, “Dibattito tabù in Usa”, di Paolo Guzzanti.

Al voto in un giorno

La Repubblica, pagina 2: “Il governo ci ripensa: ‘Si vota solo di domenica’. Renzi attacca il No”, “Urne sempre chiuse il lunedì. L’opposizione protesta. Il leader: ‘I contrari personalizzano il referendum'”. A pagina 3 il “retroscena” di Goffredo De Marchis: “Il premier: ‘La richiesta era dei partiti d’opposizione. Io non temo l’election day'”, “Dopo la scelta effettuata ieri a Palazzo Chigi salta definitivamente l’ipotesi di tenere in due giorni anche il referendum di ottobre. Il Quirinale favorevole alle urne di lunedì”, “Secondo Palazzo Chigi, il secondo giorno di urne sarebbe costato solo 4,8 milioni in più”. E il quotidiano intervista il sondaggista di Ipr marketing Antonio Noto, che dice: “‘Avrebbe influito sull’affluenza, ma non sul risultato'”, “‘Diverso il discorso per la consultazione costituzionale'” (“bisogna partire dal fatto -dice- che c’è uno zoccolo duro che vota no e andrebbe a votare anche se si votasse fra le 3 e le 5 della notte. Lo abbiamo visto nel referendum sulle trivelle, quando si è recato alle urne il 33 per cento degli aventi diritto e al 90 per cento ha votato sì”).

Ancora su questi temi la rubrica “Il punto” di Stefano Folli, dove si legge che Renzi ha cambiato strategia per via delle resa dei conti di ottobre e che Palazzo Chigi vuole cancellare l’impronta del plebiscito personale.

Su La Stampa un “retroscena” di Fabio Martini: “I timori per il referendum sconfitti dal pressing di Sala”, “Il candidato milanese: lunedì al voto elettori di centrodestra. E i maggiori costi smentivano la ‘narrazione’ renziana”.

“Renzi si arrende ai tecnici e a mezzo Pd”, scrive Libero: “Cambiare ora le regole avrebbe potuto invalidare il voto. E i suoi non volevano rifare il materiale”, “La minoranza all’attacco sull’elezione dei nuovi senatori”. I candidati del Pd avrebbero spiegato a Renzi che votare anche il lunedì sarebbe stato un regalo al centrodestra che da sempre fa fatica a portare i propri ai seggi, tanto più in una domenica estiva. Senza contare che tutti i candidati (non solo quelli a sindaco, ma l’esercito che punta a farsi eleggere im consiglio comunale) avrebbero dovuto cambiate l’intero materiale elettorale. Ha pesato poi, secondo Libero, la presa di posizione di Enrico Letta, sotto il cui governo era stata fatta la legge sull’election day, peraltro presentata da un renziano doc come Andrea Marcucci. Infine, decisivi sono stati i pareri dei tecnici e consulenti: il decreto necessario per modificare l’election day dovrebbe essere convertito in legge, sia pure dopo lo svolgimento delle elezioni. Ma al Senato la maggioranza è sul filo.

Su Il Fatto: “Alfano fa una figuraccia. Elezioni solo di domenica”, “Comunali, il ministro aveva proposto di votare anche lunedì, ma ora si smentisce. Il motivo: è troppo tardi e troppo rischioso fare un decreto”, “L’enigma affluenza. Il premier: ‘Basta, lasciamo le cose così’. Neanche Palazzo Chigi sa cosa gli conviene”, scrive Wanda Marra.

“Troppo tardi per cambiare le date del voto” è il titolo del commento di Marcello Sorgi su La Stampa: avrebbero dovuto pensarci meglio, Renzi e Alfano, prima di annunciare, per poi doverci rinunciare, secondo Sorgi. La proposta del governo si è infranta non solo sulle polemiche subito levatesi, ma anche su ragioni di opportunità che suggerivano di evitare il cambio delle regole a gioco iniziato a sole tre settimane dal primo turno. Il passaggio più delicato sarà quello del ballottaggio: “una volta esclusi (e oggi il Pd in alcuni casi rischia), aver allungato i tempi del voto al secondo turno diventerebbe inutile oltre che indifferente per chi è rimasto fuori”.

I nostri conti, Ue, Weidmann

La Repubblica: “Accordo Italia-Ue sulla flessibilità, la manovra 2017 ridotta a 8 miliardi”, “Nuovo sconto da 11 miliardi e impegno a fissare il deficit all’1,8%. Domani in via libera”.

A pagina 13, intervista al presidente della Bundesbank Jens Weidmann: “Ok le riforme in Italia ma Padoan sbaglia: non è con il debito che si fa più crescita”.

Dice Weidmann che il governo italiano “ha avviato molte importanti riforme”. “Concordo perfettamente con Pier Carlo Padoan” quando dice che la crescita è essenziale ma “sono scettico verso chi pensa che il problema del debito si possa affrontare facendo altri debiti, o che il deficit sia la via giusta per favorire la crescita”, sui conti pubblici “l’Italia non è certo un modello”.”Ovviamente -dice ancora Weidmann la crescita è essenziale: su questo concordo perfettamente con Pier Carlo Padoan. Peraltro il governo di cui fa parte ha avviato molte importanti riforme per stimolarla, penso a quella del mercato del lavoro o alla riforma istituzionale”.

Rcs

Sul Corriere, alle pagine dell’Economia: “Rcs, l’offerta di Bonomi e dei soci. Proposta in contanti per il controllo”, “Della Valle, Pirelli, Mediobanca e Unipol con l’imprenditore. Titolo a 0,7 euro, quota dell’Opa. ‘Raggiunto un accordo sul progetto di rafforzamento e sviluppo del gruppo editoriale'”. In basso, Sergio Bocconi racconta “il personaggio” Andrea Bonomi: “L’erede della dinastia milanese con la passione dell’industria e dei marchi made in Italy”. 51 anni, è fondatore del gruppo Investindustrial, con cui ha lanciato operazioni di private equity. Il gruppo è stato fondato a Londra nel 1990, in 6 fondi ha raccolto oltre 5,6 miliardi di capitale.

Un mese fa Urbano Cairo (La7) aveva lanciato, ricorda Il Fatto, la sua proposta per la scalata a Rcs: offriva una quota societaria della sua azienda Cairo Communication per ogni 8,3 quote di Rcs. Sarebbe diventato così l’azionista di maggioranza. La proposta è stata però respinta e considerata dagli azionisti svantaggiosa. Ieri la contromossa dell’azionariato Rcs: della Valle, Mediobanca, Unipol e Pirelli si sono associati con il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi e hanno presentato un’Opa. 0,70 euro per azione (Cairo prevedeva 0,52). Questa newco, che attualmente rappresenta il 22,6% del pacchetto azionario, tenterà quindi la scalata sul restante 77,4%.

Su Il Fatto, pagina 2: “Il vecchio salotto vuole consegnare il Corriere a Renzi”, “Bazoli, con Intesa, ha progettato una Rcs indipendente dal governo, i soci storici non vogliono perdere peso politico”. Scrivono Carlo Tecce e Stefano Feltri che a marzo la governativa e renziana Fiat ha abbandonato in disgrazia Rcs, a febbraio il direttore Luciano Fontana ha richiamato come editorialista il predecessore Ferruccio De Bortoli, in esilio al Corriere del Ticino. Non è un aspetto da sottovalutare. De Bortoli è da sempre pungente nel commentare la politica renziana e voterà no al referendum di ottobre sulle riforme costituzionali. E’ evidente che una Rcs “alla De Bortoli”, con un presidente di garanzia ispirato da Bazoli e Fontana direttore, può creare seri problemi all’esecutivo, fino a schierare il Corriere per il no al referendum (o evitando che si schieri per il sì, che è quasi lo stesso).

Su La Stampa ne scrive Francesco Manacorda: “Il salotto buono sceglie la strada del mercato”. “Urbano Cairo è un outsider che muove su Rcs con le logiche da ‘salotto buono’ della finanza. Gli altri sono in gran parte esponenti dello stesso salotto buono di Rcs, ma una volta tanto si lanciano in un’operazione di mercato destinata a tutti i soci. Cairo ha infatti offerto per le azioni della società che pubblica il ‘Corriere della Sera’ solo carta contro carta, ovvero titoli della sua stessa casa editrice, che il mercato valuta peraltro oggi in modo abbastanza generoso, in un’operazione vecchio stile”. I soggetti che invece ieri hanno risposto alla sua offerta con una contro-Opa, assieme a Bonomi, che mette il grosso dei soldi, pagheranno tutto in contanti a chi darà loro le azioni Rcs.

Su La Repubblica il commento di Roberto Rho: “Se per una volta vince il mercato”. Dove si sottolinea che “tanto quella di Urbano Cairo quanto quella della cordata Bonomi-Mediobanca sono offerte chiare e trasparenti”, in altri tempi lo stesso risultato sarebbe stato raggiunto attraverso operazioni “opache”. L’iniziativa di Cairo ha avuto il merito di costringere il gruppo stretto intorno a Mediobanca a uno scontro aperto, alla luce del sole.

Su La Repubblica anche un articolo di Alberto Statera: “Resa dei conti tra la Finanza laica e quella cattolica”. Si ricostruisce la storia: “Rizzoli, croce e delizia di politici e capitalisti. Dall’Avvocato a Cuccia, da Craxi a Ciampi”, “L’attacco dell’outsider è spuntato fra azionisti rissosi e una gestione disattenta e improvvisata”.

Libia

Su La Stampa le pagine 2 e 3 sono dedicate al vertice internazionale sulla Libia, ieri a Vienna. A pagina 2 l’inviata Francesca Schianchi: “Dall’Occidente armi a Sarraj: ‘Tocca ai libici battere l’Isis'”, “Il vertice di Vienna alleggerisce l’embargo: pieno sostegno all’esecutivo. No all’invio di truppe straniere, ma la situazione va risolta ‘al più presto'”. Il quotidiano intervista Max Boot, del Council on Foreign relations: “Il governo di unità va sostenuto con più forza. Pugno di ferro contro chi non lo riconosce”, “Bisogna aiutare le milizie locali, ma solo se collaborano”, “Subito dopo la caduta di Gheddafi era necessario un intervento internazionale: ora no. Non c’è una pace da preservare: c’è il rischio di ritrovarsi in guerra contro tutti”. A pagina 3 il “retroscena” di Francesco Semprini: “Servono fucili d’assalto ed elicotteri. Ma gli addestratori dovranno vigilare”, “In campo gli italiani. Necessario verificare l’uso degli armamenti sul territorio. Per la fornitura bisognerà attendere la formazione di un esercito regolare”.

Su La Repubblica: “Alla Libia le armi dell’Occidente”, “A Vienna i ministri di 20 Paesi, più Onu e Ue: ‘Via l’embargo alla Guardia presidenziale di Serraj per battere l’Is’. Gentiloni: ‘Soldati italiani solo per proteggere la nostra ambasciata, ma ora bisogna trattare anche con Haftar'”.

Sulla stessa pagina Gianluca Di Feo traccia lo “scenario”: “Un’intesa sul petrolio la carta di Europa e Usa per unire le fazioni”. Il segretario di Stato Usa Kerry a Vienna ha sottolineato che solo un governo unitario può permettere alla produzione petrolifera di funzionare e che tutta la comunità deve sostenere questa posizione. Il controllo del rubinetto petrolifero è oggi l’arma più importante nelle mani del premier incaricato Serraj: si tratterebbe quindi di istituire una sorta di organizzazione federale, in cui la struttura centrale di Tripoli gestisce l’export di petrolio e distribuisce i proventi nel Paese. Allo stesso tempo, Cirenaica, Tripolitania a Fezzan manterrebbero una sostanziale autonomia, con tanto di milizie e parlamentari.

Il Corriere riproduce l’intervento del premier libico Al Serraj presentato ieri al quotidiano britannico The Telegraph: “‘Dovremo essere noi a sconfiggere l’Isis. Non ci servono navi né militari stranieri'”.

E Lorenzo Cremonesi da Vienna dà conto del vertice: “Sì alle armi per il governo di Tripoli. E l’Italia addestrerà le loro truppe”.

Usa (primarie)

Sul Sole 24 Ore un articolo di Marco Valsania: “Hillary e la ‘Billeconomy'”, “‘Se eletta, Bill sarà lo zar dell’economia’”, “L’annuncio di Hillary sul possibile ruolo di governo per il ‘first gentleman'”, “L’ex segretario di Stato cerca di riconquistare i riflettori dei mass media e l’attenzione dell’opinione pubblica”, “Hillary può far leva su dati indiscutibili: in otto anni di presidenza del marito, il deficit federale diventò un surplus e furono creati 22 milioni di posti”.

Su La Stampa: “Hillary in difficoltà chiama in aiuto Bill: ‘Rilancerà l’economia’”, “La mossa per recuperare i voti dei colletti blu”, spiega Paolo Mastrolilli. E Alessandra Comazzi scrive in un articolo: “Da House of Cards a Scandal. Se la fiction anticipa la realtà”.

Sul Corriere ne scrive Massimo Gaggi: “HillBill. Il ritorno della Clintonomics”. L’America tornerà alla Clintonomics? L’ipotesi è suggestiva, scrive Gaggi: ma si scontra con una realtà che da allora è profondamente cambiata. Diverse sono le condizioni dell’economia americana e internazionale, che allora era in piena espansione, mentre ora serve il sostegno continuo del ‘denaro facile’ delle banche centrali per evitare recessioni e deflazione. E diverso è lo stato d’animo dell’opinione pubblica: negli anni di Bill Clinton la fiducia nell’economia di mercato e nel liberismo economico era talmente alta che anche i democratici accettarono la filosofia della 2deregulation’ di Ronald Reagan. L’impoverimento del ceto medio in questi anni ha spostato poi a sinistra l’asse della politica dei progressisti, con Hillary costretta a inseguire Bernie Sanders fino al punto da pronunciarsi anche lei contro i trattati commerciali che Obama ha negoziato con i Paesi asiatici.

Alla pagina precedente, l’articolo di Giuseppe Sarcina sulla campagna elettorale delle primarie in casa repubblicana: “Trump attacca i rifugiati: rischio 11 settembre”, “Il candidato repubblicano contro Cameron: ‘I rapporti con la sua Gran Bretagna non saranno buoni’. Il premier di Londra ribatte: ‘Idee stupide sui musulmani’. E Obama: ‘L’ignoranza non è una virtù'”. Sarcina sottolinea anche che Trump non ha più soldi per la campagna e che chiede una mano all’élite della finanza.

Su La Repubblica l’articolo del corrispondente Federico Rampini: “Trump piega i repubblicani, il partito si schiera con lui”, “Il gruppo dei detrattori diminuisce, nonostante i toni sempre accesi. L’ultima battuta: ‘Gli immigrati preparano un nuovo 11 settembre'”.

Papa Francesco

Su La Repubblica Paolo Rodari si occupa dell’assemblea dei vescovi della Cei che si è aperta ieri: “Richiamo del Papa ai vescovi: ‘Siate sobri, basta proprietà'”, “Francesco apre l’assemblea della Cei: ‘Bruciate le ambizioni di carriera e di potere. Rinunciate ai beni non necessari'”, “Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”. E sulla convivenza: “La coesistenza tra cristiani e musulmani è possibile. Il Libano mostra che ciò è possibile”. A pagina 7 il “dossier” firmato da Corrado Zunino: “Palazzi, alberghi e ospedali, 2 mila miliardi di patrimonio, quanto vale ‘Vaticano spa’”, “Un milione di immobili sparsi in tutto il mondo, 115 mila soltanto in Italia, e appartamenti di lusso spesso affittati a politici a prezzi di favore”.

“L’altra Chiesa dei presti scalzi” è il titolo della riflessione di Enzo Bianchi: il Papa richiama uno stile, un modo di essere e di agire del sacerdote, un’esistenza che diventa eloquente perché alternativa.

Su La Stampa: “Il Papa striglia i preti: ‘Rinunciate alle proprietà, tenete solo l’essenziale'”, “E sulle unioni civili: lo Stato rispetti le coscienze”.

Sul Corriere, le pagine 2 e 3 sono dedicate a questo tema. A pagina 2: “‘Lo Stato rispetti le coscienze'”, “Il Papa dopo le unioni civili: l’obiezione va garantita, è un diritto umano. L’appello all’assemblea dei vescovi: siate semplici, vivete in povertà”. E il “retroscena” firmato da Luigi Accattoli: “L’ideale del ‘parroco scalzo’ e la sfida alle gerarchie ecclesiali”. In basso, sul “patrimonio” della Chiesa, l’articolo di Lorenzo Salvia: “Case e palazzi per quattro miliardi. Gli attici a San Pietro affittati a mille euro”.

A pagina 2, intervista a Padre Raniero Cantalamessa: “Accusano Francesco di pauperismo ma è tutto nel Vangelo”.

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