Il ritorno di Berlusconi

Il Corriere della Sera: “Conti Ue, la mossa del Colle”, “Padoan al Quirinale. I rischi di una manovra correttiva”. “Napolitano firma il decreto sul taglio fiscale”. E poi: “Draghi (Bce): pronti a maxi acquisti di bond”. In alto: “Berlusconi, vacilla il patto con Renzi, ‘Il nuovo Senato? Fa saltare tutto”. E poi: “’Matteo da rottamatore a simpatico tassatore’”.

 

A fondo pagina il quotidiano offre un articolo della scrittrice Silvia Avallone: “La Lucchini trasformò ma mia vita, ora l’altoforno si spegne. Il mondo d’acciaio che non vedrò più”.

 

Il Sole 24 Ore: “Per spesa e tasse uk calo si ferma a 2,8 miliardi. Napolitano firma dopo i chiarimenti di Padoan”. “Testo in Gazzetta: le nuove entrate riducono l’impatto del taglio del cuneo. Polemica sui conti correnti”. Di spalla: “Bce pronta all’acquisto di titoli di Stato e crediti cartolarizzati”. In alto la sentenza Thyssenkrupp: “Fu omicidio colposo ma pene da ricalcolare”, hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione.

 

Il Fatto: “Renzi, il giorno più nero, tra Napolitano e Caimano”, “Il Colle snobba il premier e convoca il ministro Padoan prima di firmare il decreto sugli 80 euro, duramente criticato dalla Ragioneria di Stato. Poi chiama la Finocchiaro (presidente Pd della Commissione Affari Costituzionali, ndr.) per parlare delle riforme che più nessuno vuole. Intanto B. spara a zero sul governo, l’Italicum e il nuovo Senato”.

In taglio basso, attenzione per i sondaggi: “’Grillo a 5 punti dal Pd’, il terrore corre a Palazzo”, “I Democratici sono sopra il 30%, ma il Movimento avanza di più”. (Fonti di questi dati sono Euromedia research, di Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia di Berlusconi, secondo cui il M5S tornerebbe ai livelli delle ultime politiche, ovvero il 25,3% e Ixé Agorà, secondo cui Grillo sarebbe al 27%. In entrambi i casi il Pd sarebbe al 32 per cento circa, ndr.)

 

La Repubblica: “Berlusconi affonda il patto sul Senato: ‘E’ incostituzionale’”, “Il Cavaliere: pronti alle elezioni, supereremo il 25%”, “Renzi: se salta tutto andiamo al voto con l’Italicum”.

A centro pagina: La mini-tassa sui conti correnti”, “Polemiche per l’aumento al 26%. Draghi: un arsenale anti-deflazione”.

La foto a centro pagina è per il processo Tysssen: “Thyssen, processo da rifare. L’ira dei parenti: ‘Codardi’”

 

La Stampa: “Berlusconi rompe con Renzi”, “’Italicum incostituzionale, la modifica del Senato non è votabile’”, “Decreto Irpef, Napolitano firma dopo i chiarimenti di Padoan”.

Sotto la testata: “Thyssen, l’ultima svolta. La Cassazione: le pene devono essere ricalcolate”, “Confermato l’omicidio colposo”.

La foto-notizia a centro pagina è dedicata all’incidente in Valcamonica:”Ucciso dalla croce dedicata a Wojtyla”.

 

L’Unità: “E’ tornato lo sfasciacarrozze”- “Berlusconi tenta di picconare le riforme”. A centro pagina una grande foto per il 25 aprile: “Buon futuro”.

 

Il Giornale: “Finalmente Berlusconi. Cavaliere all’attacco. Sulla sentenza: ‘Condanna ingiusta, ricorrerò. La decadenza? Una mascalzonata. Su Napolitano: ‘La sua regia dietro l’addio di Fini, ho le prove’. Su Renzi: ‘un simpatico tassatore’”. “E sulle riforme avverte: Italicum priorità, quella del Senato non è votabile”.

 

Berlusconi

 

I

Intervenendo ieri a Porta a Porta Silvio Berlusconi ha detto di voler cercare “ancora una volta di dare a questo Paese un assetto che lo renda governabile”, e quindi di voler partecipare alle riforme, ma ha detto anche che “l’Italicum così difficilmente potrà essere costituzionale, per il momento la legge è ‘spiaggiata’ al Senato”. Il Corriere spiega che dopo una pausa pubblicitaria l’ex premier è tornato sul tema per “correggersi”, ribadendo: “’Manteniamo gli impegni presi con Renzi: il Senato non deve costare e non deve essere elettivo’”, ma ha accusato la maggioranza di voler “portare a settembre” il varo della legge elettorale, dopo quella del Senato: “l’accordo non era questo, se ne dovrà parlare”.

Il titolo è: “La mina di Berlusconi sull’Italicum: con il nuovo Senato è incostituzionale’”. Un altro articolo del quotidiano milanese spiega che “Renzi liquida l’affondo: fibrillazioni elettorali. E vuole ricompattare il Pd”. “Un testo corretto per disinnescare il fronte di Chiti”.

Per restare al Corriere, Antonio Polito scrive che “ il tavolo delle riforme non è affatto saltato. E Berlusconi è stato attento a non farlo saltare. È ibernato. Semplicemente il leader di Forza Italia non intende concedere a Renzi di presentarsi alle urne come il salvatore della patria”. E dunque “la lunga luna di miele di Renzi sembra finita ieri, e le riforme non sono più un pranzo di gala”.

 

La Repubblica, citando i contenuti dell’intervista di Berlusconi, scrive che ha detto “tre cose molto pesanti”. La prima: “Sul Senato non più elettivo non c’è stato nessun impegno da parte di Forza Italia”; la seconda è che non avendo deciso sulla composizione di Palazzo Madama “la riforma del Senato non sarà fatta prima del 25 maggio. Perché ancora non è votabile, più che per noi perché non è accettata dall’interno del Pd”. Infine, si è detto pronto ad andare subito alle urne. Il “retroscena” del quotidiano racconta la reazione del presidente del Consiglio: “Renzi minaccia le urne: salta tutto? Approviamo l’Italicum da soli”. Secondo La Repubblica all’origine delle dichiarazioni di Berlusconi vi sarebbero i sondaggi, soprattutto in quella che è stata la roccaforte di Forza Italia, ovvero la Lombardia, dove il partito sarebbe al 14%. Per questo l’orientamento di Berlusconi sarebbe questo: non si può consentire a Renzo di presentarsi al voto per maggio, per giunta con lo spot della riforma del Senato approvata, meglio mettere da parte, per ora, i panni dei riformatori. Il quotidiano intervista il capogruppo dei senatori Pd Luigi Zanda, secondo cui si tratta di una “mossa elettorale” e che “alla fine l’intesa reggerà”. Ma sul Senato non elettivo non sono d’accordo anche buona parte degli esponenti Pd. Zanda: “Gli ultimi nodi saranno sciolti martedì nell’assemblea con Renzi”. La Stampa sottolinea che la “vera sorpresa” nelle parole di Berlusconi è sull’Italicum (alcuni giuristi di sua fiducia, ha raccontato, gli hanno detto che “se venisse abolito il Senato, al nuova legge elettorale diventerebbe incostituzionale” in quanto un partito del 25%, vincendo anche solo di uno zero virgola, “prenderebbe il controllo dell’intero Paese, compresa la possibilità di eleggersi il Presidente della Repubblica”. Argomenti, ricorda il quotidiano, sollevati da giuristi come Rodotà o Zagrebelsky che “tornano strani sulla bocca del loro arcinemico”).

Ancora sulle dichiarazioni di Berlusconi, Il Fatto: “Ora Berlusconi ricaccia fuori Fini: ‘Napolitano lo istigò al golpe’”. Anche su La Repubblica: “Il Cavaliere ritorna nel salotto di Vespa e attacca Napolitano: ‘Voleva Fini premier’”. Berlusconi ha raccontato che Napolitano nel 2010 avrebbe spinto Fini a far cadere il suo governo con la mozione di sfiducia: “Fini ha fatto ciò che ha fatto perché convinto dal capo dello Stato che avrebbe formato lui il nuovo governo”, “Ho dodici testimoni che hanno sentito la voce al telefono del capo dello Stato, messa in diretta da Fini per convincerli che aveva le spalle coperte per la sua operazione politica”.

 

Sul Giornale ci si sofferma anche sulle parole di Berlusconi sulla condanna: “Non è vero che sono dispiaciuto. Molto volentieri andrò a trovare gli anziani, l’ho sempre fatto tantissime volte soprattutto con mia madre che quasi ogni settimana andava a trovare gli anziani…C’è indignazione forte per l’ingiustizia che ha portato un collegio feriale a prendere decisione su una sentenza assolutamente ingiusta, io affronto tutte le situazione della vita con uno stato d’animo che deriva dalla mia serenità. Quando so di essere a posto, mi possono fare tutto quello che vogliono ma non mi scompongo. Non credo che sottrarre qualche ora alla settimana al mio tempo per dare assistenza a persone che hanno bisogno mi possa dare fastidio”.

Lo stesso quotidiano scrive che Berlusconi era “contento e sollevato” alla fine della trasmissione, e che chi era presente in studio “giura che il leader di Forza Italia abbia risposto per le rime a chi continuava a predicare prudenza su Renzi. ‘Basta, adesso dico quello che penso’, avrebbe replicato piuttosto bruscamente l’ex premier”.

 

Decreto

 

Ieri, prima di firmare il decreto del governo che contiene i famosi 80 euro, il presidente della Repubblica, scrive L’Unità, “aveva ricevuto al Quirinale il ministro dell’Economia Pier Carlo Sul Corriere Enrico Marro scrive che il governo Renzi “ha mantenuto la cattiva abitudine dei precedenti esecutivi di annunciare l’approvazione di provvedimenti salvo mandarli in Parlamento con minimo una settimana di ritardo”, così da produrre numerose modifiche rispetto alle bozze iniziali, tanto che “lo sport in voga in questi giorni è stato: scopri la differenza tra la versione di ieri e quella di oggi”. Da qui la necessitò “anche ai livelli più alti delle istituzioni, di vederci chiaro”.

 

Sull’incontro di ieri tra Padoan e Napolitano Il Sole 24 Ore scrive che è “inutile leggervi un significato politico pro o contro le scelte del governo”, e anzi è “noto che il Capo dello Stato sta favorendo in modo discreto ciò che consolida la stabilità del quadro politico”, a partire dal suo appoggio “senza riserve” delle riforme, la cui strada però – anche alla luce del ritorno sulla scena di Berlusconi, è “in salita” per Renzi.

 

La Stampa scrive che con una nota Palazzo Chigi ha fatto sapere che non è corretto sostenere che è stata approvata una nuova tassa sui conti correnti e che si è soltanto provveduto ad un adeguamento ai parametri europei sulla tassazione delle rendite finanziarie. Il quotidiano evidenzia come “il più loquace presidente del Consiglio della storia della Repubblica” in questo caso abbia taciuto, affidandosi ad una nota di “fonti di Palazzo Chigi”. Perché l’imbarazzo era comprensibile: l’aumento dal 20 al 26% anche della tassazione sui conti correnti, sui depositi e sui libretti postali è uno degli “omissis” contenuti nella conferenza stampa di presentazione del decreto Irpef ed emerso solo più tardi, alla diffusione dei testi. La giornata di ieri, scrive il quotidiano, avrebbe potuto trasformarsi in un “giovedì nero” se la convocazione al Quirinale del ministro dell’Economia Padoan fosse andata diversamente da come è andata: il capo dello Stato ha evidenziato fisiologiche imperfezioni dal punto di vista formale e costituzionali sempre presenti in provvedimenti di questo tipo, ma non ha sollevato obiezioni che potessero metter in discussione la sua controfirma al decreto Irpef. Secondo La Stampa il capo dello Stato si è preoccupato soprattutto delle “coperture”, perché possano essere non “ballerine” ma strutturali.

 

Il Fatto: “80 euro, il Colle umilia Renzo e parla soltanto con Padoan”, “Troppe promesse da Palazzo Chigi, il Presidente lo scavalca e chiama a rapporto il solo ministro per discutere di coperture e conti pubblici”. E sulla pagina seguente: “La guerra del premier contro i tecnici del Tesoro”, “Duro scontro in Ragioneria generale: il via libera al decreto a rischio fino all’ultimo minuto, poi Daniele Franco firma. Ecco le cifre che non tornano”.

 

Thyssen

 

La Stampa dedica le prime tre pagine alla decisione della Corte di Cassazione sul caso Thyssen e riassume così: “Non è finita. Tutti colpevoli ma le pene inflitte in appello sono troppo alte, vanno ricalcolate.”. La Corte ha inviato alla Corte d’Assise d’appello di Torino la rideterminazione delle pene. Il presidente Santacroce non ha confermato il verdetto di appello, nel senso che ha giudicato “responsabili i sei imputati, ma le pene vanno nuovamente definite”. Per i condannati, secondo il quotidiano, si apre la possibilità di non finire in carcere. L’appello aveva stabilito una reclusione tra i 7 e i 10 anni -riducendo le pene della sentenza in primo grado. S le condanne fossero ridotte “troppo”, cioè sotto i 3 anni, i sei manager della Thyssen Krupp potrebbero non andare in carcere. Il dibattito in Cassazione è stato tutto incentrato sulla esatta differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente. Il procuratore generale ava sottolineato: “I manager e i dirigenti chiamati a vario titolo a rispondere della morte dei sette operai nello stabilimento”, “facevano affidamento sulla capacità dei lavoratori di bloccare gli incendi che quasi quotidianamente di verificavano: ci agisce nella speranza di evitare un evento evidentemente, se l’evento si verifica, non può averlo voluto”. Il quotidiano intervista il manager dell’azienda, Raffaele Salerno: dice “siamo l’agnello sacrificale”, “Hanno detto che avevano le ispezioni pilotate. Ma alla fine non hanno trovato niente di che”, “Io sono stato consegnato ai parenti di quelle persone morte e sono stato giudicato da loro”.

 

E poi

 

Su La Repubblica il direttore della rivista Reset Giancarlo Bosetti si occupa dello studio condotto dallo storico Alberto Melloni e pubblicato da Il Mulino sulla conoscenza -o, è il caso di dire, l’ignoranza- del nostro Paese in materia di religione: “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” è il titolo di questo studio di circa 500 pagine, curato da Melloni con la collaborazione di una trentina di studiosi del campo. Se il 70 per cento degli italiani afferma di avere una Bibbia in casa (l’86% fra coloro che si dichiarano cattolici praticanti), è pur vero che meno del 30 per cento di questi ne ha letto qualche pagina. I non cattolici, si fa notare, peraltro leggono la Bibbia un poì di più dei cattolici. Scrive più avanti Bosetti: “la scarsa conoscenza della propria religione si spalanca poi sugli abissi dell’ignoranza di quella degli altri”. Vale per l’ebraismo, vale per l’Islam. Nel nostro Paese, per effetto della polarizzazione tra laicismo e clericalismo, non ci sono facoltà di teologia nelle università pubbliche, come accade invece in Germania o in Svizzera. Eppure l’esigenza di conoscere le religioni “appare sempre più impellente di fronte ai numeri del pluralismo religioso” che riguarda il nostro Paese (relative alle chiese cristiane ortodosse o agli 80 mila sikh, così come ai 655 luoghi di culto per 1 milione e 650 immigrati musulmani): “la conoscenza delle religioni sta diventando parte di uno standard di base per una pacifica convivenza e per contrastare le tendenze fondamentaliste e violente”, sottolinea Bosetti.

 

Il Corriere offre due scritti inediti dedicati a Giovanni XXIII e a Giovanni Paolo II firmati rispettivamente da Ratzinger e da Bergoglio. Quello del Papa dimissionario è titolato “Si definiva un sacco vuoto della storia” e risale al 1968, quello di Bergoglio (“La coerenza non si compra, sta nel cuore”) è del 2005. Si tratta di una anticipazione da L’Osservatore Romano.

 

Una analisi di Alberto Negri sul Sole 24 Ore si sofferma sulle vicende israeliano-palestinesi e sul fatto che nessuno dei due interlocutori sembra avere una reale volontà di “porre termine a un conflitto che dura da 60 anni”.

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