Il primo cinguettìo di Monti

Il Corriere della Sera: “Monti, piano per la lista unica. Il suo nome richiamato nel simbolo per le elezioni. Il premier su Twitter: giusto spendersi”. “Gelo di Bersani: resti super partes. Berlusconi attacca”. L’editoriale è firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “Troppo Stato in quella agenda”.

La Repubblica: “Monti vuole la lista unica. Il premier su Twitter: saliamo in politica. Bersani: vedremo se sarà neutrale”. “Domani il vertice decisivo con i centristi. ‘Se vinciamo il vice andrà alla Lega’. Ma i colonnelli del Carroccio non ci stanno”. A centro pagina: “Siria, strage di bimbi. ‘Usate armi chimiche’”.

La Stampa: “Monti spinge per la lista unica. Bersani: resti super partes. Berlusconi: congiura dell’Europa contro di me. L’annuncio della ‘salita in politca’ su twitter: è ora di rinnovare. Intervista al ministro Barca: l’Agenda? Conta più il metodo”.

Il Giornale: “Monti come Fini. Largo agli irriconoscenti”. “Il Prof si schiera e pugnala chi lo ha portato al governo. Berlusconi: con me un leghista vicepremier. Anche Albertini pronto a tradire: in Lombardia gioca per la sinistra”. A centro pagina, con foto di Ichino, Casini e Montezemolo: “Ma che c’azzeccano questi centristi insieme?”.

Il Foglio: “I tormenti dei montiano che non vogliono fare la costola della sinistra”, “dal Corriere in giù, si moltiplicano gli appelli a Monti: che c’entrate tu e Marchionne con Bersani e Vendola?”.

Il Fatto quotidiano: “Monti, regalo di Natale a banchieri e costruttori. Nel silenzio più assoluto, l’ultimo atto del governo ‘tecnico’ ha garantito ai poteri forti che gestiscono lo scalo di Fiumicino più tasse aeroportuali a carico dei passeggeri”. “Nel piano il raddoppio delle piste, ma soprattutto una cascata di cemento sul litorale romano. Affare da 12 miliardi che conviene a troppi”.

L’Unità: “Monti prepara la sua lista”, “Bersani: ‘si decida, noi andiamo avanti con il nostro programma: equità e lavoro”. In taglio basso: “Primarie, tutti i candidati di Pd e Sel”.

Libero: “Le 5 tasse di Capodanno. Aumentano canone Rai, pedaggi autostradali, importo di multe, lettere e pacchi postali. Arriva la gabella sui conti correnti bancari. E anche il Bancoposta dall’1 gennaio sarà più caro”.

Monti

Il Corriere della Sera racconta che il primo tweet ufficiale di Mario Monti è accompagnato da un forte crescendo di followers, che nella serata di ieri erano 36 mila. E spiega che il nodo che Monti dovrà sciogliere in queste ore è quello di una lista unitaria. Secondo il quotidiano, questa soluzione sarà inevitabile al Senato, per i condizionamenti dettati dal Porcellum (soglia per la coalizione al 20 per cento a Palazzo Madama, ma 8 per cento per la singola lista su base regionale). Lì potrebbero candidarsi alcuni big come Pierferdinando Casini. Quanto alla Camera, le pressioni per la lista unitaria sono molto forti, anche perché c’è il problema della collocazione, tra i candidati, di personalità che pure fanno parte del governo, come il ministro Passera, che si riconoscono nel pensiero montiano ma non sono inserite nelle liste già esistenti (né di partito, né di società civile).

La Repubblica scrive che “Monti spinge sulla lista unica”, e che secondo un sondaggio tale ipotesi avrebbe il 20 per cento nei sondaggi; invece la formula con liste multiple avrebbe l’1 per cento in più. Ma secondo il quotidiano un altro dato avrebbe fatto sorridere i seguaci del professore: di questo 20 per cento di elettori disposti a votare Monti, la quota in arrivo dal Pdl sarebbe pari al 9-12 per cento. L’orientamento del presidente del consiglio uscente sarebbe, per l’appunto, quello di una lista unica sia alla Camera che al Senato: “Solo così – avrebbe spiegato Monti – daremo un vero segnale di rinnovamento e di forza”. Ma Udc e, in misura minore, anche Italia Futura, non vedrebbero di buon occhio questa soluzione: non soltanto per il vantaggio elettorale di presentare più simboli, ma anche per la difficoltà di stabilire in base a quali quote dividersi i posti in lista. Tanto più che l’abbinamento tra politiche e regionali spinge Udc e Fli a non rinunciare ai loro simboli nelle Regioni. Né piacerebbe ai “terzorepubblicani” di Montezemolo e Riccardi di mescolarsi con i “politici”.

Anche L’Unità sottolinea che “il nodo delle liste centriste non è ancora sciolto”, parla delle “tensioni” con Casini e Montezemolo e riferisce che proprio i centristi sottolineano come “nessuna delle persone intorno a Monti ha esperienza di come si fanno le liste”.

Per restare a L’Unità e alle reazioni nel Pd, il quotidiano evidenzia la posizione del segretario: “Bersani: ‘Nell’agenda Pd più lavoro e più equità’”. E si scrive dei “limiti” del “progetto Monti”: “niente diritti” (dove si intendono quelli civili, coppie di fatto ed omosessuali, ma anche quelli dei lavoratori) e “troppa austerità”. “Un’agenda, quella del professore -si spiega- che ai piani alti del Nazareno (sede Pd, ndr) hanno letto con molta attenzione, riscontrandone gli stessi limiti che hanno contraddistinto l’azione di governo”.

Sulla stessa pagina, attenzione per il senatore Pd uscente, il giuslavorista Pietro Ichino e per il “giallo” sulla paternità della stessa “agenda Monti”: la versione in Pdf pubblicata dal sito del Corriere della Sera recava la sua firma. Il senatore aveva annunciato di non voler più correre alle primarie per i parlamentari Pd, per candidarsi come capolista in Lombardia della lista Monti: questo gli attira le critiche del quotidiano, che stigmatizza il “tempismo perlomeno infelice” a sole due settimane da quelle primarie per la candidatura alla premiership in casa Pd, in cui Ichino era stato tra i protagonisti, nel campo renziano, firmando quindi anche un preciso impegno a sostenere il vincitore, come tutti coloro che hanno votato ai gazebo.

Il Foglio, proprio in prima pagina, offre ai lettori “la versione di Ichino”. Qui il giuslavorista spiega le ragioni dell’addio a Bersani, con una intervista. Si legge che Ichino ha scelto di lasciare il Pd non solo per una questione legata a una forte affinità con il programma del professore, con cui ha un rapporto personale da 15 anni, ma anche perché – si spiega – non si sentiva più in grado di farsi portavoce di fronte ai suoi elettori della linea politica del trio Bersani-Fassina-Vendola. Spiega nell’intervista Ichino: “in questi giorni in molti mi hanno sollecitato a mantenere nonostante tutto la candidatura nel Pd, ricordandomi che così si deve fare in un grande partito moderno e in un sistema bipolare”, ma questo ragionamento “vale in una situazione ordinaria”, “nella quale si può contare su qualche anno di tempo per le proprie battaglie politiche”. Tale non è la situazione di “emergenza grave” in cui il Paese “rischia di rompersi l’osso del collo”. Perché? “Discrimine fondamentale della politica è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei e chi invece è convinto che proprio questa strategia sia la rovina del Paese”. Lo stesso Ichino ricorda di aver sottoscritto la “carta degli intenti”, ma sottolinea che essa era “viziata da una ambiguità di fondo” proprio sulla questione cruciale della strategia europea per l’uscita dalla crisi”: era nata come “professione di fedeltà agli impegni europei assunti dall’Italia, ma il giorno dopo la chiusura delle urne abbiamo sentito il principale alleato del Pd affermare che quella carta è la ‘pietra tombale’ sui nostri impegni europei”.

Barbara Spinelli, nel suo commento su La Repubblica dedicato all’agenda del Professore, scrive che è “moderatamente europeo”. Perché quanto all’Europa, è vero che l’agenda propone che il prossimo Parlamento abbia un ruolo costituente, prospettiva di una “Costituzione sovranazionale”, ma manca il riconoscimento che “stiamo vivendo una crisi economica, politica, sociale dell’Unione intera” (una crisi sistemica) che non si supera limitandosi a far bene, ciascuno per proprio conto, i “compiti a casa”, come prescrive l’ortodossia tedesca. Spinelli cita la storia americana, in particolare Alexander Hamilton, “allorché si decise che il potere sovranazionale si sarebbe fatto carico dei singoli debiti”, passando dalla confederazione di Stati semi-sovrani ad una Federazione, “dotata di risorse tali da garantire solidalmente, una più vera unità. E’ il momento Hamilton – non centrista-moderato ma radicale – che non si scorge né a Bruxelles né nell’agenda Monti. Spinelli critica la ostilità del Professore alla divisione destra-sinistra, e scrive che “quel che il premier non sa è che Vendola impersona la questione sociale che fa ritorno in Occidente”.

Tanto il Fatto che La Stampa oggi intervistano Fabrizio Barca, ministro uscente della Coesione territoriale. In entrambe ad essere centrale è il ruolo dei partiti: “Twitter da solo non basta, bisogna tornare ai partiti”, dice a La Stampa; è essenziale “l’organizzazione dei gruppi intermedi, quel collante tra la società e l’esecutivo”, dice a Il Fatto.

Infine, L’UNità oggi pubblica le liste dei candidati alle primarie di Pd e Sel per la scelta dei candidati al parlamento. Si vota sabato 29 dicembre e domenica 30.

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, invece, sulla prima pagina del Corriere, scrivono che nel programma che Monti ha proposto agli italiani poco si parla della opportunità di ridurre lo spazio che occupa lo Stato: “Anzi, finora il governo Monti si è mosso nella direzione opposta. Ad esempio ha trasferito Snam Rete Gas, l’azienda che gestisce la distribuzione del gas, dall’Eni, di cui lo Stato possiede il 30 per cento, alla Cassa Depositi e Prestiti di cui possiede il 70, cioè l’ha in sostanza nazionalizzata”. Seguono altri esempi, come Alitalia, “sostanzialmente fallita” dopo che Berlusconi si rifiutò di vendere ad Air France, scaricando il costo del salvataggio sui contribuenti, o la sanità, in cui l’offerta di servizi in Italia è perlpiù gestita dallo Stato, malgrado l’invecchiamento della popolazione abbia reso la questione della spesa sanitaria una “bomba ad orologeria per le finanze pubbliche”.

In casa Pdl, secondo il Corriere della Sera il Cavaliere avrebbe in mano sondaggi che lo darebbero in costante ascesa (Bonaiuti: “siamo ormai al 20 per cento e siamo solo all’inizio della campagna elettorale”). Secondo Berlusconi, su cinque punti, Monti ne prenderebbe 4 al Pd e solo 1 al Pdl, perché gli elettori di questo partito non sarebbero minimamente attratti dal messaggio e dalle politiche del Professore. Ha detto ieri il Cavaliere: “l’agenda Monti non è che la continuazione della politica del governo tecnico, su ispirazione della Germania”. Poi ha precisato: “Non sono io che gli ha offerto la guida del centrodestra, è stato il PPE”. Nello stesso tempo ha insistito sulla “congiura internazionale” che avrebbe fatto cadere il suo esecutivo. Secondo il quotidiano, la linea antimontiana sul versante economico caratterizzerà la campagna elettorale del Pdl, con promesse come l’abolizione dell’Imu e il calo delle tasse. Ma Berlusconi sa che per contendere davvero al Pd la vittoria ha bisogno di altro, ovvero una alleanza con la Lega, che il Cavaliere è tornato ad invocare, arrivando a proporre un ticket con lui candidato premier: “Non ho obiezioni ad un vicepresidente leghista se il Carroccio ci darà un contributo elettorale”, ha detto. Sulla stessa pagina si scrive che il Carroccio “non chiude” purché il candidato premier sia Tremonti.

Anche su Il Giornale “il Cav incalza la Lega e vola al 20 per cento”, “Berlusconi offre ai lumbard la vicepremiership: insieme, o perdiamo Lombardia, Veneto e Piemonte”.

La Repubblica intervista il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, che, secondo il quotidiano, “boccia l’offerta di Berlusconi”, allorché dice: “La base non vuole l’allenza con il Pdl, anche in Lombardia può penalizzarci”. “In regione, insieme a Berlusconi, rischiamo di perdere anche consensi liberi che Maroni da solo può intercettare”. E se fosse Alfano il candidato premier? “Difficile, apri la matrioska con le sembianze di Silvio e dentro c’è lui, Angelino. Cosa cambia?”.

Internazionale

Due intere pagine de La Stampa sono dedicate alla Siria. Si dà conto della ennesima defezione ai vertici: ha disertato il capo della polizia militare, uno dei pilastri delle forze di sicurezza del presidente Assad, ovvero il generale AbdulAziz Al Shalal. Ha parlato da uno studio tv in Turchia, in uniforme, spiegando di aver disertato perché l’esercito ha tradito il suo compito di proteggere i cittadini siriani, trasformandosi in una “banda di assassini”, che sta compiendo massacri a ripetizione in città e villaggi. Poi l’accusa più grave ad Assad: aver autorizzato l’uso di armi chimiche, in un attacco alla città di Homs” alla vigilia di Natale. Accuse difficili da verificare, fa notare il quotidiano, ma che si inseriscono in una sequela di denunce da parte degli insorti: che sanno come quella delle armi chimiche sia la “linea rossa” che innescherebbe l’intervento occidentale. Nella pagina di fianco si legge che “l’America frena sull’intervento” proprio perché servirebbero prove inconfutabili sull’uso di armi chimiche. Si fa peraltro notare che c’è una questione posta dalla entrata in carica, non prima della fine di gennaio, del nuovo segretario di Stato Kerry, che in passato si era espresso a favore di un intervento limitato in Siria, andando anche oltre le posizioni prese dall’Amministrazione. Si dà conto delle dichiarazioni del vicepremier israeliano Yaalon: “Abbiamo visto i rapporti dell’opposizione. Non è la prima volta. L’opposizione ha un interesse a provocare un intervento militare internazionale”. Infine, un articolo racconta come tra fughe e attentati, il clan alauita, ovvero il “cerchio magico di Bashar Al Assad si è mostrato meno compatto del previsto”. Al rais restano pochi irriducibili: il fratello Maher, il cugino Makhluf, il leader del Baath Mamluk.

Anche il Corriere della Sera sottolinea come le accuse degli avversari di Assad siano accolte con prudenza da Washington e da Gerusalemme. In attesa di indizi chiari su cosa sia avvenuto ad Homs, gli esperti hanno formulato varie ipotesi. La prima è che il regime abbia usato gas lacrimogeni ad alta concentrazione, la seconda è che i militanti abbiano inalato sostanze tossiche sprigionatesi dopo attacchi con bombe incendiarie.

Anche La Repubblica dedica due intere pagine alla Siria, occupandosi in particolare di una strage di bambini, in una provincia del nord: 20 persone uccise da un bombardamento, e fra queste vi sarebbero almeno otto bambini, diciassette secondo altre fonti. Il quotidiano intervista peraltro Ali Ferzat, il più famoso vignettista siriano, che il regime rapì nel 2011, e a cui decise di spezzare le dita. Ferzat è fuggito dal Paese, e qualche mese fa è riuscito di nuovo a impugnare la matita. Presto aprirà una rivista al Cairo, risponde al cronista che gli riferisce delle preoccupazioni sulla presenta dei salafiti in Siria: “Tutto quello che lei dice è vero. Ma io ripeto che c’è un’altra guerra, quella della gente normale, che sta combattendo”. Stigmatizza il fatto che i giornali esteri parli dei combattenti stranieri: “Ci sono, non voglio negarlo. Ma sono un numero limitato rispetto alle migliaia di siriani che si battono per la libertà”.

 

Sulla prima pagina del Corriere si racconta come il Presidente Obama abbia interrotto bruscamente le vacanze alle Hawaii per tornare alla Casa Bianca a cercare una intesa dell’ultimo minuto con l’opposizione repubblica sul tema fiscale. Se non raggiungesse un accordo, a partire dal 1 gennaio 2013 scatteranno automaticamente tagli di spese e prelievo per i contribuenti. Tra l’altro, circa 2,1 milioni di disoccupati dovranno rinunciare al sussidio.

Se ne parla anche su La Stampa, dove si legge che il “fiscal cliff” sta svuotando le casse dei servizi pubblici: l’Oregon è costretto a liberare alcuni detenuti perché non ci sono soldi per mantenerli. Diminuiranno i fondi che il governo federale che il governo distribuisce agli Stati.

 

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