Esodati. Oggi al Senato

Il Corriere della Sera dedica il titolo più grande alla crisi: “La Grecia non calma i mercati. Borse giù. Monti al G20: la crisi non nace in Europa. Merkel frena sull’ammorbidimento delle condizioni per Atene”. A centro pagina: “L’islamico Morsi presidente. Ma in Egitto comanda l’esercito. Così la giunta militare si è attribuita i poteri”.

Il Sole 24 Ore: “Tassi spagnoli record, spread in rialzo. Monti: serve l’unione politica. Atene chiede tempo sui tagli. Merkel: niente sconti”.

Il Giornale: “L’Italia resta nell’euro. Cassano e Balotelli meglio di Monti: 2-0 all’Irlanda”.
Libero: “Dateci la Merkel”, con caricatura della cancelliera tedesca e di un piede di calciatore. L’Italia del calcio potrebbe arrivare a battersi con la Germania, spiega il quotidiano.

La Repubblica, oltre ai titoli sull’euro e la Grecia, offre in prima pagina anche i nomi dei due candidati delle “associazioni” per il Cda Rai: l’ex magistrato di Mani Pulite Gherardo Colombo e la scrittrice Benedetta Tobagi. “Siamo orgogliosi di sostenerli”, ha detto ieri Bersani.

La Stampa: “Usa e Brics, pressing sull’Europa. L’effetto Grecia dura poco: Borse giù, Milano e Madrid le peggiori. Il Fmi all’Italia: servono le gabbie salariali”.

Crisi 1

Polemiche sul sottosegretario all’economia Gianfranco Polillo, che ieri, secondo quanto riferisce il Corriere, ha detto: “Se rinunciamo a una settimana di vacanza avremmo un impatto immediato sul prodotto interno lordo di circa 1 punto”, “stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità perché per sostenere i nostri consumi abbiamo bisogno di prestisti esteri per cinquanta miliardi di euro l’anno”. Perché – secondo Polillo – o si riduce la domanda interna “ma vorrebbe dire distruggere il Paese”, oppure si aumenta il nostro potenziale produttivo. “E per far questo nel brevissimo periodo l’unico modo è lavorare di più a parità di salario”. La Cgil parla di “uscita confusa e non particolarmente geniale”, la Uil dice che “la strada maestra è ridurre le tasse sul lavoro”, la Cisl lo invita a dare l’esempio per primo. Lo stesso Polillo rintuzza le critiche e risponde: “Vi assicuro che in camera caritatis diversi sindacalisti sono disposti a ragionare su questo tema. Del resto l’Istat ci dice che lavoriamo in media nove mesi l’anno”. Il Corriere scrive che la proposta Polillo riprende la cosiddetta manovra di Ferragosto, il decreto varato dal governo Berlusconi nel periodo piìù nero della crisi quando, per aumentare la produttività, si volevano spostare al week end tutte le festività che cadevano nella settimana per cancellare i ponti. Secondo il quotidiano Polillo vorrebbe usare i contratti aziendali e “fare come in Germania, prendendo l’impegno di ridare i soldi ai lavoratori una volta ripartito il sistema”.

Altre spiegazioni fornite da Polillo e citate da Libero: “Da parte dell’industria questo non deve essere un accordo generalizzato, ma può esser fatto per le aziende già ristrutturate che hanno mercato e quindi puntare principalmente sui contratti di secondo livello”. Il quotidiano cita l’esempio tedesco, e in particolare la Volkswagen, che ha adottato orari flessibili e maggiorati nei momenti di picco di produzione, salvo poi accordare un sostanzioso bonus agli operai quando i conti della holding hanno registrato un fatturato record.
In una intervista “senza rete” con Antonello Caporale a La Repubblica Polillo spiega: “Mi è venuto da fare una semplice operazione: dividere il monte ore lavorate per il numero degli addetti. E ho scoperto che in un anno un lavoratore nove mesi sta in fabbrica e tre in ferie”. “Non ce lo possiamo più permettere”.

La Stampa riferisce delle sollecitazioni per l’Europa contenute in uno studio del Fondo Monetario Internazionale intitolato “incoraggiare la crescita per l’Europa ora” che ha riferimenti molto specifici per quel che riguarda il nostro Paese e il nostro mercato del lavoro: l’Italia dovrebbe lavorare per “decentralizzare la contrattazione salariale, allo scopo di tenere in considerazione le differenze regionali nella produttività”, “introdurre differenziazioni regionali nei salari del settore pubblico” e “rivedere il sistema degli incentivi fiscali per le contrattazioni salariali di secondo livello”, “rilassare le tutele dei contratti standard” e “armonizzare e ridurre il numero dei contratti di lavoro”. Il Fondo Monetario invita anche il nostro Paese ad “incoraggiare le privatizzazioni”, sia “a livello centrale che dei governi locali”, per “frenare il coinvolgimento dello Stato nell’economia e ridurre il debito”, e a “rafforzare l’efficienza del sistema giudiziario”, che frena gli investimenti stranieri quanto l’attività degli imprenditori italiani.

Crisi 2

Restiamo al quotidiano torinese per segnalare le cronache dal vertice G20 in Messico, a Los Cabos, dove, al momento di predisporre il testo base per quella che sarà la dichiarazione finale e il piano d’azione, gli sherpa pare siano ammutoliti nel momento in cui è intervenuta la rappresentante argentina. Si era al paragrafo 9, in cui si parla dell’impegno collettivo per “ridurre la povertà” e “migliorare le condizioni di vita” nei Paesi in via di sviluppo. Ma non trattandosi del G7 dei Paesi più industrializzati, arrivano le critiche delle economie emergenti: “Questo testo è troppo vago – dice la rappresentante argentina – non tiene conto del problema reale che ci troviamo ad affrontare, ovvero che sono i Paesi in via di sviluppo a pagare il prezzo più alto della attuale crisi finanziaria”. Il britannico obietta che “il linguaggio proposto dall’Argentina è poco chiaro, andrebbe specificato cosa vogliamo in concreto”. Replica di fuoco: “Forse non padroneggio bene l’inglese, ma il concetto è assai chiaro”. Lo sherpa indiano dà manforte: “L’aggiunta proposta dall’Argentina è molto opportuna, bisogna dire che sono i Paesi poveri a soffrire di più, perché sta passando l’idea che gli europei stiano peggio di loro”. Il Brasile si associa, il delegato Usa tenta una mediazione, ma interviene Pechino: “La modifica argentina è opportuna, perché bisogna smettere di continuare a sostenere che sono gli europei le prime vittime della crisi finanziaria, a cominciare dalla Grecia, perché i suoi abitanti hanno un tenore di vita di gran lunga superiore a quelli del Sahel”.
Modifica argentina acquisita, sintomo dei nuovi equilibri di potenza nel G20, chiosa il giornalista.
Anche sul Corriere: “I dubbi dei Brics”, che si chiedono “perché noi dobbiamo pagare il vostro conto?”.

Il Corriere scrive che il G20 si sta rivelando un vero calvario per i leader europei (sotto accusa nel resto del mondo, che li considera responsabili dell’aggravamento della crisi); per la Germania, assediata da coloro che le chiedono di farsi carico dei problemi dell’euro. Per Obama, che sollecita e incalza, ma qui tocca con mano l’indebolimento della leadership Usa. E anche per gli emergenti, dalla Cina al Brasile all’India, che alzano la voce perché spaventati: fino all’anno scorso guardavano con distacco alle crisi, perché le loro economie continuavano a crescere. Ma negli ultimi mesi la crescita per alcuni è diventata anemica, per altri si è dileguata. E per questo temono di trovari all’improvviso a gestire situazioni sociali difficili. Il presidente della Commissione Ue ha replicato stizzito alle loro obiezioni: “Non siamo venuti qui a prendere lezioni di democrazia”. Ma il fatto è che i Brics non hanno ancora definito il loro contributo ai 430 miliardi di dollari del firewall a protezione dell’euro che il FMI si era impegnato ad erigere già nel vertice di due mesi fa.
Anche sul Sole si legge che “i Brics prendono tempo sui contributi al firewall Fmi”, “l’unica notizia concreta” che avrebbe potuto emergere dal vertice G20, “la parete tagliafuoco che avrebbe dovuto stabilizzare il mercato del debito sovrano”.

Politica italiana

Il premier ha intenzione di ottenere l’approvazione del disegno di legge sul lavoro entro il 28 giugno, data in cui inizierà il Consiglio europeo di Bruxelles. Ma – come evidenziano tutti i quotidiani – prosegue il “pressing” (La Stampa) dei partiti per modificare alcuni punti del testo già approvato dal Senato. Oggi il ministro del Lavoro parlerà nell’aula del Senato sul tema degli esodati, e poi incontrerà i capigruppo della maggioranza per un vertice da loro richiesto. E oggi al Senato potrebbe essere, secondo il Corriere, “un’altra giornata ad alta tensione”, anche perché sul numero degli esodati sembra regnare ancora incertezza e la pazienza dei partiti sembra esaurita. Il Pd vorrebbe barattare il sì alla riforma del lavoro con la soluzione al problema esodati, sotto forma di decreto. La apposizione della questione di fiducia è probabile ma non scontata: il governo potrebbe porla lunedì e giovedì 28, salvo incidenti di percorso, presentarsi a Bruxelles a riforma approvata. “Per il 28 giugno non ce la facciamo”, dice il responsabile economia del Pd Fassina. E a complicare ancora le cose potrebbe esserci la mozione di sfiducia indivuale alla Fornero, presentata da Lega e Idv.
Il Foglio scrive che il ministro oggi in Senato spiegherà le cifre degli esodati, quei 400 mila cui ha fatto irresponsabilmente riferimento l’Inps. Al ministero del Lavoro dicono: “C’è di buono che l’Inps  ha iniziato a elaborare numeri utili”. Ieri la Fornero era a Milano per un convegno, ha ricordato che la riforma previdenziale è stata fatta in tempi brevi a causa di una crisi finanziaria molto grave, senza possibilità di consultazione con le parti sociali. Poiché la riforma, ha detto, “è piaciuta ad alcuni e ad altri no”, questi ultimi ora “cercano di costringere il governo a tornare indietro”. Al convegno era presente anche il senatore Pd e giuslavorista Pietro Ichino che, con una lettera al Corriere, aveva lanciato una sua proposta di soluzione al problema: “50enni e 60enni non devono essere incoraggiati a uscire definitivamente dal settore produttivo, ma aiutati a rientrarvi, con tutti gli incentivi e le agevolazioni possibili”.

Su tutti i quotidiani si racconta la contesa tra i due candidati alla presidenza egiziana. Il candidato dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi proclama di aver vinto con il 52 per cento dei voti, ma Ahmed Shafiq, avversario, ex generale ed ultimo premier di Mubarak, non ammette la sconfitta, e dichiara vittoria con le stesse percentuali, come scrive Il Sole 24 Ore. Dunque manca un presidente certo, e perdipiù gli egiziani scontano la scomparsa del Parlamento, invalidato da una sentenza della Corte Costituzionale.
Nel frattempo, la giunta ha annunciato che cederà i poteri il 30 giugno. Ma a chi? Forse al Presidente, nell’ipotesi che per quella data ce ne sia uno.
Anche su La Stampa: “I generali del Cairo: ‘cederemo il potere al nuovo presidente’. Ma dalle urne non è ancora uscito un vincitore”. Sul Corriere: “Il presidente egiziano è l’islamico Morsi, ma l’esercito non cede. La giunta si attribuisce tutti i poteri”. Il leader, secondo il quotidiano, sarà “commissariato dai militari”. Il Corriere intervista l’islamologo francese Gilles Kepel, che avverte: “Nelle prossime ore ci saranno pericolose prove di forza nelle strade”. “Sembra che il candidato dei Fratelli Musulmani abba vinto, anche se di poco. Ma il suo avversario, Ahmed Shafiq, non è affatto disposto ad ammetterlo. Segno che i militari potrebbero ancora intervenire sui risultati e non si sono ancora arresi”.
L’Egitto svolta verso il radicalismo religioso? “Non lo credo” – risponde Kepel. “Almeno non nel prossimo futuro. Morsi è stato votato da larghi settori della popolazione che non fanno parte del suo elettorato naturale”. Che ne sarà delle minoranze? “Non li vedo bene. Soprattutto i capi della chiesa copta hanno pubblicamente preso posizione per Shafiq”. E il rapporto di pace con Israele? Kepel ricorda che la questione è legata a doppio filo ai milioni di dollari che gli Usa versano all’Egitto, in preda a una gravissima crisi economica. E su questo fronte la Fratellanza non ha dimostrato grandi capacità. Mancano investitori, i capitali fuggono all’estero: “E non esiste una classe imprenditoriale islamica come quella che sostiene Erdogan in Turchia. Qui il modello turco non è applòicabile”. Si rischiano “rivolte del pane”. L’eventuale affossatore della rivoluzione sarà la fame.

La Stampa presenta ai lettori una ricerca sulla indifferenza religiosa curata dal sociologo Massimo Introvigne (Cesnur). Il titolo della ricerca è: “Gentili senza cortile. ‘Atei forti’ e ‘atei deboli’ nella Sicilia centrale”. Il dato più significativo della ricerca riguarda la mancata crescita, negli ultimi venti anni, degli atei, fermi al 7.4 per cento. Di questi, solo il 2,4 per cento, può esser definito di “atei forti”, cioé in grado di motivare con ragioni ideologiche il proprio ateismo: sono più presenti tra le pensioni più anziane e meno istruite, dove è ancora forte il ricordo dell’ateismo comunista. Il rimanente cinque per cento, ovvero gli atei deboli, è fatto di individui meno ideologici, che considerano Dio e la religione come irrilevanti, e sono più numerosi tra i giovani. Esistono poi i “lontani dalle forme istituzionali della religione”: sono il 63,4 per cento, professano un cattolicesimo meramente culturale, si dichiarano “spirituali ma non religiosi”, con posizioni influenzate anche da mode culturali, come quelle new age o le filosofie orientali. I dati della ricerca vengono commentati, sullo stesso quotidiano, dal sociologo Franco Garelli, che sottolinea come la grande sfida per il cattolicesimo, come per altre religioni storiche, è rappresenta dalle nuove forme di ateismo e di indifferenza religiosa, perlopiù legata “al fardello della vita” poiché spesso denaro, amore e carriera risultano essere obiettivi più importanti della religione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *