Droni: Brennan, contestato, li difende

Il Corriere della Sera: “Distacco ridotto tra i due poli”. “Centrosinistra avanti di 7 punti, il Pdl cresce. Monti al 13 per cento. Ultimo sondaggio: Lombardia e Sicilia in bilico, incertezza al Senato. La marcia di Grillo”. Il sondaggio è Ispo (Mannheimer).

A centro pagina: “Draghi: ho avviato io i controlli su Mps, Bankitalia corretta”.

La Repubblica apre invece sulle vicende Saipem-Eni: “Tangente algerina, indagato Scaroni. La Saipem (Eni) pagò 200 milioni per una commessa da 11 miliardi di dollari. L’ad: noi estranei. Il titolo cade in Borsa”. “Mps, i pm di Siena: ‘C’era un gruppo criminale’. Draghi: Bankitalia corretta”. A centro pagina l’ultimo sondaggio (Demos, in questo caso): “Bersani in testa, ma il Pdl si avvicina”.

 

La Stampa: “Grillo boom, partiti in allarme. Ultimo giorno per i sondaggi: giù il centrosinistra, Pdl in recupero. La Cei: gli italiani non si fanno abbindolare”. “Proposte choc per rimontare: Berlusconi e Bersani puntano sul lavoro, Monti sugli sgravi”.

 

L’Unità: “’Pagare i debiti alle imprese’. Bersani: troppe aziende chiudono per i ritardi di Stato. Nuovi titoli per 50 miliardi”.

 

Il Fatto quotidiano: “Ingroia, Giannino, Grillo: i tre guastafeste. Il Movimento Cinque Stelle sale ancora nei sondaggi e supera Monti. Rivoluzione Civile sempre più determinante al Senato nelle regioni a rischio per il Pd. E anche il piccolo Fermare il declino crea a Berlusconi seri problemi in Lombardia. Sono le novità elettorali da cui può nascere un parlamento imprevedibile”.

 

Il Giornale: “Trappola a Sanremo. Berlusconi è a due punti nei sondaggi. E la Rai di sinistra occupa il palco con ospiti faziosi”.

 

Il Sole 24 Ore: “Bce, la forza dell’euro mette a rischio la ripresa”. L’euro forte – ha detto ieri Mario Draghi – è sinonimo di ritrovata fiducia e riduce i rischi di inflazione, ma pesa sulla ripresa frenando l’export. Di spalla: “Inchiesta Saipem, indagato Scaroni: ‘Io estraneo, già licenziati i vertici’”.

 

Libero: “I sindacati barano, 200 mila iscritti finti. Tra le cifre dichiarate da Cgil, Cisl e Uil nel settore pubblico e quelle certificate c’è una discrepanza impressionante. Lo scopo? Avere più capacità di pressione”. A centro pagina “l’ultimo sondaggio: Senato ingovernabile”.

 

Saipem, Eni

 

Il Sole 24 Ore: “Ammonta a 11 miliardi il valore totale delle commesse in Algeria, per ottenere le quali Saipem avrebbe versato tangenti all’estero per 197 milioni di dollari. Secondo il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, e i pm De Pasquale, Baggio e Spadaro, del pool reati economici, lo avrebbe fatto con la consapevolezza di Paolo Scaroni, amministratore della controllante Eni. Per questa ragione ieri i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza hanno perquisito, oltre agli uffici di Scaroni, anche la sua abitazione milanese”. Nel decreto

di sequestro i magistrati hanno inoltre disposto il sequestro di carte, documenti e soprattutto di tutta la corrispondenza elettronica contenuta nelle caselle di almeno trenta tra funzionari e dirigenti. E questo dal 2006 ad oggi”. Le accuse contestate a tutti gli indagati è quella di concorso in corruzione di funzionari di Stati esteri. Oltre a Scaroni, anche il responsabile Eni per il Nord Africa Antonio Vella, e diversi managar Saipem. A coinvolgere Scaroni è stata in particolare una testimonianza che riporta la circostanza della sua presenza a una riunione in un hotel di Parigi cui avrebbe partecipato, con Scaroni anche colui che è considerato l’intermediario ‘smistatore’ delle tantenti, il libanese Noureddine Bedjaoui, il responsabile dell’area Engineering e Constructions di Saipem Pietro Varone, ma anche il ministro dell’energia algerino e il responsabile Africa di Eni Vella.

In un’altra pagina il quotidiano dà conto delle dichiarazioni di Scaroni (“Totalmente estranei”), e del comunicato dell’Eni che – nel sottolineare l’estraneità dell’Ad – ribadisce “massima cooperazione alla magistratura”. Scaroni non nega l’incontro contestato a Parigi con il mediatore libanese che – dice la difesa dell’Ad – gli fu presentato come “segretario particolare del ministro”. A quell’incontro – dice inoltre la difesa di Scaroni – non era presente Varone, come invece sostiene l’accusa. I pm non hanno ancora convocato Scaroni per sentirlo. Ieri, quando i militari sono andati a casa sua per la perquisizione, Scaroni si trovava ad Algeri, per un incontro con il ministro del petrolio algerino. Nel pomeriggio è rientrato a Milano.

Anche su La Repubblica: “La linea di difesa dell’amministratore del gruppo petrolifero: ‘Quel faccendiere si presentò come segretario del ministro, poi non l’ho mai più visto’. L’ad: non posso intervenire nei contratti Saipem”.

Il Corriere intervista il presidente Eni Giuseppe Recchi: “’Azienda indipendente, aiutiamo i pm’”. Su Saipem dice “siamo soci come tutti gli altri, teniamo sotto controllo i conti, ovviamente, ma non entriamo nel merito delle commesse e dei progetti”. “Eni vale solo il 10 per cento del business di Saipem, che è una delle migliori società al mondo nei suoi settori e che vive delle commesse che vince, spesso assegnate dai nostri concorrenti. Ha una reputazione internazionale di indipendenza alla quale noi stessi teniamo e senza la quale Saipem non potrebbe lavorare”. Ricorda che quando “lo scorso novembre la magistratura ci ha portato l’evidenza di una situazione preoccupante” di Saipem “l’Eni ha rivolto ai vertici di Saipem raccomandazioni molto forti, e ha preteso contromisure molto drastiche: ci sono state le dimissioni del direttore finanziario dell’Eni, che all’epoca dei fatti contestati era direttore finanziario della Saipem; quelle dell’amministratore delegato della Saipem stessa. Le sospensioni di altri dirigenti della società”. Un passo indietro di Scaroni? “Ma non c’è proprio nessun presupposto. Forse non è ben compresa la distanza che esiste tra le due situazioni. Le decisioni dello scorso dicembre sono styate prese in relazione alla società interessata dai fatti, la Saipem, e alle persone che sono state coinvolte nella gestione di quegli eventi”.

Massimo Giannini, su La Repubblica, ricorda i fatti della scorsa settimana: “Non si era mai vista una grande azienda quotata che dalla sera alla mattina lancia un profit warning in cui gli utili attesi crollano del 70 per cento mentre una mano misteriosa vende una quota del 2,25 per cento un attimo prima che il titolo crolli di schianto e la società bruci un terzo del suo valore”. Questa vicenda, assieme alla sorte di Finmeccanica e al “disastro di Alitalia”, fanno porre la domanda: se foste un investitore straniero, oggi, investireste in Italia?

 

Obama, droni, Brennan

 

Ieri il candidato di Obama alla guida della Cia John Brennan è stato ascoltato al Senato Usa per la conferma della sua nomina. La Stampa ricorda che gli avversari liberal quattro anni fa riuscirono ad impedirgli di guidare la Cia accusandolo di aver legittimato, dopo l’11 settembre, gli interrogatori con il waterboarding – l’affogamento simulato dei sospetti terroristi – e ora tentano di ripetere l’impresa, aggiungendo l’accusa del massiccio uso dei droni che ha portato la Cia ad uccidere circa 3 mila persone negli ultimi 4 anni, inclusi tre cittadini americani in Yemen: l’imam di Al Qaeda Anwar al Awlaki, suo figlio di 16 anni e Samir Khan. Nel 2009 Brennan fece un passo indietro, rinunciando a Langley per diventare consigliere antiterrorismo alla Casa Bianca. Oggi l’approccio è tutt’altro: Brennan ha la fiducia di Obama, e il sostegno della “intelligence community”. Ha esordito negando ogni avallo agli “interrogatori rafforzati” post 11 settembre. Poi ha difeso gli attacchi con i droni, perché “sono una forma più umana di guerra”, anche se “purtroppo, nonostante i nostri migliori sforzi, dei civili sono stati uccisi”. Ma si tratta di errori “rari, assai più rari di quanto molti affermino”. La Stampa ricorda che gli attacchi con i droni, che erano stati 50 prima dell’arrivo di Obama alla Casa Bianca, sono diventati 360 nei 4 anni successivi. Brennan ha spiegato come vengono scelti gli obiettivi: “Si tratta di individui che pongono una minaccia imminente a cittadini e interessi degli Stati Uniti. Vengono selezionati a uno a uno attraverso un processo coordinato fra intelligence, militari, diplomatici ed altre agenzie”. L’uccisione dei tre americani in Yemen è stata frutto di tale processo e dunque, per Brennan, non si è trattato di una violazione della Costituzione perché erano “leader o associati ad Al Qaeda”. Se ne occupa anche Il Foglio in prima pagina, in un articolo dal titolo “l’imbarazzo dei liberal per il loro Obama, soldato non molto riluttante”. Qui si spiega che nel tardo pomeriggio di mercoledì il Presidente Obama ha chiamato il senatore democratico Ron Wyden, membro della commissione intelligence del Senato, per comunicargli che le sue insistenti richieste sarebbero state esaudite in un paio d’ore: il commander in chief aveva infatti appena ordinato ai legali del Dipartimento della giustizia di desecretare e inviare alla Commissione del congresso i documenti che giustificano l’uso dei droni anche contro cittadini americani. Il senatore Wyden è rimasto soddisfatto solo a metà, poiché ha detto che è “un passo nella giusta direzione, ma c’è molta strada da fare”, promettendo di continuare a fare pressioni “per desecretare altre informazioni su questo tema”: Wyden ha detto infatti che il Congresso è stato tenuto all’oscuro dei criteri legali con cui l’amministrazione giustifica la campagna di Droni in Pakistan, Somalia, Yemen, e per legge l’apparato legislativo è chiamato a controllare l’esecutivo. L’insoddisfazione era legata anche al fatto che il Presidente ha concesso i documenti legali meno di 24 ore prima che Brennan rispondesse alle domande della Commissione, rendendo molto difficile lo studio dei testi in fretta e furia nei dettagli in vista della audizione.

Per Il Foglio, insomma, Obama è tutt’altro che riluttante ad abbracciare i precetti legali dell’Amministrazione che lo ha preceduto, “si rimangia volentieri i brocardi sui diritti civili”. D’altra parte lo stesso quotidiano scrive che secondo i sondaggi la stragrande maggioranza degli americani sostiene l’uso degli aerei senza pilota.

Anche La Repubblica se ne occupa ampiamente, alle pagine dell’inserto R2, raccontando anche come l’audizione di Brennan sia stata interrotta dalle proteste dei pacifisti, che chiedono di fermare i “robot killer”. Scrive Federico Rampini: sono i droni la ‘guerra preferita’ di Barak Obama. Non ha iniziato lui ad usarli ma è durante il suo primo mandato che quegli attacchi hanno avuto una escalation. Paradossalmente il ricorso crescente agli aerei robot killer nasce anche da un vincolo legalitario e umanitario: avendo messo al bando la tortura, avendo deciso che non vuole aumentare la popolazione carceraria di Guantanamo, Obama si è messo in una situazione in cui è diventato piùsemplice uccidere i nemici che catturarli vivi”. Ma per far questo ha dovuto aprire uno squarcio sui criteri che regolano la “licenza di uccidere” di un Presidente Usa, soprattutto se il bersaglio dei droni è un cittadino americano. Le associazioni per i diritti civili come l’American Civil Liberties Union (Aclu) si appellano al quarto emendamento, che impone il mandato di un tribunale per ogni violazione delle libertà personali. Secondo la Costituzione un cittadino americano avrebbe diritto al processo prima di essere colpito con la pena di morte. Nel memorandum che è stato desecretato si dà una interpretazione che alcuni considerano “estesa” della “minaccia imminente”, poiché si scrive che “il pericolo di Al Qaeda e delle forze associate” impone un concetto più vasto dell’imminenza, per giudicare un individuo che costantemente pianifica attacchi terroristici”.

Nello stesso inserto R2 l’inviato nella base di Herat Giampaolo Cadalanu invita a non chiamarli “aerei senza pilota” perché dietro questi sistemi serve una squadra intera con esperienza di volo, come quella degli italiani che in Afghanistan danno la caccia ai talebani.

 

Tunisia

 

Ieri giornata di altissima tensione in Tunisia per le manifestazioni di protesta seguite alla uccisione di un dei leader laici della opposizione, Chokri Belaid. Il sindacato tunisino UGTT ha aderito all’appello dell’opposizione per uno sciopero generale oggi, giorno dei funerali di Belaid. Un sindacato influente, perché ha più di mezzo milione di iscritti. Ieri, come racconta L’Unità, hanno incrociato le braccia giudici e avvocati tunisini. Ennahda, il partito islamista moderato al governo, ha bocciato la proposta del suo premier Jebali di sostituire il governo con un governo tecnico di emergenza, proposta che aveva invece incassato l’appoggio di Etakatol (membro dell’Internazionale socialista) e del Congresso per la Repubblica (il cui leader è il presidente della Repubblica, il laico Marzouki): Umberto de Giovannangeli spiega come la spaccatura di Ennahda aggiunga caos al caos, dopo l’esecuzione di Belaid.

L’inviato del Corriere a Tunisi, Lorenzo Cremonesi, riferisce le parole pronunciate dalla moglie di Belaid: “Ennahd protegge e sostiene gli estremisti islamici. A parole condanna il terrorismo, ma nei fatti i sicari di mio marito sono figli suoi”, “da oltre un anno Chokri subiva minacce continue: telefonate anonime, lettere, messaggi via internet. Alcuni Imam aizzavano ad ucciderlo pubblicamente nei loro sermoni dalle moschee. Lui ripetutamente aveva contattato la polizia e il ministero degli interni per chiedere protezione. Ma non aveva mai ricevuto risposte. L’ultima volta era avvenuto sabato scorso a Le Kef, nel centro sud, dove la nostra organizzazione voleva tenere una riunione con i militanti locali. Sapevamo che gli islamici intendevano attaccarci, come poi è puntualmente avvenuto. Avevamo avvisato la questura, ma nessuno si è fatto vivo”. Ma la vedova ribadisce: “Non perdo le speranze nella giustezza della nostra primavera araba due anni fa, non è il capolinea, ci troviamo nel mezzo di un complesso processo politico”. La sua abitazione è un viavai di migliaia e migliaia di attivisti, militanti, studenti, semplici cittadini che vengono ad esprimerle condoglianze e sostegno.

Il reportage dell’inviato del Sole 24 Ore in Tunisia, Alberto Negri, tenta di chiarire in quale clima politico si sia consumato l’assassinio e come sia stata possibile l’ascesa dei salafiti. In un anno in Tunisia sono stati attaccati dagli estremisti 27 luoghi sacri venerati dalla tradizione islamica più tollerante. Il ministro della cultura ha detto che “c’è un piano per distruggere la memoria collettiva”, quando una fatwa degli islamisti ha proibito di celebrare una festa popolare come il muled, il compleanno di Maometto. Spiega un teologo della Zituna, la più antica università del Nord Africa, Hmida Ennaifer: “Il guaio è che si è formato un vuoto nel campo religioso riempito da imam improvvisati o sedicenti tali. La colpa è anche del potere che per imporsi faceva un uso strumentale dell’islam”, “per trenta anni la Zituna è stata chiusa o ha avuto una attività ridotta. E’ stato quindi difficile formare una nuova generazione di teologi. La sfida adesso è quella di produrre una scienza religiosa capace di respingere i discorsi dogmatici dei salafiti”. L’inviato spiega che si sono moltiplicate scuole coraniche finanziate dalle monarchie del Golfo, così come si sono moltiplicati i tour degli imam wahabiti, come il kuwaitiano Al Awadhi, che viaggia in Limousine come una pop star e Zarzis si è fatto fotografare con bambine di 4 anni, velate.

“Questo imam era atteso nei giorni scorsi anche nel cuore di Tunisi, dove c’è la moschea salafita: un gruppetto di barbuti dice che BelAid, il leader politico assassinato, era un apostata e un infedele”. Da questa moschea nel cuore di Tunisi, a settembre è partita l’organizzazione che ha dato l’assalto alla ambasciata americana: a guidarlo era un ex di Al Qaeda, Abu Iyad, ispiratore con Bin Laden dell’assassinio di Massoud in Afghanistan, che le forze dell’ordine non hanno saputo o voluto arrestare. Ennahda ha lasciato fare. Il leader di Ennahda Gannouchi dice: “Anche noi venivamo chiamati estremisti”; Negri sottolinea che l’obiettivo era integrare i salafiti nella società, ma questo discorso in apparenza pragmatico resta assai ambiguo.

Su La Stampa l’analisi di Francesca Paci sottolinea come la primavera araba abbia “bisogno di tempo” per fiorire, e come i segnali di cambiamento siano piccoli ma visibili: tra questi il fatto che poche ore dopo l’assassinio di BelAid oltre 20 mila manifestanti hanno invaso le strade di Tunisi, Sidi BouZid, Monastir, costringendo il premier alla crisi di governo. E nonostante le squadracce salafite terrorizzino da mesi i laici (a gennaio sono stati aggrediti cinquanta giornalisti) mercoledì Nessma tv (la stessa processato per aver trasmesso Persepolis) aveva mandato in onda le immagini in cui la vittima accusava i Fratelli Musulmani di Ennahda di coprire le violenze. Spostandosi di Paese, ma parlando ancora di primavera araba, Francesca Paci ricorda che in Egitto, malgrado l’aumento registrato di abusi sessuali nei confronti delle donne, sia cresciuto anche il numero di chi rompe il tabù, come ha fatto alcuni giorni fa in tv una delle oltre 20 ragazze violentate il 25 gennaio scorso a Tahrir.

 

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