Draghi promuove il Jobs Act

Il Corriere della Sera: “Draghi: assumere, non licenziare. Il presidente della Banca centrale incalza i politici: a casa chi non agisce sul lavoro. Oggi il voto di Moody’s sul nostro Paese”. “La Bce spinge per le riforme e avverte: in Italia e Germania peggiora il clima di fiducia”.
In alto: “La voglia di resa dei conti nel Pd. Renzi: alcune scelte inammissibili”.
A centro pagina: “I boss non assisteranno all’udienza di Napolitano. La richiesta respinta dalla Corte”.
In evidenza sul Corriere anche il Nobel per la Letteratura a Patrick Modiano, “un Nobel per la Letteratura anche un po’ italiano”, per via delle origini dell’autore francese.

La Repubblica ha in apertura le parole del presidente della Bce: “Draghi: i governi senza riforme saranno cacciati”, “Il presidente Bce: ‘Cambiare per assumere, non per licenziare’. Giallo sul debito pubblico: il Tesoro abbassa le stime, l’Fmi le alza”.
A centro pagina: “Il Pd processa i dissidenti. Renzi duro: bisogna punirli”.
In evidenza anche le notizie sul processo per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”: “Processo Stato-mafia, niente boss alla deposizione di Napolitano”.
La foto a centro pagina è dedicata al dramma delle “mogli-bambine”: “Che cosa ha perso Selam, andata in sposa a 11 anni”, di Melinda Gates.
Nella colonna a destra, il Nobel per la Letteratura al francese Patrick Modiano: “Il nObel che cerca i ricordi degli altri”. Di Bernardo Valli.
In taglio basso, l’allarme Ebola: “Quasi 4000 morti per Ebola, ‘Peggiore epidemia dai tempi dell’Aids’”.

La Stampa apre con un’intervista al ministro del Lavoro: “Poletti: così cambia il lavoro”, “Il ministro: via il precariato e regole certe, altrimenti le imprese non investono. Renzi: ora semplificare il Fisco”,“Draghi dice sì al Jobs Act: ‘I governi che non fanno le riforme vanno a casa’”.
Sul processo trattativa: “I giudici di Palermo: ‘Niente boss alla deposizione di Napolitano’”, “Respinta la richiesta di Riina e Bagarella: ‘Il Quirinale ha l’immunità’. Al Colle ci saranno solo i pm e i legali”.
Sotto la testata: “Ebola, gli esperti Usa: ‘E’ più letale dell’Aids, va fermato in Africa’”.
E le notizie sull’alluvione a Genova, con un morto nella notte, “si temono dispersi”.
Un richiamo in prima anche per una drammatica notizia della cronaca di Napoli: “’Sei grasso’. E lo seviziano in tre: grave un quattordicenne”.
In taglio basso: “Il Nobel a Modiano, Proust dei nostri giorni”, di Gabriella Bosco. E un richiamo al brano dello stesso Modiano pubblicato alle pagine interne.

 

Il Giornale: “Il Pd in piazza contro il Pd. Primo effetto del voto di fiducia sul lavoro: gli anti Renzi in corteo assieme a Cgil e Fiom. Banchieri e imprenditori, il nuovo salotto del premier finanzia i nemici del premier”.
E poi: “Forza Riina, a sinistra spunta il partito pro-mafia”, in riferimento al processo sulla presunta trattativa.
A centro pagina, con una foto di migranti arrivati in Italia: “Ebola, chi ci garantisce da questo assalto? Dalla stazione Centrale di Milano agli sbarchi in Sicilia: medici e volontari allo sbaraglio”.
E poi: “Nozze gay, Alfano perde la testa per Toti. Il ministro ha contro tutti. Forza Italia: fa politica sulla pelle delle persone. Schiaffo di Pisapia: registrati 7 matrimoni omosex”.

Il Fatto: “Riina e Mancino giù dal Colle. Processo a rischio nullità”, “Il Tribunale di Palermo blinda la testimonianza di Napolitano: gli imputati non potranno essere presenti al Quirinale il 28 ottobre. Diritto alla difesa sacrificato sull’altare dell’immunità del capo dello Stato. Ora la spada di Damocle dei ricorsi”.
Poi le parole della moglie dell’ex ministro dell’Interno Mancino: “Mio marito e il presidente ora non si parlano più”. E quelle di Sabina Guzzanti: “I traditori dello Stato sono peggio dei mafiosi”.
In taglio basso: “Thyssen altro che art. 18, 537 operai alla porta”, “Lavoratori in mobilità alle acciaierie Ast”.

Il Sole 24 Ore: “Spending, tutti i tagli ministero per ministero. I risparmi maggiori arrivano da Lavoro e Istruzione. Presentato il piano di riduzione delle spese. Obiettivo minimo è di 3 miliardi nel 2015”.
Di spalla: “Draghi: il Jobs Act non causerà licenziamenti di massa in Italia. ‘La politica non vincola le decisioni della Bce’. Lagarde (Fmi): l’Europa deve fare di più contro la recessione”.
A centro pagina: “Germania, crolla anche l’export. Vendite all’estero in calo del 5,8 per cento ad agosto. Riviste al ribasso le stime di crescita. Padoan: tempo per le riforme. Schauble: le regole valgono per tutti”.

Draghi

Il Presidente della Bce Mario Draghi ieri ha parlato a Washington ad un simposio della Brookings Institution: “Draghi: col Jobs Act non si licenzia di più”, titola La Stampa riassumendo le sue parole. Secondo il quotidiano il messaggio di Draghi è sintetizzabile nel fatto che essendo l’Italia già in recessione da anni “le aziende hanno già agito”, “dal 2002 sono stati fatti contratti molto flessibili, posizioni che la crisi ha spazzato via”. Un eccesso di flessibilità rischia di essere controproducente, secondo Draghi, convinto che quando si hanno tassi di disoccupazione al 25% e milioni di giovani sono senza lavoro, i governi sono ancora più spinti ad agire: “C’è un potente incentivo per fare le riforme, ovvero la consapevolezza che se non le facessero sparirebbero per sempre dalla scena politica perché non sarebbero rieletti”.
La Repubblica sintetizza così le sue dichiarazioni: “Riforme del lavoro per assumere, non per licenziare. I governi inerti spariranno”, “’Il Jobs Act non produrrà perdite di posti di lavoro’”. E poi si parla della “sfida” nel corso dell’incontro tra il nostro ministro dell’Economia e il ministro delle Finanze tedesco: “Sfida Schaeuble-Padoan: ‘Muovetevi. ‘Lo facciamo’”.
Draghi ha “ripetuto che la banca è pronta ad adottare nuove misure di stimolo monetario per riportare l’inflazione in linea con l’obiettivo”, come scrive Il Sole 24 Ore. Poi, “pur evitando un commento diretto sulla approvazione della riforma del mercato del lavoro in Italia”, ha detto che “maggior flessibilità non porterà a massici licenziamenti, anche perché l’economia è in recessione da tanto tempo che le imprese hanno già ridotto notevolmente la manodopera. Ma ha pecisato che la riforma del mercato del lavoro deve rendere più facili le assunzioni e non tanto i licenziamenti ed evitare, come è avvenuto all’inizio del decennio scorso, che la flessibilità vada a spese dei giovani, i primi a perdere il posto all’inizio della crisi. Ha anche sollecitato nuovamente alla Germania (ammiccando: ‘Potete ben capire a quale Paese mi riferisco’) a uno stimolo di bilancio per rilanciare la domanda”.

Germania

Sul Corriere: “‘La Germania frena? Viviamo di export. Economia ferma, soffriamo anche noi'”. A parlare è Michael Mertin, ceo e presidente di Jenoptik, azienda multinazionale di ottica quotata in Borsa. Cita un proverbio (“Tra ciechi chi ha un solo occhio è un re”), dice che la frenata dell’economia tedesca è legata anche alle nuove leggi sociali varate dal governo tedesco (salario minimo, taglio dell’età pensionabile), ma che non servono investimenti pubblici, ma “vere riforme strutturali”, senza le quali “non ci sono le condizioni per investire”.
Sul Sole Adriana Cerretelli si sofferma sui dati dell’economia tedesca, e scrive che “la congiuntura negativa, a quanto pare, comincia ad accanirsi con puntiglio anche contro la Germania, non solo contro i suoi partner renitenti a rigore e riforme”, ponendo la Cancelliera Merkel di fronte alla necessità di rispondere alle attese di crescita in ribasso: “dall’1,9 all’1,3% quest’anno, dal 2 all’1,2% il prossimo. Sono cifre che devono aver scosso anche il cancelliere se poco dopo, invece di martellare come di solito sulla priorità del suo governo di raggiungere la parità di bilancio nel 2015, ha annunciato l’intenzione di ‘fare più investimenti, tagliare la burocrazia, puntare ai settori del futuro come digitale e energia’”. Anche la Germania, “senza un nuovo round di riforme, senza massicci investimenti nelle reti e nell’innovazione, rischia di finire su un binario morto”, dicono gli economisti. E dunque “esiste ancora una finestra temporale per tentare la riconciliazione europea e il ripristino della perduta fiducia reciproca. Per riuscirci tutti devono fare la loro parte: la Germania riforme e investimenti, Francia e Italia rigore ragionevole e riforme strutturali presto e bene. Illudersi che, se i tedeschi oggi piangono un po’, domani gli europei rideranno finalmente felici di crescita e lavoro ritrovati, sarebbe un clamoroso errore”. E insomma: “prima o poi la Germania userà i suoi surplus per investire massicciamente nella propria crescita e competitività. Tanto più i partner ne beneficeranno quanto più avranno fatto i compiti a casa: riforme e conti in ordine”, auspica Cerretelli.

Ddl delega

In una intervista a La Stampa il ministro del Lavoro Poletti respinge le accuse al governo di aver chiesto una delega in bianco sul Jobs Act: “Il nostro obiettivo è approvare la legge entro novembre, poi a inizio 2015 vareremo i decreti delegati. Abbiamo già preparato molti materiali, ma servirà qualche settimana in più perché il lavoro è molto complesso e bisogna fare le cose per bene”. I decreti attuativi, almeno per le parti fondamentali, ovvero riforma degli ammortizzatori sociali, disboscamento dei contratti e nuovo contratto a tutele crescenti “saranno presentati contestualmente, perché i vari pezzi della riforma si tengono assieme”. “Tutta la discussione -dice ancora Poletti- si è focalizzata sulla questione dell’articolo 18, ma a me preme far capire che l’operazione che stiamo facendo partire è rilevantissima e che per avere successo richiede che cambi la cultura del Paese. Faccio solo un esempio, quello degli ammortizzatori sociali: passeremo da un sistema di politiche passive del lavoro, in cui lo Stato paga le persone per restare a casa senza alcun obbligo, a un sistema di politiche attive, dove lo Stato e le sue strutture ti prendono in carico per offrirti nuove opportunità di impiego, ma tu in parte devi fare la tua parte”. Ma i fondi per la riforma degli ammortizzatori basteranno? Si parla di un miliardo e mezzo: “Ma se si segue questo ragionamento si finisce per non fare mai nulla”, risponde il ministro, aggiungendo che si sta lavorando anche su un rifinanziamento della cassa in deroga per altri 700 milioni di euro.
Sul Sole 24 Ore: “Jobs Act, alla Camera delega ‘blindata’. Il premier non esclude la fiducia. L’Ocse si ‘congratula’ per la riforma”. Secondo il quotidiano alla Camera la minoranza Pd chiede “‘correttivi per migliorare il ddl” e “‘renderlo meno generico’” su alcuni punti, tra cui quello sulla semplificazione delle forme contrattuali. La settimana prossima si stabilirà il calendario. Quanto all’articolo 18, Carlo Dell’Aringa, parlamentare Pd, dice che “c’è un impegno di Renzi e Poletti”, mentre l’ex ministro Damiano dice che l’impegno “non può essere solo verbale”. Infine, alla Camera partirà l’esame della legge di Stabilità, e per non subire frenate il Jobs Act dovrà “viaggiare come collegato”, scrive Il Sole.

Renzi, Pd

“Vietato disobbedire a Renzi: il Pd sarà una caserma”, titola Il Fatto raccontando delle vicende interne al partito del premier dopo la decisione dei senatori Lucrezia Ricchiuti, Felice Casson e Corradino Mineo di lasciare l’aula del Senato al momento in cui si votava la fiducia sul Jobs Act. “Sono un problema”, ha detto ieri il presidente del Consiglio in riferimento ai tre senatori. Parole d’elogio, invece, ha avuto per Walter Tocci, che ha accettato di votare la fiducia preannunciando però le dimissioni da senatore. Il quotidiano intervista il deputato Pd Roberto Giachetti, che dice: “Quei tre dissidenti sono già fuori dal partito”, “chi è rimasto fuori dall’aula poteva far cadere il governo, andando contro una linea votata dalla direzione e dal gruppo parlamentare. In una comunità il rispetto delle regole è un discrimine: se le violi ti metti fuori, automaticamente. Serve una decisione formale che ne prenda atto”.
Le prime tre pagine de La Repubblica si occupano di questa vicenda, che viene sintetizzata così: “La segreteria contro i ribelli. ‘Si sono messi fuori dal Pd’. Renzi: ‘Nuova fiducia? Forse’”. In un’intervista tv, infatti, il premier ad una domanda su una eventuale approvazione con fiducia anche alla Camera ha risposto: “E’ un’ipotesi”. Poi un riassunto delle posizioni nel partito, secondo il quotidiano: “Civati: è il soviet. Il premier: Tocci resti. Bersani: non do’ coltellate”. E “la Fiom avverte: chi vota la fiducia stia fuori dai nostri cortei”. Per quel che riguarda Walter Tocci, si ricorda l’invito del premier a “ripensarci”: “la sua intelligenza, la sua passione e la sua competenza sono necessarie a un partito che ha il 41 per cento dei consensi”, ha detto Renzi. E lo stesso Tocci viene intervistato tanto da La Repubblica che da La Stampa. La Repubblica sintetizza la sua risposta: “Dico grazie a Matteo ma un partito di governo deve accettare il dissenso”, “le sue parole sono state un gesto molto importante per me. Questo è il Renzi che ci piace”. Dice di aver già pensato un’altra volta di dimettersi da senatore, in occasione del dibattito sulla riforma del bicameralismo, questa estate. Perché non lo fece? “Perché ho una grande ritrosia a stare sotto i riflettori e per me non è facile neanche fare questa intervista”. Perché stavolta ha deciso di dimettersi? “Intanto perché le cose si accumulano. E poi perché credo che il diritto al lavoro sia oggi la questione più importante oggi”, “di fronte alla richiesta della fiducia, mi sono trovato in un conflitto tra responsabilità e coerenza. E ho preso la mia decisione: voto sì e mi dimetto”. E i tre senatori suoi colleghi che non hanno votato la fiducia? “So che Renzi segue con passione la serie ‘House of Cards’ e dunque saprà che il presidente degli Stati Uniti va spesso a convincere i parlamentari che hanno opinioni diverse da quelle del partito. Se andiamo verso quel sistema, poi dobbiamo anche accettare un rapporto diverso tra chi governa e chi rappresenta gli elettori”.
Anche su La Stampa, intervista a Walter Tocci: “Confermo le mie dimissioni. Nel partito non c’è più libertà di esprimere posizioni diverse”. Viene interpellato anche sul calo delle tessere Pd: “Quello che mi colpisce -dice- non è tanto il numero delle tessere, che speriamo aumenterà, ma il fatto che tre milioni di persone che sono venute a votare alle primarie non sono state più consultate. Renzi ha fatto lo stesso errore dei suoi predecessori: ha messo quell’elenco di nomi nel cassetto. Perché non li abbiamo consultati ad esempio su questo tema?”.
Il “retroscena” de La Repubblica alle pagine 2 e 3 è firmato da Goffredo De Marchis: “Il premier vuole processare i tre dissidenti: ‘Non voglio precedenti’”. Si legge che la prossima settimana si riunirà l’assemblea dei senatori Pd e chiederà conto ai tre dissidenti che sono usciti dall’aula. Si cita il regolamento del gruppo: “In caso di assenze ingiustificate” si possono applicare sanzioni che vanno dal richiamo alla cacciata. Pippo Civati, capofila della corrente cui appartengono i tre senatori, dice: “Alla Camera potremmo votare contro la fiducia sia io sia Cuperlo. Cioè i due avversari di Renzi alle primarie. E ci cacciano dal Pd?”.
Su Il Foglio si scrive di “due politici importanti che, da postazioni diverse provano da mesi a sabotare il patto tra Renzi e Berlusconi”. I due avrebbero “cominciato a sentirsi e vedersi con una certa regolarità” per “scongiurare l’ipotesi che il patto del Nazareno diventi l’unico metronomo capace di dettare i ritmi di questa legislatura”.

Napolitano

Sul Corriere: “‘Il Colle non è un’Aula di giustizia’. Niente boss all’udienza di Napolitano. Respinta anche la richiesta di Mancino. Sabina Guzzanti: solidarietà a Riina e Bagarella”. Il quotidiano spiega che il ragionamento della Corte parte dal’articolo 502 del codice di procedura penale, quello che regola le presenze degli imputati nelle testimonianze rese a domicilio, che è una eccezione e non la regola. E si sofferma poi sul “luogo”, il palazzo del Presidente della Repubblica, per il quale esiste una “immunità riconosciuta alla sede” da una sentenza della Corte Costituzionale.
Sul Sole 24 Ore (“Udienza al Quirinale, no ai boss”) si spiega la sentenza della Corte di Palermo che “esclude la partecipazione di Riina e Bagarella alla deposizione di Napolitano”. Nella decisione la Corte ha spiegato che il richiamo fatto da difese e Pm all’articolo 146 bis del codice di Procedura penale, che regola la partecipazione a distanza, vale per le attività svolte nell’aula di udienza, e non “anche per attività processuali da svolgersi al di fuiro di essa”. E il diritto di difesa, invocato dai difensori di Riina e Bagarella, viene “adeguatamente assicurato dall’assistenza tecnica dei difensori” presenti al Quirinale. La difesa ha annunciato che chiederà l’annullamendo del processo.
Su Il Foglio Massimo Bordin ricorda – a chi dice che la decisione della Corte potrebbe causare l’annullamento del processo – che “se fosse così avrebbe dovuto essere annullato anche il maxi processo di Falcone. L’ordinanza della Corte, fin troppo analitica, spiega come l’assenza degli imputati in una attività processuale fuori dall’aula di udienza non leda minimamente i loro diritti, non solo secondo la nostra legge ma anche per quella europea”.
Il Giornale: “No ai mafiosi al Quirinale. E nasce il partito Forza Riina. La Corte boccia i pm: anche il Colle ha l’immunità e Napolitano testimonierà a porte chiuse. La Guzzanti, regista del film sulla trattativa, delira su Twitter: solidale coi boss di Cosa Nostra”.
“Lo Statuto Giorgino” è il titolo dell’editoriale firmato da Marco Travaglio in prima sul Fatto e dedicato alla decisione della Corte d’Assise di Palermo che, secondo Travaglio, “vieta agli imputati e alle parti civili di presenziare al loro processo perché il testimone Napolitano non li vuole e, dopo la sentenza del Tribunale di Roma che condanna due bersagli fissi di Sua Maestà, De Magistris e Genchi, per abuso d’ufficio senza competenza né danno ingiusto, cioè senza reato, s’impone un lesto ritorno allo Statuto albertino. Art. 2: ‘Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo’”. Secondo Travaglio “il processo sulla trattativa Stato-mafia potrà essere dichiarato nullo dalla Corte d’Appello, o dalla Cassazione, o dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo su richiesta di qualunque imputato o parte civile esclusa dall’udienza sul Colle”. E il quotidiano intervista Paolo Ferrua, docente di Diritto processuale penale all’Università di Torino, che dice: “Così il processo può essere annullato”, perché la decisione della Corte d’Assise “potrebbe certamente sollevare problemi di lesione del diritto di difesa che non può cedere di fronte a prerogative presidenziali che non siano espressamente previste dalla Costituzione o dalla Convenzione europea”.
La Repubblica interpella il pm Nino di Matteo, protagonista dello stesso processo sulla trattativa Stato-mafia: “Grave se per cavilli procedurali si vanifica la ricerca della verità”, “ci criticano perché avevamo dato parere favorevole. Siamo pronti a sopportare anche accuse pretestuose”. E il giurista Renzo Orlandi: “Un rischio escludere gli imputati, ma i loro avvocati faranno domande”, per quel che riguarda la deposizione “potranno porre interrogativi non solo sulla lettera di D’Ambrosio ma anche su questioni connesse”.

Nozze Gay

Il Giornale: “Matrimoni gay, Alfano perde la testa per Toti”. Toti ieri ha detto che quella del sindaco di Milano Pisapia (che ieri ha trascritto sette matrimoni tra persone dello stesso sesso) è una forzatura” e che “tutta questa confusione sta nascendo perché la politica per troppo tempo si è girata dall’altra parte del problema. Occorre riformare il diritto di famiglia, che risale agli anni 70 e non è più al passo con i tempi”. Quanto al partito di Alfano, “quello del Ncd non credo sia un modo serio di fare politica, perché è sulla pelle delle persone, utile solo a lucrare consensi”.
Il Sole 24 Ore intervista il sindaco di Bologna (“Perché sì”, “la posizione europea vale più di una circolare”) e il sindaco di Varese Attilio Fontana (“finché non cambia la legge va rispettata”). Lo stesso quotidiano scrive che l’Anci ha chiesto “una legge in tempi rapidi. ‘Non si può affidare il tema ai Prefetti. Fassino scrive a Renzi”.
Quanto al Sinodo, IL Foglio scrive che “sulla comunione ai divorziati risposati si sono accesi gli animi”. Il Presidente del Consiglio per i testi legislativi Francesco Coccopalmerio, in conferenza stampa con i giornalisti ha spiegato che secondo lui “bisogna seguire l’ermeneutica del Pontefice, e cioè salvare assolutamente la dottrina ma partire dalle persone e dalle loro concrete situazioni di necessità e urgenza, nonché dalle loro sofferenze’. Persone cui ‘va data una risposta’” La risposta, secondo il cardinale Coccopalmerio, consiste nel “‘rimettere la decisione, caso per caso, al vescovo diocesano o a un gruppo di vescovi. Così facendo, potrebbero esserci buone possibilità per consentire il riaccostamento all’eucaristia’”. Nessuna “apertura” invece sulle coppie omosessuali. “‘In Aula è stato ribadito che il matrimonio è sempre e solo tra uomo e donna’, e il cardinale Coccopalmerio ha aggiunto che non sarà neppure presa in considerazione l’ipotesi di concedere una benedizione alle unioni di quel tipo”

Partiti

Sul Corriere una intera pagina è dedicata ad una inchiesta sul Movimento 5 Stelle, in vista della tre giorni al Circo Massimo. “L’irrilevanza in AUla e la forza dei sondaggi. Radiografia dei 5 Stelle”. I sondaggi continuano a dare il Movimento in buona salute, oscillando tra il 20 e il 23 per cento dei consensi. Le ragioni per votare il M5S “non sono cambiate”, come dice il politologo D’Alimonte. E anche altri osservatori, come Antonio Noto e Piergiorgio Corbetta, vedono il consenso stabile, “slegato dalla attività parlamentare”. Sulla leadership l’ultimo a parlare al Circo Massimo sarà Di Maio, attuale vicepresidente della Camera, che però “non è riconosciuto come leader carismatico”, dice una esponente del Movimento come Marta Grande.
Un’altra esponente del M5S come Paola Taverna viene intervistata sullo stesso tema: “Luigi è bravo, è il leader del futuro”, ma “additarlo come leader” vuol dire “isolarlo”. “Questo è uno dei momenti più duri, più difficili per noi”, dice. “La gente di dice che non stiamo cambiando le cose”.
Su Il Giornale un articolo è dedicato alla strategia di Forza Italia in vista delle Regionali. “Il Cav: sì alle alleanze a geometrie variabili. In Calabria accordo con Scopelliti (Ncd): sosterrà la Ferro. In Emilia patto con Lega e Fdi”.

E poi

Su Il Giornale il “debutto a Westminster” la “prima volta in Aula dei ‘bruti’ euroscettici”. Alle suppletive nel distretto di Clacton ha vinto l’Ukip di Farage.
Sul Corriere intervista a Francis Fukuyama, il politologo americano autore 25 anni fa di un famoso saggio (“La fine della storia”). “Lo so, a molti l’ipotesi di una fine della storia è sembrata sbagliata o quantomeno bisognosa di una revisione. Io continuo a credere che l’ipotesi di fondo sia corretta: in tutti questi anni un sistema politico alternativo alla democrazia liberale, capace di essere accettato e di diffondersi nelle varie aree del mondo, non è emerso. Ma è anche vero che un sistema liberaldemocratico non solo non ha trionfato ovunque, ma dà segni di decadenza in molte parti dell’Occidente, in particolar modo negli Stati Uniti”. Parla anche dell’Italia, dice che Berlusconi ha “gettato via” una “occasione storica” per rilanciarsi, e “ora ci prova Renzi, in condizioni ben più difficili”. L’attuale premier italiano “guarda lontano” con le riforme che ha promosso, e dunque si muove diversamente dai leader “che investono il loro capitale politico cercando risultati immediati”. Sulla “esportazione della democrazia” dice che “il caso libico ci dice che portare la democrazia dove non c’è uno Stato serve a poco”, ma spiega che per esempio in Iraq andare al voto dopo l’intervento Usa “era necessario per dare legittimità agli attori politici”. Lì gli Usa pagano non la costituzione prematura di un governo autonomo ma “la sciagurata decisione del plenipotenziario Usa Bremer che 11 anni fa smantellò l’esercito iracheno”.
Sul Foglio si parla della visita romana dell’econonista Piketty, che ieri presentava il suo libro come aveva fatto alla Bocconi due giorni fa. “Lost in Pd. Piketty cerca le fan ma trova Cuperlo e Civati”.
Sul Corriere vengono pubblicate le letere di Sayed Kashua, scrittore e giornalista arabo israeliano, ed Etgar Keret, autore e sceneggiatore ebraico. Il primo ha lasciato Israele perché – dice – “ho perso la speranza”. Il secondo, che vive a Tel Aviv, risponde con un racconto che immagina per il 2015 una “svolta storica” in Medio Oriente, grazie alla “idea brillante di un rifugiato arabo-isrtaeliano”: immaginare tre Stati, uno per i palestinesi, uno per gli israeliani e il terzo per i “fondamentalisti religiosi”, “i razzisti”, “coloro che volevano la guerra”.
La Repubblica, con qualche giorno di ritardo, dà conto di uno scontro in tv negli Usa nel corso del programma “Real Time2 su Hbo che ha coinvolto l’attore Ben Affleck. “Affleck difende l’Islam, ‘Volgari e razzisti quelli che l’attaccano’. E scoppia la lite in tv” con il comico Bill Maher.
Turchia-Siria, sul Sole: “L’inviato di Obama ad Ankara in cerca dell’alleato perduto”. E’ in Turchia John Allen, ex generale, inviato speciale dell’Amministrazione Usa, che “avrà di che discutere, soprattutto sulle controverse richieste turche di imporre una no fly zone e delle aree cuscinetto in Siria”.

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