Dopo le primarie, il 40 per cento di Renzi. E ora?

Il Sole 24 Ore: “Lo spread scende sotto quota 300. Monti:bene, ma il mio obiettivo è 287. Svalutare l’euro? Non è un tabù, ma impraticabile”.

La Repubblica: “Spread sotto 300, Monti brinda.Bersani: Renzi nello squadrone. Il sindaco: pronto solo se c’è una svolta”. “Nel Pd prove di dialogo dopo le primarie. Sui mercati exploit dei titoli di Stato, e il premier dice: ‘obiettivo è arrivare a quota 287’”.

A centro pagina la notizia che la principessa Kate Middleton aspetta un figlio, e poi il vertice Italia-Francia: “Via libera alla Tav”.

Il Corriere: “Lo spread dà fiducia all’Italia. Sotto 300, poi risale. Monti: punto a 287, metà di quando iniziai. Bene anche i Btp. Intesa con la Francia sulla Torino Lione: la linea ad alta velocità pronta nel 2028”. Il titolo di apertura è dedicato al Pd: “Il piano di Bersani per un Pd allargato. Il segretario invita Renzi: sei nella squadra”. E poi: “Berlusconi tentato dalle elezioni a febbraio”.A centro pagina: “L’America ora teme che la Siria usi l’arsenale chimico. L’Onu ritira il personale non essenziale”.

L’Unità: “Bersani: farò il cambiamento. Il segretario: ‘Ora con me c’è una nuova generazione. Renzi? E’ una risorsa, come tutti in questo squadrone”. A centro pagina: “Scende lo spread ma sale l’Imu”.

La Stampa: “Berusconi vuole sfidare Bersani. Il Cavaliere blocca la legge elettorale. Il leader Pd: anche Renzi nello squadrone. Dopo il successo il segretario studia un ‘esecutivo aperto con persone nuove’. Partono le candidature on line di Grillo”.

Il Foglio dedica il titolo di apertura proprio a Renzi: “La gentile militanza di Matteo nascone un uso duro della sconfitta. Bersani è per lo ‘squadrone’ ma gli amici (molti) di Renzi oscillano: chiamarsi fuori o no? Che pensa lui”.

Il Giornale: “Forza Italia c’è. In tremila firmano contro Ingroia che diffama il movimento azzurro. Lo spirito del 94 no muove mai. Berlusconi affretta i tempi. E il Pd già si spartisce le poltrone”.

Libero: “Ecco il nuovo governo”. Una foto mostra Bersani contornato dai possibili ministri di un suo esecutivo, in cui compaiono anche D’Alema, Vendola, Bindi e Veltroni tra gli altri. “Bersani vince e i sondaggi si impennano: il caos nel centrodestra lo proietta verso Palazzo Chigi con Vendola. Una sciagura per l’Italia che solo un soprassalto degli elettori moderati può fermare”.

Il Fatto quotidiano: “Bersani, Monti e Grillo, ora la partita è a tre”. Secondo il quotidiano il segretario del Pd dovrà “fare i conti con il Professore, che vanta la discesa dello spread, e con i 5 Stelle, sempre in alto nei sondaggi”.

Secondo Europa “Bersani riparte dal riformismo di una agenda Monti ‘corretta’”.

Pd, primarie, centrosinistra

Sul Corriere della Sera: “Bersani ‘invita’ Renzi: fa parte dello squadrone”. Le primarie per Bersani sono state “una splendida pagina di democrazia”, come lui stesso ha detto, aggiungendo che la prossima avventura è il governo “del cambiamento”. Vuole “non meno riforme, ma più riforme” di quelle di Monti: “metterò in campo una nuova generazione con qualche presidio di esperienza”. Poi su Renzi: “Matteo fa parte dello squadrone, spero che voglia partecipare alla vita politica del partito più che in passato”. Lo stesso quotidiano intervista l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che parla di Renzi e dice che “ha un futuro davanti a sé. Ha creato una squadra nel territorio, un serbatoio di energie che, se bene utilizzato, non potrà che dare vitalità al partito”. Sarà capace Bersani di un rinnovamento ampio, a cominciare dalla classe dirigente? “Ora ha gli strumenti per farlo”, “il ricambio generazionale è necessario. Ma deve partire dal basso. Non è il segretario che deve circondarsi di chissà quale schiera di eletti, ma vanno create le condizioni perché possa emergere una nuova classe dirigente”. Su L’Unità: “Bersani: ‘Al governo con me una nuova generazione’”.

Sullo stesso quotidiano Pietro Spataro scrive che nella mobilitazione democratica delle primarie ha svolto un ruolo importante anche Renzi, e Bersani ha oggi il compito di non lasciar disperdere la voglia di partecipazione di chi ha seguito il sindaco non tanto per i programmi ma piuttosto per la radicale richiesta di un ricambio generazionale. Sarebbe un errore pensare di risolvere tutto alla vecchia maniera: “l’improbabile idea del ticket” è “un arnese consumato”.

Secondo il Corriere il piano di Bersani è quello di un “Pd allargato”, ovvero un partito “plurale, che riesca a fare sintesi delle diversità” come ha detto lo stesso Bersani, e che per il Corriere coinvolgerebbe anche Acli ed esuli Idv. Con primarie per i candidati.

La Repubblica intervista il presidente delle Acli Andrea Olivero che, insieme a Luca Cordero di Montezemolo e al ministro Riccardi, è uno dei promotori del movimento “Verso la Terza Repubblica”, noto anche come Lista Monti. Di Bersani dice: “Confidiamo che sappia disegnare una ipotesi di alleanza più ampia e in grado di governare le riforme di cui il Paese ha bisogno”. Siete pronti ad allearvi con il Pd prima delle elezioni? “E’ meglio fornire ai cittadini una prospettiva prima del voto”. Per Olivero è necessario “mettere insieme le forze tradizionali del centrosinistra e quelle liberali, del cattolicesimo sociale del mondo dell’impresa”. Pensa anche a Casini? “A settembre a Orvieto abbiamo visto Bersani e Casini insieme, credo che una alleanza strategica per il Paese debba partire da lì”.

La Stampa intervista lo stesso ministro Riccardi per cui le primarie sono state “antidoto all’antipolitica”. Dice che ora c’è lo spazio per un centro più ampio, “c’è la necessità di ampliarsi e di qualificarsi in maniera riformista. C’è una Italia che non si ritrova pienamente nella sinistra, ma non per questo l’Italia del vecchio, del privilegio, della conservazione o della insensibilità sociale”.

Su La Repubblica: “La vecchia guardia rialza la testa. Bindi: io mi candido. Fioroni: non mollo”, “il segretario frena: decide la direzione, deroghe individuali”.

Su La Repubblica in prima l’editoriale del direttore Ezio Mauro, dedicato ai risultati delle primarie: “Non basta vincere, cambiare è un obbligo”. Secondo Mauro Bersani sbaglia “se pensa di aver sconfitto la voglia di cambiare confinandola al 40 per cento”, “le primarie dicono che il tema del cambiamento è più ampio della pura questione generazionale, e che il concetto di sinistra non si riduce al solo cambiamento. Ma guai se Bersani si farà riagguantare dagli ‘elefanti’ del partito, se si farà rinchiudere nel recinto del suo gruppo di vertice, interessato al dividendo della vittoria. Ormai è chiaro se quel partito è forte solo se è contendibile, scalabile, aperto, nuovo davvero. E qui Renzi, apriscatole del sistema, può essere più utile del ‘renzismo’: con una alleanza per rinnovare metodi e politica e per battere la destra”.

Antonio Polito, sulla prima pagina del Corriere della Sera, ricorda una frase pronunciata dallo stesso Bersani: “Dobbiamo vincere, ma senza raccontare favole, perché poi non si governa”. Polito evidenzia che di favole ne sentiremo, in campagna elettorale: “Il Bersani che ha vinto le primarie ha dunque ora il dovere, oltre che il diritto datogli dal voto popolare, di agire da premier in pectore. Il suo Pd assomiglierebbe oggi di più a un grande partito europeo, sia per le dimensioni elettorali fotografate dai sondaggi, sia per il pluralismo culturale che vi ha portato la sfida delle primarie. Il successo delle idee liberal, eretiche fino all’altro ieri e ora approvate da 4 elettori su 10, può allargare il campo della sinistra. A patto che non si creda all’ultima favola che si racconta nel Pd, e cioè che le primarie le ha vinte il ‘profumo di sinistra’ di Vendola, che ha preso quasi il 16 per cento, e le ha perse il ‘profumo di destra’ di Renzi, che ha preso il 40”.

Su Il Giornale Fabrizio Rondolino scrive che Bersani ha già commesso il primo errore, ovvero dimenticare che l’abbraccio alla sinistra radicale è costato caro ai vecchi governi. Sulla stessa pagina di questo quotidiano: “Renzi resta a Firenze per non farsi divorare dal partito”, “continuerà a fare il sindaco: la distanza da Roma lo rende politicamente più libero”. L’articolo evidenzia anche le dichiarazioni di Carlo De Benedetti, che ha inviato a Renzi una mail pubblicata dal sito Huffington Post: “Le riconosco di aver fatto un ottimo lavoro. Non mancherò di farlo notare”.

Su Il Fatto si sottolinea che al ballottaggio Renzi non ha preso voti in più, e l’affluenza è stata in calo (-300 mila). Anche su Europa l’analista di Ipsos Paolo Natale evidenzia che il 2 per cento degli elettori di Renzi al secondo turno ha scelto il segretario del Pd, mentre non c’è praticamente stato passaggio di voti nell’altra direzione. Antonio Noto di Ipr Marketing dice che è come se Renzi avesse sbagliato target, perché “l’elettore delle primarie del centrosinistra non è l’elettore tipo di centrosinistra, tendenzialmente più radicale e più leftist. E poi il tema del conflitto generazionale ha spaventato l’elettore anziano. Renzi però è riuscito a mobilitare gran parte dei suoi”. Il dato dell’Istituto Cattaneo di Bologna riferito dal Fatto evidenzia però che la partecipazione di Renzi ha permesso di ampliare la partecipazione alle primarie. Renzi è andato meglio dove la partecipazione è cresciuta, rispetto alle primarie per la segreteria Pd del 2009, dove invece la partecipazione si è ridotta il suo risultato è stato peggiore.

Spread, Monti e Hollande.

La Stampa intervista Michael Spence, premio Nobel per l’economia. Secondo Spence lo spread scende per le “riforme avviate in Italia – ma anche in Spagna – e l’impegno della Bce ad intervenire se il differenziale tra i bond fosse cresciuto fuori misura. Questo ha fatto capire ai mercati che l’Europa faceva sul serio, e che scommettere contro non conveniva”. Per l’Italia “il primo passo essenziale è stato il ritorno alla responsabilità fiscale”, cioè la “riduzione delle spese”, e poi la riforma delle pensioni. Sul futuro, preferirebbe che restasse Monti? “Preferisco che chiunque guidi il governo dia due garanzie: prosecuzione della responsabilità fiscale e delle riforme”.

Il premier Monti ieri ha commentato il calo dello spread nel corso di un incontro in Francia con il Presidente Hollande, di cui riferisce ampiamente Il Sole 24 Ore: “Monti: spread? Il mio obiettivo è 287”. Monti ammette che lo spread sotto quota 300 lo rincuora anche se, aggiunge, “c’è un livello a 287 punti base che rappresenta un obiettivo che spero sia toccato. Indovinate perché? Vabbé, ve lo dico…è esattamente la metà dei 574 punti con cui abbiamo iniziato il nostro percorso”. Ancora parole di Monti: “svalutare l’euro non è un tabù”, anche se non è certo “tra le ipotesi più concrete”.

Sulla prima de Il Giornale, Francesco Forte commenta: “Spread a quota 300. Monti gongola ma non è merito suo”. Perché appartiene all’altro “SuperMario”, ovvero Draghi: “la stabilità dell amoneta unica non è mai dipesa dalla politica dei singoli Stati, ma dal ruolo della Banca Centrale”. (Sulla stessa pagina, in riferimento a Monti, si scrive che dopo un anno di loden il Prof ha cambiato look, ma il loden era il simbolo dell’austerity, e ora il premier può osare di più, con un giaccone blu).

Monti e Hollande hanno concesso un’intervista congiunta alla rete Euronews e il Corriere riferisce alcune delle loro risposte. Sta nascendo un’asse franco-italiano in sostituzione di quello tradizionale franco-tedesco? Hollande: “La Germania è un Paese forte, ma non può fare nulla senza gli altri Paesi europei, la cancelliera Merkel lo ha capito perfettamente. Dobbiamo stare attenti a non isolare un Paese come la Germania, ma la Germania da parte sua non può dominare. La soluzione è lavorare assieme e la Germania deve fare uno sforzo di sostegno all’economia”. Monti: “Preferisco l’espressione collaborazione franco-tedesca asse franco-tedesco. Vitale per l’Europa, ma non sufficiente”. Il Corriere considera una “frecciata” verso Berlino le parole di Monti che, sollecitato ad esprimersi sull’ipotesi di un condono di almeno parte del debito greco ha risposto: “Non credo, ma non ci sono tabù, non sarebbe la prima volta, la stessa Germania è stata beneficiaria di una soluzione simile nei primi anni Cinquanta”.

In grande evidenza, sul Corriere, anche le dichiarazioni Monti e Hollande sull’alta velocità tra Lione e Torino. Il presidente francese: “E’ un’opera fondamentale per i nostri due Paesi, per il rilancio delle nostre economie, ma anche per tutta l’Unione. C’è in gioco l’idea dell’Europa”, “la Tav è stata già finanziata al 50 per cento dalla Commissione europea per quanto riguarda la fase di studio, e lo sarà al 40% per lo scavo del tunnel”. Degli 8 miliardi e mezzo necessari per forare le Alpi -ricorda il Corriere- 2,9 saranno pagati dall’Italia, 2,2 dalla Francia e il resto, 3,4 dall’Europa. Si ricorda anche che nel 1995 fu l’ex presidente della Commissione Ue Jacques Delors a inserire l’alta velocità Lione-Torino nelle priorità europee.

Fuori dal palazzo in cui si svolgeva l’incontro (il 30esimo vertice italo-francese), un migliaio di manifestanti protestava contro la Torino-Lione: nelle ultime settimane, scrive ancora il Corriere, è cresciuta anche in Francia l’opposizione ad un’opera che considerano inutile se non dannosa. Protestano anche contro il progetto di nuovo aeroporto a Nantes, uniti in una battaglia anti-capitalista e anti-globalizzazione guidata da un redivivo José Bové.

Su La Stampa appare più problematico il finanziamento europeo dell’opera anche se, secondo il quotidiano, i leader si mostrano “ottimisti”. Per agevolare l’arrivo dei contributi europei Roma e Parigi sarebbero pronte a garantire a Bruxelles, cioè ad un rappresentante Ue, un posto nei vertici della nuova società che realizzerà l’opera.

Giustizia

Il Fatto ricorda che la Corte Costituzione oggi dovrà affrontare il conflitto tra poteri dello Stato, ovvero tra il Colle e la Procura di Palermo, sulla questione delle intercettazioni con l’ex ministro Mancino.

Ne parla anche Il Sole 24 Ore: “Consulta, verso un verdetto sprint”: sul conflitto Colle-Procura “i giudici costituzionali cercano una convergenza ampia”. Voci raccolte a Palazzo della Consulta raccontano di una Corte impegnata faticosamente a conciliare posizioni diverse e ad aggregare il maggior numero di consensi su questa o quella soluzione. E si ricostruiscono le posizioni e le tesi a confronto (immunità diretta del capo dello Stato, oppure fautori dell’inammissibilità del conflitto e, ancora, tesi intermedie, per coloro che considerano fondato il ricorso ma soltanto “in via di principio”, limitatamente al divieto di intercettare ma senza l’ordine di distruggere le intercettazioni stesse e rimandando al Parlamento la palla, perché legiferi e disciplini le prerogative del Capo dello Stato).

La Stampa si occupa del consiglio dei ministri che, domani, dovrà affrontare il nodo della incandidabilità, varando un regolamento che detta ai partiti le regole su chi non potrà candidarsi. Prevede uno sbarramento all’elezione per chi sia stato condannato a pene oltre i due anni (reati contro la Pubblica amministrazione come la corruzione) e a per chi sia stato condannato per reati gravissimi (mafia o terrorismo). Nelle pieghe del Regolamento c’è però -secondo il quotidiano- una “bomba ad orologeria” dalla innegabile portata politica: la decadenza per chiunque, già eletto, venga condannato con sentenza definitiva a una pena superiore ai 4 anni, qualsiasi sia il reato. E Berlusconi, al processo per i diritti tv, è stato condannato a 4 anni per frode fiscale. Se arrivasse la conferma della condanna anche in appello e poi in Cassazione, decadrebbe da parlamentare.

Internazionale

Una intera pagina de La Repubblica è dedicata ancora alle ripercussioni del voto per lo status di osservatore per la Palestina all’assemblea delle Nazioni Unite. “La Ue protesta per le colonie”, titola il quotidiano riferendosi alle reazioni alla decisione di Israele di dare il via libera alla costruzione di tremila alloggi nei Territori occupati e di congelare il versamento delle tasse all’Autorità palestinese. Londra e Parigi hanno convocato gli ambasciatori israeliani: passo importante, se si tiene conto che i due Paesi, in occasione del voto all’Onu, avevano tenuto atteggiamenti diversi (sì Parigi, astensione per Londra). In taglio basso, sulla stessa pagina, un’intervista allo scrittore israeliano David Grossman: “Il mondo accetterà sempre meno l’occupazione della Palestina”, dice Grossman. “Avremmo dovuto essere i primi a riconoscere il nuovo Stato palestinese, e invece abbiamo mortificato noi stessi”.

Anche sul Corriere: “Su Israele la protesta dell’Europa”, “Londra, Parigi e Madrid convocano gli ambasciatori”.

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