Diversamente governanti

Corriere della Sera: “Letta non si dimette e rilancia”, “Berlusconi: alle urne subito. Dissensi tra i ministri. Alfano: no ad estremismi”.

A centro pagina: “Il rapporto del Tesoro: servono 5 miliardi entro la fine dell’anno”.

 

La Repubblica: “Caos Pdl, Berlusconi spacca il partito”, “Napolitano manda Letta in Parlamento. IL premier: la fiducia per governare fino al 2015”.

In taglio basso: “L’America chiude, finiti i soldi per i servizi”, “A casa magistrati e dipendenti Nasa. I repubblicani: sì ai fondi se Obama cancella la riforma sanitaria”.

 

La Stampa: “Letta: in aula per la fiducia”, “Pdl nel caos, i ministri dimissionari si ribellano: no a un partito estremista. Il premier cerca i voti del centrodestra: ‘Per loro è un momento di svolta’”.

 

Il Giornale: “Letta e Napolitano al mercato dei voti”, “Si cercano parlamentari pronti a tradire per il governicchio. Spunta l’ipotesi Saccomanni”.

A centro pagina: “Il piano choc: più fisco e più spese”.

 

L’Unità: “Rivolta Pdl, Berlusconi barcolla”.

A centro pagina: “letta: sfida in Senato. Pd: no a governicchi”.

 

Il Messaggero: “Letta va alla conta, Pld diviso”.

 

Pdl, Pd, governo.

 

Mercoledì, scrive il Corriere della Sera, il premier Enrico Letta leggerà alle Camere, e non da premier dimissionario, il suo discorso programmatico sulla base del quale tornerà a chiedere la fiducia per il suo governo. In Parlamento delineerà un percorso per arrivare al 2015.

In tv ieri, ospite di Fabio Fazio, ha detto che non sarà “il re travicello”, “non sono disposto a guidare governi elettorali o di piccolo cabotaggio. Non mi interessa governare a tutti i costi, con una maggioranza che sta in piedi per tre giorni. O il Parlamento si impegna ad approvare il mio programma alla luce del sole, o sarò io a lasciare”. E ancora: “Lo ripeto, niente scambi tra la vita del governo e la complessa vicenda di Berlusconi, a costo di andare a casa”.

 

L’Unità scrive che il Pdl è un partito nel caos, perché un dissenso verso il Cavaliere in vent’anni di storia del berlusconismo, fatta eccezione per la parentesi di Fini, non si era mai manifestata: “Quagliariello, Lupi, Lorenzin. E soprattutto lui, Angelino Alfano, il segretario del Pdl tagliato fuori sabato dalla decisione più importante e più politica, le dimissioni dei ministri”. Ha detto ieri Alfano, vicepremier e ministro degli interni, che qualche giorno fa pareva entusiasta del ritorno di Forza Italia: “Oggi lealtà mi impone di dire che non possono prevalere posizioni estremistiche estrenee alla nostra storia, ai nostri valori. Se prevarranno quegli intendimenti, il sogno di una nuova Forza Italia non si avvererà. So bene che quelle posizioni sono interpretate da ‘nuovi berlusconiani’ ma, se sono quelli i nuovi berlusconiani, io sarò diversamente berlusconiano”.

 

Sulla prima pagina del Corriere il direttore De Bortoli firma un editoriale dal titolo “l’indignazione dei moderati”, sottolineando che l’estremismo colpisce famiglie e imprese. Scrive De Bortoli che “la scelta irresponsabile di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, compiuta in spregio persino alle regole di un partito personale, ha il sapore amaro dei gesti inconsulti e disperati. Non serve a nulla. Non modifica di un palmo il destino giudiziario del Cavaliere, ma spinge un Paese in ostaggio sull’orlo di un nuovo baratro”. Per il direttore del Corriere la spallata di Berlusconi “procura un danno incalcolabile soprattutto al proprio elettorato di riferimento, formato da famiglie e imprese”. E sottolinea: “L’argomento, agitato ieri anche dal Cavaliere, di una reazione di impulso all’eccesso di tassazione, è strumentale e privo di senso. Il gettito del rincaro dell’Iva era già compreso nei saldi di bilancio. Monti lo decise sostituendo la vecchia clausola di salvaguardia dell’esecutivo berlusconi che tagliava linearmente le agevolazioni fiscali. Il precedente aumento dell’Iva, dal 20 al 21 per cento, va ricordato, è del settembre 2011. E premier era ancora il Cavaliere.

Sulla prima pagina de Il Giornale, l’editoriale del direttore Sallusti: “Eversivo è alzare le tasse, liberale è non farlo”.

Scrive Sallusti che è comprensibile l’irritazione della compagine ministeriale del Pdl dimissionaria: avevano immaginato un finale diverso, i ministri Alfano, Quagliariello, Lorenzin, Lupi e Di Girolamo “si adeguano ma non condividono, al punto di ventilare un loro futuro fuori da Forza Italia, non si capisce se sulle orme di quel genio di Gianfranco Fini”. Ma Sallusti trova “ridicolo” attribuire ai cosiddetti falchi del partito il potere di condizionare Berlusconi, il quale, nei momenti decisivi, “ha sempre deciso di testa propria”. Quanto alla parola “eversione” Sallusti, rivolgendosi a Quagliariello, gli rimprovera: “Non vedo che cosa ci sia di eversivo nel non volere rendersi complici di uno scellerato aumento di tasse”. Anzi, Quagliariello avrebbe dovuto essere “il primo” a ritirare la sua firma dalla stangata fiscale che si stava profilando.

 

Il ministro delle Riforme istituzionali Gaetano Quagliariello, in un’intervista a Il Messaggero, dice: “Stiamo valutando se dar vita a un nuovo partito”. Pensa che sia possibile ricontrattare con Letta il programma di governo e andare avanti? “Berlusconi mi sembra abbia aperto alla possibilità di andare avanti votando la legge di stabilità”. Alfano ha detto che Forza Italia non può essere lasciata in mano agli estremisti, ma perché non riunisce gli organismi dirigenti del partito? Quagliariello: “Perché nella riunione in cui hanno deciso le dimissioni dei ministri Alfano non c’era. La decisione di lasciare il governo si sarebbe dovuta prendere insieme, magari nell’ufficio di presidenza del partito. Ora a che serve convocare una nuova riunione. Comunque sono stati convocati gruppi e domani (oggi, ndr.) vedremo”. Dice ancora Quagliariello che “le dimissioni dei parlamentari saranno anche stato un atto simbolico, ma le giudico un atto di inaudita gravità” e, quanto a Forza Italia, dice che nell’ultima settimana è sembrata “una riedizione di Lotta Continua”, “questo è inaccettabile, e se Forza Italia sarà questo io non posso riconoscermi”. D’altra parte, “in Francia di partiti gollisti ce ne furono tre, qui da noi potremmo averne due”. Vede la possibilità di continuare con l’attuale governo? Quagliariello: “Aspettiamo di sentire cosa dirà Letta in aula. Dipende molto da cosa metterà dal programma, poi decideremo”.

 

Quagliariello questa mattina ha dichiarato di non aver rilasciato alcuna intervista.

 

Il ministro della salute Lorenzin, in una intervista al Corriere della Sera, dice che i consiglieri di Berlusconi “che hanno spinto alle dimissioni 200 parlamentari e poi, mentre il capogruppo annunciava alla Camera il nostro sostegno al governo e senza neppure una telefonata, ci hanno detto di lasciare i dicasteri”, “rappresentano la minoranza della minoranza”. E ancora dice: “Non posso accettare l’idea di un partito alla Alba Dorata che considera traditori chi la pensa diversamente”. Lo stesso quotidiano intervista il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi: “Abbiamo ancora due-tre giorni di tempo per usare la forza delle nostre proposte e continuare a far lavorare questo governo con un rinnovato programma”. Perché si è dimesso, allora? “Perché la serietà in politica è una cosa importante. Siamo stati nominati dal Presidente Berlusconi in un governo politico per un momento eccezionale, e se il nostro leader ci chiede di dimetterci, serietà ci impone di farlo”. Ma sottolinea che “c’è il rischio che Forza Italia diventi un partito estremista che urla, strepita, insulta le istituzioni e mette in secondo piano il bene del Paese”. D’altra parte “anche il segretario Alfano ha spiegato che si può essere ‘diversamente berlusconiani’, il problema sono i cattivi consiglieri che stanno intorno al Presidente, che sono estremisti e non rappresentano l’identità di Forza Italia”.

Il quotidiano, peraltro, ascolta Helmar Brok, membro del Partito popolare europeo e tra i più influenti consiglieri di Angela Merkel che, sulla ipotesi che il “diversamente berlusconiano” Angelino Alfano, uscito da Forza Italia, formi un nuovo gruppo, chiedendo di entrare nel Partito Popolare, dice: “Ho incontrato Alfano due settimane fa e mi è sembrato già allora molto preoccupato, e sinceramente non vedo ragioni per non accogliere lui e i suoi colleghi nella nostra famiglia. Beninteso, ora parlo a nome mio personale e non del partito. Però tutti sappiamo bene quanto Alfano sia stato sempre vicino al PPE”.

 

La Repubblica intervista la sottosegretaria Micaela Biancofiore, che ricorda di essere berlusconiana dal 1994 e ammonisce: “Chi predica scissioni, impari dal passato, impari da Fini e da tutti quelli che ci hanno voltato le spalle”.

 

Sul fronte Pd, L’Unità scrive che della crisi di governo hanno parlato il segretario Epifani e il sindaco di Firenze Renzi. In seguito Epifani ne avrebbe discusso con il Presidente Letta. In entrambi i casi, secondo L’Unità, la conclusione del ragionamento ès tata la medesima: “Né ‘governicchi’ né ‘trasformismi’ garantirebbero a questo punto una uscita dalla crisi, e se no ci fossero le condizioni per approvare la legge di stabilità e superare il Porcellum la parola può passare ai cittadini per le elezioni” Secondo il quotidiano il Pd formalizzerà questa linea in direzione, prima che si arrivi a un voto di fiducia in Parlamento. Il consiglio dato a Letta dai vertici Pd sarebbe stato quello di fare un intervento duro, al Senato, ma poi andare al Quirinale a rimettere l’incarico nelle mani del capo dello Stato, lasciando che maturino le condizioni, se possibile, perché prenda corpo una diversa maggioranza per approvare la legge elettorale e la legge di stabilità.

Con chi, a capo del governo? Il gruppo dirigente Pd si sarebbe convinto che il Presidente del Consiglio accetterebbe di dar vita a un Letta bis soltanto se ci fosse la prospettiva di superare in una condizione di stabilità tutto il 2014, e andare quindi a nuove elezioni dopo il semestre italiano di Presidenza della Ue.

Ipotesi che, sottolinea L’Unità, viene avversata dai renziani, che da un lato sanno che nel partito c’è chi vuol schierare Letta alle prossime primarie per la premiership, e dall’altra giudicano negativamente l’ipotesi di nuovo elezioni soltanto nel 2015.

 

Su La Stampa: “Mancano 19 voti per una nuova maggioranza”. Si legge che tra i 5Stelle c’è chi vorrebbe approvare la legge di stabilità e cambiare il Porcellum.

Sul Corriere si sottolinea che è necessario salire a quota 161 per un nuovo esecutivo, si fa riferimento anche al peso dei senatori a vita: “Il futuro della legislatura si gioca a Palazzo Madama: caccia a dissidenti 5Stelle e ‘responsabili’ Pdl”.

E riprendendo le parole di Epifani (“di fronte alle necessità che ci sono servono numeri e consensi qualificati”) La Stampa spiega così il ragionamento Pd: “O si spacca il Pdl con una adesione alle ragioni del governo di una larga fetta di moderati interessati a restare nell’alveo del PPE, dando vita a una maggioranza larga che isoli gli estremisti, oppure è meglio andare a votare. Perché la prospettiva di un governo con numeri risicati che obblighi il Pd ad accollarsi da solo l’onere di una legge di stabilità e di trovare i miliardi necessari per Iva, Imu, rientro dal deficit, cassa integrazione, rappresenta un rischio elettorale troppo alto. In quel caso meglio dare un appoggio esterno a un governo istituzionale che regga fino alle europee e faccia una legge di stabilità che piacca al Pd.

 

La Stampa intervista il renziano Paolo Gentiloni che, alla domanda su cosa succederebbe se la fiducia a Letta passasse di misura per pochi voti, risponde: “Lo valuteremo: la fiducia è un voto palese, e una ipotesi del genere comporterebbe che settori molto consistente o del Pdl o dei 5 Stelle facessero delle scelte precise. Vedremo se ci sarà uno smottamento vero, ma la legislatura non va avanti con cinque voti di margine. Quanto al congresso del partito e alla scelta del candidato premier, se si votasse entro la fine dell’anno – dice Gentiloni – il congresso indicherà anche il premier. Altrimenti i due momenti sarebbero differiti.

 

La Repubblica intervista il leader di Sel Nichi Vendola, secondo cui è necessario un “governo di scopo” che faccia la riforma elettorale. Un governo di pochi mesi, che sia “immune da qualunque elemento di scilipotismo”. Tra i dissidenti del M5S, il quotidiano intervista Lorenzo Battista: “Dico da tempo che dovremmo proporre un governo alternativo a Letta, usare i nomi venuti fuori dalle Quirinarie, stabilire nuovi punti su cui trovare un accordo, e vedere se davvero il Pd ha intenzione di dirci di no. Se lo fa, si prenderà le responsabilità davanti agli elettori.

 

Internazionale

 

La direttrice di RaiNew24 Monica Maggioni ha intervistato il presidente siriano Assad, e La Stampa sintetizza così le sue dichiarazioni: “Sui gas rispetterò gli accordi”. “Rispetteremo gli accordi, e le nostre forze armate, naturalmente, garantiranno l’incolumità agli ispettori Onu che dovranno procedere alla identificazione e alla distruzione delle armi”. Ma Assad torna a dire che il pericolo “viene dai terroristi”, dalle “falangi che seguono l’ideologia di Al Qaeda” e che hanno “colonizzato l’opposizione”. Sulla ipotesi di una forza di interpozione Onu, è netta la posizione di Assad: “non funzionerebbe, questa non è una guerra fra due stati, non c’è una linea di demarcazione precisa”. Sulla stessa pagina, una analisi di Francesco Semprini sulla opposizione siriana “balcanizzata” che aumenta le chances del rais. La conferma di questa balcanizzazione della opposizione è giunta la scorsa settimana all’Onu in occasione della visita di Ahmad Al Jarba, capo della coalizione nazionale siriana. In quelle stesse ore in Siria tredici gruppi ribelli ripudiavano la sua coalizione. E gli scissionisti non sono solo jihadisti, visto che tra i 13 c’è anche Liwa Al Tawhid, una delle principali forze sul terreno nella provincia settentrionale di Aleppo, che fa parte dell’esercito di liberazione nazionale siriano. Non vogliono aver nulla a che fare con uomini piazzati lì da Paesi come Arabia Saudita, Qatar, Turchia.

L’Unità intervista proprio Ahmad Al Jarba, presidente della Coalizione nazionale siriana, che ieri ha incontrato per la prima volta il segretario generale Onu Ban Ki-Moon. Dice di avergli comunicato “la disponibilità a inviare una nostra delegazione alla conferenza di Ginevra. Ma ciò non vuol dire che accetteremo di sederci allo stesso tavolo con un despota sanguinario come Assad. Siamo disposti a confrontarci con esponenti dell’attuale regime, anche indicati da Assad, che però non si siano macchiati di crimini di guerra contro il popolo siriano”.

Parlando della risoluzione approvata la scorsa settimana dal Consiglio di sicurezza Onu: “Non abbiamo mai nascosto – dice – che avremmo preferito un dispositivo che facesse riferimento diretto al capitolo 7 della Carta Onu (quello sull’uso della forza) ma il compromesso raggiunto, perché di questo si tratta, può andar bene. Il punto è giungere a una soluzione politica per il cessate il fuoco e la creazione di corridoi umanitari nei sobborghi di Damasco e di Homs, devastati da un lungo assedio. Per realizzare questi corridoi sarebbe necessario schierare una forza di interposizione sotto egida Onu o della Lega Araba”. Quanto al rapporto con il fronte qaedista, Al Jarba dice che “il popolo siriano sostiene la pace e la moderazione”, “l’estremismo, in gran parte importato da fuori della Siria, è emerso come un fenomeno supportato, pianificato, e lasciato crescere da parte del regime, nel tentativo di trasformare la rivoluzione in un conflitto settario”. Negli ultimi 4 anni Assad ha preso di mira solo le aree sotto controllo dell’Esercito siriano libero, non quelle in cui opera il fronte Al Nusra. Lascio a lei trarre le conclusioni”.

Su tutti i quotidiani ampio spazio per la minaccia che pesa sugli Stati Uniti: “Manca un giorno alla paralisi”, titola La Repubblica, spiegando che l’Amministrazione federale del Paese più ricco del mondo potrebbe non avere più soldi per pagare stipendi ed erogare servizi essenziali perchè – come spiega il Corriere – alla mezzanotte di oggi, in assenza di un compresso in extremis, il governo Usa chiuderà i battenti, paralizzato dal rifiuto dei Rep di votare il bilancio federale se non ci sarà l’abrogazione dell’Obamacare, la riforma sanitaria che è legge da tre anni e mezzo ma che entrerà pienamente in vigore solo a partire da domani, 1 ottobre.

La Stampa spiega che a Washington c’è lo spettro dello “shutdown”, il blocco delle attività del governo federale. Ieri è stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti, con 231 voti a favore e 132 contrari, il provvedimento che prevede il posticipo di un anno dell’entrata in vigore dell’Obamacare.

La Repubblica spiega che comincerà, se non si arriva a un accordo, un razionamento doloroso, verrebbero interrotti per primi i servizi da cui non dipendono vite umane; chiuderanno i parchi nazionali, resteranno aperti i reparti di pronto soccorso; lavorerà la polizia, ma non gli ispettori che controllano la sicurezza delle auto. Tutto il personale Nato sarà a casa senza stipendio, coem anche i magistrati di turno che decidono su libertà condizionale e permessi di buona condotta. E tutto questo prelude a una crisi ancor più grave, il default tecnico del Tesoro, la cui data è fissata al 17 ottobre.

Restiamo a La Repubblica per un titolo sulle elezioni austriache: “In Austria vola l’ultradestra, i socialdemocratici arretrano ma tiene la grande coalizione”. Il vincitore politico è Heinz Christian Strache, leader carismatico della destra radicale: il suo partito, quello degli eredi di Haider, è oltre il 20 per cento.

Anche sul Corriere: “In Austria sarà ancora Grande Coalizione. Vola l’erede di Haider”, “i partiti storici ai minimi”. E’ entrato in Parlamento anche il partito anti-euro del miliardario Stronach.

 

 

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