Born in the Usa

 

Le aperture

 

Il Corriere della Sera: “‘Ora meno tasse sul lavoro'”. “L’analisi dell’Istat, che avverte: nel 2013 disoccupazione in salita e Pil giù di mezzo punto. Entrate tributarie meglio del previsto”. In evidenza , con foto, i funerali di Pino Rauti, dove è stato contestato Gianfranco Fini: “Urla e uno schiaffo per Fini”: “Traditore, Badoglio” gli epiteti a lui rivolti.

 

Libero: “Sputi a Fini. Il presidente della Camera accolto da insulti e tentativi di aggressione. Grave errore: la sua carica merita rispetto, la sua provocazione indifferenza”.

 

Il Giornale: “Insulti e sputi a Fini. L’uomo di Fiuggi e Montecarlo contestato e strattonato al funerale di Rauti. E i missini urlano: ‘Sei come Badoglio'”. In evidenza anche: “Se un procuratore donna smonta il processo Ruby”. Si tratta della testimonianza del procuratore presso il tribunale dei minori Monica Frediani, che ha negato irregolarità nell’affido di Ruby a Nicole Minetti.

 

La Repubblica: “Casa Bianca, duello all’ultimo voto. Obama e Romney sul filo di lana: stanotte l’America sceglie”. “Il presidente chiude la campagna elettorale con Springsteen. Lo sfidante: con me gli Usa tornano a ruggire”. In evidenza in prima pagina anche lo “scandalo Marzotto: maxi sequestro di beni. Evasione fiscale, bloccate case e azioni per 65 milioni”.

 

L’Unità: “Siamo tutti Democratici”. “Obama si batte per i bis. Gaffe di Romney: possibile”.

 

Europa: “Vai Obama. Tutti i sondaggi positivi, ma sarà testa a testa”.

 

Il Foglio: “Obama sta in difesa, Romney negli avanposti. ‘Ci sarà un esecutore’. Leggero vantaggio del presidente all’apertura dei seggi. Il capo dell’Aei Brooks, spiega gli errori degli obamiani”. “Leggero vantaggio del presidente all’apertura dei seggi”.

 

Il Fatto quotidiano: “Miracolo, il governo dice: i soldi per la Sla ci sonoì. Il ministro dell’Economia fa retromarcia e promette che le risorse per i disabili più gravi arriveranno da un fondo gestito da Palazzo Chigi. Ma sono gli stessi stanziamenti che l’esecutivo Monti aveva cancellato soltanto poche settimane fa”.

 

Il Sole 24 Ore: “Via alla stretta sugli statali. Contratti a termine, scelta alle parti. Istat: disoccupati verso l’11,4 per cento”. “Pronti i decreti che eliminano 6mila posti per i tagli di spesa. Una circolare della Fornero ‘rivede’ la riforma”.

 

Pubblico: “Kappao tecnico. Tre milioni di disoccupati. Sarà recessione anche nel 2013, lo dice l’Istat. Questo è il capolavoro di Monti”.

 

Usa

 

Il Corriere della Sera cita un antico adagio: “As goes Ohio, so goes the nation”. Per questo il candidato repubblicano Romney ha deciso di aggiungere oggi,in pieno election day, un’altra puntata in questo Stato. Un esercito di legali di entrambi gli schieramenti sono già mobilitati in Ohio e Florida dove il testa a testa potrebbe diventare drammatico.

 

Sullo stesso quotidiano: “L’incubo della Florida sull’esito del voto”: il corrispondente parla già di caos sul voto anticipato, con code e proteste davanti ai seggi. Rischia di replicarsi l’incubo del 2000, con Stati in bilico quali la Florida, l’Ohio, la Virginia, il Colorado. Se dalle urne non uscirrà un risultato netto non resterà che ricorrere ad un estenuante conteggio manuale, come avvenne nel 2000 tra il democratico Gore e il repubblicano Bush, che costrinse alla conta dai chad (i coriandoli di carta punzonati della scheda) rimandando l’elezione del presidente a dicembre, dopo un intervento della Corte suprema. Nel 2000 Gore vinse il voto popolare ma perse il collegio elettorale, e Bush fu eletto per soli 500 voti di scarto. Il partito democratico, le associazioni di donne, i gruppi per i diritti delle minoranze, hanno chiesto al governatore repubblicano Rick Scott di prolungare il numero di giorni a disposizione per l’early vote, che ufficialmente è scaduto sabato notte. I democratici sono quelli che tradizionalmente votano in anticipo – dice sull’Atlantic Amanda Terkel.

 

Su Libero si parla di un candidato minore alle presidenziali, “l’outosider Johnson”, leader del Libertarian Party, che si presenta in 48 Stati, è l’ex governatore Repubblicano del New Mexico.

 

Antiproibizionista, pro-choice sull’aborto, attivista dei diritti civili, imprenditore favorevole ad un fisco ridotto e vorrebbe ridurre il bilancio militare fino al 43 per cento. In Ohio avrebbe il 5 per cento delle preferenze. In Colorado il 4, nel New Hampshire il 7 per cento. In Florida solo l’1 per cento. Potrebbe quindi rosicchiare voti a Romney. Si ricorda che nel 1992 Clinton vinse anche grazie all’affermazione dell’indipendente Ross Perot, che con il suo 18 per cento di voti penalizzò George H. Bush.

 

Dreamers Usa

 

Ancora sul Corriere della Sera ci si occupa dei “dreamers”, i sognatori che prendono il nome dal dream act, la legge che avrebbe assicurato loro un percorso verso l’integrazione, e che l’Amministrazione Obama ha dovuto rimettere nel cassetto di fronte alla posizione del congresso: sono le migliaia di giovani ispanici clandestini che in Virginia, Ohio, Nevada, Florida, Colorado, California, Texas da settimane vanno di casa in casa e fanno valanghe di telefonate, battono i campus universitari per convincere la comunità latina, da sempre riluttante all’esercizio del voto, a recarsi ai seggi. I sondaggi danno ad Obama appena il 36 per cento del voto bianco, otto punti in meno dell’ultima volta. Ma gli assegnano oltre il 70 per cento di quello latino, il 92 per cento degli afroamericani, il 63 delle donne single, oltre il 55 dei giovani sotto i trenta anni.

 

Senza una massiccia partecipazione al voto, soprattutto degli ispanici, la minoranza più in crescita del melting pot americano, Obama non potrà ottenere un secondo mandato.

 

Dall’Ohio anche il reportage de La Stampa, con “l’ultimo appello di Obama”: “’Tutti a votare, ce la faremo’”. A Columbus Obama aveva sul palco Springsteen e il rappert JZ. Il 21 per cento dei residenti è afroamericano, il 4 per cento asiatico, il 5 ispanico: 4 anni fa grazie a loro Obama travolse il rivale McCain con 20 punti di scarto, ipotecando lo Stato senza il quale i Repubblicani non vincono la Casa Bianca dal dopoguerra. Ma rispetto a McCain Romney ora è più popolare, ha più seguito tra i bianchi, e dunque Obama ha bisogno di più voti. Dal palco ha incitato ogni presente a recare ai seggi “portando cinque persone con sé”, in modo da ottenere 100 mila voti, ovvero quanti ne bastano per mettere al sicuro l’esito di una sfida che, sondaggi alla mano, lo vede leggermente in vantaggio.

 

Poi il lungo resoconto dell’esibizione di Obama e delle star sul palco: il presidente è un turbine di energia, li abbraccia, si muove da un angolo all’altro del palco incitando al voto, indica i capelli diventati grigi a forza di battersi per il cambiamento, poi dice: gli avversari da battere sono “i politici cinici di Washington che difendono i propri interessi senza curarsi della classe media, spina dorsale della nostra nazione”, e, come Romney, avrebbero voluto “far fallire l’auto che noi abbiamo risollevato, consentendo a GM e Chrysler di produrre alcune delle macchine migliori al mondo”.

 

Su Il Sole 24 Ore si ricorda che oggi l’America non vota solo per le presidenziali: in palio ci sono 435 seggi da deputato (l’intera Camera) e 33 posti da rappresentanti degli Stati a Washington (un terzo del Senato). I programmi di Obama e Romney dovranno passare il vaglio del Congresso prima di diventare operativi, quindi per il prossimo presidente trovarsi una maggioranza del proprio partito o una di segno avverso è decisivo. Oggi i Rep guidano la Camera con un margine di 49 seggi, e i democratici hanno la leadership del Senato per 6 seggi.

 

Elezioni Usa: economia e scelte di politica internazionale

 

Due ex consiglieri di Bill Clinton alla Casa Bianca vengono interpellati: Benjamin Barber da L’Unità e Charles Kupchan da La Repubblica. Barber sottolinea che il candidato repubblicano Romney propone ricette che hanno provocato lo sconquasso finanziario globale e americano: “Tutti sappiamo che la crisi è stata causata da un eccesso di deregulation e di privilegi agli ultraricchi”. Obama ha avuto l’appoggio di indipendenti come il sindaco di New York Bloomberg, in extremis ha riconquistato il centro? “In parte, ma metterei soprattutto in rilievo l’impatto del governo federale per arginare i danni dell’uragano Sandy”, “la pronta risposta delle autorità pubbliche alla catastrofe ha spezzato la schiena alla infondata teoria secondo cui lo Stato è inutile o dannoso. La gente si è probabilmente ricordata che sei mesi Romney arrivò addirittura a proporre la cancellazione della Federal Emergency Agency. Voleva privatizzare anche quella”.

 

Su Sandy e la Fema leggi la rassegna internazionale di Reset

 

 

I limiti dell’azione presidenziale per Barber stanno nel contrasto alla povertà, nelle scelte in materia ambientale, “nelle misure di stimolo alla ripresa, che sono passate attraverso ad aiuti alle banche non sempre usate dalle banche stesse per rilanciare gli investimenti”. E il risultato maggiore ottenuto dalla Casa Bianca? “Senza dubbio la riforma sanitaria”: senza dubbio non perfetta, ma non va dimenticato che gli Usa erano l’unico Paese del mondo occidentale sviluppato in cui non esisteva nessun tipo di servizio sanitario nazionale. E dove ha fallito Obama? “Le misure sul cambiamento climatico. O meglio, l’assenza di misure. Obama si è allontanato dalle linee programmatiche precedenti la sua elezione e ha addirittura incrementato le attività petrolifere, autorizzando nuove prospezioni persino nell’Articolo.

 

Kupchan, ex consigliere alla sicurezza di Clinton, su La Repubblica: “Il prossimo inquilino alla Casa Bianca sarà il primo vero presidente del dopo guerra fredda e del XXI secolo”: l’America ha perso tempo, impegnata dapprima con il crollo dell’Urss, poi l’ex Jugoslavia, poi gli strascichi dell’11 settembre, “Obama finora ha ripulito il caos lasciato da Bush”. E il presidente che si insedierà a gennaio avrà davanti un mondo diverso “dove l’America non ha più la stessa parte”. Gli Usa devono “rassegnarsi alla perdita di una quota sostanziosa del potere globale, condividerlo con le potenze emergenti, ridisegnare istituzioni corrispondenti a un nuova architettura globale in grado di salvare la stabilità. L’egemonia dell’Occidente è tramontata. All’interno di questo quadro si articolano altre priorità”. Ad esempio? “L’Iran: sarà il primo dossier”, “bisognerà affrettare il dialogo con Teheran”, “senza un accordo sul programma nucleare di qui alla primavera le probabilità di un attacco militare da parte degli Usa sono altissime”. Anche se Obama verrà rieletto? “La proposizione di un ‘Iran nucleare inaccettabile’ vale per entrambi. Israele non aspetterà che le scorte di uranio aumentino. Chiunque, mi creda, preferisce la diplomazia alla guerra”. E in Medio Oriente? Per Kupchan siamo all’inizio di un periodo “molto agitato” perché dall’Egitto alla Turchia alla Siria “avanzano forze incerte”. “L’islamismo è ovunque in ascesa e non ne conosciamo l’identità. Sarà pluralista e tollerante o il contrario? Washington ha perso i suoi grandi alleati, ha scarsa influenza. Però, ci siamo impantanati troppo a lungo in Medio Oriente. C’è un altro mondo che ci aspetta”. Si riferisce all’Asia? “Proprio così. L’America deve prepararsi all’ascesa della Cina, esercitarsi in un delicato equilibrismo. Trattare nel campo commerciale ma anche stabilire limiti invalicabili riguardo alla sicurezza. Dovrà espandere la propria presenza nella Regione, approfondire legami con i Paesi che temono l’avanzata cinese: Filippine, Giappone, Corea, Singapore, Malaysia, Indonesia”.

 

Pdl

 

Per Il Giornale le primarie Pdl, malgrado alcune resistenze, si terranno e il partito sta soltando cercando “il sigillo di Berlusconi”, che dovrebbe tornare per prender parte all’ufficio di presidenza domani. C’è chi le boicotta e pensa a nuove liste, chi le vorrebbe allargare al maggior numero possibile di partecipanti facendole diventare di coalizione, chi solleva il problema dell’assenza delle primarie nello statuto del partit. Tra i nodi, quello economico: la posizione prevalente non prevede plafond di spesa stanziati dal partito per i singoli candidati, quindi chi vorrà concorrere dovrà autofinanziarsi, anche se probabilmente ci sarà un tetto alle spese uguale per tutti e il partito coprirà solo le spese vive dell’evento. Il segretario Alfano vorrebbe inserire un riferimento all’agenda Monti. Per La Repubblica, invece, “le primarie rischiano di saltare” per mancanza di fondi e paura di un flop, “ma Alfano resiste”. C’è anche in campo l’ipotesi di slittamento al 21 gennaio. E secondo il quotidiano Berlusconi sarebbe tornato dalla vacanza in Kenya con una proposta per certi versi provocatoria per rinnovare il partito: limite di cinque legislature per le candidature (sufficiente a terremotare la classe dirigente, da Cicchitto a La Russa, da Gasparri a Matteoli).

 

Legge elettorale

 

Sul fronte della legge elettorale, il Corriere ed altri quotidiani riferiscono che si tratta ancora sul nodo centrale del premio di maggioranza. Oggi torna a riunirsi la Commissione affari costituzionali e in primo piano c’è la discussione su quale sia la base minima per far scattare il premio di maggioranza, indicato nel 12,5 per cento. Il Pd non la vuole, mentre il Pdl, l’Udc e la Lega la fissano tra il 40 e il 45 per cento.

 

Pd

 

Europa dà conto delle dichiarazioni del segretario Pd Bersani ieri in una videochat su La Stampa: “So che il retropensiero di chi invoca il Monti bis è fare una legge elettorale da cui escano tutti i partiti nanerottoli, in modo che la politica non dia risposte e venga fuori il Monti bis. Ma chi la pensa così è fuori come un balcone, perché dalla palude verrebbe fuori solo la palude, si andrebbe a votare dopo sei mesi e sarebbe un rischio mortale per il Paese.

 

Sulla possibile partecipazione di attuali ministri alla campagna elettorale concorda con il presidente del Consiglio sulla opportunità che il fenomeno resti contenuto: “Di sicuro Monti è consapevole che c’è un governo in carica mentre si vota. Non vorrei che si creassero situazioni imbarazzanti per la credibilità dell’iItalia. Se si resta in dimensioni di partecipazioni ridotte, meglio”. Gli viene chiesto se in caso di vittoria offrirà a Renzi un posto da ministro, e risponde: “Abbiamo un sacco di sindaci che sono enormi risorse, certamente Renzi e tanti altri amministratori. Non faccio il giochino del governo”.

 

Vendola

 

In una intervista al Sole 24 Ore il leader di Sel Vendola parla del programma economico per le primarie del centrosinistra ed eventualmente per il governo del Paese. SI parte dal riconoscimento della Ragioneria generale dello Stato e del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione di Palazzo Chigi alla Puglia, per aver dimostrato la miglior capacità di spesa dei fondi comunitari: “Per me il rigore è stato veramente una religione in questi otto anni. Naturalmente non è stato il rigore dei tagli lineari ma il rigore della riqualificazione, ad esempio delle società partecipate. Erano quasi tutte in default e io le ho portate in attivo con un processo di ripatrimonializzazione seria e uno sfoltimento delle strutture burocratiche. Diciamo che ho fatto una guerra agli acronimi”. E spiega: “Che cos’è uno Iacp. Un istituto autonomo case popolari. Risponde alla sua missione? No. Parte delle risorse venivano drenate da strutture burocratiche, ed erano diventate luoghi di confluenza tra malavita e disagio. Da otto anni ho commissariato lo Iacp e abbiamo cominciato a dare case popolari”. Ricorda poi che nel 2005 l’acquedotto pugliese era famoso per la frase “dà più da mangiare che da bere”, ed oggi ha la considerazione delle agenzie di rating, ed è passato da 20 milioni a 120 milioni di euro l’anno per intensità di investimenti. Un conto è una Regione, un conto l’Italia. Perché i mercati si dovrebbero fidare di Vendola? “Si potrebbe una volta tanto capovolgere l’impostazione: ma noi ci possiamo fidare dei mercati?”, “per chi come me non demonizza il mercato, ora parlo al singolare, è concepibile che sia il regolatore di tutta la vita sociale, oppure il compito precipuo della politica consiste nell’indicare la prevalenza del bene comune e della necessità di far soggiacere il mercato a regole e controlli?”. Secondo Vendola è necessario “costruire un approccio laico al mercato” perché “la produzione di ricchezza di è progressivamente sganciato dall’economia reale”. Per Vendola la pressione fiscale va drasticamente alleggerita su lavoro e imprese, e vanno avvantaggiate le imprese che si adattano a determinati parametri, “ad esempio di sostenibilità ambientale e formazione della manodopera”. E poi “va liberato il Paese dalla patrimoniale sui poveri, ovvero l’Imu sulla prima casa”. Per quel che riguarda la Tobin Tax, è necessario invertire la logica del governo Monti: “Più è rapida la transazione finanziaria, più alto deve essere il prelievo”.

 

Stato-Mafia

 

Prima di partire per il Guatemala per un incarico Onu, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ha firmato, insieme ai quattro pm che sostengono l’accusa nella inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato mafia, una “memoria” di 22 pagine, che è stata inviata ieri al giudice dell’udienza preliminare Piergiorgio Morosini. Il Corriere riassume così: “mafia sopravvissuta grazie alla trattativa fatta con lo Stato”. I pm parlano di una forma di “grave amnesia collettiva” della “maggior parte dei responsabili politico-istituzionali”:

 

La Repubblica: “La trattartiva Stato-Cosa nostra finì con le garanzie di Berlusconi. I pm di Palermo: Scalfaro cedette sul carcere duro”.

 

Il Fatto pubblica integralmente il documento (in 4 pagine), e titola: “Senza Stato la mafia sarebbe già morta”. (“Ecco le carte che hanno portato allo scontro con il Quirinale”).

 

E poi

 

Su La Repubblica un intervento dello scrittore israeliano David Grossman. Dopo le parole del capo dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas, che in una intervista alla tv israeliana ha detto di esser disposto a tornare a Safad (la città dove è nato nel nord di Israele) come turista, il premier israeliano Netayahu deve rispondere: “nelle sue parole era discernibile – secondo Grossman – la più esplicita rinuncia al “diritto del ritorno” che un leader arabo possa esprimere in un momento come questo, prima dell’inizio del negoziato. “E’ vero, Abbas non ha pronunciato le precise parole “rinuncia al diritto del ritorno”, e in una intervista in arabo si è affrettato a prendere le distanze dalle proprie dichiarazioni, sostenendo che questa è solo la propria posizione personale, e che nessuno è autorizzato a rinunciare al ‘diritto del ritorno’. Conosciamo questa danza palestinese: un passo avanti in inglese, due indietro in arabo. Eppure nelle parole di Abbas c’è qualcosa di nuovo, un segnale”.

 

 

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