Armeni: per Papa Bergoglio fu genocidio

Il Corriere della sera: “Il Papa riapre il caso armeno”. “‘Fu il primo genocidio del XX secolo’. La Turchia richiama l’ambasciatore”. “Cento anni dopo. Bergoglio: ancora oggi fratelli cristiani massacrati. Irritazione di Ankara”.
“Le ragioni del Pontefice che sogna la riconciliazione” è il titolo di una riflessione di Andrea Riccardi.
A centro pagina, con foto: “Hillary candidata: più forte da nonna”. La foto la mostra con nipotina in braccio e Bill a fianco. “Obama: sarà un’ottima presidente”.
Un articolo di commento di Alan Friedman. “Il pericolo è l’illusione di aver già vinto”.
Sulla politica interna: “Forza Italia, ultimatum a Fitto”. “Regionali: Poli Bortone pronta a correre dopo il sì della Lega”. “Il Pd lacerato in Campania”.
L’editoriale del quotidiano milanese è firmato da Michele Ainis: “Le travi che accecano l’Italicum”.
Di spalla si parla di tasse: “Il peso (percepito) delle tasse per 4 italiani su 5: sono salite”, di Nando Pagnoncelli.

La Repubblica ha in grande evidenza una foto di Papa Francesco con il Patriarca armeno Karenin II sotto il titolo: “Il Papa: ‘In Armenia fu genocidio’. L’ira della Turchia: parole inaccettabili”. Ne scrivono Marco Ansaldo, con un reportage dalla città turca di Kars e la scrittrice Antonia Arslan.
In apertura a sinistra: “Il bonus sarà per 7 milioni di italiani”, “Ecco il piano per il ‘tesoretto’. Puglia, due Forza Italia alle urne”.
A centro pagina a sinistra: “L’annuncio di Hillary Clinton: America sono il tuo campione”. Se ne occupano il corrispondente da New York Federico Rampini e Alexander Stille, con un’analisi dal titolo “Candidata solitaria”.
A fondo pagina: “Il Partenone dell’Assiria ridotto in povere dalla furia dell’Is”, di Paolo Matthiae.
Nella colonna a destra Adriano Sofri racconta il corteo virtuale di Madrid: “Il corteo di fantasmi nella piazza vietata”, “Sfilano gli ologrammi: così Barcellona protesta per il diritto di manifestare”.

La Stampa: “Il Papa e gli armeni: fu genocidio”, “’Ancora oggi tocca ai cristiani’. Ira della Turchia: parole inappropriate e fazione”, “Il discorso di Francesco a cento anni dal massacro. Ankara protesta col Nunzio e richiama l’ambasciatore”.
“Erdogan e i conti con la storia” è il titolo dell’editoriale che Roberto Toscano dedica a questa vicenda.
A centro pagina, grande foto di Hillary Clinton: “La sfida di Hillary: pronta per la Casa Bianca”, “L’annuncio in un video: gli americani hanno bisogno di un campione, e io voglio essere quel campione”. Paolo Mastrolilli, corrispondente da New York, spiega: “In squadra vecchie volpi e giovani digitali”.
Nella colonna a destra, la finanza globale: “L’euforia truccata dei mercati”, di Francesco Guerrera.

Il Sole 24 Ore: “L’Irpef corre più dei redditi”. “Pesa l’effetto addizionali cresciute nei Comuni del 62 per cento e del 33 nelle Regioni”. “Tra il 2008 e il 2014 l’imposta personale è cresciuta di quasi il 10 per cento, i guadagni dichiarati solo della metà”.
A centro pagina il quotidiano si sofferma sul nuovo 730 precompilato: “Nodo-costi per il 730 precompilato. In media 45 euro per l’assistenza base al Caf, molto di più se i dati vanno corretti”.

Il Fatto apre con una inchiesta: “Piloti senza ali”, “Chi ha in mano le nostre vite. Inchiesta inedita, dopo la tragedia dell’Airbus, sulle vere condizioni di vita e lavoro di chi guida gli aerei: stipendi all’osso, ‘divieto’ di ammalarsi e controlli dimezzati. E chi alza il gomito perde la patente, ma continua a volare”.
A sinistra: “Il Papa parla di genocidio. E la Turchia protesta”, “Ankara richiama il suo ambasciatore”.
Sulla politica italiana: “B. scarica la Puglia nel nome di Salvini”, “Sondaggi lo danno perdente”.
E sull’inchiesta dei fondi delle cooperative che ha portato all’arresto del sindaco di Ischia Ferrandino: “Gli allegri affari tra Cpl e Ferrandino”, “Parla l’imprenditore amico del boss”.

Il Giornale: “Renzi lascia il Papa solo”. “Francesco rompe il silenzio sullo sterminio del 1915 sempre negato da Ankara. L’ira della Turchia”. “Il premier italiano sta zitto e non incontra il presidente armeno per non irritare i partner islamici”. L’articolo è firmato a Renato Farina.
Sulla politica interna: “Liguria, rivolta Ncd contro Alfano. Poli Bortone in campo in Puglia”. E poi: “Le toghe rifiutano il ‘cartellino’. ‘Meglio la privacy che la sicurezza’”.
A centro pagina, nello spazio del “controcorrente” del lunedì, si parla di don Ciotti: “Il doppiopesismo di don Ciotti. Il fustigatore salva le coop. Perché lo finanziano”.
Da segnalare in prima anche un articolo dedicato alla partecipazione di Roberto Saviano alla trasmissione ‘Amici’. “Amici fa il botto, ma Saviano è solo un allegato”.

Il Papa, gli armeni e la Turchia

Scrive Roberto Toscano in prima su La Stampa che Papa Francesco non passerà certo alla storia come maestro di sottigliezze, ma per il suo modo diretto di formulare forti principi e nette valutazioni: questa volta è toccato alla questione armena. In passato la Chiesa l’ha affrontata con periodiche commemorazioni delle vittime delle stragi del 1915, “ma mai con un riferimento esplicito e pronunciato in pubblico al termine ‘genocidio’”. Wojtyla usò espressioni come “massacro”, nella sua visita in Armenia nel 2001. Papa Bergoglio invece non solo ha usato quel termine, “ma ha detto che il genocidio armeno è stato il primo del XX secolo, mettendolo sullo stesso piano di quelli attuati da stalinismo e nazismo”. Il governo turco ha richiamato il proprio ambasciatore presso la Santa Sede e ha convocato il Nunzio apostolico ad Ankara. La Turchia, scrive Toscano, “anche se non può negare i fatti (tra l’altro provati nei processi intentati nel 1919-1920 sulla base del Trattato di pace, da corti marziali turche), vorrebbe contestualizzarli nel quadro di vicende più complesse”. Ma non si tratta della storia di cento anni fa, “bensì del presente. Erdogan non difende certo i massacratori di allora (fra l’altro, nazionalisti e tutt’altro che islamisti) ma – respingendo l’offesa alla nazione turca – ci tiene a impugnare la bandiera di un nazionalismo che rimane forte anche nelle correnti più liberali, dove non si nega la storia, ma si respinge un termine che accomunerebbe i turchi ai peggiori responsabili, nella storia, di quella atroce disumanità che consiste nello sterminare un gruppo umano in quanto tale”. Al di là di un “incidente diplomatico”, nota Toscano, il presidente turco Erdogan potrebbe trarre occasione “per compiere un ulteriore passo nella fusione tra nazionalismo turco e islamismo, fra l’altro con ripercussioni anche per i cattolici turchi”. La questione del genocidio armeno potrebbe essere consegnata alla storia “solo se la Turchia si rivelasse capace di chiudere, con generosità e autocritica, una disputa nominalistica e di riconoscere quel grande crimine innegabilmente commesso cento anni fa. Ma non sarà certo Erdogan a compiere questo passo”, conclude Toscano.

La Repubblica intervista lo storico Marcello Flores, autore del libro “Il genocidio degli armeni”. Spiega che “la parola ‘genocidio’, il termine giuridico che definisce il tentativo di distruggere un popolo, è nata proprio dal caso armeno”. Il termine, spiega, “è nato nel 1944: fu Raphael Lemkin, un giurista ebreo polacco emigrato negli Stati Uniti, a coniarlo all’epoca della Shoah. Lemkin però lavorava alla ricerca di una definizione già negli anni Trenta e partiva proprio da quello che allora ancora si definiva ‘massacro degli armeni’”. Con quali elementi la Turchia contesta la definizione? Flores: “La contesta davanti agli Stati esteri, ma nella stessa Turchia c’è un recente bestseller titolato sul genocidio armeno, di Hasan Cemal, che nessuno ha ritirato. L’autore è nipote di uno dei governanti dell’epoca dei fatti”.
Sulla stessa pagina la scrittrice italiana di origini armene Antonia Arslan racconta: “I nostri cento anni di solitudine, un buco nero scavato nella Storia” e, parlando dell’Armenia, scrive che “nella piccola repubblica del Caucaso tutto è scomparso dopo la terribile estate del 1915. Niente resta oggi tranne le fragili memorie conservate dai sopravvissuti. Il cui sogno è che questa tragedia oscurata entri nella memoria di tutti”.

Il Corriere intervista la stessa Arslan: “un crimine che non cade in prescrizione”. E Antonio Ferrari, sulla stessa pagina, a lungo corrispondente in Turchia per il quotidiano, spiega come fino a pochi anni fa fosse vietato anche parlare del massacro: “perché Ankara non vuole affrontare il passato”.

E, ancora su La Repubblica, Marco Ansaldo, inviato nella città turca di Kars, vicina al confine con l’Armenia (dove peraltro è ambientato il libro “Neve” di Orhan Pamuk), spiega come qui si trovi “la frontiera tra i due popoli che Francesco vuole far riconciliare”: “Un ponte spezzato è il simbolo della separazione e delle difficoltà a riaprire il dialogo. Venti metri che segnano la distanza tra isolamento, dolore, nazionalismo e crisi economica”. E “la pacificazione auspicata dal pontefice contribuirebbe non poco a stabilizzare una regione turbolenta come il Caucaso”.

La Stampa intervista Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma, che dice di condividere la denuncia del Papa: “È un fortissimo atto formale, ne sentivamo la mancanza. Papa Bergoglio colma una lacuna per noi ebrei inspiegabile”. E, riferendosi alle stragi di cristiani in corso, ricorda: “come comunità ebraica abbiamo protestato contro il massacro dei cristiani” e con noi “c’era la comunità di San’Egidio, non le istituzioni cattoliche. Mi chiedo le ragioni dell’assenza. Viene il sospetto che la presenza ebraica creasse imbarazzo”.
Sulla stessa pagina, Francesca Paci ricorda che un anno fa ci fu il rapimento delle studentesse cristiane in Nigeria ad opera di Boko Haram: “Nigeria, le 200 studentesse rapite, ‘Uccise e gettate in fosse comuni’”. Ad ipotizzare questo destino è stato, nei giorni scorsi, l’ufficiale dell’Unhcr Zeid al Hussein.

È una “mossa per ricordare al mondo le persecuzioni dei cristiani” e per “evitare l’indifferenza sui fatti di oggi” quella del Papa, secondo Gian Giacomo Vecchi sul Corriere della Sera. Bergoglio ha “pesato le parole con cura”. Una delegazione vaticana “parteciperà alle commemorazioni ad Erevan, nonostante le pressioni turche. Si dice che volesse partecipare anche il Papa, ma avrebbe creato troppe complicazioni diplomatiche”. Bergoglio ha anche apprezzato come gesto per “tendere la mano” la lettera scritta un anno fa da Erdogan “nella data di questa ricorrenza”. Anche se  per alcuni è stato “un gesto troppo debole”, è stato “a mio giudizio, grande o piccolo non so, un tendere la mano”.

Su Il Giornale Renato Farina scrive. “Finora l’Occidente ha lasciato il Papa solo, si arrangi lui con i suoi cristiani. Renzi? Figuriamoci.Zitto e mosca. Francesco ha disobbedito all’ordine ricattatorio della Turchia la quale nega il ‘genocidio’ e pretende il silenzio specie nel centenario di quell’eccidio spaventoso”. Farina scrive che Renzi, “così prodigo di tweet e interviste”, “non ha trovato dieci minuti di tempo per ricevere il presidente di Yerevan e nemmeno per diffondere una nota sullo storico evento per la messa per i ‘martiri armeni'”.
Ancora su Il Giornale: “Renzi fa il finto tonto per non irritare i partner commerciali”.

Hillary

La Stampa, pagina 4: “La seconda corsa della Clinton: ‘Sarò presidente degli Stati Uniti’”, “Otto anni dopo la sconfitta, l’ex first lady annuncia la candidatura alla Casa Bianca in un video di 2 minuti sul web: ‘Quando le famiglie sono forti, l’America è forte”. Paolo Mastrolilli, inviato a New York, spiega che la Clinton va “a caccia di fondi tra la classe media per non sembrare la voce dei ricchi”, “L’ex segretario di Stato gode dell’appoggio di Wall Street. Quello che le serve è però un contatto con il Paese reale”. Mastrolilli ha interpellato un personaggio che ha il compito di raccogliere finanziamenti per la famiglia, da quando Bill era presidente. La fonte anonima dice: “Il problema principale saranno i soldi. Troppi soldi, e da donatori troppo ricchi. Se vogliamo evitare l’impressione negativa della campagna imperiale che fallì nel 2008, e convincere la classe media che intendiamo affrontare e risolvere l’emergenza della disuguaglianza economica, dobbiamo essere molto prudenti nella raccolta dei fondi elettorali”. Hillary, ricorda Mastrolilli, si stava preparando da mesi per la nuova campagna, ma il problema è che ci vorranno “un mare di soldi”, perché le elezioni americane costano sempre di più. Esiste un tetto massimo di donazioni per gli individui, che non possono donare più di 2.700 dollari per candidato, ma la Corte Suprema ha annullato le limitazioni per i finanziamenti offerti al PAC, ossia i comitati politici che sostengono i candidati e i partiti, senza però coordinarsi ufficialmente con loro.
Alla pagina seguente, ancora su La Stampa. Mastrolilli descrive “il cerchio magico di Hillary tra giovani ‘digitali’ e vecchie volpi”. I temi della campagna, spiega, saranno “capitalismo responsabile”, lotta alle diseguaglianze economiche, rilancio della classe media sul piano interno e sicurezza senza avventure sul piano internazionale. A presiedere la squadra della campagna sarà John Podesta, che fu capo di gabinetto alla Casa Bianca con Bill Clinton ed è poi tornato a Capitol Hill come consigliere di Obama. Manager della campagna sarà Robby Mook, 35 anni, cresciuto a Internet e big data: ha appena guidato Mc Auliffe alla vittoria in Virginia. La politica estera è affidata al trentanovenne Jake Sullivan e a Dan Schwerin. Il primo era il braccio destro di Hillary ai tempi in cui era Segretario di Stato dove, con William Burns aveva avviato i negoziati segreti con l’Iran. Hillary -scrive Mastrolilli- sarà più morbida con Israele, rispetto ad Obama, ma l’apertura a Teheran era condivisa. Gli economisti che ha ascoltato di più sono -oltre ai vecchi amici Larry Summers e Robert Rubin- Teresa Ghilarducci e Heather Boushey, entrambi fautrici del “capitalismo responsabile”: “questo conferma -sottolinea Mastrolilli- che punterà ad essere il campione della classe media per sanare la diseguaglianza economica”.

Due pagine su La Repubblica sono dedicate alla candidatura di Hillary Clinton: “L’ex segretario di Stato dà l’annuncio in un video dedicato alle famiglie e alla classe media multiculturale. Obama: ‘Sarà un ottimo presidente’”. È Federico Rampini a raccontare come l’annuncio in un video sul web sia “storico”, per quanto atteso, perché sarebbe la prima donna presidente Usa. “Il lancio è un brillante prodotto di marketing, mix di professionismo e umiltà: la faccia di Hillary arriva solo alla fine. Prima sfila una carrellata di personaggi dall’America media. Una foto di famiglia della middle class, aggiornata al nostro tempo. Donne, meri, ispanici, asiatici, giovani, gay: tutte le constituency che Hillary deve ri-mobilitare e galvanizzare per ripetere gli exploit di Barack Obama nel 2008 e 2012. I maschi bianchi tendono a votare repubblicano, lei in questo video dà la voce e visibilità soprattutto agli altri. Una coppia di neri in attesa di un bambino. Una giovane neolaureta asiatica. Una mamma che dopo cinque anni passati ad allevare i figli vuole tornare a lavorare. Due coppie di gay. Una donna alla soglia della pensione che dice di volersi ‘reinventare’ (allusione alla 67enne Hillary?) e poi operai, piccoli imprenditori. Immigrati: un occhiolino alle etnie in crescita che la destra rischia di alienarsi con le posizioni xenofobe. Solo alla fine di questo viaggio tra tanti personaggi compare lei, Hillary. E si mette sullo stesso piano: gli altri caratteri che l’hanno preceduta nel video hanno raccontato i progetti cui lavorano, le speranze concrete sul loro futuro. ‘Anch’io -dice Hillary sorridendo- mi sto preparando per qualcosa. In gara per fare il presidente. Ogni giorno gli americani hanno bisogno di un campione e io voglio essere quel campione”.
Sulla stessa pagina, un ritratto di Kristina Schake, numero due della comunicazione di Hillary: “La guru di Michelle che dovrà reinventare la donna vissuta tre volte”.

Politica italiana

La Stampa, pagina 6: “Salvini sale sul carro di Berlusconi”, “Il leader della Lega sfida le critiche e sostiene Adriana Poli Bortone. Forza Italia rompe l’isolamento, ma il centrodestra resta spaccato”.
La Repubblica: “Poli Bortone, sì a Berlusconi contro il candidato di Fitto, nascono due Forza Italia”, “In Puglia fallisce la proposta del ticket con due nomi delle opposte fazioni. Meloni: per ora Fdi contro Schittulli”. E Tommaso Ciriaco firma il “retroscena” su Berlusconi: “La scelta dell’ex cavaliere: ‘Ingrati, li rottamerò tutti’”.

A pagina 11 su La Repubblica anche un’intervista al ministro Angelino Alfano, leader del Nuovo Centrodestra, che dice: “Nuovo polo alle regionali, saremo noi a sfidare Renzi, niente alleanze con i forzisti, sono scendiletto di Salvini”, “Non siamo portatori d’acqua del Pd. Su tasse,giustizia e lavoro abbiamo concorso a cambiare schema”. Il leader Ncd, spiega Franceso Bei, che lo intervista, punta a costruire un’area popolare e liberale lontana dall’estrema destra. E sulla strage al tribunale di Milano risponde all’appello della madre dell’avvocato: “troppe armi? Sì, dobbiamo riflettere”.

Sul Corriere: “’Poli Bortone dice sì’. Toti: ora Fitto si allinei”, “Fi: ha accettato. L’ex sindaco incassa l’ok della Lega: ticket con Schittulli? Depistaggio di Raffaele. Ma Fratelli d’Italia non scioglie la riserva, oggi il verdetto. I fedelissimi dell’ex governatore si autoconvocano.
E il quotidiano intervista il leader della Lega Salvini: “Mantengo i patti con Silvio, ma dopo le Regionali nascerà un altro centrodestra”, “sto preparando una missione a Washington”.

Su Il Fatto: “B. ha bisogno di Salvini e scarica Fitto e Puglia”, “Il ribelle tenta la mediazione, Silvio dice no: ‘Tanto abbiamo già perso’. Strategia: puntare tutto su Veneto, Liguria e Campania”.

Sul Corriere si dà conto della situazione del Pd e dei “potentati locali” che “imbarazzano” il premier. Si parla di Campania (“venerdì scorso Lotti è andato in Campania” per la vicenda De Luca, per dire che “il candidato è lui. Ma non per questo la Campania ha smesso di preoccupare Renzi”. C’è il caso Ercolano, dove “la sede locale del Pd è occupata per protesta contro la decisione di indicare da Roma il candidato sindaco”, visto che sul circolo Pd di Ercolano c’è una inchiesta della Dda e i due candidati si erano dovuti ritirare “perché indagati per corruzione e turbativa d’asta”. Altro comune: “A Giugliano (terzo comune della Campania per numero di abitanti), a marzo ci sono state le primarie, ‘una vera festa di popolo’ secondo il Pd locale con oltre diecimila votanti. Il vincitore, Antonio Poziello, quasi 4 mila preferenze, tra qualche giorno rischia di essere rinviato a giudizio per associazione a delinquere”.
E poi c’è il caso Agrigento, “un caso più unico che raro: le primarie del centrosinistra le ha vinte (oltre duemila preferenze) un candidato indicato da un deputato di Forza Italia”. Alla fine il Pd ha disconosciuto il risultato “ma i tormenti non finiscono”. Anche ad Enna stessa situazione: un candidato “imbarazzante” come Vladimiro Crisafulli
Michele Ainis firma l’editoriale del Corriere e scrive che gli oppositori Pd alla riforma della legge elettorale che chiedono il ritorno alle preferenze “vedono la pagliuzza, non la trave”. O meglio le “due travi”, “di metodo e di merito”, perché la nuova legge elettorale “alleverà un gigante con tanti cespugli, per riprendere l’espressione di Antonio Polito” e perché – nel metodo – è “viziata” dal fatto di applicarsi ad una camera quando ce ne sono ancora due. “La clausola di salvaguardia – che posticipa i suoi effetti al 1º luglio 2016 – è un ombrello bucato: nessuno può garantirci che a quella data la riforma del Senato sarà approdata in porto. E allora avremmo un sistema stralunato, con due Camere armate l’una contro l’altra, un maggioritario di qua, un proporzionale di là”. Secondo Ainis invece occorre mettere “nero su bianco che la nuova legge elettorale entrerà in vigore soltanto dopo la cancellazione del Senato elettivo. E in secondo luogo alzando la soglia al 5%, come in Germania. O anche, perché no?, , battezzando un premio di minoranza, per il partito che arrivi secondo in campionato”.

Economia

Sul Corriere il sondaggio è dedicato alle tasse. Nando Pagnoncelli scrive che “non stupisce” che, “a fronte di una sostanziale stabilità della pressione fiscale registrata dall’Istat nel 2014 (43,5% cioè 0,1% in più rispetto al 2013), quattro italiani su cinque ritengano che le tasse siano aumentate e solo il 18% che siano rimaste invariate”. Solo uno su cento pensa che siano diminuite. Dieci anni fa le due opinioni si equivalevano, segno che il fisco- da quando c’è la crisi – “rappresenta sempre di più un aspetto critico nella vita dei cittadini, molti dei quali sono stati chiamati a fare importanti sacrifici e giudicano eccessivo il carico fiscale. La percezione di aumento delle tasse prevale tra tutti gli elettorati, in misura più accentuata tra quelli dei partiti dell’opposizione, in particolare i leghisti (97%). E risulta particolarmente avvertita tra le persone meno istruite, gli operai, coloro che hanno un lavoro esecutivo e le casalinghe”.

Su La Repubblica, alle pagine 6 e 7: “Bonus per 7 milioni di italiani, il ‘tesoretto’ alle fasce deboli. Padoan: così crescita forte”, “Il ministro del Tesoro al lavoro su varie opzioni tecniche. Boldini: ‘Bene’. I sindacati chiedono l’estensione ai pensionati”. E di fianco il ministro del Lavoro Poletti che conferma: “I contratti stabili sono aumentati”. A pagina 9: “Meno fondi a Comuni e Regioni. Rischio salasso sui contribuenti, aumenti di tasse fino a 650 euro”: “il fisco locale -scrive Valentina Conte- ha grattato quasi fino all’osso. Eppure qualche spazio tra addizionali e Tasi ancora c’è. E potrebbe essere usato come arma di trattativa (o di ricatto) da governatori e sindaci alle prese con quasi 9 miliardi di tagli da gestire per quest’anno. Mercoledì il governo incontrerà ancora le dieci Città metropolitane, decise a scongiurare il peggio”. Nonostante i proclami, il rischio è sempre quello di un aumento delle tasse, con aggravi-choc dai 92 euro pro-capite a Roma ai 651 di Firenze. O l’erogazione di minori servizi.

In prima su Il Messaggero un editoriale di Francesco Grillo: “Le riforme costano ma fanno risparmiare”. L’attenzione è focalizzata sull’assenza nel Def delle risorse per i contratti dei dipendenti pubblici. “Molti dei discorsi che fanno gli esperti di contabilità pubblica italiani -scrive Grillo- partono da una premessa – mai dimostrata, mai messa seriamente in discussione – che le “riforme” costano. Tale assunto sembra, del resto, accettato anche dal Documento di Economia e Finanza appena presentato dal Governo: una maggiore efficienza dell’amministrazione pubblica (che, pure, per definizione, dovrebbe corrispondere ad un minore spesa dello Stato) costerebbe circa 300 milioni di euro all’anno per i prossimi tre anni secondo la previsione sull’impatto delle riforme sulla finanza pubblica. Peraltro, il documento – commentano i più preoccupati – neppure affronta la questione ben più consistente del rinnovo dei contratti nel pubblico impiego che, per molti, è assolutamente propedeutico per poter far vivere le riforme della PA e che potrebbe costare ben di più dei 10 miliardi necessari a non far scattare il tanto temuto aumento dell’IVA. Se la premessa sul “costo delle riforme” fosse vera, ci ritroveremmo, però, ancora una volta nel vicolo cieco dal quale non riusciamo ad uscire da decenni. Per ricominciare a crescere – lo stesso Def valuta che la riforma dell’amministrazione pubblica può aggiungere dal mezzo punto al punto intero di PIL nei prossimi anni – abbiamo assolutamente bisogno di trasformare in risorsa quello che è attualmente il peso della burocrazia; ma per riuscirci dobbiamo spendere soldi e capitale politico che non abbiamo”.

Una rettifica della rassegna stampa

In un articolo tratto dal Corriere della sera la nostra Rassegna italiana venerdì scorso indicava le società titolari della gestione dei controlli degli accessi al Tribunale di Milano al momento della strage del 9 aprile scorso. La frase poteva indurre a ritenere che tra le società ci fosse anche la Gf Protection. Non è così. Gf Protection ci ha comunicato di essersi effettivamente aggiudicata l’appalto insieme ad altre società, aggiudicazione confermata da tutti gli organi di giustizia amministrativa, ma di aver ceduto l’appalto per “ragioni di carattere organizzativo aziendale” ad altra società a partire dal 1 ottobre 2014. Ci scusiamo dell’errore.

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