Ambasciatore Usa ucciso a Bengasi

La Repubblica: “Attacco agli Usa. Obama: reagiremo”, “brucia il consolato a Bengasi, ucciso l’ambasciatore. ‘E’ stata Al Qaeda’”. A centro pagina: “Via libera al Salva Stati, l’Europa festeggia”.

Il Corriere della Sera: “Agguato mortale ai diplomatici Usa. Obama sospetta Al Qaeda e manda marines e droni in Libia: li puniremo”. A centro pagina il via libera al fondo Salva Stati e la “vittoria europeista” in Olanda.

La Stampa: “L’ombra di Al Qaeda. Ucciso l’ambasciatore Usa. Obama manda marines e droni e fa evacuare gli americani dal Paese”.

L’Unità: “Torna il terrore di Al Qaeda”.

Il Giornale: “Torna l’islam assassino. A Bengasi massacrati l’ambasciatore Usa e altri tre americani. I terroristi di Al Qaeda sono di nuovo all’offensiva per impaurire l’Occidente e conquistare il mondo. Obama reagisce: ‘Faremo giustizia’”. Basterà a fermarli?”

Il Foglio offre “Il vero film di un attacco militare”, e pubblica in prima pagina i sette tweet partiti dall’ambasciata americana al Cairo quando la manifestazione prevista per l’altroieri ha cominciato a diventare violenta.

Il Sole 24 Ore apre con il “sì tedesco al fondo Salva Stati. Via libera decisivo della Corte di Karlsruhe all’Esm da 500 miliardi, a condizione che l’impegno di Berlino non superi i 190 miliardi. Barroso presenta il piano di sorveglianza bancaria: vigilanza Bce su 6mila istituti”. Di spalla la notizia della uccisione dell’ambasciatore americano in Libia

Libero: “L’Euro è salvo, noi no. La Corte tedesca dà il via libera al fondo taglia spread, ma il premier tassatore rovina la festa: ‘Sto riflettendo sul mio futuro, temo che i politici vanifichino gli sforzi che abbiamo fatto'”:

Il Fatto quotidiano dedica il titolo di apertura agli ultimi sondaggi: “Sorpresa, il primo partito è Grillo più Di Pietro. 5 stelle al 18 per cento, Idv al 7,5. Gli ultimi sondaggi confermano: col Porcellum lo schieramento dei ‘non allineati’ potrebbe vincere le elezioni. L’ex Pm: ‘Hanno paura, cercano una legge elettorale per imbrigliarci”.

Europa: “Attacco al Pd. Udc e Sel già mettono a rischio l’allenza. Accerchiamento su articolo 18 e riforma elettorale, Bersani si ribella”. “Se questi sono gli amici di Nichi..” è il titolo dell’editoriale del direttore del quotidiano.

Bengasi

La Stampa tenta di ricostruire gli avvenimenti che hanno portato, martedì sera, alla morte dell’ambasciatore Usa a Bengasi, in Cirenaica. Una folla inferocita prende d’assalto il consolato americano e fonti della sicurezza pensano a una dimostrazione sul modello di quella inscenata poco prima davanti all’ambasciata Usa al Cairo, in segno di protesta contro il film di Sam Bacile sulla vita di Maometto, pubblicato dagli Usa su Youtube e considerato un insulto all’islam. Ma l’onda d’urto della protesta libica appare da subito ben più potente e organica, ci sono mililziani armati di tutto punto, e la dinamica sembra quella di un agguato organizzato con cura. I rivoltosi si battono con razzi Rpg, è una azione militare articolata in due ondate successive: una breccia nel muro di cinta permette al commando di entrare nel compound e l’edificio dove ha sede il consolato, già evacuato, viene dato alle fiamme. Al posto della bandiera Usa viene issata quella nera di Al Qaeda. L’ambasciatore Christopher Stevens e il resto del personale si sono trasferiti in un edificio considerato più sicuro. Secondo un funzionario del ministero degli interni, distaccato a Bengasi, Wanis al Sharef, sarebbero stati alcuni membri della sicurezza libica ad indicare ai dimostranti il luogo in cui si era rifugiato il personale. Poi l’edificio viene preso d’assalto e dato alle fiamme. Stevens viene trasportato in ospedale da un convoglio di soli libici e il medico che ha provato a salvarlo dice che è morto a causa di una asfissia letale dovuta all’inalazione di fumo. Il quotidiano scrive anche che Stevens era arrivato nel pomeriggio a Bengasi per raccogliere gli umori alla vigilia della nomina del nuovo premier libico, che era prevista proprio per ieri. Lo stesso quotidiano, in una corrispondenza da New York, collega quello che viene considerato un attacco meticolosamente pianificato ad un video di Al Zawairi, il successore alla guida di Al Qaeda di Osama Bin Laden: Nell’undicesimo anniversario dell’11 settembre chiedeva ai libici di vendicare la morte del suo comandante militare, Abu Yahya Al Libi, ucciso da un drone americano in giugno. Poche ore dopo la pubblicazione del video, il fratello minore di Al Zawairi, Mohamed, avrebbe partecipato all’assalto all’ambasciata Usa al Cairo, vantandosi con i media locali di averla innescata: “Abbiamo invocato una protesta pacifica da parte di fazioni come la Jihad islamica e Hazem Abu Ismael”. Il fratello di Al Zawairi, uscito in marzo dalle prigioni egiziane, è stato ripreso dalle tv sulle mura dell’ambasciata Usa mentre i manifestanti sostituivano la bandiera americana con il drappo nero dei salafiti, cantando “Obama, Obama, siamo tutti Osama”. E la motivazione della protesta era la denuncia del film islamofobo “Innocenza dei musulmani”, realizzato in California, sconosciuto al grande pubblico, ma presente su Youtube con un trailer. All’autore del video, il cinquantaseienne israelo-americano Sam Bacile, è dedicato un retroscena dello stesso quotidiano.
La Repubblica dice che non è chiaro se i Qaedisti (probabilmente Ansar Al Sharia, ma fino a tarda sera l’Amministrazione Obama non si sbilanciava sulla matrice) abbiano avuto la capacità di organizzare la manifestazione di piazza attorno alla villa americana o se semplicemente si siano accodati alla folla. Quel che è certo è che nell’assalto sono stati utilizzati Rpg e Kalashnikov, che a Bengasi sono molto diffusi: tuttavia le strade intorno al consolato sono state bloccate da jeep e tecniche con mitragliatrici a bordo, ovvero una azione militare per andare avanti.
Marco Ansaldo de La Repubblica e Guido Olimpio del Corriere conoscevano molto bene il diplomatico americano. Ansaldo scrive che è stato l’uomo chiave nella gestione della transizione di Tripoli dal regime di Gheddafi a quello attuale. Californiano, parlava l’arabo, dapprima volontario dei PeaceCorps, poi diplomatico a Gerusalemme, Damasco,Cairo, Ryad, Tripoli. Nel marzo 2011 diventa rappresentante speciale Usa a Bengasi dove – come ha ricordato la Clinton – arriva in nave. Il suo compito è tenere i rapporti con gli insorti libici, e per questo la città della Cirenaica diventa un luogo chiave: Stevens svolge un grande lavoro di tessitura, tiene i rapporti con i ribelli, coordina, contribuisce a tener viva l’attenzione a Washington. Quando è arrivato a Tripoli, ad un amico aveva raccontato il clima trovato nella capitale libica: “Tutto è cambiato in meglio, le persone sono più distese ed aperte con americani, francesi e inglesi. Sono benvoluti”. Credeva fermamente nella nuova Libia.
La Stampa riferisce le parole del Presidente Obama: “E’ particolarmente tragico che Chris Stevens sia morto a Bengasi, perché è una città che ha aiutato a salvare”. Stevens era stato tra i primi diplomatici ad arrivare in Libia, ed aveva contribuito a coordinare l’intervento militare della Nato.
Una analisi del Sole 24 Ore sottolinea come l’attacco al consolato Usa a Bengasi appaia una operazione pianificata e condotta in stile militare, con uomini armati di Kalashnikov e lanciagranate, ovvero una situazione ben diversa dal Cairo, dove, in una dimostrazione di stampo politico, i salafiti hanno assaltato l’ambasciata Usa a due passi da piazza Tahrir. Più che insistere sulla pista Al Qaeda, l’analisi ritiene più interessante collegare gli eventi alla situazione interna libica e ai suoi riflessi internazionali: ieri il Parlamento eleggeva il primo ministro, ed ha vinto un candidato appoggiato dai Fratelli Musulmani. Nel Paese circolano dozzine di gruppi armati, finanziati da fuori per destabilizzare la nuova Libia. Ed in gruppi armati integralisti si infilano nelle aree grigie dove lo Stato è debole.

Ed è ancora La Stampa a riferire che il nuovo primo ministro della Libia, Mustafa Abu Shagur, già vicepremier e vicino ai partiti islamisti, ha battuto nelle votazioni alla neoeletta Assemblea libica il capo dell’Alleanza dei Liberali Mahmud Jibril. Oltre a questi due candidati, c’era anche quello ufficiale degli islamisti, l’attuale ministro dell’elettricità Al Barassi. Jibril era in testa al primo turno, con 86 voti contro i 55 di Shagur. Ma al secondo turno tutti i partiti di ispirazione islamica hanno fatto convergere i loro voti su Shagur.

Commenti

Il Corriere della Sera intervista il filosofo della politica Michael Walzer, che ammonisce: “Rovesciare i dittatori non basta”. Della Libia dice che è un Paese in preda a tremende convulsioni, con un governo che forse ha il controllo di Tripoli, ma non della maggioranza del Paese, con milizie guidate da signori della guerra, con gruppi terroristici, con formazioni islamiche estremiste. Questa situazione l’abbiamo prodotta noi, bombardando la Libia per rovesciare Gheddafi, senza sapere chi ne avrebbe preso il posto, e se sarebbe stato in grado di governare. Io mi ero opposto al nostro intervento per queste ragioni”. Secondo Walzer la scommessa sulla primavera araba potrebbe esser persa, poiché i movimenti “liberal-democratici” sono deboli, e non riescono a riempire il vuoto provocato dalla caduta dei despoti: “Il vuoto lo riempiono o le forze armate o quelle religiose”. E’ necessario “aiutare la società civile emergente nell’Islam”.

La Repubblica intervista Charles Kupchan, uno dei principali esperti di politica estera americana. Bengasi indica una nuova strategia anti Usa nei Paesi arabi? “E’ la risposta, inaccettabile, a un video girato e diffuso in america. Si tratta di milizie armate che combattono contro il governo libico, che vogliono destabilizzarlo. Loro sono antiamericani, ma combattono su un fronte interno”. Cosa accadrà tra Washington e Tripoli? “Non credo che quanto è accaduto possa rovinare le relazioni tra Washington e il governo libico”. Ma il governo libico appare ostaggio delle milizie armate, fa osservare il quotidiano. “In Libia c’è stata una lunga guerra civile. Non vedo un nuovo antiamericanismo. Sono esplosioni di rabbia. L’opposizione armata va isolata, diamo tempo e aiuti al governo eletto”. La primavera araba è fallita? “Quella che è stata definita primavera è un lungo processo di transizione”.

Europa intervista Amr El Shobaki, analista del Centro studi politici-strategici Al Ahram del Cairo: “Nel mondo arabo gli Usa hanno sostenuto i cambi di regime, di conseguenza non esiste tra le popolazioni arabe un sentimento di odio verso Washington”, dice. Ma è “vero anche che nell’appggiare la transizione hanno fatto delle scelte, optando per le fazioni moderate anche se islamiste. Una decisione che gli estremisti di quegli stessi Paesi non hanno acora digerito. Per questo oggi ci sono diverse frange con posizioni antiUsa, ma non siamo affatto di fronte ad una nuova Al Qaeda o a nuove forme di jihadismo. Chi sono i responsabili dell’attacco in Libia? “Nel caso specifico un gruppo legato ai salafiti che si è scaldato all’idea della diffusione di un film americano-israeliano sul profeta. E’ un gruppo piccolo, aggregatosi sul fare, sull’azione, che in questo caso è l’attentato.

La Repubblica intervista l’intellettuale Ian Buruma: “Fa impressione pensare che l’ambasciatore ucciso fosse conosciuto come uomo del dialogo”, dice. “Era stato pubblicamente apprezzato dai ribelli che avevano cacciato Gheddafi”. Sam Bacile, l’autore del film, ha definito l’islam “un cancro”. Buruma: “Credo si tratti di un estremista folle, e l’asserzione lo dimostra. Tuttavia, per quanto grave sia quello che dice, credo sia importante difendere il principio garantito dal primo emendamento, e affermare che abbia anche il diritto di dire una cosa del genere”.

Adriano Sofri racconta il contenuto e lo spirito del trailer che ha scatenato la rabbia in Egitto e Libia. All’inizio “si ha subito l’impressione di aver sbagliato il filmato, e che si tratti di una parodia. E invece è proprio il trailer di un film costato cinque milioni di dollari e tre mesi di riprese. Il titolo è l’innocenza dei musulmani, che vuol dire esattamente il contrario, poiché il proposito è rivelare la vera vita di Mohamed. Si apre con l’aggressione di un manipolo di islamistici fanatici ad una farmacia gestita da cristiani copti. La polizia non interviene fino a che i fanatici non avranno completato l’opera. Poi si passa alla nascita di Maometto, con allusioni al fatto che il nome suggerirebbe la sua identità di bastardo. Scena successiva, le visioni del giovane Mohamed, curate da una fanciulla, che lo invita a mettere la testa tra le sue cosce. Segue una scena di investitura di un asino come primo animale musulmano.

Il Fatto ricorda che le immagini su Maometto infiammano il Medio Oriente alla vigilia dell’arrivo del Papa in Libano, Paese sempre sull’orlo di una crisi politico-confessionale. Benedetto XVI arrivrà a Beirut domani

Europa

Spiega Il Sole 24 Ore che la Corte Costituzionale tedesca ha dato il via libera al Fondo Salva Stati Esm respingendo i ricorsi che cercavano di bloccarne la ratifica e imponendo come sola condizione significativa che l’impegno della Germania resti nei limiti dei 190 di euro già concordati da Berlino: ma ogni aumento di questa cifra dovrà essere approvato dal Parlamento. La sentenza rimuove l’ultimo ostacolo importante alla nascita dell’Esm, che conterà su risorse per 500 miliardi euro. Dal punto di vista politico è un successo per la Cancelliera Merkel, che vede confermata la sua linea, finora premiata dai sondaggi di opinione in termini di popolarità, di mantenersi in equilibrio tra la crisi dell’eurozona e la difesa degli interessi del contribuente tedesco.
Il quotidiano spiega che con questa ratifica (la penultima mancante, poiché manca l’Estonia) si sposta ora sui governi in difficoltà l’onere di far richiesta di aiuto ai Fondi Salva Stati in cambio di impegni di politica economica. Si attiva così non solo la possibilità di intervento del Fondo Salva Stati, ma anche di acquisti di titoli del debito fino a 3 anni da parte della Bce, come indicato dal suo Presidente Draghi. Proprio il legame tra Fondi Salva Stati e quelli della Bce potrebbe però aprire un nuovo fronte giuridico: la Corte Costituzionale tedesca si è pronunciata ieri sulla richiesta di sospensiva da parte di sei diversi gruppi di oppositori, ma la decisione arriverà per la fine dell’anno. La Corte ha detto di voler chiarire gli aspetti legali del legame dell’azione con la Bce. Altra condizione posta dalla Corte Costituzionale è che la confidenzialità delle operazioni del Fondo non limiti le informazioni fornite al Parlamento tedesco. I giudici hanno anche detto no alla possibilità che all’Esm venga concessa una licenza bancaria per finanziarsi presso la Bce ed aumentare quindi le risorse a disposizione.
Il Corriere della Sera spiega che la Corte ha respinto i sei ricorsi, presentati dal Parlamentare Cristiano Sociale Peter Gawveiler, dal partito di estrema sinistra Linke e dall’associazione “Più democrazia”.
La Repubblica intervista Michael Stuermer, storico di centrodestra ed ex consigliere di Kohl: ricorda che le Toghe hanno richiamato il Bundestag alla sua responsabilità, e che è meglio chiamare questo organismo a pronunciarsi, piuttosto che affidare tutto alla Bce, che non gode di sufficiente fiducia presso l’opinione pubblica tedesca. E’ importante il richiamo dei giudici alla responsabilità di un organismo che è liberamente eletto.
La Stampa intervista Carsten Schneider, responsabile bilancio della Spd al Bundestag. Dice che la sentenza pone fine anche al tema degli eurobond, almeno a breve e medio termine: “A lungo termine abbiamo bisogno di una nuova convenzione e di una vera Costituzione europea, con una maggiore intesa nella Ue a 17 e una politica finanziaria comune. A quel punto si potrà anche decidere di assumersi insieme le garanzie in modo illimitato. Altrimenti non è possibile farlo, perché non è compatibile con la legge fondamentale tedesca.

E poi

Alle pagine R2 della cultura, una intervista allo studioso franco-bulgaro Tzvetan Todorov, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “I nemici intimi della democrazia”. Dice: “Anche se dopo l’11 settembre c’è chi ha cercato di trasformare l’islam in un nemico della democrazia, in tutti i sistemi democratici le minacce esterne non sono più un pericolo reale”, “oggi i veri pericoli provengono dall’interno della democrazia stessa, da quelli che ho chiamato ‘nemici intimi’, forme di perversione o di stravolgimento di alcuni dei suoi principi di base. Il populismo, l’ultraliberalismo o il messianismo non sono il contrario di ciò cui aspira la democrazia ma il risultato della dismisura di alcuni elementi – popolo, libertà, progresso – che la costituiscono”. Questa dismisura, secondo Todorov, è diventata possibile perché nel ventesimo secolo sono venute meno le limitazioni reciproche cui questi elementi erano sottoposti. La democrazia si fonda su un equilibrio tra diversi principi e non dal dominio di un principio unico: il principio della libertà deve trovare un limite che impedisca di arrivare alla “tirannia dell’individuo”. Il messianismo politico è una forma di hybris “che si è impossessata degli uomini ai tempi dell’illuminismo, distorcendo l’idea del progresso”. E come allora “crediamo ingenuamente nella superiorità della democrazia, al punto che consideriamo giusto e legittimo imporla anche agli altri attraverso guerre asimmetriche”.

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