Addio a Eric Hobsbawm

La Repubblica: “Subito il decreto taglia-Province. Dopo lo scandalo rimborsi, l’esecutivo accelera: entro ottobre via all’accorpamento. Ma le amministrazioni locali resistono”. “Monti: Intolleranza per gli evasori. Lasceremo ad altri il governo”.

A centro pagina: “Il pm: ‘Penati va processato’. L’ex presidente Pd della Provincia chiede il giudizio immediato. I democratici: si dimetta”. E poi: “Corruzione, rispunta il salva-Ruby”.

 

Il Corriere della Sera: “Svolta nella inchiesta sul Lazio. Nuove accuse a Fiorito, coinvolti i vertici regionali del Pdl. Le indagini sui fondi ai gruppi. Corruzione, tensione per un’altra norma salva Ruby”. A centro pagina: “’Penati prese tangenti’. I pm chiedono il processo e si riapre il caso politico. L’ex esponente del Pd: per ora non mi dimetto”.

 

Libero: “A processo il sistema Pd. Chiesto il giudizio per l’ex braccio destro di Bersani e per gli imprenditori amici: secondo l’accusa c’era un vorticoso giro di appalti, tangenti e finte consulenze per foraggiare il partito”.

 

Il Giornale: “Bersani, che botta. A processo il sistema Pd. Tangenti, i pm vogliono mandare a giudizio il suo ex braccio destro. Ma Penati rifiuta di lasciare e attacca: ‘Prima si dimetta Vendola’. Il segretario crolla nei sondaggi: gli italiani preferiscono Renzi a lui come premier”.

 

Europa: “Monti non si fa tirare per la giacca, i centristi ripiegano”. “Lasceremo il governo ad altri”, “uno stop all’arruolamento per coinvolgerlo nello scontro elettorale”. “Casini deve precisare: ‘Deve restare super partes’”.

 

La Stampa: “Arriva il nuovo redditometro. Il premier: ‘Intolleranza verso chi non paga le tasse. Lascerò il governo ad altri”. E poi: “Lazio, indagati i vertici del Pdl regionale. Tangenti, chieso il processo per Penati (Pd)”.

 

Il Sole 24 Ore: “Fmi: meno tasse sul lavoro. Squinzi: recuperare almeno dieci punti di competitività”. “Ok del Fondo alla delega di riforma tributaria, ma ridurre il cuneo fiscale. Il premier: intolleranza verso chi evade”:

 

Il Fatto quotidiano: “Tangenti, record mondiale. Corruzione, legge di facciata. ‘Libera’ rivela: proposte di mazzette a un italiano su dieci. Ma le norme Severino non fanno nulla contro la prescrizione, il falso in bilancio, l’autoriciclaggio e depotenziano la concussione proprio mentre a Monza inizia il processo Penati”.

 

Penati

 

Per i pubblici ministeri di Monza la associazione culturale “Fare metropoli” legata all’ex presidente della Provincia di Milano ed ex capo della segreteria politica di Bersani, Filippo Penati, era il “mero schermo destinato ad occultare la diretta destinazione delle somme a Penati, come ricorda La Repubblica.. I pm, dopo due anni di indagini, chiedono il rinvio a giudizio di Penati ed altri 22 indagati. “Sono estraneo alle accuse -insiste Penati- e chiederò il processo immediato”. Se il gup lo rinvierà a giudizio, dovrà rispondere di concussione, corruzione e finanziamento illecito. L’ex presidente della Provincia di Milano, insieme al suo ex capo di gabinetto Giordano Vimercati a all’imprenditore Piero Di Caterina (accusatore del ‘sistema Sesto’), dovranno rispondere di concussione per la riqualificazione della ex Marelli perché, secondo le accuse, avrebbero ‘indotto’ l’imprenditore Giuseppe Pasini ad una “permuta di terreni a condizioni inique”, con un “conguaglio di un miliardo 250 milioni di lire a Di Caterina” quale condizione “per l’attuazione dell’intervento sull’area”. Il Corriere spiega che Penati deve difendersi su tre fronti: i grandi appalti di Sesto San Giovanni, la gestione della società autostrade Milano-Serravalle e i finanziamenti all’associazione ‘Fare metropoli’. Per quel che riguarda il sistema Sesto, Penati avrebbe indotto Pasini, interesssato al recupero edilizio dell’ex acciaierie Falck al pagamento di un a tangente di 4 miliardi di lire e di altre ‘consulenze’ per oltre due milioni di euro ad un a serie di professionisti che sarebbero stati imposti dallo stesso Penati. Altro filone: la Milano-Serravalle, società autostradale acquisita dalla Provincia di Milano, che Penati avrebbe gestito come ‘amministratore di fatto’, ricevendo un a tangente da 2 milioni di euro per la realizzazione della terza corsia della Milano-Genova. Per quel che riguarda i finanziamenti illeciti ed occulti, avuti da Penati tramite l’associazione, tra coloro che avrebbero elargito denaro vi sarebbero l’ex presidente della Banca popolare di Milano Masimo Ponzellini e l’imprenditore pugliese Enrico Intini, legato a Massimo D’Alema. Idv e Sel chiedono le dimissioni di Penati da consigliere regionale. La segreteria lombarda del Pd, dopo la richiesta di rinvio a giudizio dei pm, ha ieri diramato un comunicato in cui si rinnovava il rispetto per il lavoro della magistratura e ci si augurava che l’ex presidente della Provincia dimostrasse la sua estraneità ai fatti contestati: “La scelta di voler chiedere il rito immediato è certo un segnale importante. Ora se la magistratura giudicante decretasse l’effettivo rinvio a giudizio per gravi ipotesi di reato, siamo certi che Penati per primo ne trarrebbe le immediate conseguenze anche nei confronti dell’istituzione regionale”. Penati stesso ha ricordato di aver già abbandonato ogni incarico di partito e di aver rinunciato a far parte del gruppo consiliare del Pd (“Sono il recordman dei passi indietro, io”): “Se l’impianto accusatorio venisse confermato, saprò assumermi le mie responsabilità come ho sempre fatto”.

“Una brutta botta per il Partito Democratico”, scrive Vittorio Feltri su Il Giornale, sottolineando però che non è affatto sicuro che la richiesta di rinvio a giudizio venga accolta dal Gup, “e, quand’anche lo fosse, non significherebbe che l’imputato sia colpevole. Rimarrebbe da celebrare il processo, che Penati ha annunciato di volere con rito abbreviato, convinto di avere argomenti difensivi per essere scagionato”. Alle pagine della cronaca giudiziaria il quotidiano sottolinea come il focus dell’inchiesta investa in pieno il partito di cui Penati era a Milano il leader indiscusso, oltre che uomo di fiducia e plenipotenziario del segretario Bersani. Il Giornale la legge così:“è nella sua veste di segretario dei Ds milanesi, dice la procura di Monza, che Filippo Penati avrebbe accettato e imposto tangenti. Ed è con i soldi rastrellati da Penati e dal suo staff che sono state finanziate le campagne elettorali dei DS milanesi: tra cui quella per le elezioni regionali del 2010, che videro Penati soccombere davanti al governatore uscente Roberto Formigoni”. Il quotidiano parla anche di una “vendetta” di Penati, che “fa esplodere la sinistra”. Ci si riferisce ancora alle dichiarazioni dello stesso ex presidente della Provincia di Milano: “Vogliono che me ne vada? Io allora chiedo che mi venga applicato lo stesso metro di giudizio di Vendola, la cui posizione è per alcuni aspetti ben più grave della mia”.

 

Scrive L’Unità che l’udienza preliminare si potrebbe tenere entro l’anno, ma il fatto che Penati voglia accorciare i tempi chiedendo il rito abbreviato, potrebbe prevedere il passaggio direttamente al dibattimento, saltando l’udienza preliminare.

 

Tobin tax

 

L’Unità ha lanciato, tramite il proprio sito, un appello per l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, nota come Tobin Tax. Il quotidiano ricorda che il 18 e 19 ottobre ne discuteranno nel Consiglio europeo i capi di Stato e di governo. Si tratterebbe di una imposta dello 0,1 per cento da applicare sugli acquisti e le vendite degli strumenti finanziari di carattere speculativo e dello 0,01 per cento da applicare sui cosiddetti derivati. Di una “Tobin tax europea” si parla da anni senza che si sia potuti arrivare ad una conclusione, a causa delle opposizioni di alcuni Paesi dell’Ue, capitanati dal Regno Unito. Il quotidiano ricorda anche che più di un anno fa il Parlamento europeo, con una iniziativa partita dal gruppo dei socialisti e democratici, ne ha votato l’istituzione. Secondo i calcoli del Parlamento europeo, l’imposta frutterebbe circa 60 miliardi di euro all’anno. In vista del Consiglio europeo, il presidente francese Hollande e la Cancelliera tedesca Merkel hanno proposto che – in mancanza di un accordo generale – si proceda alla approvazione della tassa sulle transazioni finanziarie con il metodo della cooperazione rafforzata, istituto comunitario previsto dai Trattati, che permette ai Paesi che lo vogliano di procedere, purché siano più di 9 all’interno dei 27 dell’Unione. Il quotidiano rivolge un appello al governo italiano perché faccia propria l’iniziativa franco-tedesca. Tanto che un deputato Pd, Francesco Boccia, dichiara che il gruppo potrebbe valutare l’ipotesi di presentare una mozione in Parlamento, dove “una grande maggioranza vuole la Tobin tax”: “così il governo avrebbe un chiaro mandato”. Secondo L’Unità c’è una certa “ambiguità” del titolare dell’Economia, Vittorio Grilli, che, nei giorni scorsi, aveva dichiarato che “l’Italia ha tenuto una posizione aperta” ed aveva specificato: “Vedremo al prossimo Ecofin (previsto per il 9 ottobre, ndr) se riusciremo a trovare una convergenza all’interno dell’Europa”. Lo stesso deputato Boccia sospetta che il ministro sia in realtà contrario: “tutte le volte che il Pd avanzava proposte in quel senso, Giulio Tremonti rispondeva di no, anche ridicolizzandoci. Ho il fondato sospetto che il suo direttore generale (Grilli era direttore generale al Tesoro, ndr) fosse d’accordo con il Ministro. In ogni caso voglio ricordare che questa è una decisione politica. E’ il Parlamento che decide”. Secondo L’Unità, che ricostruisce le origini della proposta del premio Nobel James Tobin, i tentativi di applicarla (Svezia, 1984) e il dibattito in Europa (l’associazione Attac, per esempio, la decisione del premier laburista britannico Gordon Brown di sposare la proposta, il bilancio del Presidente Sarkozy e della Cancelliera Merkel), il 66 per cento dei cittadini europei sarebbe favorevole alla Tobin Tax.

 

Monti

 

Secondo il Corriere della Sera ieri Mario Monti ha “messo il freno” agli entusiasmi di chi già pensava ad un suo bis a Palazzo Chigi con queste parole: “Quando lasceremo ad altri, nei prossimi mesi, il governo, spero che consegneremo un Paese un po’ più rasserenato e un po’ meno rassegnato”. Lo stesso presidente del Consiglio, meno di una settimana fa, aveva aperto uno spiraglio a questa ipotesi,dichiarando: “Prenderei in considerazione un secondo mandato solo in circostanze particolari, e se richiesto dalle forze politiche in campo”. Una disponibilità accolta con favore da Luca Cordero di Montezemolo, che auspicava “la nascita di una forza riformatrice e liberale per dare consenso elettorale al percorso avviato da Monti”. Poi, domenica scorsa, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini lanciavano l’idea di una “lista nazionale per l’Italia”, che avrebbe potuto trovare “un naturale interprete proprio nella disponibilità di Monti ad andare avanti nel cammino di governo”, come aveva detto Casini.

Polemico Libero: “Monti fa un passo indietro, ma è soltanto un bluff”. E insiste, in un’altra analisi: “Se vuole restare ci metta la faccia”, “il Presidente del consiglio insiste con la sua tattica ambigua: dice di non pensare al secondo mandato, ma lascia che i centristi gli preparino la strada. Così non rischia e, male che vada, può puntare al Colle”. Secondo il quotidiano il vantaggio personale che Monti ricava dalla scelta di non candidarsi si chiama Quirinale. Perché se, complice il Porcellum, dalle urne uscisse una coalizione (ad esempio quella tra Pd e Sel) in grado di esprimere un premier politico (ad esempio Bersani) Monti avrebbe ottime chances di essere il successore di Giorgio Napolitano, se non altro per dare all’Europa la garanzia che Vendola nella stanza dei bottoni non produrrà troppi danni.

E il quotidiano sintetizza in un titolo: “Fini, Casini e l’ex azzurro Pisanu: con il Prof il nuovo che è avanzato”.

Della vicenda si occupa Il Foglio: “Not in my name”. “Con poche sentite parole Monti e Napolitano si liberano di parassiti”. E’ una “operazione parassitaria” quella di Casini, Fini e Montezemolo e la lista civica per Monti non ha l’autorizzazione dello stesso Presidente del Consiglio, né la simpatia del nume tutelare del governo tecnico, Giorgio Napolitano. Secondo Il Foglio, prima di parlare, Monti deve essersi consigliato con il Quirinale: a Napolitano non importa nulla delle operazioni “politiciste” e “nominalistiche” che tendono a coinvolgere suo malgrado il Professore. Al Capo dello Stato interessa che i partiti si accordino sulla riforma della legge elettorale e che, in previsione del 2013, la cosiddetta agenda Monti venga blindata con o senza Monti a Palazzo Chigi. “Quanto al futuro del Professore, dalle parti del Quirinale si sussurra che Monti ‘è una risorsa’ comunque utilizzabile: non c’è solo il Monti bis”. E sembra di capire che il capo dello Stato abbia già qualche idea su chi possa essere il suo successore: chi più di Monti, dall’alto del Quirinale, anche di fronte ad un governo schiettamente politico, può garantire ai vertici europei, alla comunità internazionale e ai mercati che l’Italia rispetterà gli impegni presi e proseguirà sulla strada delle riforme? La corsa per il Quirinale sembra già iniziata, e se il Pd non ha ancora un candidato suo (ma Romano Prodi ci spera), nel Pdl, a casa di Berlusconi, adesso molti fanno capire di non essere affatto contrari all’ipotesi che a Giorgio Napolitano succeda proprio Mario Monti.

 

Internazionale

 

Il 65enne Peer Steinbruck è il candidato socialdemocratico che sfiderà la Cancelliera Merkel alle elezioni politiche del 2013. E’ stato designato all’unanimità dal direttivo dell’Spd. Negli anni della Grande Coalizione è stato ministro delle Finanze. Del governo attuale ha detto che “è uno dei peggiori, forse il peggiore della storia Repubblicana”. Vuole allearsi con i Verdi, anche se, al momento, non avrebbero abbastanza voti. Dovrà dunque cercare alleanze con i Liberali, ormai ridotti al lumicino, o scendere a patti con la Cdu della Merkel per una nuova, grande coalizione.

 

Il Foglio ha un inviato in Siria (Daniele Raineri) che racconta la guerra tra i ribelli e le bande di Al Qaeda, perché quella contro il governo di Assad è una rivoluzione con due anime: la prima è l’originale e nazionalista, è maggiritaria, è nata disarmata e poi si è militarizzata per autodifesa. La seconda è sopravvenuta più tardi, è minoritaria, è islamista (nel senso che non ha a cuore al Siria in sé ma combatte per la causa musulmana mondiale) è parente nelle idee di Osama Bin Laden ed è nata già militarizzata.

 

E poi

 

E’ scomparso ieri a 95 anni lo storico britannico Erico Hobsbawm. Nato nel 1917 ad Alessandria d’Egitto da genitori ebrei, come ricorda La Repubblica, è cresciuto nell’Austria impoverita e mutilata del primo dopoguerra. Si trasferisce a Berlino negli anni della Repubblica di Weimar, aderendo al Partito comunista, ed abbandonando la Germania per Londra dopo l’ascesa di Hitler. Scrive Guido Crainz sul quotidiano: “Sarà poi militante del piccolo e settario partito comunista inglese sino al 1956: vi rimarrà iscritto ma diventerà semmai – per usare le sue parole – ‘una specie di membro spirituale del Partito comunista italiano, molto più consono alla mia idea di comunismo’”. Per Crainz fu testimone altissimo della possibile fecondità di un marxismo aperto, svincolato dalle ortodossie, ma al tempo stesso dei suoi interni limiti”.

Autore di “The age of extremes: the short 20th century, 1914-1991”, che in Italia diventò “Il secolo breve”. E sempre La Repubblica a proporre una intervista inedita ad Hobsbawm del corrispondente a Londra Franceschini, che gli chiede se ritenga possibile scrivere una storia comune dell’Europa del Ventesimo secolo. Risposta: “Innanzitutto siamo troppo vicini al Ventesimo secolo per avere un accordo generale tra i Paesi europei sugli avvenimenti che lo hanno caratterizzato. L’Europa del 900 è stata in larga misura un continente così diviso, politicamente e ideologicamente, che sarebbe molto difficile trovare un terreno comune per raccontarla. Ma non dico che ciò sarebbe impossibile. Dico che non sarebbe semplice”. Hobsbawm ricornosce di aver subito condizionamenti nel suo lavoro di storico: “Sono stato condizionato dall’epoca in cui ho vissuto, segnata dalla Seconda guerra mondiale, dalle grandi rivoluzioni, da un mondo diviso dalla guerra fredda, dalle lotte operai e sindacali per rendere più umano il lavoro”. Per questo “lo storico totalmente obiettivo è una utopia”.

 

Su Hobsbawm (“copywriter del Secolo breve”) Il Foglio scrive che un segreto dello storico fu quello dello pseudonimo (Francis Newton) con cui firmò dal 1956 al 1966 le recensioni di musica jazz sul New Statesman, bibbia dei sinistrorsi inglesi. Il quotidiano sottolinea che qualcuno dei suoi fan italiani vacillò quando su La Repubblica Hobsbawm difese lo storico David Irving, accusato di negazionismo sull’Olocausto. Hobsbawm sosteneva che Irving avesse ragione a dire che non c’era una vera e propria prova che Hitler avesse ordinato personalmente la soluzione finale, e aggiungeva che non era sbagliato sollevare i dubbi sulla retorica pubblica o versione holliwoodiana dell’olocausto, che può trasformarsi in “mito legittimante dello Stato di Israele e della sua politica”.

Sul Corriere della Sera è Giuseppe Galasso a ricordarlo, sottolineando come al centro delle sue ricerche vi fossero stati anche gli operai e i fuorilegge. Lo ricorda sullo stesso quotidiano anche Antonio Polito (“Le passioni assolute dell’intellettuale che non rinnegò mai la sua utopia russa”). Scrive Polito che rimase “uno storico comunista senza il comunismo”. Ricorda una definizione che lo stesso Hobsbawm gli diede di sé: “Io faccio parte della ristretta schiera dei comunisti tory”.

L’Unità dà l’addio ad Hobsbawm con un intervento di Silvio Pons (“Comunista a vita”) e con una intervista allo storico Rosario Villari, che racconta come il sogno di Hobsbawm fosse fare “una storia totale”. Villari ricorda come il tratto distintivo del suo lavoro fosse il suo interesse alla storia delle classi popolari. Nel suo studio, a casa sua, racconta Villari, “ho visto una quantità eccezionale di suoi libri tradotti nelle lingue più diverse”.

 

Da segnalare su Reset un ricordo di Giancarlo Bosetti, attraverso una intervista con lo storico inglese risalente al 1989, pubblicata su L’Unità.

 

Su tutti i quotidiani le foto della pubblicità Ikea messe a confronto: nelle versioni dei cataloghi destinate all’Arabia Saudita le donne sono state cancellate con il Photoshop. L’azienda si è scusata.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *