Un “borghese moderato”, il socialismo di Salvador Allende

Con il rigore di un saggio storico e l’interesse di una biografia, questo libro di Jesus Manuel Martinez ci riporta ad una vicenda che ha colpito e commosso l’opinione pubblica mondiale, e in particolare quella italiana: il tentativo del Presidente cileno Salvador Allende di realizzare una formula politica capace di rendere compatibili socialismo e democrazia, e la tragica fine dell’esperimento, e dello stesso Allende, l’11 settembre 1973.
La figura di Allende emerge da queste pagine in tutta la sua umanità, i suoi difetti (una grande vanità, ad esempio), ma anche l’ assoluta coerenza, il coraggio politico e personale e soprattutto il generoso impegno a favore degli umili.

Borghese di origine, medico, massone, con grande senso dell’umore e un notevole fascino con le donne, Allende non possedeva nessuna delle caratteristiche che contraddistinguono i militanti rivoluzionari. Eppure la sua coerenza e il suo impegno, spinti fino al massimo sacrificio, hanno di gran lunga superato il superficiale atteggiarsi di tanti presunti radicali che, anche nel suo stesso partito, ne criticavano l’eccessiva moderazione e il rispetto della “legalità borghese”.

Il “borghese moderato” si uccide dopo aver sparato ai golpisti dalla finestra del palazzo presidenziale della Moneda, il bon vivant si congeda dalla vita con un sacrificio eroico. La fine giustifica e illumina tutta la sua vicenda sia umana che politica.
Nel libro di Martinez la narrazione della vicenda personale di Allende si intreccia costantemente con la storia politico-sociale di un Paese piccolo e lontano dall’Europa, ma nello stesso tempo sorprendentemente sviluppato dal punto di vista culturale e capace, dal punto di vista politico, di ricreare (a differenza dagli altri Paesi latinoamericani) una gamma di opzioni partitiche affine a quella che conosciamo in Europa: comunisti, socialisti, democristiani.

Va detto, per inciso, che proprio questa “affinità a distanza” spiega il motivo dell’intensità con cui l’11 settembre 1973 e la successiva dittatura sono stati vissuti dall’opinione pubblica del nostro Paese: il lontano Cile ci è risultato pienamente riconoscibile, e quindi capace di suscitare la nostra solidarietà.
L’interesse di questo libro va comunque al di là della storia cilena e della biografia di Allende. In queste pagine, intense ma di facile lettura, si ripropongono tutte le più classiche tematiche della questione politica: violenza o legalità, etica della convinzione o etica della responsabilità, forzatura rivoluzionaria o rispetto del “passo umano” delle società, dialogo o scontro.

Le scelte di Salvador Allende, fin dall’inizio della sua carriera politica, non sono mai state ambigue. La legalità e il rifiuto della violenza, in primo luogo (Martinez cita la sua definizione di Robespierre e Marat come “rivoluzionari patologici”). E anche la costante preoccupazione delle conseguenze di una determinata scelta politica: di qui i suoi tentativi, condotti fino all’ultimo, di evitare lo sbocco eversivo accettando anche, in pratica, di congelare il proprio progetto politico pur di salvare le istituzioni e risparmiare al Paese il colpo di stato.

(Risulta accertato che i golpisti accelerarono i propri piani quando divenne evidente che Allende avrebbe accettato di sottoporre a referendum il proprio progetto sulle aree dell’economia ben sapendo che lo avrebbe perso. Non volevano infatti – come ben presto dovettero riscontrare i democristiani cileni, all’inizio tutt’altro che ostili al golpe – fermare Allende, ma distruggere il sistema democratico e abrogare tutti i partiti, anche quelli di destra).

Se l’obiettivo di Allende era certamente socialista (con una componente non dogmatica di origine marxista) e non socialdemocratico, il metodo era autenticamente ed esclusivamente democratico. Interessante è, a questo proposito, leggere le pagine che descrivono la sua relazione con il Partito Comunista. Allende certamente non era comunista, ma nemmeno anticomunista, nella misura in cui i comunisti cileni, fino alla fine, sono stati i più vicini al suo progetto e i più responsabili – molto più dei socialisti che spesso criticavano Allende “da sinistra” e il cui Segretario Generale, Altamirano, senza tener conto della realtà politica (e del minaccioso fattore militare) esortava fino all’ultimo ad “Avanzar sin transar” (Avanzare senza transigere).

Di grande interesse anche le pagine sul rapporto con Fidel Castro, con cui Allende manteneva una ostentata solidarietà rivoluzionaria senza però alcuna affinità concreta, convinto com’era che il Cile, per la sua storia e la sua realtà sociale e culturale, non doveva, e non poteva, cercare di imitare modelli di altri Paesi.

Un bel libro, un libro utile, un libro estremamente valido per comprendere non solo le radici dell’odierno Cile democratico – con al suo vertice, oggi, Michelle Bachelet, figlia di un martire della dittatura e lei stessa imprigionata e torturata dopo il golpe – ma il più ampio discorso su dittatura e democrazia, libertà e giustizia.
E anche sulla coerenza e la dignità, il dialogo e il rispetto dell’avversario politico.

Titolo: Salvador Allende. L’uomo, il politico

Autore: Jesus Manuel Martinez

Editore: Castelvecchi

Pagine: 384

Prezzo: 22 €

Anno di pubblicazione: 2013



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