Stato Islamico, la vera storia

Le analisi, i reportage e i resoconti sullo Stato Islamico di Giuliano Battiston, ricercatore e giornalista free lance, membro dell’associazione indipendente Lettera 22, diventano un e-book dal titolo Stato Islamico. La vera storia, pubblicato da L’Espresso.

Un testo unico nato da scritti apparsi negli ultimi mesi su Reset, il Manifesto, Pagina99, L’Espresso, Lo Straniero, minima&moralia, per fare il punto u un’organizzazione che ha una storia ben più lunga di quella indicata dalla sua comparsa ufficiale, e che trae le sue origini anche dal baathismo e dalla dittatura di Saddam Hussein, tanto quanto dalla figura di Abu Musab al-Zarqawi, fondatore di Al Qaeda in Iraq.

Le origini

Battiston riprende l’analisi di Hassan Hassan, autore del libro Isis. Inside the Army of Terror, e ribadisce che molti degli attuali quadri dello Stato Islamico sono ex membri del regime iracheno con esperienza di intelligence, sicurezza, operazioni militari e amministrazione: proprio per l’offensiva su Mosul del giugno del 2014 sarebbe stato fondamentale il contributo di ex baathisti, guidati da Izzat Ibrahim al-Douri, figura di primo piano dell’era Saddam e coordinatore della Campagna per la fede islamica, iniziativa che negli anni Novanta avrebbe favorito l’avvicinamento del baathismo al salafismo. La tesi di Hassan è che l’attuale essenza dell’Isis vada ricondotta proprio a questa fusione ideologica.

Ad Al-Zarqawi si deve invece l’imstato islamico vera storiapostazione militare: nel libro viene ripercorsa la sua biografia, con i viaggi in Afghanistan e Pakistan, la conoscenza di Abu Muhammad Al-Maqdisi, uno degli ideologi del jihadismo contemporaneo, il carcere, la radicalizzazione, il trasferimento ad Herat e poi fuori dal territorio afghano, fino al Kurdistan iracheno, con la fondazione della branca di Al Qaeda in Iraq. Per Al Zarqawi l’obiettivo è quello di colpire gli sciiti della regione, per contrastare l’influenza iraniana. Presto però entra in rotta di collisione con la “casa madre” proprio per il suo target interno e non internazionale, che sta alimentando pericolosi settarismi. Dopo la sua morte nel 2006 il successore Abu Ayub Al-Masri, consapevole del risentimento degli iracheni nei confronti degli jihadisti, continua a combattere le truppe di occupazione e ad osteggiare il governo di transizione, ma allo stesso tempo colpisce anche i sunniti che si oppongono al progetto del Califfato e cerca di allargare il fronte del consenso ad altri gruppi armati. Nell’ottobre dello stesso anno il movimento diventa Isi, Stato Islamico in Iraq.

Il racconto prosegue con un profilo di Abu Bakr al Baghdadi, detenuto a Camp Bucca per nove mesi nel 2004, poi nel Consiglio direttivo dello Stato Islamico dal 2007 e nel 2010 eletto leader assoluto, in un momento di debolezza del movimento. La riscossa comincia quando le truppe internazionali lasciano l’Iraq: è in questa fase, spiega Battiston, che si intensificano gli attacchi contro il governo dello sciita al-Maliki, e che viene sfruttato il risentimento sunnita che si sente discriminato ed escluso dalle decisioni del nuovo esecutivo. La percezione, in Iraq come in Siria, è che a comandare siano gli sciiti sotto la diretta influenza dell’Iran. Nel frattempo, nel 2013, il gruppo comincia ad essere attivo anche nella guerra civile siriana.

Ormai è documentato, racconta Hassan Hassan, citato nel libro, in seguito all’invasione americana in Iraq il regime siriano ha facilitato il flusso di jihadisti dalla Siria all’Iraq, ha incoraggiato gli imam locali a invocare il jihad, ha liberato dalle carceri prigionieri salafiti, e attraverso gli iraniani ha fornito un aiuto logistico ai militanti che combattevano contro i soldati americani. In seguito ha permesso che i gruppi jihadisti prosperassero in Siria, così da presentarsi all’esterno come l’ultimo baluardo contro il fondamentalismo.

Il punto di rottura

Il 2013 è l’anno dello scontro definitivo con Al Qaeda: se Al Baghdadi sostiene che il suo fronte includa anche i siriani di Al Nusra, sono loro stessi a prenderne le distanze, ribadendo fedeltà ad al Zawairi, che nel frattempo è diventato la massima autorità del jihadismo globale. Nel mese di giugno il futuro Califfo lo sconfessa, e afferma che non si ritirerà dai territori in cui ha preso il controllo. Una rottura ideologica che, spiega Battiston, è anche generazionale. Un anno dopo, la conquista di Mosul rappresenterà, come sostiene Jason Burke nel suo ultimo libro The new Threat, the past, present and future of islamic militancy, il più significativo evento per i militanti musulmani del mondo dopo l’11 settembre 2001. Lo Stato Islamico nascerà ufficialmente pochi giorni dopo, il 29 giugno, con il discorso dell’autoproclamato califfo.

Dopo un excursus sugli ideologi radicali, i concetti di salafismo, jihad offensivo e difensivo, fino a quello globale, l’autore si interroga su cosa il gruppo di Al Baghdadi allo stato attuale abbia rigettato, degli elementi del passato: dal riformismo dei Fratelli Musulmani al jihadismo locale di Sayyd Qutb. È proprio quando nel 2011 l’ondata globale sembra essersi esaurita che si manifestano i segni di un nuovo risveglio, che fa seguito alle primavere arabe, si innesta sul ciclo di violenze in Siria, sul fallimento dell’Iraq e delle politiche occidentali in Medio Oriente, sulla rinnovata competizione regionale tra Iran e Arabia Saudita.

La macchina burocratica

Dopo aver analizzato le origini del movimento e delle ideologie che ne sono alla base, l’autore entra nel dettaglio dell’organizzazione dello Stato Islamico come macchina amministrativa, capace di investire tutti i settori della vita pubblica e privata, compresi il sistema scolastico e i piani agricoli. Una strana combinazione tra forza bruta, repressione, intimidazioni da una parte e concessioni e servizi dall’altra, per dirla con le parole di Hassan. Non si può dunque parlare di una fazione militante ma di un vero attore istituzionale, con una pianificazione centralizzata ed un progetto statuale. Le fasi del controllo del territorio vengono spiegate dettagliatamente: si formano delle cellule dormienti che infiltrano gli altri gruppi già presenti sul territorio, si sonda il terreno e si identificano gli interlocutori più idonei. Poi si passa all’addestramento per avviare la campagna militare. Una volta conquistati alcuni quartieri o villaggi, si avvia la propaganda fra la popolazione, fra i giovani in particolare. Completata la presenza sul territorio, le attività di intelligence vengono intensificate per evitare qualsiasi forma di dissenso. Particolare attenzione è data all’istruzione, e difatti fra i 16 ministeri vi è anche quello dell’Educazione, che dallo scorso gennaio ha fornito i piani educativi di Raqqa in un documento ufficiale. Per i bambini esistono anche i percorsi di socializzazione graduale, ossia di propaganda alla quale vengono invitati a partecipare, soprattutto se si tratta di figli di foreign fighters o di bambini provenienti dagli orfanotrofi delle zone controllate.

Le finanze

Un luogo comune sfatato nelle pagine di questo libro è che la maggiore fonte di sostentamento per l’Isis sia il petrolio. Ovviamente esiste una rete di contrabbando, e come riportato da diverse fonti internazionali come il Financial Times, il commercio del greggio avviene principalmente sul territorio, anche con i nemici, come il governo siriano di Assad o elementi presenti nella regione autonoma curda in Iraq, attraverso una fitta e collaudata rete di mediatori. La percentuale maggiore di entrate, circa il 50%, deriva invece dal sistema di tassazione di beni e servizi di consumo, come la telefonia, internet acqua e luce, gli affitti, la raccolta dei rifiuti, il bestiame, le immatricolazioni delle auto. Rispetto ai finanziatori stranieri, secondo i dati raccolti da più ricercatori, come Jason Burke, i contributi del Golfo non hanno mai superato il 5% degli introiti.

La propaganda

Un elemento che differenzia lo Stato Islamico da Al Qaeda è sicuramente la propaganda, dove la ormai nota rivista Dabiq è solo uno degli strumenti di comunicazione di un’imponente macchina mediatica.  Secondo i dati raccolti dal ricercatore Charlie Winter e riportati da Battiston, ogni giorno vengono prodotti almeno tre video e circa 15 resoconti fotografici, oltre ad un bollettino radiofonico in arabo, curdo, inglese, francese, russo. Una volta al mese vengono poi diffusi video militari, e canzoni di incoraggiamento. Internet è il canale di diffusione principale, e Twitter la prima piattaforma di distribuzione. I contenuti più violenti sono quelli che servono a polarizzare l’attenzione del pubblico internazionale, ma non rappresentano nemmeno la metà del totale. Più spesso invece sono rappresentati i servizi resi alla popolazione: opere pubbliche, incontri fra i vari clan, servizi sanitari.

L’attenzione sulle condizioni locali che garantiscano il consenso è massima, ma allo stesso tempo, si assiste anche ad una strategia più globale che mira ad ampliare il brand, secondo l’autore di The Syrian Jihad, Charles Lister: se non si possono più ottenere vittorie significative sul campo di battaglia, come di fatto è avvenuto negli ultimi mesi in Iraq e Siria, allora l’attenzione dei media va conquistata con azioni terroristiche diverse, come quelle di Parigi.

Diversa invece la lettura di Hassan Hassan, che Battiston confronta con quella di Lister: per lui la capacità di compiere attentati su scala internazionale dimostrerebbe che il califfo vuole capitalizzare i suoi successi, anche nell’ottica di allargare il fronte, come in Libia.

Vai a www.resetdoc.org

Titolo: Stato islamico. La vera storia

Autore: Giuliano Battiston

Editore: L'Espresso

Pagine: E-book

Prezzo: 2,99 €

Anno di pubblicazione: 2016



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *