Non c’è sicurezza senza libertà. Il fallimento delle politiche antiterrorismo

Un’infinità di fascicoli contenenti documenti riservati della Cia attestano che il campo di prigionia di Guantánamo non è mai servito a combattere il terrorismo. Semmai ha confermato che, in tema di sicurezza, gli Stati Uniti si ritengono svincolati dal diritto internazionale: sequestrare un migliaio di persone e detenerle per quindici anni e più senza accuse né tantomeno processo non contribuisce di certo a promuovere la sicurezza, ma soltanto ad alimentare la spirale del terrore, “fornendo sceneggiature bell’e pronte ai video dei tagliagole dell’Isis”.

Perché, allora, tenere aperto Guantánamo? E sono utili le misure antiterrorismo, quali l’état d’urgence e la decadenza dalla cittadinanza per i terroristi, poi ritirata, in seguito agli attentati di Parigi del novembre 2015?? Appostare i cecchini sui tetti di Roma, nella notte di Capodanno 2016, ha fatto sentire più sicuri i cittadini? Con il senno del poi, tutti questi provvedimenti appaiono irrazionali, “spesso inutili e talvolta controproducenti”, ma funzionali a far sì che le autorità si sentano esenti da responsabilità quando viene a verificarsi un attentato.

Alla “bancarotta delle politiche securitarie” adottate dall’Occidente all’indomani dell’11 settembre 2001 Mauro Barberis, dell’Università di Trieste, dedica Non c’è sicurezza senza libertà. Il fallimento delle politiche antiterrorismo (Il Mulino, 136 pp., 13 euro), fresco di stampa. Quali sono i motivi all’origine del fallimento delle misure adottate dalle principali potenze occidentali? Tre, per l’autore: uno relativo al concetto stesso di sicurezza, l’altro al tipo di terrorismo con cui ci troviamo a confrontarci, e l’altro ancora alle politiche che mettiamo in atto per contrastarlo. Attraverso una puntuale analisi che parte dalla ricerca dell’origine dell’intreccio fra securitas e libertas Barberis perviene, al termine dell’indagine, a decretare in modo netto il fallimento delle politiche antiterrorismo.

Gli attentati terroristici sono ormai all’ordine del giorno e la difficoltà di identificare il nemico di turno fa sì che il concetto di sicurezza nazionale (esterna) o pubblica (interna) non sia altro che un’”astrazione statistica”, in quanto espresso quantitativamente, in percentuali del rischio di subire attentati o, peggio, come indice di insicurezza percepito, registrato dai sondaggi. Ciò comporta che la sicurezza assoluta non esiste: qualsiasi provvedimento può soltanto ridurre il rischio di attentati, non eliminarlo. E basta un solo episodio clamoroso per far schizzare il livello di insicurezza percepita.

Ci troviamo da alcuni anni a confrontarci con un terrorismo di tipo “molecolare”, gestito da individui o da gruppi che operano in franchising e siglati in realtà da associazioni più ‘autorevoli’, “digitali”, e che si propaga negli smartphone prima ancora che nei computer. Un attentato di tanto in tanto è sufficiente per produrre il terrore; e le politiche messe in atto, a loro volta, rischiano di alimentare il terrore anziché circoscriverlo. La democrazia, le Costituzioni, i diritti, non andrebbero concepiti come fini a se stessi, ma per porre rimedio alla ‘sragione’, alle nostre pulsioni irrazionali. Di ciò appare più che convinto Barberis, che per “dominio della sragione” intende la ricerca del capro espiatorio: il terrorismo, a suo avviso, mette a nudo tutte le nostre insicurezze e noi reagiamo con meccanismi ‘sacrificali’, così come fece la Chiesa cattolica ai tempi della caccia alle streghe. “Per il terrorismo, come per alcune forme isteriche di antiterrorismo, si potrebbe dire almeno questo: entrambi sacrificano vittime”. Non si spiegano altrimenti errori colossali come l’invasione dell’Iraq, da cui è scaturita l’Isis, o l’apertura di Guantánamo, altra iniziativa dal valore puramente simbolico.

Storico delle idee, studioso della filosofia dell’etica e teorico del diritto più attento alla giurisprudenza che alla legislazione, Barberis si chiede ancora: perché se la quasi totalità delle misure antiterrorismo è inadeguata, non necessaria e sproporzionata al fine di aumentare la sicurezza, le si assume ugualmente? Per quale motivo di fronte a ogni nuovo attentato si annunciano nuovi provvedimenti sempre più drastici, con investimenti oltremodo smisurati?

Per lui libertà e sicurezza non sono affatto in antitesi, e insiste sulla differenza fra la sicurezza collettiva – nazionale e pubblica – e la sicurezza individuale. Concepisce la sicurezza collettiva come un’astrazione, in nome della quale si sacrificano vite e libertà individuali a meri scopi di rassicurazione, ottenendo spesso l’effetto contrario; quanto alla seconda, essa è quasi impermeabile all’aumento della sicurezza collettiva:  la probabilità che ha ciascuno di noi di venire colpito resta pressappoco la stessa. La Convenzione dei diritti dell’uomo del 1950 enuncia che “ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi previsti dalla legge”, ricorda. Quando si attenta alla libertà individuale, allentando le garanzie dall’arresto ingiustificato, dalla detenzione o dalla tortura immotivate, si minaccia anche la nostra sicurezza collettiva, non soltanto quella dei terroristi.

Attualmente non esiste un’emergenza terrorismo, se non quella che perdura dal 2001, e che è ormai uno stato fisiologico del pianeta. Barberis diffida del filone di security studies  dedicato dedicato alla lotta al terrorismo e che propone sempre le stesse ricette: tenere il profilo basso in politica estera – e in questo senso l’Italia si adopera da tempo -, coordinare le intelligences,  aggiornare la sicurezza informatica, e nel caso di un Paese dell’Unione europea, anche riprendere il progetto di difesa comune, al fine di ridurre le spese militari. Lui invece auspica una soluzione più semplice: “sicurezza minima, leggera, mobile, efficace”, ovvero tutto quanto è possibile, ma nulla di più: interventi mirati, nessuna militarizzazione della società, né mobilitazione totale, e soprattutto nervi saldi.

Titolo: Non c’è sicurezza senza libertà. Il fallimento delle politiche antiterrorismo

Autore: Mauro Barberis

Editore: Il Mulino

Pagine: 136

Prezzo: 13 euro €

Anno di pubblicazione: 2017



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