Corea del Nord: il “falco” di Pyongyang
tra realismo e irrazionalità

È di questi giorni la notizia della richiesta di Amnesty International al regime di Pyongyang di rendere chiari i capi d’accusa che pendono su Kim Dong-Chul, cittadino americano di origine coreana, accusato di spionaggio sul programma nucleare nordcoreano e condannato per direttissima a ben dieci lavori forzati. Secondo Amnesty, «sebbene sia notoria la commistione tra la giustizia e il sistema politico» in Corea del Nord, sarebbe almeno opportuno riaprire il processo all’insegna di pubbliche accuse e trasparenza.

Utile a chiarire le dinamiche di potere interno e le mosse di politica estera di Pyongyang a partire dal Secondo Dopoguerra, è il libro Il nido del falco. Mondo e potere in Corea del Nord di Antonio Fiori, uscito proprio pochi giorni fa per i tipi di Le Monnier, nella collana “Dentro la storia” diretta dallo storico dell’età contemporanea Fulvio Cammarano. Un contributo di ricerca importante e che sarà molto utile per gli studiosi e gli appassionati di storia delle relazioni internazionali al fine di sfatare alcuni dei più classici cliché che siamo usi utilizzare quando vogliamo descrivere il sistema di potere di Pyongyang e le relazioni della Corea del Nord con l’esterno, e, primo tra tutti, il luogo comune di pensare a Pyongyang come ad un “provocatore” del tutto irrazionale nell’arena internazionale.

Antonio Fiori, del resto, professore associato di storia ed istituzioni dell’Asia presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, è forse il massimo esperto della storia delle due Coree in Italia, un interesse di ricerca che egli ha coltivato anche grazie a numerosi Visiting nelle più prestigiose università dell’Estremo Oriente. Non è un caso, pertanto, che il nuovo Magnifico Rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini abbia chiamato Fiori a presiedere le numerose e pluridecennali attività di rappresentanza che legano la più antica università d’Europa al mondo asiatico e all’Oceania.

Sarà proprio facendo appello ad una puntuale ricognizione della vicenda storica della penisola coreana nei tre decenni che vanno dall’inizio degli anni Settanta alle soglie del Duemila, che Fiori pare capace di svelare un sostrato più profondo e complesso rispetto alla supposta irrazionalità del player politico e statuale nordcoreano. Anzi, categorie politiche quali il realismo e l’utilitarismo politico possono essere chiamate a spiegare almeno in parte l’atteggiamento di Pyongyang, capace di ottenere persino vantaggi da quell’aura di “sanguinosa dissennatezza” dei suoi leader come la denomina Fiori, che a più riprese nella storia, e tuttora, hanno spinto la Corea del Nord a sfidare la superpotenza statunitense con diversi test nucleari e con l’uscita dal Trattato di non proliferazione. Non sono mancati, tuttavia, già all’epoca di Reagan, tentativi infruttuosi di favorire un pieno ingresso della Corea del Nord nella comunità internazionale, soprattutto con l’impegno profuso dalla politica di Clinton e del presidente progressista sudcoreano Kim Taejung, ma persino il tentativo di coinvolgere la Cina, uno tra i più assidui interlocutori di Pyongyang, in un “dialogo a sei” non è andato a buon fine e quest’esperienza almeno positiva è stata poi accantonata – definitivamente? – nel 2008.

Scrive Fiori: «Sarebbe opportuno non dimenticare che l’atteggiamento “erratico” di Pyongyang, le ha consentito di strappare moltissime concessioni soprattutto da parte degli americani, con un bilancio finale più che positivo per il regime. È molto probabile quindi che la Corea del Nord abbia deliberatamente scelto di sfidare gli Stati Uniti e la comunità internazionale, indossando i panni di attore irrazionale, al fine di ottenere razionalmente dei vantaggi».

A dire di Fiori, inoltre, si dimentica di ricordare che l’atteggiamento nordcoreano in politica estera andrebbe sempre contestualizzato a partire dalle ricadute che ogni singola scelta ha apportato ed apporta sull’evoluzione interna del regime autocratico dei Kim. Sono principalmente due, pertanto, le nozioni che vanno ricordate quali primi motori dell’atteggiamento provocatorio che Pyongyang ha dimostrato dal Secondo Dopoguerra: il celebre “dilemma della sicurezza” che fa percepire a più riprese allo Stato nordcoreano l’impressione della minaccia esterna e la “transizione di potere” che apporta momenti di smarrimento e complessa gestione nel momento della sostituzione della leadership politica.

Anno di particolare rilievo nella politica coreana del Dopoguerra è il 1979, un momento in cui si registra una peculiare “distensione” nei rapporti tra gli USA e la Cina, tacitamente portata ad accettare l’interessamento geopolitico statunitense nei confronti penisola coreana: è un fatto degno di nota perché preoccupa grandemente la Corea del Nord e che motiva la scelta del “Grande Leader” Kim Il-Sung di preannunciare già che al momento della sua morte (1994) la sua successione verrà raccolta da suo figlio Kim Jong-Il, conducendo il regime a preservare la propria autoconservazione in un momento di percepita minaccia per la tenuta dello Stato.

Il timore principale avvertito dal Grande Leader risiedeva, del resto, nella possibilità che si potesse verificare una perdita territoriale affine a quella della Guerra di Corea degli anni Cinquanta, laddove il regime poté sopravvivere solo grazie all’intervento volontario dei cinesi in difesa dei nordcoreani. Tra l’inizio degli anni Ottanta e l’avvento degli anni Novanta, inoltre, il Grande Leader aveva assistito allo sgretolamento del potere sovietico e alla caduta di altri leader autoritari come Ceausescu e, in seguito, all’indebolimento e alla cacciata di Milosevic e Saddam. Nella convinzione sillogistica che soltanto il perdurare di un saldo regime avrebbe potuto preservare la tenuta delle istituzioni nazionali, Kim Il-Sung e Kim Jong-Il favorirono il radicamento della teoria del Songun, ovverosia del primato della forza della milizia sullo sviluppo economico e sociale del paese. Insomma: «La politica del Songun non è altro se non una misura per mantenere in sella al paese la famiglia Kim e il suo regime», ammonisce Fiori. Anzi: rafforzare il potere della milizia attraverso determinati privilegi può aiutare i leader privi dell’autorevolezza del “Leader eterno” e padre della nazione Kim Il-Sung a mantenere il proprio potere facendo leva sulla tradizione marziale e facendo passare in secondo piano le proprie discutibili caratteristiche personali.

Se queste linee guida possono essere utili a comprendere anche la discutibile figura odierna di Kim Jon-Un, saranno soprattutto le ultime pagine del libro di Antonio Fiori a concentrarsi sulla terza generazione di leadership, mostrando come le caratteristiche del sistema istituzionale nordcoreano rimangano ancora fondamentalmente immutate.

Titolo: Il nido del falco. Mondo e potere in Corea del Nord

Autore: Antonio Fiori

Editore: Le Monnier

Pagine: 280

Prezzo: 16 €

Anno di pubblicazione: 2016



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