Libri: Primavera araba, il giorno dopo

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Cosa rimane delle rivolte arabe, di quell’afflato di speranze, proteste e movimenti più o meno rivoluzionari che ha investito i paesi del Mediterraneo a partire dalle protesta tunisina per arrivare a tutto il Nord Africa e al Medio Oriente? La “primavera araba” è ancora tale o si è tramutata in inverno? L’etichetta con la quale sono state descritte le rivolte che hanno investito l’area del Mediterraneo è ancora dotata di senso ma ha lasciato spazio a una fase di transizione lunga, lenta, piena di incertezza e di incognite, nella quale si sono aperte nuove sfide – i rapporti geopolitici, le difficili trasformazioni istituzionali nei singoli paesi, la relazione con l’Europa che dovrà pur raccogliere la sfida delle trasformazioni in atto, la necessità di ricostruire gli eserciti nazionali, l’incognita rappresentata dal fondamentalismo. Uno sguardo sintetico d’insieme permette di dire che «passato l’entusiasmo delle grandi speranze, lo scenario più probabile, dunque, è quello di un netto ridimensionamento dell’orizzonte delle riforme per tutti i Paesi della primavera araba». La fase di transizione che sta investendo il Nord Africa e il Medio Oriente, dalla Tunisia al Marocco, dalla Libia (un caos) all’Egitto, per non parlare della Siria (che rappresenta un caso a parte) è piena di incertezza: difficile è prevedere quello che accadrà, «il 2014 rischia di essere un altro anno di stallo» e «il percorso delle rivolte arabe scorre su binari sempre più dissestati e sconnessi e dove la stazione di arrivo sembra ancora molto lontana all’orizzonte». Sono le parole con cui si chiude il libro Speranze e paure nel futuro delle rivolte arabe di Gabriele Moccia (Il Sirente 2014) che ripercorre la serie di avvenimenti etichettati come “primavera araba” e quello che ne è seguito, alternando cronaca e interviste a “testimoni privilegiati”, giornalisti che hanno lavorato sul campo, esperti, studiosi, funzionari internazionali.

«Non solo in Nord Africa, ma in tutto il Medio Oriente, molti scenari si sono offuscati, e l’instabilità è diventata il vero fattore dominante di questa fase di transizione», scrive l’autore, che ripercorre gli sviluppi dei singoli Stati – ognuno con le proprie peculiarità, dalla Tunisia all’Egitto alla Libia – evidenziando come uno dei temi da affrontare sia rappresentato dall’incognita del fondamentalismo. «La vera trappola che rischia di ingabbiare la transizione verso regimi democratici e liberi sembra essere proprio quella del fondamentalismo», sostiene Moccia. In effetti nell’area la rete di Al Qaeda si è regionalizzata, si è organizzata sulla base delle diverse realtà locali e statali, e ad essa si affianca la crescita dei movimenti salafiti, i cui obiettivi sono molto lontani da quello che rivendicavano i giovani di piazza Tahrir. Nella fase di transizione, inoltre, bisognerà capire quale sarà il ruolo degli apparati di sicurezza e delle forze armate, che hanno un forte peso, anche se in modi diversi nei diversi Stati. Spiega la giornalista italo-siriana Susan Dabbous: «In generale possiamo dividere i Paesi toccati dalle primavere arabe in due macro-gruppi: Egitto e Tunisia, in cui gli eserciti hanno giocato un ruolo decisivo nell’esito positivo delle rivolte. E Libia, Yemen e Siria in cui le forze armate, in qualità di organo non indipendente, sono rimaste al servizio del palazzo». Il passaggio alla democrazia richiede dunque una riforma complessiva dell’apparato di sicurezza – «la vera sfida nel riformare le forze armate nei Paesi coinvolti nelle Primavere arabe (continua Dabbous) è quella della rappresentanza, secondo solo a quello della meritocrazia» – che dovranno ricostruire un rapporto di fiducia con la popolazione , e affrontare processi laddove le forze armate o paramilitari si sono macchiate di violazione dei diritti umani contro i cittadini.

Moccia Primavere Arabe il SirenteLe primavere arabe, spiega all’autore Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri, sono state il frutto di «una specie di tempesta perfetta»: «C’è il dato simbolico delle autoimmolazioni, il corpo non più utilizzato per atti terroristici ma come protesta estrema della dignità, c’è il mezzo tecnologico nuovo, e quindi il ruolo dei social network con la loro capacità di bypassare la censura, c’è il dato demografico importantissimo, la bolla giovanile che non trovava sfiato dal punto di vista politico, c’è la crisi economica». Detto questo, la transizione è lunga e deve vedersela col difficile passaggio attraverso le riforme istituzionali e con la sfida economica, che richiederebbe lo sviluppo positivo di un ceto medio imprenditoriale e l’elaborazione di un welfare che si faccia carico delle disuguaglianze sociali. La primavera araba, prosegue l’analisi di Moccia, è stata «un grande fenomeno sociale» che ha visto il protagonismo di intellettuali, donne e giovani, e un fenomeno digitale che si è dispiegato e organizzato attraverso l’uso dei social media.

Quando l’ambulante Mohamad Bouazizi si è immolato in Tunisia per protesta contro la polizia, prima delle televisioni le informazioni sono girate su twitter. «Da quel momento in poi, twitter è diventato il principale sistema di breaking news della primavera araba», scrive l’autore. E adesso? «La fase di transizione post-primavera araba non ha visto l’eclissarsi di questi strumenti di mobilitazione, anzi, in alcuni contesti essi continuano a rappresentare un importante canale di socializzazione politica». L’ipotesi di fondo è quella della formazione di un embrione di «wikicrazia araba», che si dispiega sia con la partecipazione dei cittadini alla fase costituente e all’elaborazione di politiche pubbliche attraverso il ricorso alle tecnologie, sia attraverso lo sviluppo di media partecipativi, televisioni internet indipendenti, flussi di informazione che arrivano dai blogger.

E l’Europa? Ancora una volta, non ha saputo parlare con una voce sola. Prima si è fatta trovare impreparata davanti agli sconvolgimenti che si sono verificati nel Mediterraneo e in seguito non ha saputo muoversi con una strategia unitaria. Sono state le singole diplomazie nazionali a intervenire – basti pensare all’attivismo in Libia di Francia e Gran Bretagna – tanto che, rileva la ricercatrice Silvia Colombo, le primavere arabe hanno mostrato «la debolezza in politica estera» dell’Unione europea, rimasta agganciata a logiche di sicurezza e all’idea che il Mediterraneo sia il vicinato di casa, laddove nell’area stanno ottenendo influenza nuovi attori quali Stati Uniti, Russia, Cina e Turchia. Giova riportare in modo esteso l’analisi di Moccia. «Bruxelles continua ad avere una visione geopolitica del mondo troppo “eurocentrica” e ha spesso inteso paragonare gli eventi arabi alla caduta del muro di Berlino e le rivoluzioni del 1989. Al contrario, vi è veramente poco che mette in connessione la caduta del muro e il susseguirsi degli eventi in Europa orientale con le rivoluzioni della dignità del 2011, che sono state guidate da fattori profondamente diversi: spirito di autonomia nazionale, retaggi del post-colonialismo, lotta al tribalismo, rivoluzione digitale». I giovani arabi vedono il fallimento del sistema quasi come gli europei. E in tutto questo, ci sono attori concorrenti all’Europa tanto che, scrive l’autore, «nel Mediterraneo, l’Europa rappresenta sempre meno la realtà strategica dominante della regione. Altri importantissimi attori, come la Cina e la Turchia, stanno facendo passi da giganti nel conquistarsi importanti fette di controllo sia economico sia sociale all’interno dei paesi del Maghreb, basti pensare al ruolo che la Turchia ha assunto in Tunisia con le sue imprese».

Il futuro è ancora un’incognita, tanto più drammatica se si considera il pozzo senza fondo rappresentato dalla guerra in Siria. Le violenze e la repressione non sono finite. Il libro ha la capacità di spostarsi da un paese all’altro mettendo ben in evidenza, nell’alternanza fra cronaca e interviste, tutto il coagulo di problemi che la lunga transizione post-primavera araba porta con sé. La stazione di arrivo, scrive l’autore, è ancora lontana. Sarà fondamentale non perdere di vista il fatto che il treno in qualche modo continua a camminare e che le richieste di dignità e giustizia sociale sono state messe sul tracciato. Non è una sfida che può interessare solo i singoli paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente.

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Nella foto: Piazza Tahrir all’alba

Titolo: Speranze e paure nel futuro delle rivolte arabe

Autore: Gabriele Moccia

Editore: Il Sirente

Pagine: XIV - 134

Prezzo: 14,40 €

Anno di pubblicazione: 2014



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