Europa anno zero, l’avanzata – e il successo – delle nuove destre nell’Ue

«L’Europa del 2015 è percorsa da un’onda di partiti populisti che non solo non correggono e non indirizzano certe spinte dal basso verso l’alto – come una politica degna di questo nome dovrebbe fare – ma, al contrario, le alimentano fino quasi a capovolgerne la direzione, soffiando, dall’alto verso il basso, sul malcontento popolare. Sono i professionisti della paura e del pessimismo che stanno incassando i dividendi di un’Europa debole e impoverita, schiacciata da anni di recessione economica e terrorizzata dall’assedio di “migranti-invasori”».

L’analisi di Eva Giovannini, giornalista inviata prima di Piazzapulita e poi di Ballarò, parte da una riflessione che lega il ritorno e il successo dei nazionalismi europei alla crisi, alla recessione, all’impoverimento della classe media e all’incapacità dell’istituzione Europa di far fronte alle sfide del nuovo millennio – in politica estera prima di tutto, ma anche in termini di misure interne condivise per il rilancio dell’economia, la gestione dell’immigrazione, e di un sistema di welfare.

Il libro Europa anno zero, edito da Marsilio, è un viaggio attraverso sei paesi europei ed altrettanti fenomeni nazionalisti: Alba Dorata in Grecia, Pegida in Germania, Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, United Kingdom Independence Party nel Regno Unito e Lega in Italia. È la storia di un filo conduttore transnazionale raccontata attraverso le testimonianze raccolte fra i leader di queste formazioni come fra la gente comune, in un anno che per le nuove destre ha segnato vittorie importanti, e la consacrazione in un quadro politico dove il lessico del populismo, della xenofobia e delle compiante sovranità nazionali torna a fare presa su un elettorato stanco e ormai sempre più lontano dalle urne.

Grecia

La Grecia che ha decretato Syriza come primo partito è un paese in cui 4 milioni di abitanti su una popolazione di 11 milioni vivono al di sotto la soglia di povertà, dove sette anni di recessione hanno eroso il 25% del Pil e il debito pubblico è pari al 175% del Prodotto Interno Lordo. Nonostante il successo elettorale, e il no al referendum del 5 luglio scorso, il governo greco ha dovuto comunque proporre un pacchetto di riforme che per molti è stato vissuto come un tradimento, come l’ennesimo patto con la Troika.

Solo chi non ha fatto un giro per le strade di Atene ha potuto stupirsi del fatto che Tsipras all’indomani della vittoria, abbia schivato tutti i partiti di sinistra per allearsi con un piccolo partito di conservatori e indipendentisti come Anel. E pazienza se il partito di destra guidato da Panos Kammenos si è distinto per battaglie contro l’immigrazione e i matrimoni gay, o intrattiene relazioni strettissime e acritiche con la Russia di Putin.

Ciò che viene messo in evidenza è come siano ormai saltati i tradizionali schemi politici di contrapposizione fra destra e sinistra, soprattutto intorno a tematiche che fanno presa sulla pancia del paese. Nel caso greco la battaglia contro le politiche di austerità. Non è un caso che il deputato di Alba Dorata Ilias Panagiotaros, intervistato da Giovannini, ribadisca all’indomani del referendum: «Siamo felici per il risultato, il no ha vinto in modo schiacciante, ma non ci accontenteremo. Ora dobbiamo impedire che Tsipras torni a trattare con la Troika…Prima di tutto non siano noi che abbiamo preso le posizioni di Syriza, semmai il contrario. Alba Dorata chiedeva il referendum già nel 2011, prima di sottoscrivere il secondo Memorandum, mentre Tsipras e il suo partito non lo volevano».

Perché un partito come Alba Dorata riscuote successi, visto che rappresenta la terza forza nel paese? Per il messaggio semplice che lancia: i nemici pubblici sono due, secondo la visione del movimento, la Troika e gli immigrati. E il problema si risolve con l’uscita dall’Unione Europea, la nazionalizzazione delle banche, l’arresto di tutti gli stranieri irregolari. Giovannini riporta le parole dell’ex ministro Varoufakis a proposito di cosa succederebbe in un’ipotetica uscita dall’euro: «Se ai governi eletti democraticamente viene tolta l’aria e gli elettori precipitano nella disperazione, ne approfittano solo i fanatici, i razzisti, i nazionalisti e tutti coloro che vivono di odio e paura».

Germania

Pegida, il movimento dei nuovi patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente, hanno preso piede in Germania, anche in regioni come la Sassonia dove il livello di immigrazione è intorno al 2%, ben al di sotto della media nazionale.

Dagli altoparlanti Bachmann annuncia la richiesta immediata di una nuova legge sull’immigrazione, che ponga fine all’ingresso indiscriminato e che introduca un criterio qualitativo, una sorta di possibilità di accedere per merito al suolo tedesco. Chi stabilisce i criteri, e sulla base di quali parametri, non è un problema che il leader di Pegida sembra porsi.

Se ufficialmente nel movimento sono proibiti i richiami espliciti al nazismo, di fatto l’accenno alla pulizia è un messaggio chiaro. A Colonia, in una manifestazione, sono apparse anche le frange più radicali degli hooligan, gli Ho-ge-sa, Hooligan Gegen Salafisten, gli hooligan contro i salafiti, che con la scusa del terrorismo islamico vorrebbero espellere tutti i musulmani dal paese.

Come conferma all’autrice l’ex leader di Pegida in un’intervista, il movimento si dichiara distante dalla contrapposizione destra/sinistra e si ritiene un’opposizione extraparlamentare non schierata secondo schemi superati. Il timore, espresso dal fondatore di un movimento che si occupa di giovani che vogliono uscire dai movimenti neonazisti, è che la ri-nazionalizzazione sia un fenomeno in crescita proprio perché riesce a raccogliere le insoddisfazioni di più parti sociali. Facendo leva sulla contrapposizione noi VS loro, cristiani VS musulmani, tedeschi VS stranieri, si fa leva sulla paura e sull’impoverimento della popolazione. Un altro esempio in questo senso è il partito euroscettico di Alternative fur Deutschland (AfD) che ha ottenuto un discreto risultato alle regionali del 2014, ad un anno dalla sua nascita. Uscita dall’euro e trasferimento di sovranità dall’Ue agli stati membri sono i due principi cardine, insieme all’inasprimento dei controlli alle frontiere. Di estrema destra e in grado di contendersi un elettorato ampio di insoddisfatti è anche l’antislamico e antisemita Npd che fa proseliti fra i giovanissimi attraverso la diffusione di videogiochi dove si vince se si riesce ad espellere il maggior numero di migranti.

Francia

Dal 2012 al 2014 il Front National di Marine Le Pen ha raddoppiato i voti, ed è riuscito anche a fare presa su zone “difficili” come la banlieu di Clichy, con lo slogan «lavoro, pensioni e sicurezza» che ha convinto al voto anche gli immigrati di seconda generazione, in un’area dove la disoccupazione giovanile supera il 40%.

Fra le terre di conquista preferite dal Front National ci sono le regioni agricole o postindustriali del Centro Nord, come la Lorena, la Piccardia o al Borgogna. In queste zone, già alle elezioni comunali del 2014, per la prima volta il Front era riuscito a eleggere ben undici sindaci… Al primo turno delle dipartimentali del 2015 Marine è arrivata in testa in tutti e tre i cantoni della Piccardia, rastrellando voti sia tra gli operai senza più la tuta blu, sia tra gli agricoltori, che qui sono il 70% della popolazione.

Il Front nasce con Jean Marie Le Pen, il padre di Marine, nel 1972, legato ad un patriottismo nostalgico condito da antisemitismo e xenofobia. La “rivoluzione” di Marine è più semantica che di sostanza, perché i legami con l’estrema destra non sono stati recisi. Ma Marine ha cercato di smarcarsi dal razzismo del padre, e ha abolito dal suo lessico le parole “razza”, “immigrati”, “masse”. Nell’intervista rilasciata all’autrice, Marine Le Pen ribadisce i suoi progetti per l’Eliseo: la chiusura di Shengen e il ritorno al franco, fuori dall’euro che ha distrutto l’economia; la sospensione dei servizi sanitari pubblici per gli immigrati, il taglio degli affitti sociali e degli assegni familiari.

Ungheria

Il primo ministro Viktor Orbàn ha cambiato il paese in cinque anni, da quando nel 2010 vinse con il 67,9%. La maggioranza assoluta ottenuta gli ha consentito di riscrivere la Costituzione ed approvarla con due terzi del Parlamento.

Nella nuova Costituzione sono indicate l’identità cristiano-ungherese e la lingua magiara come elementi fondanti della nazione, sparisce la parola Repubblica davanti ad Ungheria, mentre appaiono costantemente richiami ai valori cristiani, a partire dalla famiglia, definita la base della sopravvivenza della nazione, ma solo quella basata sull’unione volontaria di vita fra uomo e donna. Inoltre viene stabilito per legge il divieto di abortire, con un articolo che sancisce che la vita del feto va protetta fin dal concepimento. Dio, patria e famiglia: nella nuova Costituzione ungherese la triade del pantheon conservatore è perfettamente realizzata.

Se è vero che Orbàn ha invertito la rotta della recessione economica, tagliando i costi della politica e quelli delle utenze energetiche, nazionalizzando i fondi pensione e sbloccato i grandi cantieri, è vero anche che ha sempre più limitato le libertà e i diritti civili. Eppure c’è chi si oppone da destra al governo: è il movimento per un’Ungheria migliore, Jobbik, che sfida le leggi della maggioranza considerandole troppo blande.

Secondo molti osservatori, sarebbe a causa delle loro pressioni che lo scorso giugno Orbàn ha annunciato la costruzione di un nuovo muro nel cuore dell’Europa, una barriera di 175 chilometri al confine con la Serbia, per arginare la fuga di migranti dall’Est, ma soprattutto di elettori verso questa destra xenofoba.

Jobbik si schiera apertamente contro rom, ebrei, immigrati e Unione Europea, mentre cerca alleanze transnazionali con formazioni nazionaliste e sovraniste. Si tratta di un movimento popolare fra gli studenti e la fascia urbana più precaria, e riscuote consensi nelle aree rurali del Nord. Erede del Partito della Giustizia e della Vita Ungherese del 1993, ha trovato nuove spinte a partire dal 2003, e poi dal 2009 con l’acuirsi della crisi economica. Dal 2010 è entrato in Parlamento e resta l’unico partito in crescita. Un grave episodio di xenofobia, messo a segno dagli squadristi di Jobbik nel 2011, riguarda la comunità rom di un piccolo paese a nord di Budapest, messa in fuga con minacce e percosse.

Regno Unito

L’istantanea Uk parte da Margate, località balneare ormai in decadenza, dove i candidati dell’Ukip (United Kingdom Independence Party) sono arrivati secondi, alle elezioni dello scorso 7 maggio. Nella propaganda del partito non c’è soltanto la campagna anti-immigrazione rivolta verso i cittadini extraeuropei, ma anche verso i vicini di casa dei paesi Ue che «rubano il lavoro e fanno calare i prezzi delle case». Il modello ideale, per i leader di Ukip, è quello applicato in Australia: ingresso solo ai migranti professionalmente qualificati, che conoscono la lingua e la cultura del paese ospitante. Secondo uno studio di YouGov il 71% degli elettori che scelgono questa formazione politica ha più di cinquant’anni, un grado di istruzione piuttosto basso e un reddito familiare che solo nel 23% dei casi supera le 40 mila sterline annue.

A guidare Ukip è Nigel Farage, fuoriuscito dai Tory dopo l’adesione britannica al trattato di Maastricht. L’uscita dall’Unione Europea, il controllo dei flussi migratori senza differenze fra europei ed extraeuropei, la reintroduzione della norma contro i matrimoni misti: sono solo alcuni dei punti della sua politica, intrisi di nazionalismo, populismo, antieuropeismo e antislamismo.

Mercato europeo, frontiere, immigrazione. Su questi temi il leader del partito viola, in realtà, ha già ottenuto ciò che voleva, costringendo Cameron a inseguirlo per non perdere consensi. Il pensionato di Margate ha imposto l’agenda.

 

Italia

Il sesto e ultimo capitolo del libro è dedicato all’Italia, e al caso della Lega di Matteo Salvini, quella che non fa più distinzione fra Nord e Sud, cercando anzi di abbracciare anche le regioni del Meridione, oggetto di scherno ai tempi di Umberto Bossi.

Se un tempo le quote latte degli allevatori lombardi occupavano l’orizzonte delle battaglie di Umberto Bossi, oggi si sono uniti al coro degli scontenti protetti dalla Lega anche i coltivatori di pomodori pachino e di arance rosse dell’isola a tre punte, passando per i commercianti di porchetta di Ariccia…Con l’arrivo della moneta unica e la progressiva apertura del villaggio globale delle merci, la risposta della Lega si è fatta sempre più radicale.

La propaganda leghista di oggi è incentrata sull’antieuropeismo e l’immigrazione, e da quando anche il Sud è alleato, nell’elenco dei “nemici” interni restano i rom, che ben interpretano il suolo sociale del capro espiatorio.

Un aspetto che non va trascurato secondo l’autrice riguarda i rapporti con la destra estrema italiana e internazionale, inquadrati nella figura, che si mantiene dietro le quinte, di Mario Borghezio. Ricandidato da Salvini alle europee del 2014, ha raccolto quasi 6 mila preferenze nel bacino elettorale di Casa Pound e Italia Sociale, ed ha poi preso parte a iniziative di piazza di questi gruppi, come le marce contro i centri di accoglienza romani di Tor Sapienza.

Un do ut des che ha fatto bene ad entrambi, perché se è vero che Borghezio è stato rieletto anche con i voti dei neofascisti, è altrettanto vero che la Lega ha offerto loro la possibilità di una riabilitazione e di un palcoscenico nazionale che mai avrebbero avuto altrimenti.

Titolo: Europa anno zero: Il ritorno dei nazionalismi

Autore: Eva Giovannini

Editore: Marsilio

Pagine: 208

Prezzo: 16,00 €

Anno di pubblicazione: 2015



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *