Casaleggio, il dottor Stranamore della democrazia italiana

Se un giorno si scoprisse che Casaleggio in realtà neppure esiste, ma è solo un ologramma inventato da Grillo per ipnotizzare gli attivisti M5S, io personalmente non mi stupirei, anzi, francamente è già stato uno shock vedere tutti quei Cinque Stelle che nello stesso tempo impiegato da un comune mortale per scaricare «Spotify» riuscivano a installarsi, loro stessi, direttamente da YouTube alle poltrone del Parlamento. Per questo è ammirevole che un giornalista (e filosofo habermasiano) come Alberto Di Majo, che a dispetto delle statistiche straripanti di bamboccioni è giovane, eppure già a capo del servizio politico del «Tempo» di Roma, abbia faticato con il suo ultimo libro a ricostruire i contorni di questa strana figura a metà tra il cardinale Richelieu e lo scienziato pazzo.

Casaleggio che un bel giorno ha incontrato Beppe Grillo, sommergendolo con una raffica di chiacchiere web-entusiaste (Grillo che fino al Duemila spaccava i computer a martellate) e convincendolo che il futuro è puntocom, web casting, democrazia diretta, chatterbot, wiki, downshifting, usability, legge di Reed, intranet, copyleft, e motivando il ragionamento menzionando Calimero, Gurdjieff, Giorgio Gaber, Galielo Galilei e gli adoratori del banano. Cosicché Grillo ha concluso che Casaleggio era completamente pazzo e che non poteva più separarsi da lui, e da quel colloquio è nato il blog di Grillo, svettante sulle classifiche mondiali dei siti più seguiti.

In meno di un lustro il fan club del comico diventa la seconda forza politica italiana, e i due si appiccicano come colombi e si arroventano reciprocamente i cellulari, «io e lui ci sentiamo mediamente sette volte al giorno da sei anni, non lo sopporto, io You and Me non ce l’ho con mia moglie, ce l’ho con questo soggetto», è l’odi et amo dedicato da Grillo all’eminenza grigia con la quale intrattiene l’abbonamento tariffario per le chiamate illimitate.

Con quei capelli increspati alla Patti Smith e la cravatta da manager nerd, il guru Casaleggio fa intravedere a Grillo il Brave New World della Rete da costruirsi attraverso i blog, i sondaggi in rete e i MeetUp, piattaforme online e orizzontali e dal basso e partecipative, così che quando c’è da prendere una decisione tutti possono dare il contributo secondo il merito, le specializzazioni, la vicinanza al territorio. Contributo che disgraziatamente alle volte non è dei più fruttiferi, quando esprimendosi sulle urgenze politiche gli attivisti tirano fuori le ansie per i chip sottopelle oppure le dittature dei Tampax (da sostituirsi con orribili coppette mestruali) o ancora i classici complotti dei “poteri forti” (e pure, nel caso della deputata Rostellato, ignorando chi e cosa siano esattamente Draghi e la Bce).

Ma anche quando i programmi sono stilati ai vertici le contraddizioni non si diradano. Il guinzaglio tra vertice e base del MoVimento si fa tanto stretto da far sembrare i cosiddetti «portavoce» dei burattini eterodiretti o peggio «posseduti». E pure entrando nel merito, l’Agenda grillo-casaleggiana prevede sedici punti, alcuni di buon senso, altri infattibili, perché con una mano introdurrebbero il referendum senza quorum, e con l’altra il referendum sulla permanenza nell’euro, e la prima sommata alla seconda condurrebbe allo stravolgimento delle nostre istituzioni a colpi di mucchietti di voti. D’altra parte Di Majo affrontare la materia sine ira ac studio, e allora è doveroso sottolineare che i neoparlamentari M5S reggono bene il confronto con le performance dei politici della Seconda Repubblica. Quanto a questi ultimi così si è espresso Rino Formica: «Rispetto a questi, i miei nani erano giganti», ha confessato a Di Majo l’ex ministro socialista riprendendo il suo famoso “nani e ballerine” con cui bollò i politici di una Prima Repubblica sul viale del tramonto.

Il rimpianto formichiano è quello di non avere saputo prevedere lo spettacolo ben più misero di una politica negli ultimi vent’anni appiattitasi sull’unica ansia della perdita della poltrona. Questo il bilancio amaro che vieta di sminuire il voto di protesta per Grillo, riducendolo tout court a un voto antipolitico. Perché rispetto ai nani che approvano, pochi mesi dopo il via libera al referendum (radicale) per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti nel 1993, la legge sui “rimborsi” (tra virgolette) elettorali, autentica truffa che ha assegnato ai movimenti una cifra quasi quattro volte superiore alle spese rendicontate, o che nonostante i ripetuti proclami bipartisan non riescono (non vogliono) modificare la legge elettorale, rispetto a una classe dirigente così inadeguata, nepotista, così autenticamente impolitica, è normale che i grillini, solo facendosi forti del rifiuto dei soldi pubblici, al confronto sembrino dei giganti.

E così molti italiani si sono turati il naso davanti al sentore di totalitarismo interno emanante dal MoVimento, con Casaleggio Gran Visir che per far voti usa il faccione ghignante del comico Grillo (dalle doti comunicative paragonabili solo a quelle del rivale Berlusconi) puntando a un consenso elettorale del 100% e al contempo insufflando gli attivisti-burattini della sua Weltanschauung punteggiata di trip sulla società futura. Per la cronaca: se Casaleggio è una buona Cassandra dovremo prepararci alla cyber war e alla terza guerra mondiale, al governo globale Gaia fatto di clic e trust dei cervelli, alle cose che comunicheranno tra loro, ai cartelli stradali computerizzati e al frigorifero che prenderà ordini. E alla besciamella che sarà touchscreen, come ironizza Maurizio Crozza. Eppure tutte queste previsioni sono meticolosamente tratteggiate con video, interventi e libri degni della miglior tradizione distopico-psichedelica.

Le scienze filosofiche osservano con attenzione questa partita totalizzante dei cittadini M5S (orwellianamente più «cittadini» degli altri, almeno finché non s’allarga la partecipazione alle varie web-decisioni), e da oltreoceano è arrivato l’endorsement di Noam Chomsky, forse scontato essendo Chomsky incline ai complottismi (ad esempio: per lui la verità sull’11 settembre non la sapremo mai). D’altra parte gli schematismi dei Cinque Stelle hanno trovato un assist anche in Simone Weil, il cui Manifesto per la soppressione dei partiti politici ora provvidenzialmente ristampato da Castelvecchi offre riflessioni a dir poco profetiche sull’oggi: «Lo spirito di partito acceca, rende sordi alla giustizia, spinge anche le persone oneste all’accanimento più crudele contro gli innocenti». Resta il dubbio se anche scegliendo come chimica del movimento la formula mobile e fluida (o liquida, come predilige Michele Santoro), la forza politica non finisca per far rientrare dalla finestra tutto il male faticosamente messo alla porta.

A colloquio con Alberto Di Majo il sociologo Franco Ferrarotti si dice preoccupato del boom grillesco, un passare dalla padella dei fossili partitici alla brace di un «vociante e tumultuante movimento che non produce nulla», mentre l’ex sindaco e filosofo Massimo Cacciari trova indubbiamente comica e per questo positiva la deriva protestataria del nostro presente, considerato che la democrazia diretta è un’utopia, dunque è normale che degeneri in forme centralistiche. E anche Giacomo Marramao trova che sia nell’ordine delle cose che i movimenti – almeno nelle loro prime fasi – abbisognino di una direzione dall’alto, per questo, alla fin fine, «meno male che Grillo c’è», è la filosofia caimanica di Marramao, perché altrimenti «la protesta potrebbe finire nelle mani di sfascisti di tutti i tipi».
Insomma, il pugno di ferro è a fin di bene, e d’altro canto sul piatto c’è l’immenso vantaggio democratico di far saltare tutte le mediazioni attraverso la rete, grandissima intuizione secondo il politico e blogger Mario Adinolfi che nel 2001 si presentò alle elezioni romane capitanando il movimento Democrazia Diretta che nel simbolo aveva la chiocciola internettiana.

E se per il luissino Dario Antiseri Grillo ha il merito d’aver creato un movimento senza soldi pubblici e tv, per Gustavo Zagrebelsky (il presidente emerito della Consulta che Grillo avrebbe volentieri sistemato sul Colle) il collegamento tra lo staff di Casaleggio e la base del MoVimento è però «algido» e «telematico». Casaleggio al quale, però, si può rinfacciare qualsiasi peccato tranne la venalità: da quando si è speso per la politica ha visto l’utile della sua società di comunicazione Casaleggio Associati decimarsi, mentre nei suoi anni alla Silicon Valley aveva raggiunto una notorietà tale da stimolare la curiosità di Michael Slaby, uno degli web comunicatori di Obama. Come lo stesso Slaby ha notato in quell’occasione, il guru M5S avrebbe potuto guadagnare molto ma molto di più restandosene a operare nella Silicon. Casaleggio indiscutibilmente ha rinunciato a chissà quanti miliardi per il bene dell’Italia, l’Italia secondo lui, quella dello schermo e dei clic del mouse che sta incanalando in un disegno con il suo stile assolutista, piretico, allucinato, senza dubbio geniale.

Titolo: Casaleggio. Il grillo parlante

Autore: Alberto Di Majo

Editore: Editori Riuniti

Pagine: 256

Prezzo: 14,90 €

Anno di pubblicazione: 2013



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