Questioni di framing: “futuro” parola vincente

“Questioni di “framing”, di inquadratura e struttura della frase: ovvero il peso delle parole e tutto quello che portano con sé. “Sappiamo nei nostri cuori che per gli StatiUniti il meglio deve ancora venire”. “We know in our hearts that for the United States of America the best is yet to come”, è stato un passaggio forte del discorso della vittoria di Barack Obama. Una sintesi molto pensata perché dice contemporaneamente a) che il presidente rieletto si impegna a far sì che il secondo mandato sia meglio del primo, segnato dalle tante ferite della crisi catastrofica con cui è cominciato il primo, b) che l’amministrazione opererà per favorire la ripresa, l’occupazione, il benessere, le opportunità, c) che la società americana può alzare lo sguardo fiduciosa e risollevarsi dalle difficoltà.

Quest’ultimo punto è particolarmente efficace in una società che ha un dinamismo demografico sconosciuto in Europa, una popolazione giovane grazie all’immigrazione sempre formidabile e a un tasso di natalità più vicino a quello del Magreb o della Turchia che a quello dell’Italia, del Giappone o della Germania, il che la rende più flessibile, disposta al sacrificio e al coraggio necessari per ripartire dopo che si è perso un lavoro, più pronta alla mobilità necessaria per trovare occupazione, più preparata a crescere. Il “framing” sul futuro è dunque in sintonia con i bisogni presenti della società americana scossa da anni durissimi ed è in tono con l’«eccezione demografica» americana che ne fa la forza che è tuttora e per il tempo a venire.

Un altro passaggio ha una struttura ugualmente efficace e penetrante, sempre a proposito del futuro: possiamo afferrarlo insieme questo futuro – dice Obama – perché «noi siamo di più della somma di ambizioni individuali» «We are greater than the sum of individual ambitions». E qui il richiamo all’unità a) ricompone un quadro di collaborazione davanti ai propri sostenitori dopo una campagna elettorale molto divisiva e accanita, b) manda un segnale agli elettori degli avversari e ai leader dell’opposizione, c) richiama ai duri compiti di agenda che richiederanno uno sforzo comune.

Non è una novità che Obama aggiunge al suo talento retorico una squadra di collaboratori di prima grandezza senza i quali i suoi successi, il primo e il secondo, non sarebbero stati possibili. Per l’occasione è tornato in scena David Axelrod, il protagonista dei magics della campagna elettorale del 2008, uno che di framing se ne intende certo, così come sul versante opposto Karl Rove ha speso le sue virtù professionali per una campagna, come quella di Romney, che è stata pure di grande forza. Romney è riuscito in grande misura a superare gli handicap (ricchezza e profilo fiscale, fede religiosa della minoranza mormone, attitudine politica molto partisan, e gaffes) che potevano spostarlo troppo a destra per conquistare il centro attraverso un controllo del linguaggio che alla fine gli ha dato un risultato che ha insidiato da vicino il primato di Obama.

Riflessioni sul linguaggio merita anche la scena italiana, dove ieri il segretario del Pd si è prodotto in un concetto disastroso, che si sarebbe potuto intercettare e cassare, a un primo esame, da parte di qualche collaboratore addetto al «framing» della comunicazione. Bersani ha detto ieri, criticando in modo del tutto logico da parte sua la soglia di un premio di maggioranza considerata troppo alta, che «Temono che noi governiamo».
Si rivolgeva certo a Casini e agli altri che hanno voluto questo rialzo, ma lo ha fatto associando a un ipotetico governo da lui guidato la «paura». In questo modo è sembrato ignaro del fatto che «la paura» di una governo della sinistra è in Italia un tradizionale cavallo di battaglia che si è dimostrato più volte vincente. Una inquadratura linguistica sbagliata, che oggi rimbalza nei titoli di tutti i giornali, equivale a un autogol. In un team vincente ci deve essere qualcuno che cerchi di impedirlo.

  1. “Oggi mi sento un po’ come l’italia: un grande passato, presente così e così, futuro niente”. ma poi mi mordo la lingua.
    Aforismi a parte, effettivamente qualche consigliere che suggerisca di non dire stupidate servirebbe a tutti, non solo a Bersani. Succede però nelle migliori famiglie. anche Obama fu consigliato male per il primo disastroso duello con Romney.

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