Le primarie Pd: se vince Bersani
e Renzi è più competitivo

Il sondaggio di D’Alimonte per il Sole riflette con somma evidenza aritmetica che uno dei due candidati, se fossimo in un sistema bipartitico o nettamente bipolare, avrebbe il profilo vincente perché capace di conquistare gli elettori dell’area centrale e di invadere l’area avversaria, mentre l’altro ha il baricentro più a sinistra che lo rende più vulnerabile. Il primo è Renzi e il secondo è Bersani. È vero che le elezioni si vincono, a volte, soprattutto mobilitando gli elettori della propria area ed ottenendo una affluenza alle urne più alta tra le proprie file che tra quelle avversarie, ma il sondaggio di cui stiamo parlando mostra appunto che in questo caso il potenziale di uno dei due è molto maggiore.

Vediamo i numeri: nelle intenzioni di voto per le primarie del Pd Bersani è in vantaggio, col 48%, di dieci punti su Renzi, al 38% (Vendola al 10%,Puppato al 3,4, Tabacci 1%). Ma nella domanda su quale sia il candidato più competitivo per vincere le elezioni il risultato in certo senso si rovescia: con Bersani candidato premier il centrosinistra riceverebbe (sempre intenzioni di voto) il 35%, con Renzi il 44%. Dunque – commenta il rapporto del CISE – «la vittoria alle primarie del sindaco di Firenze potrebbe valere al centrosinistra quasi nove punti percentuali in più alle elezioni politiche, ossia la quasi assoluta certezza, stanti gli attuali rapporti di forza tra gli schieramenti politici in campo, di ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per governare (a prescindere dalla legge elettorale con cui si voterà). Paradossalmente per Matteo Renzi vincere le primarie sembra essere più difficile che vincere le politiche.» Ecco i rapporti nella loro interezza qui e qui.

Di questa situazione sono consapevoli molti potenziali elettori delle primarie, nel senso che per una buona parte di loro il segretario del Pd, qualunque cosa se ne pensi, è più vicino alla loro ispirazione, mentre il sindaco di Firenze, che cattura consensi al di fuori delle aree tradizionali del partito, è percepito come meno gradito anche se si coglie a prima vista la sua capacità di conquistare voti a mani basse nel campo avverso. I tentativi di presentare i voti provenienti «da fuori» come inquinanti sono rivelatori, nella loro ingenuità: vincere le elezioni portando via milioni di voti agli avversari è, in qualche modo, sempre «inquinante». È quel genere di inquinamento che portò Reagan a trionfare elettoralmente nelle file dei democratici, o Blair in quelle conservatrici per ben tre volte, e anche Obama nel 2008 a travolgere i Repubblicani (questa volta ha vinto di misura).

È chiaro che la legge elettorale con la quale si arriverà alle elezioni politiche sarà determinante per fare una scelta appropriata del leader politico (o del candidato premier) con il quale affrontarle. Se la legge accentuerà gli aspetti proporzionali del sistema la decisione degli elettori delle primarie si orienterebbe sulla loro «prima scelta»: la figura che meglio li rappresenta, quella che sentono più vicina. Se la legge offrirà opzioni chiare per la premiership in un confronto destra-sinistra, allora l’elettore sarebbe chiamato a decidere chi gli appare più adatto a prevalere sul candidato della destra alla guida del governo.

La verità è che queste primarie contengono un fattore ambiguo o addirittura ingannevole perché non si sa quale sarà la legge elettorale, se del primo o del secondo tipo, essendo teoricamente aperte opzioni che possono generare un sistema proporzionale o un sistema bipolare. Ecco spiegate le incertezze di molti: Bersani potrebbe difendere meglio il bacino elettorale del suo partito, ma non riuscirebbe a creare un nuovo più largo bacino nonostante la crisi gravissima dello schieramento avversario. Renzi potrebbe modificare la storia elettorale italiana con una incursione, mai vista prima, del centrosinistra nei territori del centrodestra, anche se a rischio di scontentare qualche settore tradizionalmente di sinistra. In un regime nettamente bipolare, al momento del voto (e anche senza il doppio turno), si è costretti a decidere per il «meno peggio» tra i due candidati, anche se nessuno dei due rappresenta la «prima scelta» del singolo elettore. In un regime proporzionale nessuno ha voglia di votare per qualcuno che non riscuota una piena e convinta simpatia.

Domenica gli elettori del Pd voteranno dunque nell’incertezza sulla domanda che le primarie rivolgono loro: è «chi è il leader che mi piace di più?» o è «chi è davvero il mio candidato a primo ministro?». Una incertezza che si aggiunge alle altre, e che appartiene al quadro generale che fa dell’Italia un sistema politico traballante e un paese a rischio.
La cosa migliore che i due favoriti potrebbero fare, in attesa di sapere con quale legge elettorale si svolgeranno le politiche, è quella di cominciare a guardarsi come complementari. Se, come sembra probabile, Bersani vincerà le primarie, il suo problema sarà subito questo: come sfruttare il potenziale di sfondamento di Renzi? Quanto e come usare gli ingredienti che, dopo una lunghissima fase di stagnazione e declino elettorale del Pd (dall’aria irreversibile), sembrano capaci di rimettere in movimento i consensi? Renzi questi ingredienti li conosce e li ha usati. E allora?

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