Il venerdi del sindaco

Il sindaco di Cortesforza, eletto nella lista civica Tradizione & Futuro con il 71,3% di voti, torna a casa con l’auto aziendale, nel tardo pomeriggio di inizio aprile. Dopo una giornata lavorativa al quinto piano del centro direzionale in cui ha sede – zona sudovest di Milano – un primario istituto di credito, il sindaco segue i riflessi solari beige sulla superficie del Naviglio Grande|.
Finita la secca di marzo – con il suo carico di carcasse animali, pesci asfissiati e residui di plastica e ferro – l’acqua del canale pare rinnovarsi attraverso i lievi avanzamenti del traffico accanto. Il sindaco, per arrivare a casa, deve seguire la corrente di peluche – gattini, orsetti, giraffe e leonesse – accucciata o stesa sui pianali delle auto davanti. Le macchine procedono promiscue, disposte parallele nell’equilibrismo lento, che affatica lo sguardo e quasi sovrappone gli adesivi Baby on Board e Bebé a bordo.

Sponsorizzati dalle multinazionali del latte in polvere e della tutina globale, gli adesivi sembrano estranei alle risorse cinquenni dell’hinterland milanese, ma adatti agli animali acrilici fatti in Cina, che attendono ingenui e speranzosi con gli occhi liquidi semoventi,  sobbalzano dopo accelerate improvvise, subito frustrate dalle fiammate degli stop.
Il sindaco ascolta un network radiofonico, la voce femminile ricorda le condizioni meteo per il week-end, sono le diciannove di venerdì, ci sarà il sole in tutta Italia. Nella narrazione radiofonica milioni di persone partiranno per ossigenarsi trentacinque ore al mare o in montagna, prima della nuova settimana lavorativa, ma il sindaco sa che non partirà, ha il frigo vuoto, deve andare all’ipermercato, a due chilometri dal lavoro. Pensava di fare la spesa nella pausa pranzo, sarebbe uscito dall’ipermercato spingendo il carrello con la mano sinistra e mangiando un pezzo di focaccia liscia con la mano destra.

Eppure sarebbe stata una spesa incompleta, il sindaco non avrebbe comprato i biscotti gelato per il figlio, lo yogurt magro per la moglie, le tre pizze surgelate e altri generi alimentari che si sarebbero deperiti nelle ore pomeridiane, passate dentro il bagagliaio dell’auto parcheggiata nel seminterrato aziendale. Alle dieci è arrivato il suo nuovo capo, Michela Moroni, e dopo una riunione informale, il sindaco ha pranzato con lei e il resto del team, al self service. Michela Moroni ha trentasette anni, il sindaco credeva che sarebbe arrivata lunedì, all’inizio di una nuova settimana lavorativa. Michela Moroni ha scelto il tavolo indicando con il mento un posto nell’angolo destro, le mani erano impegnate nel portare il vassoio, sediamoci là, ha detto.

C’erano due tavoli liberi, l’indeterminatezza del mento ha confuso il sindaco, timoroso di andare nel tavolo sbagliato, così ha indugiato in equilibrio, con il vassoio in mano, sul quale spiccavano, illuminate da un raggio di sole, le bollicine della mezza minerale gasata. L’esitazione è stata decisiva, i colleghi hanno sopravanzato il sindaco e accostato Michela Moroni, che si è seduta dalla parte opposta a quella del sindaco. Alle diciannove e quindici di venerdì, il sindaco è nel parcheggio dell’ipermercato e spegne la voce radiofonica sull’aggiornamento traffico, cerca la moneta e prende il carrello.

Gli è capitato di vedere alcuni suoi elettori all’ipermercato, non ama incontrare residenti di Cortesforza fuori da Cortesforza, tanto meno residenti di Cortesforza all’ipermercato, magari i residenti tornano a casa e parlano con qualche commerciante e dicono, ah, abbiamo visto il sindaco all’ipermercato. A Cortesforza ci sono una panetteria e un bar tabacchi, una cartoleria edicola, una parrucchiera e un negozio di alimentari. I commercianti sono vecchi residenti, membri di famiglie che vivono lì da generazioni, imparentate tra loro. Commercianti e agricoltori decidono da sempre le elezioni.

Il sindaco risiede a Cortesforza da ventitré anni, ne aveva diciannove quando i suoi genitori si sono trasferiti lì. E adesso, da morti, i genitori del sindaco sono tra i pochi seppelliti accanto ai membri delle antiche famiglie cortesforzesche, la vicinanza funebre è stata l’accettazione definitiva della famiglia del sindaco, uno dei motivi fondamentali per l’elezione, la sepoltura a Cortesforza è il compimento di una vita più che altrove, la responsabilità di vivere la propria esistenza fino in fondo, senza considerarla solo un transito, come i nuovi residenti, che comprano una casa e dopo tre anni già sentono l’inquietudine, vanno in un posto simile a Cortesforza, più lontano da Milano, con la speranza di guadagnare qualcosa nella compravendita.

Il sindaco, una volta alla settimana, acquista un pacco di pasta al negozio di alimentari di Cortesforza, sebbene i prezzi siano molto cari e lui rimpianga l’ipermercato; e il sindaco chiede a sua moglie, due volte al mese, di andare dalla parrucchiera di Cortesforza, anche se la parrucchiera non fa la ricevuta e usa una tinta color mogano chimico, che trasforma la moglie del sindaco nel fogliame acceso di un albero, la prima settimana di ottobre; e il sindaco va al bar tabacchi di Cortesforza per salutare e bere un succo di frutta due volte alla settimana, non prende mai un biglietto della lotteria perché il tabaccaio potrebbe pensare e diffondere che il sindaco abbia il vizio del gioco; e il sindaco ordina i libri di scuola alla cartoleria di Cortesforza, ogni inizio di settembre, e la domenica, prima della messa, compra un quotidiano, e si ferma davanti al sagrato della chiesa, con il giornale sottobraccio.

Ma adesso il sindaco ha solo sete e fame alle sette e mezza del venerdì sera, c’è tutta questa gente all’ipermercato, i carrelli assembrati, forgiati dal fluire del pop, e fuori c’è la strozzatura di traffico fino alla rampa della tangenziale ovest, pensa il sindaco mentre infila nel carrello tre chili di arance spagnole e otto kiwi neozelandesi. Mi calo con entusiasmo nella realtà del mondo corporate, la mia ottica è una scrematura di funzioni che valorizzi le competenze maturate, per raggiungere – ancor prima del risultato – l’orientamento al risultato, ha detto Michela Moroni, al self service. L’orientamento al risultato è tutto, sarà banale, ma viene prima del risultato.

Visto dal posto del sindaco, il nuovo capo riusciva a parlare e a masticare contemporaneamente, aveva grazia e la tonalità di voce simile a un tappeto sonoro costante, senza punte stridule o cedimenti, in accordo con il sottofondo di piatti e posate, era come se quelle parole fossero davvero cibo o un integratore alimentare equivalente alle vitamine. Solo se guardiamo lontano, anticipiamo le sfide, ha aggiunto il capo, mentre il sindaco ha pensato a quando, nelle sue conversazioni quotidiane con i colleghi o con la moglie, Michela Moroni sarebbe diventata semplicemente la Moroni, e non il capo o Michela Moroni, e quel la Moroni sarebbe diventato sintesi di aspettative inespresse, frustrazione e noia. Il sindaco ha preso cinque barattoli di ceci biologici turchi e un sacchetto di patate biologiche egiziane.
La Moroni ha chiesto a tutti qualcosa di personale e generico, gli hobby e gli interessi individuali. Non ha voluto premiare la vicinanza di posto, per certificare la distanza e l’equivalenza verso ogni membro del team ha preferito parlare fissando il pulviscolo evidenziato dalla lampada pendente sopra il centro del tavolo.

I colleghi, troppo vicini e sorpresi, hanno tergiversato, allora il sindaco si è sentito come nell’ultima riunione della giunta comunale, quando in accordo con gli assessori ha deliberato una piccola quota a favore dell’associazione Ascolto d’Argento, lo sportello cortesforzesco per l’anziano. Io sono il sindaco di Cortesforza, ha detto il sindaco. La Moroni ha appoggiato il coltello al piatto, è rimasta con la forchetta sorpresa, sospesa a dieci centimetri dal cibo.
I colleghi non hanno avuto il tempo di demolire l’intervento del sindaco ironizzando sulla sua funzione amministrativa, perché la Moroni ha chiesto subito, e dov’è Cortesforza? Il sindaco l’ha fissata con sicurezza, compiaciuto dal suo stesso sguardo, che non aveva alcun rimando sessuale, ma solo un immediato riequilibrio di forze lavorative, raggiunto grazie alla sottintesa seduzione elettorale, in fondo la Moroni potrebbe trasferirsi a Cortesforza, ha pensato il sindaco, chiunque può diventare un potenziale elettore di Cortesforza, un mio elettore.

Il sindaco ha allungato le braccia, scostato la mezza minerale gasata e l’oliera, ha spiegato la posizione di Cortesforza rispetto al self service, tracciando lievi segni sulla tovaglia con la neutralità luccicante del cucchiaio inutilizzato, pulito e privo dell’aggressività del coltello o della forchetta. Ah, così abbiamo anche un politico tra noi, ha detto la Moroni. I colleghi temevano che il sindaco potesse avvantaggiarsi fin dal primo giorno con la Moroni, al contrario, dopo questa puntualizzazione, il sindaco rischiava di compromettersi definitivamente, ma i colleghi erano solo nella condizione di spettatori, potevano annuire o dissentire con cautela, in attesa degli sviluppi.

Il sindaco si è schernito, è solo un piccolo comune, mi hanno chiesto di impegnarmi, io sono sempre stato lontano dalla politica, noi non siamo un partito, siamo una lista civica. E come si chiama, la lista? ha chiesto la Moroni. Tradizione & Futuro, ha risposto il sindaco. Bello, ha detto la Moroni, sembra un fondo d’investimento, ti sei fatto aiutare dal marketing? ha chiesto sorridendo. Beh, ho scelto il nome mentre tagliavo l’erba, un sabato mattina, ha detto il sindaco. I colleghi erano scomparsi, la Moroni ridimensionata dopo sole tre ore in azienda, ho il 71,3% di consensi, ha aggiunto il sindaco appoggiandosi allo schienale della sedia, sottolineando consensi, e non voti.

Nato in Francia, allevato e macellato in Belgio, lavorato in Italia, così dice la rintracciabilità della filiera, appiccicata al cellophane della vaschetta di carne bovina, che il sindaco mette nel carrello, alle sette e mezza di venerdì. Non è che ti impegna troppo, la tua carica? ha chiesto la Moroni. L’azienda viene prima, ha aggiunto. Il sindaco è ritornato alla realtà degli scontrini e del tambureggiare attorno alla macchina del caffé. Siamo una piccola realtà di millecinquecento abitanti, ho solo tre assessori, domani devo decidere quali terreni usare per tre campi polifunzionali di calcetto, ha detto il sindaco, mi sono rivolto a tutti gli appassionati, io mantengo le promesse elettorali.

E ancora lo pensa, all’ipermercato, mentre valuta se acquistare un nuovo gazebo fatto in Vietnam, prima di desistere, per comprare i biscotti gelato, lo yogurt magro e le tre pizze surgelate. Dopo le casse – nel flusso di uscita, tra turnisti, disoccupati, anziani ed ex bambini ipercinetici, che paiono spenti e invecchiati rispetto all’entrata – il sindaco apre il bagagliaio dell’auto aziendale, scosta una brochure bancaria, la fascia tricolore illuminata dall’insegna del supermercato, e sistema i sacchetti della spesa.

Quando il sindaco gira la chiave, il cruscotto rimane scuro, anche dopo molti tentativi. La luce arancione del lampione illumina le mani del sindaco, strette attorno al volante. Alle spalle, nella cavità più buia dell’abitacolo, i sacchetti sono immobili, eppure dentro qualcosa si muove, i biscotti gelato, lo yogurt magro, le tre pizze surgelate, che allontanano dalla propria superficie i minuscoli cristalli di ghiaccio.

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