Il saggio: Il franco CFA, una moneta iper-coloniale

«Non è un libro contro la Francia, né contro l’Africa, ma un libro che spiega un meccanismo monetario che si può qualificare come perverso, perché blocca lo sviluppo dei paesi Africani che ne fanno parte », con queste parole l’economista Senegalese Ndongo Samba Sylla ha aperto la conferenza organizzata alla Città dell’Altra Economia a Roma il 14 maggio 2019 da Fazi editore, che ha pubblicato la versione Italiana del libro scritto assieme alla giornalista francese Fanny Pigeaud, L’arma segreta della Francia in Africa, una storia del franco CFA.[i]

L’acronimo CFA fa riferimento a due attuali unioni monetarie ed economiche nell’Africa occidentale e centrale: il franco CFA dell’Africa occidentale riunisce gli otto membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) – Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo; il franco CFA centro africano comprende i sei membri della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) – Camerun, Repubblica centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea equatoriale e Ciad. L’area ha oggi una popolazione di oltre 160 milioni di abitanti distribuiti in quattordici paesi.[ii]

Alla sua creazione, nel dicembre del 1945, l’acronimo CFA significava il franco francese delle colonie africane – oggi, designa il franco della comunità finanziaria africana per i paesi dell’UEMOA e il franco della cooperazione finanziaria in Africa centrale per i paesi della CEMAC.

Ndongo Samba Sylla ha lavorato nell’ambito dell’economia dello sviluppo e oggi è direttore di ricerca dell’ufficio Africa occidentale della Fondazione Rosa Luxemburg a Dakar, dunque il suo sguardo è multidisciplinare, abbracciando sia un punto di vista economico, che un’attenzione storica e geopolitica.

La giornalista Fanny Pigeaud ha già scritto ampiamente sulla storia della Costa d’Avorio, del Cameroon e del Madagascar. Le fonti del libro sono molto varie, spaziando da testimonianze dirette, (alcune anonime, ricordando l’omertà attorno al soggetto ancora presente oggi), rapporti ufficiali, resoconti storici, articoli di giornali e analisi economiche.

Sylla ci ricorda, citando l’Etica Nicomachea di Aristotele che la radice etimologica in greco per denaro è la stessa che designa la parola legge, nomos, e dunque ogni assetto monetario è necessariamente accompagnato da un assetto politico.

Il franco CFA è l’erede del franco francese imposto nei secoli passati attraverso l’uso della violenza nel vasto impero francese che si estendeva dall’Africa, all’Asia, al Pacifico, alle Americhe e le Antille.

La repressione verso gli indigeni che si rifiutavano di abbandonare le loro monete Africane – quali barre di gomma, ferro, rame o sale, manillas, conchiglie, cotone, perle, ecc.- per il franco francese fu feroce. Nel 1925 sarà incluso nel nuovo Code de l’indigénat, (codice di giustizia amministrativa che si applicava solo alle persone definite indigene), l’obbligo di utilizzare il franco francese nelle transazioni commerciali sotto pena di punizione.

Le ribellioni Africane a questa imposizione monetaria furono numerosissime: il boicottaggio, la contraffazione, l’ostinazione nel usare monete proprie si prolungò fino al XX secolo inoltrato.

I currency boards (comitati valutari) nati nei rispettivi imperi coloniali all’inizio del XX secolo – britannico, portoghese, spagnolo, francese-furono escogitati per assicurarsi un approvvigionamento di materie prime dalle aree occupate e controllarne il flusso commerciale.

Questi istituti divennero dei canali per il drenaggio di capitali da un’economia sottosviluppata a beneficio di un’economia sviluppata.

Mentre le altre aree monetarie coloniali, incluse quelle francesi in Nord Africa (Algeria, Morocco, Tunisia), Medio Oriente (Siria e Libano)  e Indocina (Vietnam, Cambogia, Laos)[iii] furono sciolte con le indipendenze, l’area del franco CFA rimase in mano ai francesi.

Nonostante un’africanizzazione dei dirigenti oggi la Francia è ancora presente: ha visto la sua rappresentanza ridotta da un terzo a un settimo nel 1972-73 nei Consigli di amministrazione delle rispettive banche centrali, la BEAC (Banca degli Stati dell’Africa centrale) per l’area CEMAC et la BCEAO (la Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale) per l’area UEOMA[iv]; è anche presente nei Comitati di politica monetaria che dal 2007 per la BEAC e dal 2010 per la BCEAO, calcando l’assetto Europeo delle banche indipendenti dallo stato,  sono gli organi decisionali principali delle politiche monetarie nelle rispettive aree; agli incontri semestrali del Consiglio dei Ministri delle Finanze e annuali della conferenza dei capi di Stato e di governo.

Ndongo Samba Sylla in Money on the left: confronting monetary imperialism in Francophone Africa[v] chiede se si possa parlare di una decolonizzazione senza tener conto di chi gestisca il denaro.

Questo sistema coloniale è potuto rimanere in piedi solo perché una vera indipendenza non fu mai realizzata: i paesi Africani dell’area CFA per acquisire l’indipendenza formale dovettero all’epoca firmare degli accordi di cooperazione con la Francia, accordi commerciali, militari, di difesa e culturali.

Chi si ribellò al sistema franco CFA pagò conseguenze gravissime, come il Presidente del Togo Sylvanus Olympio e il Presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, ambedue assassinati, Olympio nel 1963 e Sankara nel 1987. Un intero capitolo in L’arma segreta della Francia in Africa è dedicato ai coraggiosi ribelli a questo sistema neo-coloniale.

Le attuali vittime più in vista della françafrique sono l’ex presidente Ivoriano Laurent Gbagbo e sua moglie Simone Gbagbo, assieme all’attivista e ministro della gioventù Charles Blé Goudé.[vi]

Laurent Gbagbo sin dalla fine degli anni ’60, come attivista, sindacalista e storico, aveva denunciato la parziale indipendenza raggiunta dal suo paese e chiedeva che una vera indipendenza, anche economica, fosse attuata democraticamente, senza prendere le armi, ma attraverso le urne.

In Riflessioni sulla Conferenza di Brazzaville, demistificando la leggenda secondo cui questa conferenza del 1944 fu un primo passo verso l’indipendenza dei paesi Africani francofoni, Gbagbo svela attraverso l’uso degli archivi storici sulle varie conferenze coloniali del XX secolo, le vere intenzioni politiche della Francia verso le sue colonie.

Scopriamo che la conferenza coloniale del 1917 insisteva sull’importanza delle colonie per un necessario rifornimento della metropoli francese sia di prodotti alimentari che materie prime per le industrie; la conferenza coloniale del 1934-35 metteva l’accento sulla necessità di usare l’impero come un mercato che potesse assorbire i prodotti francesi non venduti in patria; la conferenza di Brazzaville puntava invece sul rafforzamento dei legami con le colonie in seno all’impero francese. [vii]

Dopo tre decenni di lotta non violenta, a mani nude, Il fronte popolare Ivoriano (FPI) riuscì a strappare nel 1990 il multipartitismo al dittatore Félix HouphouëtBoigny e molte riforme democratiche prima del 2000 quando Gbagbo fu eletto Presidente.

La co-autrice di L’arma segreta della Francia in Africa Fanny Piguead ha già in France-Côte d’Ivoire, une histoire tronquée[viii] (Francia-Costa d’Avorio, una storia troncata) analizzato la crisi Ivoriana dal 2002 al 2011, dove mostra, fatti alla mano, come la Francia abbia usato l’arma del controllo della moneta, chiudendo le filiali delle banche francesi – le americane seguirono- in Costa d’Avorio e sospendendo le operazioni di pagamento e di cambio che passava dal conto operativo della BCEAO di Dakar, prima di intervenire militarmente nell’aprile 2011 per imporre Alassane Ouattara.

Pigeaud ricorda la vittoria della resistenza bancaria Ivoriana e l’imminente nascita di una moneta nazionale Ivoriana stroncata dal violento colpo di stato francese a favore di Ouattara: “dopo aver bombardato per diversi giorni le caserme militari, il palazzo presidenziale e la residenza ufficiale del capo di Stato della Costa d’Avorio i soldati della base francese di Abidjan lanciarono, l’11 aprile del 2011 un attacco su larga scala contro l’esercito ivoriano.”[ix]

Anche l’intero partito politico fondato da Simone e Laurent Gbagbo nel lontano 1982, il Fronte Popolare Ivoriano (FPI), è stato severamente bersagliato da parte dell’Unione Europea e le Nazioni Unite via il congelamento dei beni dell’interna classe dirigente del FPI e dei suoi simpatizzanti e altre sanzioni considerate giuridicamente illegali da molti fra cui l’avocato francese Marcel Ceccaldi.[x]

Dall’attuale regime autoritario di Alassane Ouattara l’FPI subisce imprigionamenti, torture, assassini ed esili forzati dal 2011. In Francia i richiedenti d’asilo politico dalla Costa d’Avorio sono aumentati del 68% nel 2018.

Laurent Gbagbo è stato privato della sua libertà dalla Corte Penale Internazionale (CPI) dove, dopo un processo di otto anni, è stato il 16 gennaio 2019 assolto da tutte le accuse di crimini contro l’umanità in un no case to answer, non ci sono gli estremi per un accusa, decisione presa senza sentire i testimoni della difesa.

Già nel lontano 2013 alla fine del processo preliminare due giudici su tre dichiararono che non sussistevano elementi per processare Gbagbo.

Il 16 gennaio 2019 i giudici della CPI hanno chiesto una liberazione immediata, per una mancanza totale di prove, e anche per rispetto della libertà personale. Invece il Procuratore della CPI Fatou Bensouda decise di fare appello la sera stessa. La Camera d’appello ha ignorato la decisione della Camera di primo grado e si è quindi pronunciata il 1 Febbraio 2019 a favore di una libertà molto restrittiva.[xi]

Ora la CPI mantiene Gbagbo in Belgio, senza il permesso di viaggiare, né di parlare, da assolto. Charles Blé Goudé, il suo Ministro della Gioventù processato assieme a lui, anch’esso assolto da tutte le accuse, si trova ancora in albergo in Olanda senza il permesso di rientrare nel suo paese.

L’uso della giustizia come arma di guerra, lawfare, è corroborato da un documento diplomatico francese svelato da Fanny Pigeaud in un articolo del 2017 Procès Gbagbo: les preuves d’un montage (Processo Gbagbo le prove di un montaggio).[xii]

L’email incriminante rivela che l’11 aprile 2011, cinque mesi prima dell’apertura di un’indagine e ore prima dell’arresto di Laurent Gbagbo, il Procuratore della Corte Penale Internazionale Luis Moreno Ocampo aveva chiesto che Gbagbo fosse tenuto in detenzione fino a quando un paese non rinviasse il caso alla CPI.

L’email è stata inviata dal direttore dell’Africa del Ministero degli esteri francese Stéphane Gompertz, con in copia venti diplomatici francesi di alto livello, tutti consapevoli delle manovre politiche in corso per rimuovere dal suo paese il presidente legittimo Laurent Gbagbo.

La premeditazione da parte della Francia di sbarazzarsi di Gbagbo in questo modo illegale si evince da altri scambi di e-mails della diplomazia francese con il Procuratore Ocampo datati sin dal Marzo 2011, resi noti da uno dei portavoce di Laurent Gbagbo e vicino al dossier Bernard Houdin in Gbagbo, un homme, un destin pubblicato inizio 2019.[xiii] Tali rilevazioni avrebbero dovuto far chiudere il processo immediatamente.

La gestione del CFA è oggi iper-coloniale perché soggetta ormai a quello che l’economista e sociologo Martial Ze Belinga chiama una colonialité à double verrou ou double tutelle, (colonialità a doppia serratura o doppio tutoraggio)[xiv],sia francese che Europea, via una decisione del Consiglio Europeo del 1998 che ha ancorato il franco CFA a l’Euro, adottata dal Parlamento Europeo nel 1999. “I paesi Africani non possono prendere alcuna decisione che tocchi aspetti sostanziali quali la parità, la natura del tasso di cambio ecc. senza l’accordo dell’Unione europea.

Tuttavia, non esiste un accordo istituzionale tra le banche centrali africane (BEAC, BCEAO) e la BCE! Un ministro delle finanze Africano che abbia delle difficoltà e vorrebbe usare più valuta estera per venire incontro alle esigenze dello stato dovrebbe teoricamente ottenere l’accordo della Francia e delle tre istituzioni europee menzionate nella decisione del novembre 1998, il Consiglio Europeo, la Commissione europea e la Banca centrale europea. Una situazione assurda!”, scrive Ze Belinga.[xv]

 

Un paradigma predatorio

 

La nozione di stabilità monetaria, spesso citata come prova della vitalità del franco CFA, non ha alcun valore se non è messa in relazione con le dinamiche macroeconomiche complessive dell’area.

Altri indicatori mostrano che l’area CFA è fra le più povere al mondo: sui 47 paesi che fanno parte della comunità dei paesi meno sviluppati al mondo da quando la categoria è nata nel 1971, dieci dei quattordici paesi dell’area CFA ne sono membri oggi, (il Senegal ne fa parte dal 2000 e la Guinea Equatoriale è uscita solo nel 2017) incitando alcuni a chiamarla la moneta dei PMA, dall’acronimo francese pays les moins avancés (paesi meno sviluppati).

L’economista franco-egiziano Samir Amin parlava già nel lontano 1964 di “crescita senza sviluppo.”  Ndongo Samba Sylla spiega in un intervista:  “Se si prende il PIL pro-capite reale delle economie più importanti nella zona del franco, si vede che oggi è meno di 40 anni fa.

Prendendo come esempio la Costa d’Avorio, nel 2016, il PIL reale pro capite era inferiore di un terzo a quello del 1978, che è stato il suo anno migliore. Il tasso di crescita annuale del PIL reale pro capite per la Costa d’Avorio, tra il 1960 e il 2016, è più o meno dello 0,5%. Nel mio paese In Senegal per lo stesso periodo il tasso di crescita annuale del PIL reale pro capite è pari allo 0,02%. Ciò significa che non vi è stata alcuna crescita a lungo termine.”[xvi]

Nel 2018 l’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite segnala il Niger, paese del UEMOA, come il paese più povero al mondo, 189 su 189 paesi. Anche questo indice mostra che tutti i 14 paesi dell’area CFA sono tra i paesi più poveri al mondo.

Sylla e Pigeaud identificano nelle caratteristiche principali del franco CFA anche i maggiori handicap: la parità fissa dei cambi, che priva i paesi dell’area di condurre una politica monetaria autonoma, autonomia ancor più necessaria per paesi soggetti a shock economici esogeni (dovuti alla mancanza di diversificazione economica, e dunque alla troppa dipendenza dalla variazione del prezzo di uno o due risorse primarie, alla produzione agricola afflitta da fenomeni climatici e alle guerre ricorrenti); la libertà di movimento dei capitali e la convertibilità illimitata facilitano le forme di dissanguamento finanziario molto costose sul piano sociale.

Queste tre caratteristiche assieme alla quarta, la concentrazione di 50% delle riserve valutarie presso il tesoro francese, limitano i crediti bancari e dunque paralizzano le dinamiche produttive endogene. Questa mancanza di liquidità costringe i paesi africani a rimanere produttori di materie prime non trasformate.

Il rapporto credito / PIL è solo del 25% per i paesi UEMOA e del 13% per i paesi nella zona CEMAC; la media per i paesi dell’Africa sub-sahariana del credito / PIL è il 60%, mentre per l’Africa del Sud è al 100% , per gli USA al 300%.

Anche l’ex Ministro ed economista Togolese Kako Nubukpo, fervente sostenitore di un urgente bisogno di un cambiamento dell’architettura del sistema monetario che domina l’area CFA, vede nelle caratteristiche principali di questo sistema monetario dei veicoli per l’accumulazione delle ricchezze all’estero.

L’ancoraggio all’euro, una moneta forte, ha penalizzato la competitività di prezzo delle produzioni locali attraverso tassi di cambio strutturalmente sopravvalutati. Una moneta forte agisce come una tassa sulle esportazione e una sovvenzione sulle importazioni, rendendo difficile ottenere un equilibrio nella bilancia commerciale.

Nel caso dell’area CFA la moneta forte penalizza le esportazioni di materie prime, meno competitive sul mercato internazionale. Analizzando l’indicatore del tasso di cambio effettivo alcuni economisti sono arrivati alla conclusione che il franco CFA è sopravvalutato del 10%. [xvii]

Inoltre avendo come mandato principale la difesa della parità con l’euro le banche centrali delle rispettive aree CFA non s’interessano né di crescita né di occupazione. Adama Combey e Kako Nubukpo nel 2010 svelano in uno studio[xviii] che per ottenere un ulteriore crescita economica attraverso una politica monetaria espansiva, un tasso di inflazione ottimale dell’8% sarebbe adatto, lontano dal obiettivo attuale del 2% seguito dalla BCEAO.

I principi operativi coloniali del sistema CFA (la parità fissa, la libera convertibilità di capitali, la centralizzazione delle riserve al tesoro francese) sono ancora gli stessi oggi e accompagnati da accordi commerciali, assieme rafforzano il carattere estroverso delle economie Africane.

Un esempio?  Le fave di cacao: oggi quando sono importate in Europa senza essere trasformate sono tassate allo 0%, invece quando la Costa d’Avorio, primo produttore mondiale di fave di cacao, deve esportare una barretta di cioccolato in Europa è imposta una tassa del 30%. Questo automaticamente penalizza una trasformazione sul posto delle fave di cacao.

L’economista Martial Ze Belinga spiega che questo non è anomalo se si osservano le ex colonie per quello che rappresentano oggi nell’economia globale: “Le economie africane sono essenzialmente un satellite delle economie occidentali. Ciò significa che quando si dice “le esportazioni africane” si dimentica che in realtà sono approvvigionamenti europei per l’Europa, quindi l’Europa non tasserà i propri approvvigionamenti, dal momento che con questi acquisti otterrà il proprio valore aggiunto. È un paradigma predatorio.”[xix]

Dunque una vera indipendenza Africana passa non sola attraverso l’abolizione della moneta coloniale CFA, ma necessita anche una revisione dei contratti di cooperazione commerciali; la chiusura delle basi militari straniere; una trasparente gestione delle risorse naturali (e dunque anche una revisione dei codici minerari); e un affrancamento dalle politiche di austerità applicate dal Fondo Monetario Internazionale, nonostante il riconoscimento, da almeno un quarto di secolo che tali politiche (l’austerità fiscale, alti tassi di interesse, la liberalizzazione del commercio e dei mercati dei capitali, la privatizzazione delle risorse statali) sono deleterie per le economie che ne sono assoggettate.[xx]

 

Il ruolo simbolico

 

Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud, citando un rapporto del 1970 redatto dal Consiglio economico e sociale francese, che riecheggia il paradigma francese corrente durante le conferenze coloniali descritte da Gbagbo, elencano i “vantaggi incontestabili” per la Francia del sistema CFA: i paesi africani della zona del franco forniscono sempre più riserve valutarie alla Francia che le permette con una parte di regolare il suo deficit commerciale; i paesi d’oltremare rimangono per le esportazioni francesi dei mercati ampi e stabili; la libertà di movimento dei capitali fornisce una garanzia agli interessi francesi in Africa e consente alla Francia di acquisire materie prime nella propria valuta, evitando dunque l’utilizzo per tali approvvigionamenti delle sue riverse valutarie.

Per riassumere “le malattie presenti nel DNA del franco CFA” sono: “una debole crescita economia, una debole trasformazione strutturale, povertà, disoccupazione, una debole integrazione commerciale fra i paesi dell’area,[xxi]un debole finanziamento bancario delle economie.”[xxii]

Vi è una responsabilità di una parte della classe dirigenti Africana nel mantenere una politica di repressione monetaria, ma essa non rappresenta una maggioranza nell’Africa francofona ed è spesso mantenuta al potere con interventi militari francesi contro le opposizioni interne: secondo fonti del Ministero della Difesa francese sono stati più di 150 gli interventi militari in Africa sub-sahariana dal 1945.[xxiii]

Questi interventi militari non solo impediscono il progresso dei processi di democratizzazione sul continente, ma perpetuano una violenza di stato anacronistica verso un altro stato, di fronte alla quale la giustizia internazionale abdica.

Quando l’ex Presidente Sud Africano Thabo Mbeki arrivò in Costa d’Avorio nel 2004 come mediatore nella crisi franco-ivoriana vide numerosi carri armati francesi sulle strade della capitale Abidjan e ne rimase stupito perché assomigliava a una presenza militare coloniale inaccettabile in un’epoca detta post coloniale.

Il franco CFA è legato a una storia di estrema violenza coloniale e dovrebbe ormai far parte del passato, e dunque della numismatica e giacere in un museo di memorabilia come quello sull’era dell’apartheid dell’attore comico e fervente attivista Pieter-Dirk Uys. Il teatro-museo si chiama Home of Evita Bezuidenhout e fra i tanti oggetti ci sono anche cartelli con inciso: “Solo per bianchi, niente neri.” “Oggi ridiamo tutti, non perché sia ​​divertente, nulla è divertente dell’apartheid.

Ma ridiamo perché ora siamo responsabili di quei simboli che ci hanno spaventati nel silenzio per quaranta anni, e questa è la vittoria che la nostra democrazia celebra”, spiega l’attore Pieter-Dirk Uys.[xxiv]

La prima banca in Africa sub-sahariana, l’antecedente della BCEAO, nacque a Saint Louis in Senegal nel 1853, con i fondi erogati ai padroni degli schiavi dallo stato francese come risarcimento per la liberazione degli schiavi mantenuti. Il ruolo simbolico di affrancamento necessita anche di una riappropriazione dei simboli autoctoni e autentici e di rompere con quelli coloniali.

E’ ora che l’Africa francofona possa anch’essa acquisire la sua indipendenza attraverso un’endogenizzazione monetaria e simbolica delle valute: “Non è difficile immaginare l’adesione popolare a delle valute Africane con raffigurazioni sulle banconote di  Kwame Nkrumah, Um Nyobe, Patrice  Lumumba, Thomas Sankara, Cheikh Anta Diop, Tchundjang Pouémi,”scrive Ze Belinga.[xxv]

 

[i] Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud, L’arme invisible de la francafrique, une histoire du CFA, éditions La Découverte, Paris 2018, tradotto da Thomas Fazi,  Fazi editore Maggio 2019.  Link video della serata di presentazione del libro a Roma https://www.youtube.com/watch?v=8dRQojvAezY

[ii]Le Comore hanno un accordo di cooperazione monetaria con la Francia simile alla zona franco CFA, ma non vi appartiene.

[iii] Eccetto Il franco CFP, la valuta usata nei territori d’oltremare francesi della Polinesia francese, di Wallis e Futuna e della Nuova Caledonia. L’acronimo CFP stava in origine per Colonies françaises du Pacifique, (Colonie francesi del Pacifico) mentre oggi significa Change franc Pacifique (Cambio Franco Pacifico). In altre aree ex colonie oggi della Francia d’oltremare appartenenti alla Repubblica francese si usa l’Euro.

[iv] Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud, op cit. p. 99

[v] Ndongo Samba Sylla, Money on the left: confronting monetary imperialism in Francophone Africa, Monthly review, 14 March 2019.

[vi] Per più informazioni su Simone e Laurent Gbagbo un sito con articoli e video testimonianze sulla crisi Ivoriana  https://www.free-simone-and-laurent-gbagbo.com

[vii] Laurent Gbagbo, Réflextions sur la conférence de brazzaville, éditions clé, Yaoundé, 1978.

[viii] Fanny Pigeaud, France Côte d’Ivoire: une histoire tronquée, Vents D’ailleurs, 2015.

[ix] Ndongo Samba Sylla e Fanny Pigeaud, op. cit. p. 163

[x] Intervista a Marcel Ceccaldi di Nicoletta Fagiolo, https://www.youtube.com/watch?v=7EWv5LlWb6c

[xi] Le sei condizioni di libertà vigilata sono: 1. Il presidente Laurent Gbagbo e Charles Blé Goudé devono firmare un patto che specifichi che appariranno alla Corte quando essa farà una richiesta.  2. Devono fornire alla CPI i loro rispettivi indirizzi di residenza e non cambiare residenza senza informare la Corte.  3. Non possono lasciare i limiti territoriali del loro comune di residenza senza l’autorizzazione della Corte.  4. Devono fornire i propri documenti di identità alla Corte e riferire settimanalmente alla Corte o al paese ospitante.  5. Non possono prendere contatto con i testimoni dell’accusa e non possono fare  dichiarazioni pubbliche sul caso 6. I giudici della Camera di primo grado dispongono di 30 giorni per rendere la loro decisione motivata per iscritto. Invece sono già passati quattro mesi dalla decisione del 1 Febbraio 2019 ma ancora non è stata depositata la motivazione scritta. La moglie di Laurent Gbagbo, Simone Gbagbo, anch’essa assolta ad Abidjan per il processo per crimini contro l’umanità nel 2016, ancora deve subire una richiesta dalla CPI di processarla per gli stessi fatti, violando la duplice penalizzazione (double jeopardy).

[xii] Fanny Pigeaud, Procès Gbagbo: les preuves d’un montage, Mediapart, 5 ottobre 2017. https://www.mediapart.fr/journal/international/051017/proces-gbagbo-les-preuves-d-un-montage

[xiii] Bernard Houdin, Gbagbo, un homme, un destin, Max Milo, Paris, 2019.

[xiv] Martial Ze Belinga in Sortir l’Afrique de la servitude monétaire, A qui profite le franc CFA, La Dispute, Paris, 2016. p 195

[xv] Ze Belinga, La fin du CFA est un passage obligé vers une émancipation plus générale,  in Défis actuel, 27-29 Maggio 2019. http://www.newsducamer.com/martial-ze-belinga-la-fin-du-cfa-est-un-passage-oblige-vers-une-emancipation-plus-generale/

[xvi] Ndongo Samba Sylla, Monthly Review interview, op. cit.

[xvii] Kako Nubukpo, Le franc CFA, un frein à l’émergence des économies africaines? in l’Economie Politique, 4/2015.

[xviii] Nubukpo e Combey, Les effets non linéaires de l’inflation sur la croissance dans l’Uemoa, IMAO. Accra, Giugno, 2010.

[xix] Martial Ze Belinga, Afrique, une fausse croissance? intervista con il giornalista Théophile Kouamouo  La Média, 26 Giugno 2018  https://www.youtube.com/watch?v=6Q7_f1IXhQ8

[xx] Joseph Stigliz, Globalization and Its Discontents, WW Norton & Company, New York, 2002.

[xxi] Uno dei benefici di un’unione monetaria verte sullo scambio interregionale: per la zona CEMAC il commercio interregionale è al 4% e nella zona UEMOA al 15%. Per fare un confronto in Europa lo scambio interregionale equivale al 60%. La non intercambiabilità dei rispettivi CFA dal 1993 rende l’integrazione monetaria nell’area ancora più problematica

[xxii] Ndongo Samba Sylla, Emerger avec le franc Cfa ou émerger du franc CFA? in In Sortir l’Afrique de la serviture monétaire, op. cit. p. 159

[xxiii] Bruno Charbonneau, France and the New Imperialism: Security Policy in Sub-Saharan Africa, Routledge, New York, 2008. p 60-73

[xxiv] Evits’s Weapon of Mass Distraction,  a short film by Nicoletta Fagiolo https://www.youtube.com/watch?v=WIgo9pXJJ4o

[xxv] Martial Ze Belinga, La fin du CFA est un passage obligé vers une émancipation plus générale  in Défis actuel, 27-29 Maggio 2019.

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