Hamas e Netanyahu: quando i nemici fanno fronte comune

Acerrimi nemici possono diventare migliori alleati. Nel 1993 Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si sono stretti la mano sul prato della Casa Bianca dopo aver siglato gli Accordi di Oslo. Oggi, i nemici politici di Rabin e Arafat stanno scrivendo insieme la propria odiosa storia. Le due forze negazioniste – la palestinese Hamas e l’israeliana Likud – hanno strutturato il proprio mondo in modo da offrire il destro l’una alla violenza dell’altra come forma di legittimazione della propria visione delle cose. Insieme, stanno dando origine a una dinamica omicida che avrà l’unico effetto di confermare in apparenza la loro forza e la validità del loro punto di vista sul mondo.

Sul fronte palestinese Hamas – che aveva ottenuto democraticamente il controllo di Gaza nel 2006 a seguito del ritiro delle truppe e dei coloni israeliani – si è tenacemente rifiutata di porre fine agli atti di violenza ai danni di civili israeliani. Si è anche rifiutata di prendere parte ai negoziati di pace per le cessione dei diritti palestinesi sulle terre che erano state consacrate, nel VII secolo, dalla conquista ad opera delle armate del Profeta, terre che comprendono Gerusalemme, il sito da cui il Profeta avrebbe intrapreso il suo “viaggio notturno” in Paradiso. Invece di promuovere un’economia dello sviluppo, supportata dalle promesse di investimenti di capitali da tutto il mondo, ha preferito puntare sull’importazione di armi – attraverso una miriade di tunnel sotterranei in Egitto – con cui colpire Israele e sul lancio continuo di missili contro i civili israeliani. Sono stati sferrati migliaia di attacchi missilistici a sempre più ampio raggio, prevalentemente da Hamas e dalla Jihad Islamica.

Hamas ha determinato l’elezione di Netanyahu. Netanyahu si è aggiudicato la carica di Primo ministro nel 1996, battendo il pacifista Shimon Peres dopo l’assassinio di Rabin e a seguito di un’ondata micidiale di attentati suicidi palestinesi, anche in questo caso opera prevalentemente di Hamas e della Jihad Islamica, in cui avevano perso la vita centinaia di israeliani. I lanci di missili su Gaza avranno lo stesso effetto. Dopo aver estromesso al-Fatah dai suoi territori, il regime di Hamas ha aspettato, nella certezza che l’Autorità Palestinese non avrebbe mai ottenuto un autentico carattere di Stato a tutti gli effetti. Con il suo atteggiamento violentemente negazionista ha dimostrato il suo impegno a favore delle rivendicazioni palestinesi e ha convinto gli israeliani del fatto che uno Stato palestinese avrebbe sempre implicato non solo il rischio, ma la realtà concreta, di una minaccia per la loro sicurezza. Concedere legittimazione statale a quella gente sarebbe equivalso a un suicidio. Istigando attacchi israeliani in cui hanno perso la vita moltissimi civili palestinesi, inoltre, Hamas ribadisce la barbarie di un nemico con cui sarà sempre impossibile arrivare alla pace.

Sul fronte israeliano, Netanyahu, insieme al movimento religioso dei coloni sionisti e ai negazionisti massimalisti a cui si è progressivamente sempre più allineato, si è rifiutato di negoziare in buona fede con i palestinesi i quali, come è apparso assolutamente chiaro da quanto trapelato dai Palestine Papers, sarebbero stati disposti a cedere a quasi tutte le richieste di Israele in cambio della creazione di uno Stato palestinese, a prescindere da quanto fosse limitata la sua estensione territoriale. Netanyahu ha accettato il principio di uno Stato palestinese demilitarizzato che non avesse diritti su Gerusalemme, ma il suo governo ha proseguito nel processo di espansione, ad oggi durato già quasi mezzo secolo, degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, frammentando il territorio in cui avrebbe potuto essere collocato un ipotetico Stato palestinese in minuscole e pertanto inservibili fettine. Quando l’amministrazione Obama ha tentato di contenere il processo di insediamento, le forze di Netanyahu hanno efficacemente contrastato il presidente americano come fosse un nemico di Israele. Quando di recente il presidente Abbas ha compiuto un gesto di conciliazione manifestando la disponibilità a cedere sul “diritto al ritorno” dei palestinesi, Netanyahu lo ha liquidato come un non-evento. Con la sua incessante espansione degli insediamenti Netanyahu, al pari di Hamas, ha dimostrato il suo impegno a favore del Grande Israele e ha convinto i palestinesi del fatto che una loro legittimazione statale non sarebbe arrivata mai. Con l’attuale attacco su Gaza, Netanyahu sta solo confermando la predominanza di Hamas, rendendo l’Autorità Palestinese un’entità sempre più irrilevante. Tutto ciò non farà che infondere sicurezza a un tipo di nemico con cui si può siglare una tregua, ma non un trattato. Se il militante sionista Yigal Amir ha tolto fisicamente la vita a Yitzhak Rabin nel 1995, il Primo ministro Netanyahu ha cercato di annientare il progetto politico per cui Rabin è morto.

Le due forze nemiche hanno consolidato la potenza e credibilità l’una dell’altra. I rapporti di Hamas con lo Stato paria sciita dell’Iran si stanno indebolendo, ma al contempo si stanno rapidamente rafforzando quelli con gli Stati sunniti come il Qatar, la Tunisia e la Turchia. Ora in Egitto c’è un governo della Fratellanza Musulmana, movimento politico da cui Hamas stessa è emersa nel corso della prima intifada. Israele, malgrado possa contare sul deciso supporto del presidente e del Congresso americani, si trova a dover fare i conti con la sempre maggiore fragilità del regime giordano, che storicamente ha invece sempre alimentato la Fratellanza Musulmana facendo da bastione contro i nazionalisti radicali palestinesi, con un governo egiziano retto dalla Fratellanza Musulmana il cui Primo ministro ha però appena compiuto una visita di solidarietà a Gaza, e con una Siria in cui i fondamentalisti islamici sono sempre più predominanti nelle unità di combattenti che si oppongono al regime dispotico di Assad. In un contesto del genere gli israeliani non saranno disposti a correre rischi e chiaramente si affideranno all’uomo forte che sia in grado di difenderli in questo mondo così pericoloso e ostile.

Israele ha il diritto di difendere i suoi cittadini da una continua pioggia di missili. Ha tentato senza successo di portare allo stremo gli abitanti di Gaza perché mettessero fine alle loro violenze. Ma se una lezione ci è arrivata dall’Operazione “Piombo Fuso”, l’invasione israeliana di Gaza nel 2008, è proprio quella che non esiste una soluzione esclusivamente militare a questo conflitto. È possibile solo una soluzione politica, per la quale sarà necessaria l’esistenza di uno Stato palestinese veramente forte, prospero e democratico in Cisgiordania come contraltare alla Gaza di Hamas. Hamas riesce a ottenere l’egemonia attraverso la violenza incessante proprio grazie al fallimento del processo di creazione di due Stati. Il rischio, oltre che lo scopo di tutta questa violenza, è che la Cisgiordania diventi come Gaza, minando l’Autorità Palestinese che dopo decenni di concessioni ha ben poco da dimostrare sul piano politico. Malgrado la Cisgiordania sia un territorio attualmente sempre più prospero, Israele non potrà continuare all’infinito a comprarsi la sua passività con i frigoriferi e le automobili importate.

Il Primo ministro Likud Sharon aveva previsto che solo le forze al-Fatah di Arafat avrebbero potuto controllare e reprimere i fondamentalisti islamici di Gaza dopo il disimpegno unilaterale di Israele. Si sbagliava: non ci sono riuscite, innescando la guerra civile e la divisione politica della Cisgiordania e di Gaza. Ma il principio rimane: solo una legittimata forza politica nazionalista palestinese disposta a vivere in pace con Israele potrà garantire le condizioni politiche per contrastare, contenere e in ultima analisi reprimere la violenza islamista. La prospettiva di una pace tra israeliani e palestinesi non metterà fine alla violenza di Hamas; anzi, è vero il contrario. Solo la prospettiva di un legittimo Stato palestinese creerà le condizioni per cui gli Stati arabi sunniti potranno allinearsi a una soluzione geopolitica. I possibili scenari futuri alternativi sono o apocalittici o inconcepibili: o la smobilitazione in massa dei combattenti palestinesi da Gaza o uno Stato binazionale. Ci si potrebbe anche aspettare un intervento militare di Israele al confine con l’Egitto per impedire l’importazione di armi, il che aumenterebbe le probabilità di un ulteriore conflitto anche con l’Egitto.

Se le forze geopolitiche di tutto il mondo non riusciranno a creare un contesto in cui le parti saranno costrette ad accettare una spartizione territoriale, che garantisca la legittimità di Stato palestinese insieme alla sicurezza israeliana, possiamo solo aspettarci decenni di morte, odio e sempre maggiore probabilità di conflitti regionali. I palestinesi non avranno uno Stato, ma neanche gli israeliani avranno mai una loro sicurezza se rimangono sempre più isolati in un mondo che vede solo la loro opera di assoggettamento dei palestinesi.

Gli avversari della soluzione “bistatale” hanno fatto ciascuno la loro parte per regalarci questo inferno.

(Traduzione di Chiara RIzzo)

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