Chi ci salverà dal crollo demografico? Fotografia degli stranieri in Italia

10 dicembre: Giornata mondiale dei diritti umani. Il 64simo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani è anche un’occasione per riflettere sulla presenza degli stranieri in Italia e sulla loro integrazione; sulle problematiche ancora aperte e suoi passi avanti compiuti. Lo ha fatto l’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, assieme a badanti, imprenditori, mediatori culturali, studenti, coloro che ogni giorno si confrontano con le maggiori difficoltà di muoversi, orientarsi e integrarsi in un Paese che non ha dato loro i natali, ma in cui vivono, lavorano e pagano le tasse. Un Paese in cui, come sottolinea l’Unar, una delle barriere principali è rappresentata dalla burocrazia; spesso più un ostacolo che un aiuto per chi vuole rispettare le regole.

“Per gli immigrati” sostiene Marco De Giorgi, direttore generale dell’Unar, convivenza significa, infatti, “riconoscersi a vicenda nel reciproco rispetto dei diritti, e quindi anche delle diversità, e dei doveri”.

Immaginiamo una regione come la Sicilia, popolata da poco più di 5 milioni di persone. Immaginiamo ora che si trasformi in un’area multietnica, composta principalmente da giovani, uomini e donne, di religioni diverse; questa è l’istantanea sulla presenza degli immigrati in Italia. La metà di loro proviene dall’Europa, Romania in testa e poi Polonia, Bulgaria, Germania, gli altri dall’Africa (il 22,1%), dall’Asia (il 18,8%) e dalle Americhe (8,3%): in particolare da Marocco, Cina, Filippine, Tunisia, Egitto, Perù, Bangladesh. Piaccia o no, si tratta di una realtà inevitabile, ma anche di una risorsa preziosa. In Italia come nel resto del mondo. E destinata a crescere.

Secondo i dati resi noti il 15 novembre dall’Unicef, nella presentazione del rapporto Facce d’Italia, “quasi un milione di minorenni di origine straniera vive in Italia” e più di 500 mila sono nati nel nostro Paese. Si calcola che nel 2065 la popolazione complessiva italiana conterà 61,3 milioni di residenti con una dinamica negativa (nascita/morte) per gli italiani e un saldo positivo per i flussi migratori che porterà a più di 14 milioni gli stranieri nel nostro Paese.

A fotografarli puntualmente ogni anno è il Dossier Statistico Immigrazione di Caritas-Migrantes. Al di là delle molte inesattezze su cui si basano giudizi e valutazioni sulla loro presenza qui in Italia, i dati del 2012 ci raccontano un’altra realtà, a partire da quello “tsunami umano” di cui aveva parlato l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni (circa 60mila persone approdate dalla Tunisia e dalla Libia sulle coste siciliane) che non si è trasformato nell’invasione annunciata. Il numero degli immigrati regolari contati in Italia a fine 2011, infatti, ha toccato i 5.011.000, solo poche migliaia di unità in più rispetto all’anno precedente (4.968.000).

Come ha sottolineato anche il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi, nel corso della presentazione del XXII dossier: “la questione migratoria è stata vissuta, governata e gestita secondo logiche emergenziali, molto spesso mediatizzate, troppo legate al paradigma di Lampedusa”. “Il 20% delle famiglie immigrate – spiega Riccardi – possiede una casa”, mentre il 75%, ci dice un’indagine dell’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei migranti, “è titolare di conto corrente in banca o presso BancoPosta”, per un totale di quasi 1,8 milioni di conti correnti. Questo vuol dire, dunque, che la maggior parte di loro pensa a una stabilizzazione.

Una stabilizzazione che, a volte, sfugge a causa delle difficoltà ancora esistenti nel gestire l’integrazione. “Si tratta di una manifestazione di arretratezza culturale su questi temi”, confermata da un dato preoccupante reso noto da Riccardi: “gli immigrati più attrezzati e inseriti lasciano l’Italia per difetto di integrazione”. In buona sostanza, se ne vanno perché pur lavorando, pagando le tasse, producendo Pil e lasciando nelle nostre casse circa 1,7 miliardi di euro (dati del 2010), si sentono trattati da stranieri.

Su questo fronte un nodo ancora da sciogliere, non a caso, è il tema della cittadinanza e dello ius soli. “Un’occasione persa da questa legislatura”, per stessa ammissione del ministro, a causa di un’impasse che si è creata in Parlamento.

Nel 2011 coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono stati 56 mila a fronte dei 66 mila dell’anno precedente, e contro le oltre 100 mila di Francia e Germania e le 200 mila della Gran Bretagna. Discorso diverso per i richiedenti asilo: nel 2011 è stata accolta 1 domanda su 3, e ad oggi sono 7.155 le persone riconosciute come rifugiati o meritevoli di protezione (per ragioni politiche o umanitarie), senza avere però le stesse garanzie di diritti che avrebbero in altri Paesi.

“Ci vuole un clima civile che favorisca l’integrazione. Senza fare sconti a nessuno ma senza atteggiamenti di diffidenza. Noi abbiamo bisogno di loro e loro hanno bisogno di noi”, ha sottolineato ancora Riccardi. Dati alla mano, nei prossimi anni saranno gli stranieri a evitare il crollo demografico di un Paese “vecchio” come l’Italia. Una ricerca realizzata a maggio dalla Coldiretti, in collaborazione con l’Università della Calabria, ha mostrato che la classe dirigente italiana è la più vecchia d’Europa, con un’età media di 59 anni. Se si considerano professori universitari e banchieri si arriva anche a 63 e a 67 anni. Accade così che mentre i giovani italiani vanno all’estero per trovare prospettive lavorative migliori, adatte al loro titolo di studio, giovani stranieri giungono in Italia.

Ma non si tratta di un vero e proprio interscambio, considerando che i migranti vengono impiegati in quelle attività considerate meno attraenti per noi. Tra il 2007 e il 2011 sono state registrate 750mila assunzioni in settori lasciati liberi, a fronte della perdita generalizzata di un milione di posti.

Questo non vuol dire che i migranti “ci rubano il lavoro”, come si sente spesso dire, e che non risentano delle difficoltà a inserirsi nel mercato, visto che il 12,1% resta disoccupato (quattro punti in più degli italiani). Quelli che lavorano (circa 2 milioni e mezzo, cioè il 10% del totale degli occupati in Italia), invece, sono concentrati nelle fasce più basse del mercato: nell’industria e nell’edilizia (il 29,6%), nell’agricoltura (l’8,5%), ma soprattutto nei servizi, dov’è impiegato il 57%: settore alberghiero e della ristorazione, imprese di pulizie, attività infermieristica e assistenza alle famiglie. È in particolare quest’ultimo il campo dove la loro presenza si sta rendendo ormai indispensabile con una popolazione, quella italiana, che tende ad invecchiare e che vede ogni anno 90 mila nuove persone non autosufficienti.

Un settore che spesso non viene considerato quando si parla di lavoratori e che, invece, ne conta il 40% è quello dei marittimi, in particolare rumeni, indiani e filippini. Non tutti sanno, infine, che nel campionato di calcio di serie A i giocatori sono per il 50% di “importazione” (271 su 554); il caso limite è quello dell’Inter con tredici lingue diverse parlate nello stesso spogliatoio. È questa, forse, la vera integrazione?

Immagine di berther (cc)

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