Pd nel Pse
La parabola che ci ha portati qua

Due articoli di Stefano Ceccanti e Paolo Pombeni, pubblicati sul numero 5 (maggio 2014) di Mondoperaio, illustrano la recente adesione del Pd al Pse, puntando l’attenzione sul significato che la confluenza di componenti cattoliche, quali quelle presenti nel Pd, ha in relazione alle prospettive dei partiti di ispirazione cristiana, come la Cdu/Csu tedesca.

 

Di seguito, l’intervento di Stefano Ceccanti alla tavola rotonda sul tema “Christian Democracy: Fall or Reconfiguration?”, organizzata dall’ Istituto universitario europeo di Firenze l’11 aprile 2014.

Se una domanda del genere (Caduta o riconfigurazione della democrazia cristiana) fosse stata posta all’indomani del secondo dopoguerra ci sarebbe stata quasi automaticamente un’identificazione tra un filone di pensiero e i concreti strumenti partitici, almeno per le tre grandi democrazie continentali in fase di ricostruzione; ed anche, di conseguenza, l’individuazione delle priorità programmatiche sulle quattro aree tematiche da voi individuate (su cui torneremo tra breve); e per finire i possibili alleati ed avversari. Senza tuttavia dimenticare gli elementi di differenza, tutt’altro che marginali, accanto ai tratti comuni. Pensiamo alla natura plurale e interconfessionale del caso tedesco, o al trionfo effimero, come sottolinea Emile Poulat e come ricostruisce bene in ultimo Michele Marchi, del Mrp in Francia.

L’identificazione tra quel filone culturale (la conciliazione pratica tra cristianesimo e democrazia liberale) e gli strumenti partitici di allora è invece oggi del tutto preclusa. Vorrei dimostrarlo riprendendo il vostro schema, che articola la domanda su quattro temi (unità europea, Stato sociale, rapporti con le chiese, idea politica del cristianesimo democratico), per mostrare tutta la distanza rispetto a come quei problemi furono positivamente affrontati e risolti allora.

Su quei quattro aspetti, è bene ricordarlo, il bilancio è positivo: la distanza deriva da successi, non da fallimenti. La costruzione progressiva di un’unità europea rispettosa delle differenze nel quadro della solidarietà atlantica segnava la differenza coi nazionalismi residui dei cattolicesimi autoritari di Spagna e Portogallo sulla destra e con quegli spezzoni di sinistra attratti ancora dal mito della Rivoluzione d’Ottobre e delle democrazie popolari, particolarmente forti nel Sud Europa. La realizzazione di un welfare state inclusivo ma non deresponsabilizzante, nonostante i germi di criticità su cui si concentrò da subito Sturzo, marcava una distinzione da un lato contro posizioni liberali tradizionaliste da Stato minimo, e contro forme di eccessiva statalizzazione dall’altro. Portava con sé necessariamente anche la strutturazione di esecutivi forti rispetto alle derive assemblearistiche incapaci di realizzare decisioni coerenti nel lungo periodo, derive che erano state causa non ultima del successo degli autoritarismi europei.

Inoltre il riconoscimento della dimensione pubblica del fatto religioso, ma in uno spazio di libera concorrenza democratica, corretto dal temperamento delle Corti costituzionali, si opponeva sia ai filoni di laicità estrema sia alle residue impostazioni confessionalistiche, queste ultime ancora dominanti in termini di dottrina fino al Concilio Vaticano II. Il loro superamento fu anticipato dalla concreta azione politica dei laici cattolici impegnati in politica: senza De Gasperi, Adenauer, Schumann e Kennedy non avremmo avuto né la Dignitatis Humanae né la Gaudium et spes.

Infine il filone della nuova cristianità democratico/profana tendeva a imporsi contro i miti dello Stato cristiano, definitivamente delegittimato dai patti con gli Stati autoritari in larga parte sconfitti nella guerra, e contro i miti giacobini dello Stato onnipotente.

Il concreto funzionamento dei sistemi politici, in connessione coi mutamenti sociali, e l’evoluzione della Chiesa cattolica – che ne è stata per certi versi conseguenza (come ricordato in precedenza) e per altri causa (ad esempio sulle transizioni alle nuove democrazie della Terza Ondata, dove il cattolicesimo gioca un ruolo preponderante) – ha tuttavia radicalmente cambiato i termini della domanda.

Premesso che, come segnalato al punto precedente, la storia di queste idee è stata in larga parte una storia che, insieme ad altri, ha realizzato grandi successi come le istituzioni europee, i sistemi di welfare, i governi autorevoli di legislatura (con esclusione per ora dell’Italia) ed i documenti conciliari, l’ispirazione ideale si è disconnessa dagli strumenti originari o perché questi ultimi sono scomparsi o perché hanno cambiato natura, anche se spesso hanno conservato i nomi del passato.

In due su tre delle grandi democrazie continentali, prima in Francia e poi in Italia, la relativa unità che si era realizzata sul piano politico (più in Italia che in Francia) di quel filone ideale, anche per il collante esterno costituito dalla presenza ingombrante a sinistra di partiti comunisti, è poi venuta meno man mano che si sono indeboliti questi ultimi. Cosa che ha portato sin dagli anni ‘80 uno studioso attento come Pietro Scoppola a distinguere nettamente tra filone ideale del cattolicesimo democratico e strumenti partitici necessariamente transeunti.

Nelle società pluraliste (e per certi versi anche post-cristiane), dove qualsiasi ipotesi di cristianità anche nuova, democratica e profana, è strutturalmente perduta, il problema si capovolge: mentre nel secondo dopoguerra la questione posta era come, a partire da proposte politiche formulate da cattolici in partiti di matrice religiosa esplicita, potessero poi unirsi dei cristiani di diverse confessioni e dei non credenti, la questione diventava (e permane) come dei credenti possano svolgere un ruolo significativo, di lievito (quindi non solo di testimonianza individuale) in partiti strutturalmente plurali, somma di varie minoranze religiose e ideali.

Anche nella terza democrazia continentale, la Germania, sotto un’apparenza formale di continuità, si è prodotta la medesima dinamica: privi di reali contendenti sulla destra del sistema politico, i partiti dell’Unione Cdu/Csu si sono collocati stabilmente non nella classica posizione centrista tipica di tutti i tradizionali partiti dc, ma risolutamente sul centro-destra, in un’ottica chiaramente bipolare; mentre varie energie di credenti e praticanti, più collocati a sinistra potevano chiaramente collocarsi nella Spd dopo la svolta di Bad Godesberg.

Queste dinamiche, non a caso, sono diventate ancora più evidenti con le democrazie della Terza Ondata: in nessuna delle quali, a partire da quelle con presenza cattolica più significativa, si sono riprodotti partiti nazionali dc analoghi a quelli del secondo dopoguerra. Questi ultimi, segnalo di nuovo, supponevano come potente fattore unificante esterno la presenza di potenti partiti comunisti: in assenza dei quali, invece, e peraltro in un contesto ormai religiosamente plurale, la presenza si è andata naturalmente articolando lungo l’asse destra/sinistra, tra i partiti conservatori, quali sono obiettivamente quelli che costituiscono il Ppe, nettamente più a destra del centro rispetto ai partiti dc postbellici, e quelli socialisti su cui è imperniato il centrosinistra riformista. Questi ultimi peraltro, avevano visto nella loro genesi e nel loro sviluppo nel Nord Europa la confluenza di significative realtà di matrice religiosa protestante, e nel caso del Labour anche cattolica.

In altri termini, anche se le transizioni della Terza Ondata partono da paesi cattolici, il nuovo panorama religioso post-cristiano e la fine del comunismo impediscono la nascita di nuovi partiti dc, e articolano la presenza dei cattolici per lo più intorno a singoli e gruppi che si collocano sia nel centrosinistra (i partiti socialisti deideologizzati) sia nel centrodestra (partiti popolari secolarizzati).

Negli anni recenti, tuttavia, nonostante lo slancio degli anni immediatamente successivi al Concilio – che è ancora visibile all’inizio delle transizioni della Terza Ondata (ben tre capi di governo provengono dal filone maritainiano di Pax Romana: Maria de Lourdes Pintasilgo e Antonio Guterres in Portogalllo, Tadeusz Mazowiecky in Polonia, i primi due interni al Pse, l’ultimo non classificabile) – la presenza qualificata dei credenti su ambedue i lati in competizione dello spazio politico europeo si è ridotta in modo sensibile, forse non solo per i fenomeni di secolarizzazione ma anche per precise dinamiche ecclesiali.

Mi riferisco a due fenomeni che hanno allontanato da questo di tipo di testimonianza personale e comunitaria: per un verso l’insistenza su movimenti privi di vita democratica interna con delega a leadership carismatiche laiche o ecclesiastiche, anziché su associazioni ben strutturate con precisi statuti e garanzie interne che sono già di per sé scuola di democrazia; e per altro verso una certa retorica semplicistica sui cosiddetti valori non negoziabili, che è strutturalmente incompatibile con una dialogica presenza nelle assemblee parlamentari e in esecutivi responsabili. Peraltro, finendo di fatto col presentare la Chiesa come forza extra-parlamentare centrata su minoranze intense e quasi solo intenta a pronunciare dei No (così almeno è apparsa, anche se le intenzioni erano diverse), probabilmente per eterogenesi dei fini la comunità ecclesiale ha spesso favorito un cambiamento in senso esattamente opposto ai trends delle opinioni pubbliche maggioritarie, e quindi delle legislazioni.

Su questo però, con tutta evidenza, il pontificato attuale sta producendo un indubbio e fecondo aggiornamento che potrebbe invece rilanciare forme significative di impegno e un senso più ragionato delle mediazioni politiche e sociali. Sono ormai fatti acquisiti l’accantonamento della formula, per altro spesso abusata, dei valori non negoziabili, e la problematizzazione del rapporto tra diritto e questioni etiche (anche oltre le posizioni espresse da Benedetto XVI nei suoi discorsi a Westminster e al Bundestag).

A partire dalla irreversibile dissociazione tra filone culturale e strumenti che ho illustrato prima, personalmente mi limito (tranne sul primo punto di cui parlerò tra breve) al solo versante in cui mi colloco, il centrosinistra europeo, in cui mi è sembrato non da oggi che la collocazione sia più naturale: ad altri il compito di tentare di dimostrare la possibile fecondità del medesimo filone sul lato del centrodestra. Con ciò ovviamente non intendo negare che anche i partiti moderati e conservatori abbiano un ruolo positivo a livello europeo, frenando sul versante di centrodestra tendenze altrimenti ben più negative di tipo nazionalistico o populistico. Non mi pare però che questo ruolo abbia granché a che fare con l’ispirazione riformista anche molto ardita dei partiti dc del secondo dopoguerra.

Riprendo quindi la scaletta tematica in quattro punti e provo ad attualizzare le questioni. Sul primo versante, quello dell’unificazione europea, a me sembra che con l’indicazione popolare dei candidati alla Presidenza della Commissione abbiamo fatto un primo passo in avanti significativo nel riequilibrare in chiave federalistica un processo negli ultimi anni sbilanciato eccessivamente su quello intergovernativo: ma si tratta di materia costituente, trasversale alle ispirazioni e alle collocazioni di parte.

Sul secondo, quello del nuovo rapporto tra Stato e mercato, mi sembra che in realtà le proposte più efficaci per un sistema che intenda continuare a perseguire i fini dell’economia sociale di mercato con mezzi nuovi, decisamente più responsabilizzanti e meno burocratici, siano venute dalle esperienze di Terza Via degli anni ’90, non a caso incubate nel movimento dei Christians on the Left del Labour Party, superando l’assioma ideologico secondo il quale la riduzione delle diseguaglianze debba o essere abbandonata o fatalmente identificata con forme di espansione indefinita della spesa pubblica e della tassazione. Ovviamente questo sforzo può essere produttivo se, come ha ricordato impressionisticamente Jacques Delors al movimento Esprit Civique, non ci facciamo travolgere dalle emergenze immediate, ma utilizziamo stabilmente più ingegneri e meno pompieri. L’esperimento della Terza via blairiana supera in un colpo solo una vecchia idea di partito e una vecchia ideologia di sinistra.

Sulle relazioni con le Chiese è importante capire che il rapporto deve essere biunivoco e circolare: la politica trae da una società plurale (anche dal punto di vista religioso) risorse e stimoli assolutamente necessari per un bene comune di cui le istituzioni non hanno affatto il monopolio, e per questo ne vanno tratte le logiche conseguenze anche in relazione a una visione non statalistica del sistema educativo; ma al contempo le Chiese nello spazio pubblico non possono utilizzare la retorica dei princìpi in modo semplificatorio, quasi fossero minoranze protestatarie o lobbies particolaristiche prive di un orizzonte comune a tutti e della consapevolezza del  valore sempre limitato del ricorso alla legge, secondo l’insegnamento della Dignitatis Humanae. Sono politiche sociali innovative pro integrazione a valorizzare il diritto alla vita, non l’espansione del diritto penale. E la valorizzazione della famiglia è impensabile se ad essa viene contrapposta ideologicamente l’irrilevanza legislativa delle altre forme di unione, comprese quelle tra persone omosessuali: in uno scontro frontale non c’è più consenso comune su cui costruire.

Quanto infine all‘idea di una democrazia religiosamente ispirata, il superamento definitivo di ogni forma di cristianità e delle visioni astoriche di legge naturale e diritto naturale (sul punto resta essenziale il dialogo Ratzinger-Habermas del 2004), visioni che stanno alla base anche di molte difficoltà interne alla vita della Chiesa cattolica che la fase preparatoria del Sinodo sta già affrontando con coraggio, non è una perdita di un’età dell’oro, ma è invece la premessa per un tipo diverso di fecondità nello spazio civile e politico: quella che costruisce sotto la propria responsabilità e insieme ad altri soluzioni inedite. Non fu così anche nel secondo dopoguerra con le istituzioni europee, in un cammino che ha sempre alternato sconfitte (come quella sulla Ced esattamente di cinquant’anni fa) e successi (come tre anni dopo gli accordi firmati a Roma)? Io penso che tutto ciò si costruisca meglio sul versante dei democratici e dei socialisti, nel centrosinistra europeo: ma non è un dato di fede, è una scelta e una scommessa politica. Quanto fruttino i talenti lo si scopre sempre ex post.

 

Photo Credits: Flickr/Palazzo Chigi

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