LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Una leonessa in moviola. Thelma Schoonmaker premiata a Venezia

Oggi 2 settembre alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la montatrice Thelma Schoonmaker viene premiata con il Leone d’oro alla carriera (Sala Grande, ore 17.15) assegnato quest’anno anche al regista Frederick Wiseman, La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera. Ecco un ritratto della cineasta statunitense, dal catalogo della Mostra.

Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker

Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker

Chi sta suonando alla mia porta? Che il montaggio sia il ritmo segreto e infine manifesto del film lo capisci solo dopo esserti ammalato di cinefilia. Non basta divorare pellicole o video nei cineclub e davanti a uno schermo domestico, bisogna varcare la porta di una moviola e sedersi al tavolo orizzontale di una Prevost o di una Atlas (anche se Hollywood, prima del digitale, predilesse sempre la moviola verticale). Solo là, nel buio delle stanzette fino a pochi lustri fa neppure rischiarate dal bagliore dei pixel, si riesce a cogliere la pazienza, la fatica e l’infinita bellezza del cinema. La sua musica, appunto. D’altronde la Moviola, inventata giusto novant’anni orsono da Iwan Serrurier, mutua il nome da un fonografo, la Victrola. Mentre Leo Catozzo, che brevettò l’eponima pressa per la pellicola, veniva dalla musica e alla musica tornò a fine carriera. In Italia più di una generazione di studenti di cinema ha imparato a cogliere questa dimensione per certi versi “esoterica” da maestri come Roberto Perpignani. Per l’America, e per tutti, c’è Thelma Schoonmaker, primo Leone d’oro alla carriera della storia veneziana assegnato a un montatore (meglio tardi che mai!). Il suo nome è indissolubilmente legato a Martin Scorsese, di cui ha montato quasi tutti i film. Un lungo e certosino impegno, quello di Thelma, al tempo stesso oscuro e luminoso, e basato sulla fedeltà assoluta alla “famiglia” del Martin Sognatore di cui sono partecipi De Niro, Keitel, Pesci, ma anche, allargando il campo, Coppola, De Palma e lo sceneggiatore Jay Cocks.

E’ stata la stessa Schoonmaker, assai schiva nell’intestarsi onori che corrispondano agli oneri professionali, a confidare, in una delle sue rare interviste, quali siano i caratteri propri del montaggio con Scorsese: “Non abbiamo assistenti. Marty ha bisogno di controllo e di concentrazione. Riflette molto sulle domande che gli si fanno, ed è per questo che ha costantemente bisogno di calma e di silenzio in sala di montaggio. Ecco perché siamo sempre noi due soli: mi ha davvero viziata. Ho costruito questo rapporto di lavoro con lui, che mi ha permesso nel corso degli anni di imparare molto e di vedere la sua evoluzione. E soprattutto di aiutarlo a far crescere i suoi film” (“Cahiers du Cinéma”, marzo 1996, trad. it., Minimum Fax 2002).

Grazie al ritmo impresso dall’“organo” di Thelma nella Martin’s Cathedral, il tempio neanche tanto profano del cinema scorsesiano, vibra e prende corpo la peculiare frenesia che si placa dopo l’esplodere della violenza, senza il compiacimento del sangue o del sesso o dei soldi che vige a Hollywood. Nel montaggio della Schoonmaker echeggia la natura “atletica” del cinema esordiente colta da Vladimir Majakovskij nel 1922, nonché, con dovizia teorica, da Sergej Michajlovič Ėjzenštejn nel celebre saggio del ’40 Dickens, Griffith e noi, che Thelma potrebbe aver letto in lingua originale, avendo studiato russo alla Cornell University dove si laureò in Scienze politiche. E a ben vedere il cinema di Marty & Thelma è pregno di sommosse linguistiche, frammentazioni della ragione, implosioni simboliche, deformazioni antinaturalistiche in cottura nella cuccuma della realtà messa sul fuoco da Dickens e Rossellini. Quel cinema è un compendio del secolo veloce e delle sue avanguardie, nel segno dell’ellissi cara a Proust, a Kafka e naturalmente a Joyce che, ha notato Gianni Celati traducendo l’Ulisse, “percepisce il senso generale del movimento discontinuo” come solo Dziga Vertov riuscì a fare. Nel montaggio dei film di Scorsese si coglie sempre l’“elettricità della lingua” di cui parlava Carmelo Bene, ovvero il flusso di coscienza/incoscienza nei tagli, nei contrappunti, nelle dissolvenze in mezzo a un movimento di macchina come in Casinò.

In tale adesione alla sinfonia del caos ricondotto ogni volta a un ordine provvisorio, Thelma Schoonmaker è una vera newyorker, pur essendo nata ad Algeri nel 1940 e cresciuta nell’isola caraibica di Aruba per gli spostamenti lavorativi del padre. Ha montato tra l’altro Re per una notte, Fuori orario, Quei bravi ragazzi, Cape Fear – Il promontorio della paura, L’età dell’innocenza, Shutter Island, Hugo Cabret, The Wolf of Wall Street, e vinto tre Oscar per Toro scatenato, The Aviator e The Departed – Il bene e il male. Schoonmaker, inoltre, si spende con tenacia nella promozione dei film e degli scritti del marito inglese, il regista di Scarpette rosse e L’occhio che uccide, sposato nel 1984 e scomparso nel ’90, un certo… Michael Powell.

 

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